Un'ultima speranza
Alle mie ragazzuole,
Deb, Gabry, Eco e Vì,
per tutti i mesi in
cui vi ho abbandonato.
È
da questa mattina che mi sembra di vedere qualcosa di strano in Peeta.
È
rimasto a letto più del solito, e quando mi sono svegliata
l'ho trovato sdraiato di fianco a me, rigidamente a pancia in su, con
gli occhi aperti fissi sul soffitto.
Ho mormorato
con voce bassa il suo nome, sfiorandogli appena il gomito da sotto le
coperte, ma l'ho visto sobbalzare al mio tocco. Non è mai un
buon segno, quindi mi sono ritratta subito e sono scivolata fuori dal
letto senza far rumore, per non scatenare in lui reazioni improvvise.
Qualche volta
è capitato, magari in seguito a qualche incubo
particolarmente vivido. Dopo un po' ho imparato a cogliere i segnali e
a capire quand'è il momento di lasciarlo solo ad elaborare
le immagini nella sua mente.
Vorrei poterlo
aiutare, ma di solito riesco solo a peggiorare le cose. Farlo scivolare
in un attacco è una cosa che decisamente vogliamo entrambi
evitare.
Da questa
mattina presto, quando mi sono alzata, non l'ho più visto.
Ho sentito il rumore della porta dello studio che si chiudeva, e da
lì non è più uscito. A volte, quando
è particolarmente nervoso, dipinge quello che lo turba, ed
è capace di restare chiuso dentro ore intere senza dare
segni di vita. Quando esce non è come nuovo, ma di solito
è certamente più tranquillo, e i suoi occhi sono
limpidi.
Oggi,
però, non si fa vedere da almeno sei ore. Credo che non
abbia mangiato nulla, e sinceramente il suo comportamento inizia a
preoccuparmi.
Mi chiedo se
non sarebbe stato meglio rimanere al suo fianco, stamattina, e aiutarlo
a districare qualsiasi visione lo stesse assillando. Lui non resta
forse ogni volta che ho un crollo nervoso, un attacco di panico, o
anche un semplice incubo? Perché io continuo ad essere
quella che scappa?
Ranuncolo,
dalla cesta che gli appartiene per gentile concessione di Peeta, mi
squadra con gli occhi socchiusi. Sembra che anche questo stupido gatto
mi stia giudicando per la mia codardia.
Alla fine mi
decido di andarlo a cercare nel suo studio, con tutta la delicatezza di
cui sono capace.
Passo di
fianco a Ranuncolo e quello continua a fissarmi con aria truce con
quegli odiosi occhietti annacquati.
«E
falla finita», borbotto, valutando se infilarlo nello stufato
una volta per tutte.
Quando arrivo
di fronte alla porta in legno scuro, all'inizio del corridoio, ci
rimango un attimo ferma davanti. Non riesco a spingermi ad alzare il
pugno e a bussare. Ho lo stomaco stritolato in una morsa, e
c'è una parte di me che non è più
tanto sicura di voler affrontare i fantasmi di Peeta o lui stesso.
Ma mi
costringo a ripetermi che lì dentro c'è Peeta,
e che mi piaccia o no lui ha bisogno di me.
Prendo un
respiro profondo e busso con la massima delicatezza sulla porta.
Nessuna
risposta.
Riprovo,
stavolta un po' più forte.
«Uhm...
Peeta?».
Tutto tace.
«Peeta,
sono io... Posso entrare?».
Il silenzio si
protrae finchè non mi convinco che non mi
risponderà, il che può voler dire che non
è ancora dell'umore adatto per parlare con me, o che
è talmente assorbito dai propri incubi da non riuscire
nemmeno a sentirmi.
Più
di una volta, però, in caso non si fosse sentito ancora
pronto ad affrontarmi, mi aveva risposto chiedendomi di aspettare. Oggi
invece non mi offre neanche un sussurro, e l'ansia inizia a montarmi
dentro.
Vaglio rapida
tutte le possibilità. Ci sono degli oggetti taglienti con
cui può ferirsi, lì dentro? Penso ai ferri del
cavalletto e ai chiodi nel cassetto della scrivania, quelli per fissare
i nuovi quadri. Chissà a quante mille altre cose nascoste
può attingere. Tagliacarte, lame per dividere il tessuto
delle tele, uno specchio rotto.
Uno spasmo di
terrore mi stritola dall'interno, e sto per entrare anche senza il suo
permesso quando sento un rumore provenire da dentro.
È
un lungo lamento, che raschia con rabbia contro le pareti della gola e
muore in poco più che un rantolo. Ne ho sentiti troppi per
non riconoscerne il proprietario, e con la realizzazione in me si fa
largo il panico.
Peeta. Peeta ha
bisogno d'aiuto.
Se prima ero
pronta ad entrare senza averne ricevuto il permesso, adesso devo
avvalermi del mio buonsenso per non fare irruzione con violenza.
Qualsiasi cosa stia succedendo in questo studio, è
fondamentale che io mantenga la calma.
Apro la porta
senza più bussare, e un leggero chiarore mattutino entra con
me dal corridoio alle mie spalle, illuminando uno spicchio della stanza
buia. Faccio un paio di passi avanti, mentre i miei occhi iniziano ad
abituarsi all'oscurità, e cerco Peeta. Il mio sguardo vaga
negli angoli scuri, ma non riesco a riconoscere la sua sagoma. Dove si
è cacciato? Cosa sta succedendo?
Avanzo ancora
un po', sussurrando con voce morbida: «Peeta?».
Quando
realizzo quello che sta accadendo, è troppo tardi per agire.
Peeta sbuca
dall'oscurità come un'ombra e un attimo dopo mi è
addosso, la presa ferrea delle sue mani sulle mie spalle. Mi fa andare
a sbattere contro il muro con forza e i miei polmoni si svuotano della
poca aria che contenevano.
«Stavi
cercando di uccidermi, eh?», ringhia a un paio di centimetri
dal mio viso.
Stupida,
stupida! Avrei dovuto aspettarmelo. Ma Peeta è sempre
talmente forte nella lotta contro i suoi demoni, talmente disciplinato,
che ho perso di vista questa possibilità. E adesso sono qui,
imprigionata contro un muro da un ragazzo che crede di dovermi uccidere.
Mi costringo a
stare immobile, il più ferma possibile. Se provassi a
combattere a mani nude non lo contrasterei neppure per un attimo. Anzi,
non farei altro che alimentare la sua furia e aggiungere benzina sul
fuoco, convincendolo che sono pericolosa.
«Peeta,
sono io». La mia voce è spezzata, non gentile e
decisa come vorrei. «Non voglio farti del male».
Peeta stringe
la presa sulle mie spalle, affondando le dita nelle giunture. Sento le
lacrime offuscarmi la vista e il suo respiro affannoso sul mio viso.
Ride
sprezzante, glaciale. «Questo giochetti non funzionano con
me, Katniss».
Lascia la
presa sulla mia spalla destra e passa la punta delle dita sulla mia
guancia. In un altro momento forse sarebbe stata una cosa dolce, ma
adesso è solo terrificante. Il sorriso di Peeta è
orribilmente simile a quello che aveva Clove mentre pensava a come
squartarmi. Nei suoi occhi brilla una scintilla di macabra
soddisfazione, e per la prima volta ho davvero paura di Peeta.
Non mi sono
mai trovata in una situazione simile: i suoi episodi non hanno mai
raggiunto un picco così. Mi ritrovo a pregare che entri
Haymitch e mi dia una mano, ma ovviamente è inutile. Sono in
questa battaglia da sola.
Lo sguardo di
Peeta si sposta sul mio collo e so cosa vuole fare. L'ha già
fatto una volta nel 13, e stavolta non c'è nessuno nei
paraggi che possa fermarlo.
Mi sorprendo
ad ansimare, terrorizzata. Non voglio morire, non adesso. Se fosse
successo nel periodo dopo la morte di mia sorella probabilmente non
avrei opposto resistenza. Vivere era troppo difficile, troppo doloroso,
e l'avrei lasciato fare.
Ma non adesso.
Adesso che ho trovato un motivo per andare avanti, non voglio morire.
Le mani di
Peeta iniziano a risalire lungo il mio collo. Non voglio morire per
mano dell'unico che mi ha dato la spinta necessaria per continuare a
vivere.
È
questione di attimi, una volta che avrà iniziato a
strangolarmi non potrò più fermarlo. Poi, quando
l'attacco sarà scemato, si risveglierà dal suo
raptus e mi troverà morta davanti a sé.
Capirà di essere stato lui ad uccidermi, e temo di sapere
come potrebbe reagire. Se non mi faccio venire in mente qualcosa in
fretta, siamo morti entrambi.
Ingoio il
terrore e faccio l'unica cosa che riesco a farmi venire in mente.
Inizio a cantare.
Là
in fondo al prato, all'ombra del pino
c'è un letto d'erba,
un soffice cuscino
Quasi
mi fermo, perché i ricordi sono troppi e la voce mi sta
morendo in gola, ma poi vedo Peeta.
Lentamente,
come in trance, sta spostando il suo sguardo incredulo dal mio collo ai
miei occhi. Riesco solo a registrare che lo distraendo dal suo
flashback, e questo mi dà la forza di continuare a cantare.
Il
capo tuo posa e chiudi gli occhi stanchi
quando
li riaprirai, il sole avrai davanti.
Qui
sei al sicuro, qui sei al calduccio,
qui le margherite ti proteggono
da ogni cruccio
Gli
occhi di Peeta sono fissi nei miei con un'incredibile
intensità, e per un attimo ho paura che sia la forza del
dolore che sta provando. Le lacrime mi pungono ai lati degli occhi, ma
mi costringo a continuare con voce soffocata dal pianto.
Qui
sogna dolci sogni che il domani farà avverare
qui è il luogo in cui
ti voglio amare.
Lentamente
le sue mani scivolano lungo le mie spalle fino ai miei avambracci, dove
stringono piano. Sembra incredibilmente confuso, stordito, e
molto dolorante. Cerco di approfittare della sua confusione meglio che
posso.
Là
in fondo al prato, nel folto celato
c'è
un manto di foglie di luna illuminato.
Scorda
le angustie, le pene abbandona.
Quando
verrà mattina, spariranno a una a una.
Qui
sei al sicuro, qui sei al calduccio,
qui le margherite ti proteggono
da ogni cruccio.
Deglutisco,
tentando di trovare la voce, e sussurro gli ultimi versi.
Qui
sogna dolci sogni che il domani farà avverare
qui è il luogo in cui
ti voglio amare.
Nella
casa cala il silenzio.
Non so cosa
fare, se approfittare del suo momento di confusione e provare a
scappare o se sperare che sia scivolato fuori dal suo flashback e non
abbia più intenzione di aggredirmi. Nel dubbio, non mi
arrischio a compiere movimenti bruschi e attendo, immobile. Il mio
respiro tremulo tradisce la facciata della mia calma.
Peeta sembra
spaesato, perso addirittura, mentre osserva me e le sue mani che
stringono le mie braccia. Lo vedo soffermarsi sull'area delle mie
spalle, e adesso che non sono più vittima di una feroce
scarica di adrenalina comincio a sentire il dolore che ha accompagnato
il passaggio delle sue mani. Abbasso lo sguardo, seguendo il suo.
Non riesco a vedere le clavicole, ma sento bruciare piano i graffi sopra l'osso. La pelle lì è sottile, ma il dolore si
nasconde da un'altra parte, nella zona sotto alla mia maglia, e Peeta
se ne rende conto.
Con le mani
che tremano, sposta lentamente l'orlo del mio colletto, seguendo il
rossore della mia pelle.
Sulla mia
spalla sono evidenti i segni delle dita di Peeta, i punti in cui sono
affondate nella mia pelle, le mezzelune sanguinanti che testimoniano la
pressione delle sue unghie.
Le dita gelide
di Peeta si posano lentamente sopra i segni, combaciando perfettamente.
Qualcosa deve
scattare nella sua mente, perché si allontana di scatto,
instabile sulle proprie gambe. Allungo una mano come per sostenerlo, ma
l'orrore sul suo volto si condensa in una maschera che gli trasfigura
il viso, mentre indietreggia agitando le braccia.
«Stammi
lontana», geme, e la sua voce trema e si contorce come lui.
Mi costringo a
staccarmi dal muro contro il quale sono premuta. Faccio un piccolo
passo verso di lui, mettendo a tacere la voce egoista dentro di me che
mi urla a pieni polmoni di scappare senza voltarmi indietro.
Non
è stato Peeta ad aggredirmi, è stata Capitol City.
«Peeta»,
sussurro, preoccupata e nel profondo ancora terrorizzata.
«Ti
ho detto di starmi lontana!».
Nella foga del
suo urlo indietreggia ancor più furiosamente, inciampando in
chissà cosa. Tenta di restare in equilibrio, ma va finire
lungo disteso per terra con un tonfo. Quando mi inginocchio di fianco a lui,
si solleva sui gomiti e inizia a indietreggiare strisciando.
È
febbrile, sconvolto. Non c'è nulla che possa fare per
calmarlo, in questo momento. Non se gli sto così vicino.
Con movimenti
lenti e misurati, mi alzo dal pavimento. Peeta mi guarda e rallenta la
sua fuga disperata.
Alzo le mani
con i palmi rivolti verso di lui.
«Ti
sto lontana. Vedi? Sono lontana».
Lentamente,
smette di indietreggiare.
«Non
mi avvicinerò. Resterò qui, stai
tranquillo». I suoi occhi chiari sono spalancati e pieni di
lacrime. «Tranquillo».
Lo guardo
mentre la distanza da me lo calma. Sente di potersi controllare meglio
se non sono alla sua immediata portata. Mi ha detto che pensa di essere
in grado di ritrovare una lucidità maggiore sapendo che per
me sarebbe più facile scappare.
Attendo in
silenzio, a lungo. Poi arriva il momento di parlare, e lo faccio in un
sussurro.
«Posso
avvicinarmi?».
Peeta non
risponde, come se anche solo un cenno potesse infrangere il delicato
equilibrio che ha costruito.
«Non
mi farai del male, lo so». Sorrido rassicurante e mi impongo
di restare calma. Ho il cuore in gola. «Non
accadrà nulla».
Peeta adesso
è arrivato con la schiena contro il divanetto in fondo alla
stanza. Ha i palmi delle mani aperti contro il pavimento e le gambe
piegate davanti a sé.
Mi avvicino
con calma, sempre più lentamente man mano che la
distanza tra noi diminuisce. Lui sembra spaventato, ma non è
più in preda al terrore.
Allungo piano
una mano e mi rendo conto che sto tremando come una foglia. Devo
smetterla. Devo calmarmi. Peeta ha bisogno di me.
Respiro
profondamente e avanzo ancora. Un ultimo passo e gli sono davanti,
accucciata alla sua altezza sul pavimento fresco.
Ed
è Peeta davanti a me, quello che mi fissa con gli occhi
pieni di lacrime calde. Non il Peeta che conoscevo una volta,
né la creatura manipolata da Capitol City. È il
nuovo Peeta, quello che è sopravvissuto a tutto questo ed
è risorto dalle ceneri di ciò che restava. Non
sarà mai più il ragazzo timido e gentile che mi
salvò la vita lanciandomi del pane. Nemmeno io
sarò più la bambina di tanti anni fa.
Ma possiamo
ricominciare insieme e crescere ancora. Possiamo diventare persone
migliori, che conoscono il valore ed il prezzo della vita e del dolore.
Lo stiamo già diventando, proprio qui, adesso.
Lentamente,
per non spaventare né lui né me stessa, allungo
una mano e la appoggio sulla sua guancia. Chiude gli occhi, ma non si
ritrae, così la sposto con delicatezza fino ad arrivare
all'attaccatura dei capelli, da cui comincio a spostare all'indietro le
ciocche bionde intrise di sudore.
È
un gesto che ha sempre avuto un valore particolare tra noi due. Nella
grotta dei primi Hunger Games, nei sotterranei di Capitol City, in ogni
luogo ha sempre significato 'Ti
proteggo io'.
Guardo il suo
viso stanco, le occhiaie profonde sotto gli occhi chiusi, e mi chiedo
se si ricordi la profondità di questo legame.
L’idea
che possa averlo rimosso mi stritola la gola in una morsa
d’ansia. Non può averlo dimenticato. È
troppo importante.
Sento il
bisogno di scuoterlo dal suo riposo e chiedergli cosa ricordi di tutto
questo, di noi. Cosa gli è rimasto di quello che abbiamo
passato? Quanto è sceso in profondità il veleno
degli aghi inseguitori? Quanto del nostro legame gli è stato
portato via?
Ed
è qui, nel panico, con il suo volto tra le mani, che accetto
di amarlo.
Peeta apre di
nuovo gli occhi e resta a guardarmi, ed io scoppio a piangere.
Istintivamente,
mi trae a sé, nell’incavo della sua spalla,
stringendomi al suo corpo. Incapace di frenare i singhiozzi, mi
raggomitolo contro di lui, piangendo sul suo petto.
Non
c’è più nulla da fare. L’ho
accettato, e sono terrorizzata.
Stringo la sua
maglietta nel mio pugno, mentre Peeta mi tiene stretta meccanicamente,
come se non fosse del tutto qui accanto a me.
Le parole di
Prim, pronunciate in una vita passata, riaffiorano dalla mia mente
annebbiata.
Esiste
la possibilità che il vecchio Peeta, quello che ti ama, sia
ancora lì. Che stia cercando di uscire per tornare da te.
Non darlo per spacciato.
Ormai so che
il vecchio Peeta non esiste più. Siamo cambiati. Per potermi
amare dovrebbe innamorarsi da capo di me, come se fossimo due persone
nuove. In fondo lo siamo.
Non so nemmeno
se io stessa ho il coraggio di amare di nuovo. Non so se ne ho la forza.
La mano di
Peeta si sposta dalla stretta su di me, e penso che mi voglia
allontanare. Vorrei smettere di singhiozzare, ma non ci riesco. Lo
shock dell’aggressione si è riversato di colpo su
di me, insieme al peso di una rivelazione che non ho la forza di
accettare fino in fondo.
Poi, invece di
allontanarmi da sé, appoggia la mano sui miei capelli. Il
singhiozzo mi si spezza in gola. Lentamente, come se avesse paura di
sbagliare qualcosa, Peeta inizia a togliermi con delicatezza i capelli
dal volto, pettinandoli all’indietro.
Vengo
catapultata nei ricordi dei nostri primi Giochi, nella caverna che ci
ha quasi visti morire entrambi. Ero ferita alla testa e Peeta stava
guarendo dall’infezione alla gamba. Mi ero addormentata
così, sentendomi al sicuro, mentre mi spostava i capelli
dalla fronte.
Il cuore mi
balza in gola e soffoco un altro singhiozzo contro il suo petto.
Non
c’è più niente che possa fare per
tornare indietro, adesso che l’ho ammesso a me stessa. Niente
più nascondigli in cui rinchiudere l’evidenza.
«Mi
dispiace», sussurra Peeta, nascondendo il volto nei miei
capelli. «Mi dispiace tantissimo».
Non
darlo per spacciato.
Ormai le mie
lacrime stanno rallentando.
«Andrà
meglio la prossima volta», mormoro. «Ce la
faremo».
Forse aveva
ragione Prim. Vorrei che fosse qui per poterglielo dire.
La vita va
avanti, e forse, da qualche parte, c’è una
speranza anche per noi.
________________
Note
della scribacchina.
Salve a tutti!
Era davvero da una vita che non tornavo su EFP, soprattutto per
pubblicare qualcosa.
Lo so, sono
senza vergogna, e devo ancora recensire un migliaio di storie
bellissime. Abbiate tanta pazienza con me.
Volevo
scrivere questa storia da parecchi mesi. Mi è nata l'idea
leggendo una citazione di una certa Marianne Williamson, che in
italiano si potrebbe rendere come: “Finchè non
vediamo la parte più oscura di qualcuno, non sappiamo
veramente chi sia. Finchè non perdoniamo la parte
più oscura di qualcuno, non sappiamo veramente cosa sia
l'amore”.
Tralasciando
la mia traduzione poco poetica, mi ha subito fatto venire in mente
Katniss e Peeta.
Vorrei
chiarire due cose. La prima è che questa storia è
collocata in un post-Mockingjay, nel momento che preferite. Non
è tanto il momento in cui Kat si rende conto di essere
innamorata, ma piuttosto quando inizia ad accettarlo. L'ha presa
splendidamente, direi.
La seconda
cosa è molto importante, e riguarda il flashback di Peeta. Questa storia non incoraggia in nessun modo
comportamenti violenti, nè ha l'intenzione di romanzare
episodi di violenza domestica. Il mio intento era molto
diverso, da considerare in relazione alla storia molto particolare di
Peeta, ma ci tenevo a specificarlo. Se qualcuno la ritenesse comunque
in qualche modo inappropriata, me lo riferisca senza indugio e
provvederò ad apportare i cambiamenti necessari.
Ad
ogni modo, ieri era il primo anniversario del mio arrivo qui su EFP, e
che anno che è stato! Mi avete illuminato l'estate e tenuto
compagnia durante il lungo inverno.
Grazie a tutti
voi, ragazzi. Siete fantastici, e sono davvero felice di essermi
iscritta.
Un abbraccio e
a presto,
wip
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