Quando mi sveglio la luce del sole filtra dalla finestra rischiarando
la stanza e rendendo inutili i miei tentativi di riaddormentarmi. Dopotutto
ho dormito molto poco stanotte.
Alzo la testa e non riesco a
evitare di sorridere quando vedo Gale che dorme profondamente
nonostante un impertinente raggio di sole che gli illumina il viso e
riempie di riflessi i suoi capelli scuri.
Resto a guardarlo a
lungo, un’ora forse, riflettendo su come sia cambiata la mia
vita in un solo giorno.
Ieri mattina ero ancora rinchiusa
in quel terribile stato di apatia, indifferente alla mia stessa vita, e
ora sono qui, tra le sue braccia. Braccia forti
che mi hanno sostenuta nei momenti più difficili ma che
troppo spesso ho rifiutato, credendo che non potessero
riuscire a comprendere fino in fondo ciò che stessi
passando. E invece lo avrebbero fatto meglio di chiunque altro
se solo gliene avessi dato la possibilità, perché
nessuno mi conosce come Gale. Nessuno può dare voce ai miei
silenzi meglio di lui. Come vorrei averlo capito prima... di
certo avrei risparmiato un bel po’ di dolore a entrambi.
Ripenso a tutti i momenti che
abbiamo condiviso in questi anni e mille immagini mi scorrono davanti
agli occhi: i pomeriggi di caccia, quelli al lago a pescare,
le sere al Forno, io che gli insegno a nuotare, lui a piazzare
trappole, io che gli regalo uno dei miei preziosi archi,
dimostrandogli così la mia fiducia, lui che mi
porta in braccio fino a casa, quando mi torsi un ginocchio, e tante
altre…
Che coppia eravamo, uniti dalla
necessità e dalla responsabilità di sfamare le
nostre famiglie ma soprattutto dalla nostra amicizia.
Un'amicizia vera, indistruttibile, di quelle che il tempo non
può scalfire ma solo rendere più forte. Nonostante tutto
quello che è successo dalla Mietitura ad oggi, noi siamo
ancora qui a farci forza l’un l’altro.
Insieme a lui sta tornando
la mia voglia di vivere, di dare un senso a tutto quello che ho perso.
A tutti quelli che ho perso.
Un leggero movimento del braccio
che mi circonda la vita mi dice che Gale si è svegliato e
infatti quando alzo lo sguardo verso di lui vedo i suoi occhi
assonnati e ancora semichiusi che mi osservano.
—
Buongiorno — dice cercando inutilmente di soffocare
uno sbadiglio — Sei sveglia da molto? —
—
Un po’ —
—
Avresti potuto svegliarmi —
—
È ancora presto e stanotte non hai dormito molto, quindi ho
preferito lasciarti riposare ancora un po' —
—
Già, è stata una nottataccia — dice
stiracchiandosi.
Un
velo di tristezza scende sul suo viso quindi decido di cambiare
argomento. Parlare di incubi notturni appena svegli non è
certo il modo migliore per iniziare una giornata.
—
Andiamo a fare colazione, mi brontola lo stomaco
— mi alzo e mi avvio verso la porta.
Mi
giro verso Gale e vedendo che è ancora a letto prendo un
cuscino e glielo lancio colpendolo dritto in faccia.
—
Alzati, ho fame! —
Gale
inizia a ridere ma non accenna ad alzarsi. La mia prossima arma
è una pantofola.
—
Alzati o ti becchi questa sul naso. Sai che ho un’ottima
mira — gli dico cercando inutilmente di assumere un tono
minaccioso.
—
D’accordo, mi alzo — Gale solleva le mani in segno
di resa e scalcia via le lenzuola.
Dopo
aver fatto colazione decidiamo di andare a caccia. Gale sistema le
trappole mentre io raccolgo more e erbe, dopodiché ci
inoltriamo nel folto dei boschi, muovendoci come sempre in perfetta
sincronia. Quando ci riteniamo soddisfatti da ciò che siamo
riusciti a cacciare andiamo al lago.
È
davvero una bella giornata, il sole è forte e caldo e
l’aria piacevole e leggera, perciò dopo aver
sistemato le reti per pescare ci stendiamo sull’erba per
bearci del calore del sole e del rilassante cinguettio degli uccelli.
Lo
sguardo mi cade sulla vecchia casa vicina alla sponda del lago, quella
in cui venivo con mio padre da bambina e giocavo alla donna di casa, la
stessa casa in cui Gale confessò di
amarmi.
Chissà se lo ricorda,
penso distrattamente. A giudicare
dalla sua espressione malinconica, direi di si.
—
È bello qui — mi dice, incrociando le mani dietro
la testa e chiudendo gli occhi.
—
Ci venivo sempre con mio padre, era il nostro posto speciale
— dico — Ero felice qui
— aggiungo a mezza voce, lo sguardo perso nel vuoto.
Gale
apre gli occhi e mi osserva,
come se stesse cercando di leggermi dentro, cosa che riesce a fare
senza alcuna difficoltà.
Un
po’ in imbarazzo mi alzo e mi avvicino al lago;
l’acqua è tiepida e limpida e fa venire voglia di
tuffarsi. Perché no, poi? Raccolgo
l’acqua con le mani e, avvicinandomi a Gale nel modo
più silenzioso possibile, gliela lancio in faccia.
Gale
apre gli occhi sorpreso e, dopo avermi rivolto un'occhiata truce,
scatta in piedi e in un attimo copre la poca distanza che ci separa, ma
scivola sul terreno fangoso atterrando con un tonfo sordo in una
pozzanghera melmosa. La sua espressione corrucciata e disgustata mi
strppa una risata così forte che mi piego in
due, le mani poggiate sulle ginocchia. Ed è a quel
punto che Gale mi tira per un braccio e mi ritrovo stesa prima sopra,
poi sotto di lui, che mi blocca sedendosi a cavalcioni sulla mia
pancia. Mi guarda cercando di mantenere un’espressione seria,
ma con scarsi risultati.
—
Signorina Everdeen, ridere di chi è in difficoltà
è una cosa spregevole e non può restare impunita.
A meno che, naturalmente, lei non voglia scusarsi —
—
Mai — dico determinata, ma la mia espressione cambia non
appena vedo Gale prendere un’enorme
quantità di fango con le mani e alzarla proprio sopra il mio
viso.
—
È la sua ultima parola? —
—
Si — rispondo in tono di sfida, sperando che non faccia
ciò sembra voglia fare.
E
invece lo fa. Giro la testa da una parte all’altra, ma questo
non impedisce alle mani di Gale di riempirmi il viso di fango
tiepido e viscido.
—
Basta, basta, mi arrendo —
—
D’accordo — risponde Gale soddisfatto, alzandosi e
avvicinandosi al lago per sciacquarsi le mani.
Ne
approfitto per abbassarmi a raccogliere del fango.
—
Gale? — dico, fingendo un tono confuso per attirare
la sua attenzione.
Non
appena si volta verso di me si ritrova il viso coperto di fango. Prima
che possa rendersi conto di ciò che è successo
scappo via, ma inspiegabilmente me lo ritrovo davanti. Dannate le sue
gambe lunghe. Sono braccata. L’unica via di fuga
è il lago; senza pensarci due volte mi tuffo, lasciando che
l’acqua tiepida lavi via tutto il fango e lo sporco. Quando
riemergo, vedo Gale che scuote la testa ridendo, le mani sui fianchi.
—
Dai, tuffati —
Lo
vedo esitare qualche istante prima di togliersi le scarpe e lanciarsi
in acqua per raggiungermi.
Passiamo
gran parte della mattina a nuotare, giocare e spruzzarci, divertendoci
come non facevamo da tempo, spensierati come dovrebbero essere tutti i
ragazzi della nostra età. Usciamo
dall’acqua e dopo esserci tolti la maglia e i pantaloni per
farli asciugare ci stendiamo su un enorme masso caldo.
Mentre
mi sciolgo la treccia noto di nuovo la bruciatura sulla parte interna
dell’avambraccio di Gale. Lui intercetta il mio sguardo e
sospira.
—
Pacificatori. Quando mi catturarono a Capitol City. Volevano sapere
dove fossi e quali fossero i tuoi piani, se c’era qualcun
altro ad aiutarti o agissi da sola. Ogni volta che non rispondevo a una
delle loro domande partiva una scarica elettrica
sempre più forte. Quando si sono resi conto che non
avrei rivelato nulla hanno deciso di “premiare la mia
fedeltà alla Ghiandaia Imitatrice” marchiandomela
a fuoco sulla pelle, trafitta al collo da una freccia come buon
auspicio per la tua morte —
Orrore.
Disgusto. Rabbia.
Le
lacrime iniziano a bruciarmi gli occhi al pensiero di ciò
che ha dovuto sopportare a causa mia.
Gale
sembra leggermi nel pensiero e con una mano mi solleva il mento,
costringendomi a guardarlo negli occhi. Occhi grigi e tormentati, colmi
di dolore.
—
Non è colpa tua, non pensarlo neanche per un secondo. Nulla
può cambiare ciò che è successo, lo
sai meglio di me, quindi l’unica cosa che possiamo fare
è mettere da parte i momenti brutti e ricordare solo quelli
belli, quelli che ci hanno reso felici — esita qualche
secondo, poi mi stringe ddelicatamente tra le sue braccia.
—
Puoi farcela, possiamo farcela — mi sussurra tra i
capelli.
—
Insieme? — mi sento chiedergli.
—
Insieme — ripete lui, stringendomi più
forte — Ora andiamo a casa —
Ci
rivestiamo, raccogliamo tutto ciò che abbiamo ricavato da
caccia e pesca e, archi in spalla, ci incamminiamo in silenzio. Quando
arriviamo al Prato, Gale mi guarda con un mezzo sorriso e un
sopracciglio alzato.
—
L’ultimo che arriva alla recinzione, cucina e lava i piatti
per una settimana —
—
Ci sto —
—
Pronti…VIA! —
Inizio
a correre ma Gale è molto più veloce e quando
copro i 100 mt che mi separavano dalla recinzione lui è
già li, appoggiato a un albero con aria soddisfatta.
—
Ops…hai perso —
dice, fingendosi dispiaciuto —
Allora, cosa
mangiamo stasera? — mi prende in giro.
—
Anemone nemorosa* — rispondo, inclinando la testa di
lato e sorridendo nel modo più dolce che mi riesce.
Gale
scoppia in una risata fragorosa
—
Vorresti avvelenarmi, Catnip? —
—
Potrei farlo, non provocarmi —
Dopo
essermi lavata e aver indossato abiti puliti mi dirigo in cucina per
preparare la cena.
Sono
così concentrata che non mi accorgo di Gale
finchè non me lo ritrovo davanti, un’espressione
divertita sul volto, i capelli ancora bagnati dopo la doccia.
—
Sparisci — sbraito prima che possa prendermi in giro di
nuovo, così gira le spalle sbuffando e va in salone ad
accendere il camino.
Finalmente
la cena - se così si può definirla - è
pronta e iniziamo a mangiare.
—
Beh, mi aspettavo di peggio e invece oltre a essere commestibile ha
anche sapore. Cibo saporito. Non me lo sarei mai aspettato da
te. — dice Gale ingoiando l'ultimo boccone.
—
Mai sottovalutarmi, Hawthorne — lo rimbecco io compiaciuta
alzandomi per sparecchiare. Gale ride e mi toglie i piatti
sporchi di mano.
—
Ci penso io — dice prima di scomparire in cucina.
—
Insieme facciamo
prima — gli dico infilandomi i guanti.
—
D’accordo — sorride e si sposta per farmi spazio
accanto a lui davanti al lavello.
—
Ecco qui — dice Gale. Chiude le ante della credenza e si
dirige in salone.
Rimaniamo
seduti sul divano a guardare le fiamme in silenzio, finchè
Gale non si schiarisce la gola e con voce incerta mi fa una domanda che
mai mi sarei aspettata di sentire da lui.
—
Hai avuto notizie di Peeta? —
Sbatto
le palpebre più volte concentrandomi sul fuoco che danza
nel camino.
—
Katniss? — mi incalza Gale
Sospiro
e bevo un lungo sorso di tè.
—
L’ultima volta che l’ho visto è stata
mentre i Pacificatori mi portavano via dopo che avevo ucciso la Coin
— chiudo gli occhi rabbrividendo al ricordo di quei momenti.
Quando
li riapro mi rendo conto dallo sguardo di Gale che sono necessarie
altre spiegazioni. Devo essere sincera, dirgli tutto. In fin dei conti
lui lo è stato con me, mi ha detto tutto sulla bruciatura
anche se il ricordo era doloroso. Così bevo un
altro sorso di tè e continuo.
—
Mi ha impedito di prendere il Morso della Notte e…e mi ha
detto che finalmente avrei avuto anche io ciò che meritavo
—
Sento
Gale deglutire e poi stringermi la mano.
—
Non era lui, Katniss. Il vero Peeta non lo avrebbe mai fatto —
—
Il vero Peeta non esiste più, Capitol City ha ucciso anche
lui — dico amaramente.
—
No. Il vero Peeta c’era e lottava per tornare, ma nei momenti
di agitazione, paura, caos, la sua…versione cattiva aveva la
meglio. Non colpevolizzarlo per qualcosa che non poteva controllare
—
Sono
sorpresa dalla veemenza con cui Gale difende Peeta visto tutto quello
che c’è stato tra noi.
—
Vero
o meno ormai non importa, appartiene al passato —
Gale
emette un lungo sospiro.
—
Non puoi sperare in un futuro sereno se non regoli i conti col passato
— mi dice, prendendo le tazze vuote per portarle in cucina.
Resto qualche minuto a riflettere su quanto ha appena detto, poi lo
raggiungo.
Sono
circa le 23 quando saliamo le scale per andare a dormire.
Arrivati
davanti alla porta della mia stanza Gale mi bacia una guancia e si
volta, ma prima che riesca ad allontanarsi gli afferro la mano e lo
invito a seguirmi nella mia camera. Mi
addormento serena sapendo che stanotte non ci saranno incubi, ma solo
le sue braccia a tenermi al sicuro.
*L'anemone nemorosa,
anche chiamata anemone dei boschi,
è una piccola pianta dai fiori bianchi che fiorisce
da febbraio ad aprile; è diffusa in Nordamerica e se
ingerita è mortale. Scelta tra le altre piante velonose,
oltre che per il luogo e il periodo di fioritura, anche per il fatto
che appartiene alla famiglia delle Ranunculaceae, pianta da cui prende
il nome il gatto tanto odiato da Katniss.
Salve a tutti!
Allora...questo capitolo come avrete notato è diverso dagli
altri, e forse sono andata anche un pò OOC
(ma come dirlo,
in realtà? La simpaticona della Collins non ci ha mai
fornito una versione "spensierata" dei personaggi,
e io ho cercato
di renderla al meglio restando il più possibile fedele ai
loro tratti basilari)
ma ci voleva
proprio un episodio più allegro e privo di quell'angoscia
che caratterizza la trilogia
( ma,
d'altronde, tratta di guerra e distruzione, come potrebbe essere
allegra e gioiosa?!).
I due
capoccioni sono sempre più vicini, stanno rimettendo insieme
i cocci del rapporto che Hunger Games e guerra hanno quasi distrutto.
In questo
capitolo è spuntato fuori anche il caro, vecchio Peeta, che
come avete letto nell'ultimo incontro con Katniss era nella sua
versione "folle".
Che altro dire,
spero vi piaccia!
Grazie
a tutti per le recensioni, in particolare FedeFranci96, Cry_Stal17,
ElyAlien14, foreverahero00, ViolaS098 e katniss_jackson,
che mi seguono e recensiscono
sempre <3
Catnip
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