"I’ll wait
So show me why
you’re strong
Ignore
everybody else
We’re
alone now
I’ll
wait [...]
We’re
alone now
Suddenly
I’m hit
Is this
darkness of the dawn?
When your
friends are gone
When your
friends won’t come
So show me
where you fit."
Retrograde-
James Blake
14.
Retrograde
“La felicità e la pace del cuore
nascono dalla coscienza di fare ciò che riteniamo giusto e
doveroso, non dal fare ciò che gli altri dicono e
fanno.”
Fissando la scultura accovacciata al centro di Tavistock Square, Jay
sentì ripetersi nella sua mente quella piccola manciata di
parole che, nella loro semplicità, esprimevano
ciò per cui pensava fosse sempre stato giusto lottare.
Quelle parole le aveva lette da qualche parte neanche troppo tempo fa
e vedere la statua di Mahatma Gandhi, con gli occhi chiusi e le gambe
incrociate, lo aveva indotto a pescare tra i suoi ricordi una frase
che, all’epoca, quando l’aveva scovata tra le
numerose pagine internet aperte a caso, non era riuscita a rivelarsi in
tutta la sua saggezza come avrebbe meritato.
La sua mente era cambiata e si sentiva estremamente più
vecchio, forse anche più saggio, tanto che quella frase
riuscì solo in quel momento ad esprimersi totalmente tra
le increspature del suo animo sgualcito che, ormai, erano diventate
più dure e forti, incredibilmente sue.
Sebbene sentisse di aver fatto di tutto per comportarsi secondo la
propria
coscienza, ancora non aveva beneficiato della promessa della
felicità.
La pace del cuore tardava ad arrivare nonostante avesse lottato per
imporsi per ciò che era; sentiva di non essersi tradito
né nei sentimenti né nella sua natura, eppure,
ancora, non si sentiva libero.
Gli occhi chiusi e il viso marchiato dalle rughe di Gandhi,
incredibilmente umani benché si trattasse di una
scultura, riuscivano a trasmettere una sensazione di pace e
rilassatezza, tuttavia non permisero al ragazzo di mutare
l’inquietudine in qualcosa di più incoraggiante.
Il freddo lo aveva intorpidito su quella panchina sotto gli arbusti
spogli piegati dal gelo dell’inverno, eppure non aveva alcuna
intenzione di abbandonare quella silenziosa piazza di Bloomsbury,
lontana pochi passi dalla facoltà che avrebbe dovuto
frequentare quell’anno stesso.
Un sogno lontano, quello.
Frequentare l’University College e diventare uno studente di
legge in una delle università più prestigiose di
Londra: un sogno realizzabile ma negato, una vita normale senza
esigenze
assurde, eppure così difficile da poter pretendere.
Sentiva come se ogni cosa gli fosse scivolata dalle mani senza
controllo; un attimo prima stringeva la sua vita – con tutti i suoi
progetti e speranze – e un attimo dopo: il
nulla. Non avrebbe mai creduto sarebbe bastata una frase per cancellare
ogni certezza. Pensò a ciò che era stato e
sorrise quando
immaginò – in un momento di
fervida fantasia – un se stesso
del futuro correre verso quel Jay del passato alle prese con
un'esistenza serena priva di dubbi sulla propria famiglia per
avvertirlo di quello che sarebbe accaduto; il Jay del
passato rideva incredulo, – lo immaginava
così – totalmente
certo del suo futuro, dei suoi genitori e della sua stessa vita,
invece, la
realtà era un’altra e in pochi giorni aveva dovuto
dire addio a quel ragazzo spensierato e pieno di sogni.
I suo occhi si posarono sull’albero di ciliegio grigio e
triste dall’altro lato del parco e poté
immedesimarsi in esso facilmente, perché si sentiva
esattamente così: povero, misero, privo di colori e di vita;
potenzialmente meraviglioso, ma del tutto brullo, nudo, svuotato.
Affondò il viso nella lunga sciarpa carta da zucchero che
gli fasciava morbidamente il collo e ritrovò un leggero
tepore attraverso il suo stesso fiato caldo e rassegnato. Rimase
immobile, con gli occhi chiusi, abbandonato sulla panchina,
immerso nel caldo abbraccio della sciarpa che per un attimo
riuscì a far cessare i pensieri.
Quella mattina aveva cercato Izaya dopo l’ennesima
ingiustizia spiattellata dritta in faccia.
Joseph avrebbe compiuto sedici anni e avrebbero organizzato una grande
festa, sarebbe stato felice per lui se la madre non gli avesse chiesto
di non tornare a casa per quella sera. «Non reciteremo la
parte della famiglia perfetta e non saprei
come giustificare un eventuale comportamento distaccato nei tuoi
confronti. Ti chiedo, quindi, di non presentarti alla festa, sapremo
come motivare la tua assenza più facilmente».
Aveva annuito con garbo e, come di consueto, era ritornato nella sua
stanza con la coda tra le gambe ed un immenso dolore nel petto. Il
vuoto, però, nonostante avesse cercato in ogni modo di
contrastarlo, riuscì ad inghiottirlo piano, piano e ad ogni
secondo si cibava di un pezzetto di lui senza alcuna pietà,
logorando il suo animo, cibandosi della sua amarezza, bevendo dalle sue
lacrime, rifocillandosi con la sua delusione.
Intorno aveva terra bruciata, ma una luce oltre quella terra riusciva a
raggiungerlo: Izaya e Lizzie.
Chaz l’aveva abbandonato e anche se ci fosse stato non
avrebbe potuto fare affidamento su di lui, qualcosa si era
irrimediabilmente rotto.
Aveva chiamato Lizzie senza alcuna risposta, aveva cercato Izaya che,
però, lo aveva liquidato velocemente. Capì che
avrebbe dovuto contare solo su se stesso e sulle
sue forze, così uscì di corsa, si sarebbe fatto
gli affari propri una volta per tutte senza fare affidamento su
nessuno, rendendosi irreperibile. In molti lo avevano chiamato egoista,
almeno, questa volta, si sarebbe
fatto giudicare malamente per santa ragione.
“Sii egoista!” gli aveva detto Izaya, e
la massima espressione del suo egoismo si palesò nella
volontà di sparire per qualche ora, senza essere disturbato.
La solitudine gli avrebbe dato modo di riflettere e di capire cosa, per
lui, fosse davvero importante, senza lasciarsi plagiare dalla presenza
delle persone che lo avevano aiutato ma che, senza rendersene conto,
gli avevano scombussolato la vita più di quanto credevano.
***
Endsleigh Street, nonostante la giornata di sole, riusciva ad essere
sempre un po’ troppo seriosa ed Izaya, percorrendo la lunga
strada verso la facoltà di legge, posò gli occhi
su ogni edificio cercando di scorgere, da qualche parte, la figura
assorta e gracile di Jay.
Aveva studiato in quella facoltà da ragazzo e conosceva
perfettamente ogni angolo di quel quartiere e sapeva che se Jay era
ancora lì, l’avrebbe certamente scovato.
«Ma chi te l’ha detto che è
qui?» chiese Chaz d’improvviso, rivolgendogli la
sua prima parola dopo incalcolabile tempo di mutismo.
«Il sito della facoltà di legge, Chaz,
è stato l’ultimo che ha visitato e se lo conosco
bene è venuto qui per prendere informazioni: Jay vuole
riavere una vita normale, vuole andare
all’università.»
«E come crede di fare?»
«Come fanno i tre quarti degli studenti non figli di
papà» rispose con un pizzico di ironia sveltendo
il passo mentre Chaz, sempre più stordito, faceva
l’opposto, accrescendo le distanze da lui che, come un
segugio, posava gli occhi su ogni muretto o scalinata. Uno strano
ottimismo lo rese fiducioso e non appena si
ritrovò davanti la facoltà la fissò
per qualche minuto. La squadrò dal basso verso
l’alto, come se potesse
riuscire a scorgere, sbirciando dalle finestre, la presenza di Jay. In
un certo senso fu così perché, senza un motivo
preciso, capì che quello non era il posto dove cercarlo.
Si mosse d’improvviso cogliendo di sorpresa Chaz che, ormai,
lo seguiva in silenzio senza chiedere spiegazioni, consapevole del
fatto che Izaya sarebbe stato l’unico in grado di trovarlo.
Percorse la lunga strada verso Tavistock Square stringendo sempre
più impetuosamente le fasce dello zaino aggrappate alla
spalla; aveva raccolto la roba di Jay senza alcuna cura, più
che altro, aveva cercato il più possibile di portare via
da quella casa le cose appartenute a lui, senza una reale logica, solo
assecondando l’istinto irrefrenabile di recidere ogni legame
con quella famiglia.
Sapeva bene cosa avrebbe dovuto fare e non appena vide una figura
avvicinarsi davanti a lui, avvolta da un montgomery grigio che sembrava
più uno scudo che un cappotto, affrettò il passo
alzando la mano per richiamare la sua attenzione.
«Jay!»
Il ragazzo si fermò – era troppo lontano per
riuscire a
cogliergli lo sguardo – e dopo pochi istanti si
voltò,
tornando indietro. Izaya alzò il sopracciglio chiedendosi il
perché
Jay avesse scelto di voltargli le spalle e guardando Chaz con fare
interrogativo cercò di capire con lui le ragioni che lo
spingevano ad allontanarsi. Chaz, perplesso, fece spallucce e puntando
nuovamente gli occhi sulla
figura silenziosa che, lentamente, si allontanava da loro, disse
incerto: «Dovremmo seguirlo, credo».
Izaya cominciò a camminare verso Jay che, sempre
più speditamente, si allontanava;
quell’inseguimento prese i connotati di qualcosa di
enormemente buffo e sorridendo cercò di richiamare la sua
attenzione: «Jay, fermati! È tutto il giorno che
ti cerchiamo.»
«Andatevene. Voglio stare per cavoli miei»
gridò, tagliando l’aria con il braccio, cercando
di intimidirli. Quel gesto infantile intenerì Izaya,
spingendolo ad
avvicinarsi con più convinzione. «Devo parlarti,
fermati.»
«Andatevene! Non mi rompete l’anima, per favore.
Sto bene!» rispose, strizzando gli occhi per darsi forza
mentre il gelo, che dava forma al suo respiro sempre più
agitato, colorava di rosso il viso pallido vivacizzato
dall’espressione seccata, come se quei due avessero invaso un
momento di solitudine troppo importante per essere interrotto
così violentemente.
Izaya non si lasciò intimidire dall’irruenza del
ragazzo che, anzi, appariva come un bambino capriccioso da dover
proteggere. Riuscì a raggiungerlo e non appena si
ritrovò
a fianco a lui, afferrandolo saldamente per la vita, lo
bloccò innescando una rabbia incontrollata e del tutto
inaspettata. «Ma mi hai preso per un cazzo di bambolotto? Ti
ho chiesto di
andartene.»
Gli occhi furiosi di Jay agganciarono quelli divertiti di Izaya che,
incrociando le braccia, si impose con finto rimprovero: «Ti
cerchiamo da ore e tu, come il peggiore degli stronzi, non ti sei
neanche degnato di portare con te il cellulare.»
«Non sono tenuto a farlo. Voglio stare da solo, mi sono
stufato di pensare a voi.»
«Io sono il tuo ragazzo…»
«Sì, sei il mio fottuto ragazzo e quando servi non
ci sei!» Jay ricominciò a camminare ed Izaya,
placato da quella
sfuriata istintiva che dimostrava quanto in Jay esistesse ancora quel
pizzico di immaturità tipica dei ragazzini, sorrise del
fatto che non solo sembrava non essersi accorto di Chaz, ma neanche
della loro stessa presenza a Bloomsbury; pareva non essersi chiesto il
come erano riusciti a trovarlo. Il più grande, con fare
altezzoso,
alzò la voce per farsi sentire: «Va bene, come
vuoi! Non ti dirò, quindi, il perché ho uno zaino
pieno delle tue cose sulla spalla». Un colpo al cuore
fermò Jay sulla strada verso il niente che
stava per raggiungere, si voltò lentamente e come se gli
occhi gli si fossero aperti in quell’istante, vide Chaz
accanto a Izaya che, con aria altezzosa, stringeva la fascia dello
zaino tentando di metterlo in bella mostra il più possibile.
Gli occhi del ragazzino imbronciato si spalancarono dallo stupore e
dopo essersi avvicinato al proprio ragazzo
afferrò la sacca, rovistando all’interno.
Si fermò d’improvviso, arrestando la ricerca,
lasciò cadere lo zaino a terra e nervosamente
portò indietro i capelli, cercando di pensare ad una
spiegazione plausibile che fosse il più lontana possibile
dalle sue
ipotesi, per non illudersi. Prima che potesse lasciar soccombere la
speranza sotto cumuli di
spiegazioni vaghe, Izaya gli afferrò le mano e
chinandosi leggermente verso di lui lo fissò attentamente
negli occhi. Il sussurro che investì Jay fu più
impetuoso di
un urlo: «Sei libero».
Stordito e con gli occhi spauriti fissò Chaz che,
leggermente scostato dalla scena, assisteva col broncio.
Spostò lo sguardo da lui capendo che non avrebbe mai potuto
trovare appoggio, conforto o spiegazioni nei suoi occhi e ristabilendo
il contatto visivo con Izaya chiese sottovoce, con le labbra tremanti:
«Cosa significa?»
Il più grande, avvertendo l’agitazione dell'altro,
tentò di infondergli, con la sua stessa voce, pacatezza e
sicurezza. «Significa che tu verrai a stare da me. Non dovrai
tornare a casa tua. Mai più.»
«Ma come…» fermò il fluire
delle sue parole così come le lacrime che si incastrarono
tra le folte ciglia nere che contornavano due occhi così
trasparenti da sembrare due piccoli vetri attraverso i quali, con
facilità, si sarebbe potuto guardare all’interno.
In quel momento, Jay sembrava proprio l’espressione corporea
di un’anima sola e fragile che, finalmente, stava per
ritrovare una casa al quale fare ritorno liberamente e con
serenità.
«Mi prenderò cura di te, te lo giuro.»
Le braccia di Izaya lo cinsero così forte da non
permettergli di dubitare. Era tutto vero e non solo le parole gliene
davano conferma, anche il
viso intristito e malinconico di Chaz che, disarmato, assisteva al
“salvataggio”. Certamente era felice che qualcuno
potesse essere in grado di
proteggerlo ma, nello stesso tempo, provava rabbia per quella
situazione. Era ritornato indietro per riprenderselo, tuttavia quello
stato di cose
così intricato e così grande rispetto le proprie
capacità, lo costrinsero a prendere atto del fatto che mai,
in nessun contesto e in nessun caso, sarebbe stato in grado di
sostituire Izaya.
Si allontanò silenziosamente dai due, e prima che potesse
andare via la mano di Jay lo fermò serrandogli il braccio.
«Sei ritornato?»
«No! Sto andando via…»
«Chaz…» supplicò.
Il vento gelido si fece sentire più pesantemente sulla pelle
ed un brivido percorse la schiena di Chaz che, senza voltarsi,
salutò tacitamente Jay, divincolandosi dalla presa.
Continuò ad allontanarsi seguito dallo sguardo impotente
dell’amico che avrebbe voluto fermarlo, ma sapeva che sarebbe
stato tutto inutile
perché Chaz, definitivamente, aveva bruciato ogni
possibilità di ricostruire il loro rapporto.
«Se te ne vai adesso, se davvero hai intenzione di sparire
così… non tornare mai più».
Avrebbe sentito la sua mancanza, ma intuì che non sarebbe
mai
più stato in grado di riallacciare i rapporti se fosse
ritornato nuovamente sui suoi passi. La delusione lo aveva totalmente
disincantato e il dolore di averlo
perso lo aveva reso più fragile, se fosse ritornato per
andarsene un’altra volta non avrebbe più retto.
«Non ti preoccupare, Jay. Ti dico addio. Sparisco dalla tua
vita e tu, per favore, sparisci dalla mia».
Come portato via dal vento, Chaz percorse la strada da dove era venuto
e, ancora una volta, una nuova possibilità di ritornare sui
suoi passi si ripresentò trovando come messaggero
l’uomo che aveva portato via l’unico amore della
sua vita. «Eri ritornato. Perché te ne stai
andando ancora?» Izaya l’aveva raggiunto e
consapevole del fatto che le parole
di Jay sarebbero state le sue ultime, scelse di fare un altro
tentativo prima che il distacco potesse diventare davvero incolmabile.
«È finito da un pezzo il tempo della nostra
amicizia. Adesso è giusto che ognuno si faccia una propria
vita. Io non sopporto più questa situazione e prima di
arrivare ad odiarlo, preferisco sparire. Voglio avere un buon ricordo
di lui».
Continuò a camminare e nient’altro, a parte la sua
coscienza, avrebbe potuto fermarlo e ciò si fece ancora
più concreto con il suo definitivo dileguamento.
Svoltò versò la metropolitana rendendosi
invisibile agli occhi dei due ragazzi che, in bilico tra la
felicità di aver sistemato le cose e il dispiacere di non
poterlo fermare, fissavano l’angolo dietro il quale era
sparito per sempre l’unico vero amico di Jay.
Angolo autrice.
Ciao Bimbi belliiii!!!
Eccolo il nuovo capitolo. Dite addio a Chaz, perché non
ritornerà per la gioia di Ladywolf XD
Ringrazio Bijouttina, Babbo Aven e Fly with me. Poi Nahash e SNappy.
Spero che la storia vi stia piacendo anche perché stiamo
entrando nel vivo.
Fatemi sapere che ne pensate.
Mi odiate?
Chaz se n'è andato e non ritorna più.
Mi odiate? Fatemi sapere.
Bacini a tutti e scusate se vaneggio ma, come al solito, aggiorno
sempre tardissimo ed il mio cervello, al momento, sta dormendo.
Al prossimo capitolo.
Bloomsbury
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