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Autore: Bloomsbury    14/04/2014    11 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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"I’ll wait
So show me why you’re strong
Ignore everybody else
We’re alone now
I’ll wait [...]
We’re alone now
Suddenly I’m hit
Is this darkness of the dawn?
When your friends are gone
When your friends won’t come
So show me where you fit."

Retrograde- James Blake




14. Retrograde


“La felicità e la pace del cuore nascono dalla coscienza di fare ciò che riteniamo giusto e doveroso, non dal fare ciò che gli altri dicono e fanno.”

Fissando la scultura accovacciata al centro di Tavistock Square, Jay sentì ripetersi nella sua mente quella piccola manciata di parole che, nella loro semplicità, esprimevano ciò per cui pensava fosse sempre stato giusto lottare.
Quelle parole le aveva lette da qualche parte neanche troppo tempo fa e vedere la statua di Mahatma Gandhi, con gli occhi chiusi e le gambe incrociate, lo aveva indotto a pescare tra i suoi ricordi una frase che, all’epoca, quando l’aveva scovata tra le numerose pagine internet aperte a caso, non era riuscita a rivelarsi in tutta la sua saggezza come avrebbe meritato.
La sua mente era cambiata e si sentiva estremamente più vecchio, forse anche più saggio, tanto che quella frase riuscì solo in quel momento ad esprimersi totalmente tra le increspature del suo animo sgualcito che, ormai, erano diventate più dure e forti, incredibilmente sue.
Sebbene sentisse di aver fatto di tutto per comportarsi secondo la propria coscienza, ancora non aveva beneficiato della promessa della felicità.
La pace del cuore tardava ad arrivare nonostante avesse lottato per imporsi per ciò che era; sentiva di non essersi tradito né nei sentimenti né nella sua natura, eppure, ancora, non si sentiva libero.
Gli occhi chiusi e il viso marchiato dalle rughe di Gandhi,
incredibilmente umani benché si trattasse di una scultura, riuscivano a trasmettere una sensazione di pace e rilassatezza, tuttavia non permisero al ragazzo di mutare l’inquietudine in qualcosa di più incoraggiante.
Il freddo lo aveva intorpidito su quella panchina sotto gli arbusti spogli piegati dal gelo dell’inverno, eppure non aveva alcuna intenzione di abbandonare quella silenziosa piazza di Bloomsbury, lontana pochi passi dalla facoltà che avrebbe dovuto frequentare quell’anno stesso.
Un sogno lontano, quello.
Frequentare l’University College e diventare uno studente di legge in una delle università più prestigiose di Londra: un sogno realizzabile ma negato, una vita normale senza esigenze assurde, eppure così difficile da poter pretendere.
Sentiva come se ogni cosa gli fosse scivolata dalle mani senza controllo; un attimo prima stringeva la sua vita 
con tutti i suoi progetti e speranze  e un attimo dopo: il nulla. Non avrebbe mai creduto sarebbe bastata una frase per cancellare ogni certezza. Pensò a ciò che era stato e sorrise quando immaginò  in un momento di fervida fantasia  un se stesso del futuro correre verso quel Jay del passato alle prese con un'esistenza serena priva di dubbi sulla propria famiglia per avvertirlo di quello che sarebbe accaduto; il Jay del passato rideva incredulo, lo immaginava così  totalmente certo del suo futuro, dei suoi genitori e della sua stessa vita, invece, la realtà era un’altra e in pochi giorni aveva dovuto dire addio a quel ragazzo spensierato e pieno di sogni.
I suo occhi si posarono sull’albero di ciliegio grigio e triste dall’altro lato del parco e poté immedesimarsi in esso facilmente, perché si sentiva esattamente così: povero, misero, privo di colori e di vita; potenzialmente meraviglioso, ma del tutto brullo, nudo, svuotato.
Affondò il viso nella lunga sciarpa carta da zucchero che gli fasciava morbidamente il collo e ritrovò un leggero tepore attraverso il suo stesso fiato caldo e rassegnato. Rimase immobile, con gli occhi chiusi, abbandonato sulla panchina, immerso nel caldo abbraccio della sciarpa che per un attimo riuscì a far cessare i pensieri.
Quella mattina aveva cercato Izaya dopo l’ennesima ingiustizia spiattellata dritta in faccia.
Joseph avrebbe compiuto sedici anni e avrebbero organizzato una grande festa, sarebbe stato felice per lui se la madre non gli avesse chiesto di non tornare a casa per quella sera. «Non reciteremo la parte della famiglia perfetta e non saprei come giustificare un eventuale comportamento distaccato nei tuoi confronti. Ti chiedo, quindi, di non presentarti alla festa, sapremo come motivare la tua assenza più facilmente».
Aveva annuito con garbo e, come di consueto, era ritornato nella sua stanza con la coda tra le gambe ed un immenso dolore nel petto. Il vuoto, però, nonostante avesse cercato in ogni modo di contrastarlo, riuscì ad inghiottirlo piano, piano e ad ogni secondo si cibava di un pezzetto di lui senza alcuna pietà, logorando il suo animo, cibandosi della sua amarezza, bevendo dalle sue lacrime, rifocillandosi con la sua delusione.
Intorno aveva terra bruciata, ma una luce oltre quella terra riusciva a raggiungerlo: Izaya e Lizzie.
Chaz l’aveva abbandonato e anche se ci fosse stato non avrebbe potuto fare affidamento su di lui, qualcosa si era irrimediabilmente rotto.
Aveva chiamato Lizzie senza alcuna risposta, aveva cercato Izaya che, però, lo aveva liquidato velocemente. Capì che avrebbe dovuto contare solo su se stesso e sulle sue forze, così uscì di corsa, si sarebbe fatto gli affari propri una volta per tutte senza fare affidamento su nessuno, rendendosi irreperibile. In molti lo avevano chiamato egoista, almeno, questa volta, si sarebbe fatto giudicare malamente per santa ragione.
“Sii egoista!” gli aveva detto Izaya, e la massima espressione del suo egoismo si palesò nella volontà di sparire per qualche ora, senza essere disturbato.
La solitudine gli avrebbe dato modo di riflettere e di capire cosa, per lui, fosse davvero importante, senza lasciarsi plagiare dalla presenza delle persone che lo avevano aiutato ma che, senza rendersene conto, gli avevano scombussolato la vita più di quanto credevano.

***

Endsleigh Street, nonostante la giornata di sole, riusciva ad essere sempre un po’ troppo seriosa ed Izaya, percorrendo la lunga strada verso la facoltà di legge, posò gli occhi su ogni edificio cercando di scorgere, da qualche parte, la figura assorta e gracile di Jay.
Aveva studiato in quella facoltà da ragazzo e conosceva perfettamente ogni angolo di quel quartiere e sapeva che se Jay era ancora lì, l’avrebbe certamente scovato.
«Ma chi te l’ha detto che è qui?» chiese Chaz d’improvviso, rivolgendogli la sua prima parola dopo incalcolabile tempo di mutismo.
«Il sito della facoltà di legge, Chaz, è stato l’ultimo che ha visitato e se lo conosco bene è venuto qui per prendere informazioni: Jay vuole riavere una vita normale, vuole andare all’università.»
«E come crede di fare?»
«Come fanno i tre quarti degli studenti non figli di papà» rispose con un pizzico di ironia sveltendo il passo mentre Chaz, sempre più stordito, faceva l’opposto, accrescendo le distanze da lui che, come un segugio, posava gli occhi su ogni muretto o scalinata. Uno strano ottimismo lo rese fiducioso e non appena si ritrovò davanti la facoltà la fissò per qualche minuto. La squadrò dal basso verso l’alto, come se potesse riuscire a scorgere, sbirciando dalle finestre, la presenza di Jay. In un certo senso fu così perché, senza un motivo preciso, capì che quello non era il posto dove cercarlo.
Si mosse d’improvviso cogliendo di sorpresa Chaz che, ormai, lo seguiva in silenzio senza chiedere spiegazioni, consapevole del fatto che Izaya sarebbe stato l’unico in grado di trovarlo. Percorse la lunga strada verso Tavistock Square stringendo sempre più impetuosamente le fasce dello zaino aggrappate alla spalla; aveva raccolto la roba di Jay senza alcuna cura, più che altro, aveva cercato il più possibile di portare via da quella casa le cose appartenute a lui, senza una reale logica, solo assecondando l’istinto irrefrenabile di recidere ogni legame con quella famiglia.
Sapeva bene cosa avrebbe dovuto fare e non appena vide una figura avvicinarsi davanti a lui, avvolta da un montgomery grigio che sembrava più uno scudo che un cappotto, affrettò il passo alzando la mano per richiamare la sua attenzione. «Jay!»
Il ragazzo si fermò 
era troppo lontano per riuscire a cogliergli lo sguardo  e dopo pochi istanti si voltò, tornando indietro. Izaya alzò il sopracciglio chiedendosi il perché Jay avesse scelto di voltargli le spalle e guardando Chaz con fare interrogativo cercò di capire con lui le ragioni che lo spingevano ad allontanarsi. Chaz, perplesso, fece spallucce e puntando nuovamente gli occhi sulla figura silenziosa che, lentamente, si allontanava da loro, disse incerto: «Dovremmo seguirlo, credo».
Izaya cominciò a camminare verso Jay che, sempre più speditamente, si allontanava; quell’inseguimento prese i connotati di qualcosa di enormemente buffo e sorridendo cercò di richiamare la sua attenzione: «Jay, fermati! È tutto il giorno che ti cerchiamo.»
«Andatevene. Voglio stare per cavoli miei» gridò, tagliando l’aria con il braccio, cercando di intimidirli. Quel gesto infantile intenerì Izaya, spingendolo ad avvicinarsi con più convinzione. «Devo parlarti, fermati.»
«Andatevene! Non mi rompete l’anima, per favore. Sto bene!» rispose, strizzando gli occhi per darsi forza mentre il gelo, che dava forma al suo respiro sempre più agitato, colorava di rosso il viso pallido vivacizzato dall’espressione seccata, come se quei due avessero invaso un momento di solitudine troppo importante per essere interrotto così violentemente.
Izaya non si lasciò intimidire dall’irruenza del ragazzo che, anzi, appariva come un bambino capriccioso da dover proteggere. Riuscì a raggiungerlo e non appena si ritrovò a fianco a lui, afferrandolo saldamente per la vita, lo bloccò innescando una rabbia incontrollata e del tutto inaspettata. «Ma mi hai preso per un cazzo di bambolotto? Ti ho chiesto di andartene.»
Gli occhi furiosi di Jay agganciarono quelli divertiti di Izaya che, incrociando le braccia, si impose con finto rimprovero: «Ti cerchiamo da ore e tu, come il peggiore degli stronzi, non ti sei neanche degnato di portare con te il cellulare.»
«Non sono tenuto a farlo. Voglio stare da solo, mi sono stufato di pensare a voi.»
«Io sono il tuo ragazzo…»
«Sì, sei il mio fottuto ragazzo e quando servi non ci sei!» Jay ricominciò a camminare ed Izaya, placato da quella sfuriata istintiva che dimostrava quanto in Jay esistesse ancora quel pizzico di immaturità tipica dei ragazzini, sorrise del fatto che non solo sembrava non essersi accorto di Chaz, ma neanche della loro stessa presenza a Bloomsbury; pareva non essersi chiesto il come erano riusciti a trovarlo. Il più grande, con fare altezzoso, alzò la voce per farsi sentire: «Va bene, come vuoi! Non ti dirò, quindi, il perché ho uno zaino pieno delle tue cose sulla spalla». Un colpo al cuore fermò Jay sulla strada verso il niente che stava per raggiungere, si voltò lentamente e come se gli occhi gli si fossero aperti in quell’istante, vide Chaz accanto a Izaya che, con aria altezzosa, stringeva la fascia dello zaino tentando di metterlo in bella mostra il più possibile. Gli occhi del ragazzino imbronciato si spalancarono dallo stupore e dopo essersi avvicinato al proprio ragazzo afferrò la sacca, rovistando all’interno.
Si fermò d’improvviso, arrestando la ricerca, lasciò cadere lo zaino a terra e nervosamente portò indietro i capelli, cercando di pensare ad una spiegazione plausibile che fosse il più lontana possibile dalle sue ipotesi, per non illudersi. Prima che potesse lasciar soccombere la speranza sotto cumuli di spiegazioni vaghe, Izaya gli afferrò le mano e chinandosi leggermente verso di lui lo fissò attentamente negli occhi. Il sussurro che investì Jay fu più impetuoso di un urlo: «Sei libero».
Stordito e con gli occhi spauriti fissò Chaz che, leggermente scostato dalla scena, assisteva col broncio. Spostò lo sguardo da lui capendo che non avrebbe mai potuto trovare appoggio, conforto o spiegazioni nei suoi occhi e ristabilendo il contatto visivo con Izaya chiese sottovoce, con le labbra tremanti: «Cosa significa?»
Il più grande, avvertendo l’agitazione dell'altro, tentò di infondergli, con la sua stessa voce, pacatezza e sicurezza. «Significa che tu verrai a stare da me. Non dovrai tornare a casa tua. Mai più.»
«Ma come…» fermò il fluire delle sue parole così come le lacrime che si incastrarono tra le folte ciglia nere che contornavano due occhi così trasparenti da sembrare due piccoli vetri attraverso i quali, con facilità, si sarebbe potuto guardare all’interno.
In quel momento, Jay sembrava proprio l’espressione corporea di un’anima sola e fragile che, finalmente, stava per ritrovare una casa al quale fare ritorno liberamente e con serenità.
«Mi prenderò cura di te, te lo giuro.»
Le braccia di Izaya lo cinsero così forte da non permettergli di dubitare. Era tutto vero e non solo le parole gliene davano conferma, anche il viso intristito e malinconico di Chaz che, disarmato, assisteva al “salvataggio”. Certamente era felice che qualcuno potesse essere in grado di proteggerlo ma, nello stesso tempo, provava rabbia per quella situazione. Era ritornato indietro per riprenderselo, tuttavia quello stato di cose così intricato e così grande rispetto le proprie capacità, lo costrinsero a prendere atto del fatto che mai, in nessun contesto e in nessun caso, sarebbe stato in grado di sostituire Izaya.
Si allontanò silenziosamente dai due, e prima che potesse andare via la mano di Jay lo fermò serrandogli il braccio. «Sei ritornato?»
«No! Sto andando via…»
«Chaz…» supplicò.
Il vento gelido si fece sentire più pesantemente sulla pelle ed un brivido percorse la schiena di Chaz che, senza voltarsi, salutò tacitamente Jay, divincolandosi dalla presa. Continuò ad allontanarsi seguito dallo sguardo impotente dell’amico che avrebbe voluto fermarlo, ma sapeva che sarebbe stato tutto inutile perché Chaz, definitivamente, aveva bruciato ogni possibilità di ricostruire il loro rapporto.
«Se te ne vai adesso, se davvero hai intenzione di sparire così… non tornare mai più». Avrebbe sentito la sua mancanza, ma intuì che non sarebbe mai più stato in grado di riallacciare i rapporti se fosse ritornato nuovamente sui suoi passi. La delusione lo aveva totalmente disincantato e il dolore di averlo perso lo aveva reso più fragile, se fosse ritornato per andarsene un’altra volta non avrebbe più retto.
«Non ti preoccupare, Jay. Ti dico addio. Sparisco dalla tua vita e tu, per favore, sparisci dalla mia».
Come portato via dal vento, Chaz percorse la strada da dove era venuto e, ancora una volta, una nuova possibilità di ritornare sui suoi passi si ripresentò trovando come messaggero l’uomo che aveva portato via l’unico amore della sua vita. «Eri ritornato. Perché te ne stai andando ancora?» Izaya l’aveva raggiunto e consapevole del fatto che le parole di Jay sarebbero state le sue ultime, scelse di fare un altro tentativo prima che il distacco potesse diventare davvero incolmabile.
«È finito da un pezzo il tempo della nostra amicizia. Adesso è giusto che ognuno si faccia una propria vita. Io non sopporto più questa situazione e prima di arrivare ad odiarlo, preferisco sparire. Voglio avere un buon ricordo di lui».
Continuò a camminare e nient’altro, a parte la sua coscienza, avrebbe potuto fermarlo e ciò si fece ancora più concreto con il suo definitivo dileguamento.
Svoltò versò la metropolitana rendendosi invisibile agli occhi dei due ragazzi che, in bilico tra la felicità di aver sistemato le cose e il dispiacere di non poterlo fermare, fissavano l’angolo dietro il quale era sparito per sempre l’unico vero amico di Jay.





Angolo autrice.
Ciao Bimbi belliiii!!!
Eccolo il nuovo capitolo. Dite addio a Chaz, perché non ritornerà per la gioia di Ladywolf XD
Ringrazio Bijouttina, Babbo Aven e Fly with me. Poi Nahash e SNappy.
Spero che la storia vi stia piacendo anche perché stiamo entrando nel vivo.
Fatemi sapere che ne pensate.
Mi odiate?
Chaz se n'è andato e non ritorna più.
Mi odiate? Fatemi sapere.
Bacini a tutti e scusate se vaneggio ma, come al solito, aggiorno sempre tardissimo ed il mio cervello, al momento, sta dormendo.
Al prossimo capitolo.
Bloomsbury

   
 
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