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Autore: workinprogress    09/06/2014    7 recensioni
[Post Mockingjay] [Katniss/Peeta]
Ed è qui, nel panico, con il suo volto tra le mani, che accetto di amarlo.
[Angst] [Hurt/Comfort]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Growing back together'
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Un'ultima speranza


Alle mie ragazzuole, Deb, Gabry, Eco e Vì,

per tutti i mesi in cui vi ho abbandonato.


È da questa mattina che mi sembra di vedere qualcosa di strano in Peeta.
È rimasto a letto più del solito, e quando mi sono svegliata l'ho trovato sdraiato di fianco a me, rigidamente a pancia in su, con gli occhi aperti fissi sul soffitto.
Ho mormorato con voce bassa il suo nome, sfiorandogli appena il gomito da sotto le coperte, ma l'ho visto sobbalzare al mio tocco. Non è mai un buon segno, quindi mi sono ritratta subito e sono scivolata fuori dal letto senza far rumore, per non scatenare in lui reazioni improvvise.
Qualche volta è capitato, magari in seguito a qualche incubo particolarmente vivido. Dopo un po' ho imparato a cogliere i segnali e a capire quand'è il momento di lasciarlo solo ad elaborare le immagini nella sua mente.
Vorrei poterlo aiutare, ma di solito riesco solo a peggiorare le cose. Farlo scivolare in un attacco è una cosa che decisamente vogliamo entrambi evitare.
Da questa mattina presto, quando mi sono alzata, non l'ho più visto. Ho sentito il rumore della porta dello studio che si chiudeva, e da lì non è più uscito. A volte, quando è particolarmente nervoso, dipinge quello che lo turba, ed è capace di restare chiuso dentro ore intere senza dare segni di vita. Quando esce non è come nuovo, ma di solito è certamente più tranquillo, e i suoi occhi sono limpidi.
Oggi, però, non si fa vedere da almeno sei ore. Credo che non abbia mangiato nulla, e sinceramente il suo comportamento inizia a preoccuparmi.
Mi chiedo se non sarebbe stato meglio rimanere al suo fianco, stamattina, e aiutarlo a districare qualsiasi visione lo stesse assillando. Lui non resta forse ogni volta che ho un crollo nervoso, un attacco di panico, o anche un semplice incubo? Perché io continuo ad essere quella che scappa?
Ranuncolo, dalla cesta che gli appartiene per gentile concessione di Peeta, mi squadra con gli occhi socchiusi. Sembra che anche questo stupido gatto mi stia giudicando per la mia codardia.
Alla fine mi decido di andarlo a cercare nel suo studio, con tutta la delicatezza di cui sono capace.
Passo di fianco a Ranuncolo e quello continua a fissarmi con aria truce con quegli odiosi occhietti annacquati.
«E falla finita», borbotto, valutando se infilarlo nello stufato una volta per tutte.
Quando arrivo di fronte alla porta in legno scuro, all'inizio del corridoio, ci rimango un attimo ferma davanti. Non riesco a spingermi ad alzare il pugno e a bussare. Ho lo stomaco stritolato in una morsa, e c'è una parte di me che non è più tanto sicura di voler affrontare i fantasmi di Peeta o lui stesso.
Ma mi costringo a ripetermi che lì dentro c'è Peeta, e che mi piaccia o no lui ha bisogno di me.
Prendo un respiro profondo e busso con la massima delicatezza sulla porta.
Nessuna risposta.
Riprovo, stavolta un po' più forte.
«Uhm... Peeta?».
Tutto tace.
«Peeta, sono io... Posso entrare?».
Il silenzio si protrae finchè non mi convinco che non mi risponderà, il che può voler dire che non è ancora dell'umore adatto per parlare con me, o che è talmente assorbito dai propri incubi da non riuscire nemmeno a sentirmi.
Più di una volta, però, in caso non si fosse sentito ancora pronto ad affrontarmi, mi aveva risposto chiedendomi di aspettare. Oggi invece non mi offre neanche un sussurro, e l'ansia inizia a montarmi dentro.
Vaglio rapida tutte le possibilità. Ci sono degli oggetti taglienti con cui può ferirsi, lì dentro? Penso ai ferri del cavalletto e ai chiodi nel cassetto della scrivania, quelli per fissare i nuovi quadri. Chissà a quante mille altre cose nascoste può attingere. Tagliacarte, lame per dividere il tessuto delle tele, uno specchio rotto.
Uno spasmo di terrore mi stritola dall'interno, e sto per entrare anche senza il suo permesso quando sento un rumore provenire da dentro.
È un lungo lamento, che raschia con rabbia contro le pareti della gola e muore in poco più che un rantolo. Ne ho sentiti troppi per non riconoscerne il proprietario, e con la realizzazione in me si fa largo il panico.
Peeta. Peeta ha bisogno d'aiuto.
Se prima ero pronta ad entrare senza averne ricevuto il permesso, adesso devo avvalermi del mio buonsenso per non fare irruzione con violenza. Qualsiasi cosa stia succedendo in questo studio, è fondamentale che io mantenga la calma.
Apro la porta senza più bussare, e un leggero chiarore mattutino entra con me dal corridoio alle mie spalle, illuminando uno spicchio della stanza buia. Faccio un paio di passi avanti, mentre i miei occhi iniziano ad abituarsi all'oscurità, e cerco Peeta. Il mio sguardo vaga negli angoli scuri, ma non riesco a riconoscere la sua sagoma. Dove si è cacciato? Cosa sta succedendo?
Avanzo ancora un po', sussurrando con voce morbida: «Peeta?».
Quando realizzo quello che sta accadendo, è troppo tardi per agire.
Peeta sbuca dall'oscurità come un'ombra e un attimo dopo mi è addosso, la presa ferrea delle sue mani sulle mie spalle. Mi fa andare a sbattere contro il muro con forza e i miei polmoni si svuotano della poca aria che contenevano.
«Stavi cercando di uccidermi, eh?», ringhia a un paio di centimetri dal mio viso.
Stupida, stupida! Avrei dovuto aspettarmelo. Ma Peeta è sempre talmente forte nella lotta contro i suoi demoni, talmente disciplinato, che ho perso di vista questa possibilità. E adesso sono qui, imprigionata contro un muro da un ragazzo che crede di dovermi uccidere.
Mi costringo a stare immobile, il più ferma possibile. Se provassi a combattere a mani nude non lo contrasterei neppure per un attimo. Anzi, non farei altro che alimentare la sua furia e aggiungere benzina sul fuoco, convincendolo che sono pericolosa.
«Peeta, sono io». La mia voce è spezzata, non gentile e decisa come vorrei. «Non voglio farti del male».
Peeta stringe la presa sulle mie spalle, affondando le dita nelle giunture. Sento le lacrime offuscarmi la vista e il suo respiro affannoso sul mio viso.
Ride sprezzante, glaciale. «Questo giochetti non funzionano con me, Katniss».
Lascia la presa sulla mia spalla destra e passa la punta delle dita sulla mia guancia. In un altro momento forse sarebbe stata una cosa dolce, ma adesso è solo terrificante. Il sorriso di Peeta è orribilmente simile a quello che aveva Clove mentre pensava a come squartarmi. Nei suoi occhi brilla una scintilla di macabra soddisfazione, e per la prima volta ho davvero paura di Peeta.
Non mi sono mai trovata in una situazione simile: i suoi episodi non hanno mai raggiunto un picco così. Mi ritrovo a pregare che entri Haymitch e mi dia una mano, ma ovviamente è inutile. Sono in questa battaglia da sola.
Lo sguardo di Peeta si sposta sul mio collo e so cosa vuole fare. L'ha già fatto una volta nel 13, e stavolta non c'è nessuno nei paraggi che possa fermarlo.
Mi sorprendo ad ansimare, terrorizzata. Non voglio morire, non adesso. Se fosse successo nel periodo dopo la morte di mia sorella probabilmente non avrei opposto resistenza. Vivere era troppo difficile, troppo doloroso, e l'avrei lasciato fare.
Ma non adesso. Adesso che ho trovato un motivo per andare avanti, non voglio morire.
Le mani di Peeta iniziano a risalire lungo il mio collo. Non voglio morire per mano dell'unico che mi ha dato la spinta necessaria per continuare a vivere.
È questione di attimi, una volta che avrà iniziato a strangolarmi non potrò più fermarlo. Poi, quando l'attacco sarà scemato, si risveglierà dal suo raptus e mi troverà morta davanti a sé. Capirà di essere stato lui ad uccidermi, e temo di sapere come potrebbe reagire. Se non mi faccio venire in mente qualcosa in fretta, siamo morti entrambi.
Ingoio il terrore e faccio l'unica cosa che riesco a farmi venire in mente. Inizio a cantare.

Là in fondo al prato, all'ombra del pino
c'è un letto d'erba, un soffice cuscino

Quasi mi fermo, perché i ricordi sono troppi e la voce mi sta morendo in gola, ma poi vedo Peeta.
Lentamente, come in trance, sta spostando il suo sguardo incredulo dal mio collo ai miei occhi. Riesco solo a registrare che lo distraendo dal suo flashback, e questo mi dà la forza di continuare a cantare.

Il capo tuo posa e chiudi gli occhi stanchi
quando li riaprirai, il sole avrai davanti.
Qui sei al sicuro, qui sei al calduccio,
qui le margherite ti proteggono da ogni cruccio

Gli occhi di Peeta sono fissi nei miei con un'incredibile intensità, e per un attimo ho paura che sia la forza del dolore che sta provando. Le lacrime mi pungono ai lati degli occhi, ma mi costringo a continuare con voce soffocata dal pianto.

Qui sogna dolci sogni che il domani farà avverare
qui è il luogo in cui ti voglio amare.

Lentamente le sue mani scivolano lungo le mie spalle fino ai miei avambracci, dove stringono piano. Sembra incredibilmente confuso, stordito, e molto dolorante. Cerco di approfittare della sua confusione meglio che posso.

Là in fondo al prato, nel folto celato
c'è un manto di foglie di luna illuminato.
Scorda le angustie, le pene abbandona.
Quando verrà mattina, spariranno a una a una.
Qui sei al sicuro, qui sei al calduccio,
qui le margherite ti proteggono da ogni cruccio.

Deglutisco, tentando di trovare la voce, e sussurro gli ultimi versi.

Qui sogna dolci sogni che il domani farà avverare
qui è il luogo in cui ti voglio amare.

Nella casa cala il silenzio.
Non so cosa fare, se approfittare del suo momento di confusione e provare a scappare o se sperare che sia scivolato fuori dal suo flashback e non abbia più intenzione di aggredirmi. Nel dubbio, non mi arrischio a compiere movimenti bruschi e attendo, immobile. Il mio respiro tremulo tradisce la facciata della mia calma.
Peeta sembra spaesato, perso addirittura, mentre osserva me e le sue mani che stringono le mie braccia. Lo vedo soffermarsi sull'area delle mie spalle, e adesso che non sono più vittima di una feroce scarica di adrenalina comincio a sentire il dolore che ha accompagnato il passaggio delle sue mani. Abbasso lo sguardo, seguendo il suo.
Non riesco a vedere le clavicole, ma sento bruciare piano i graffi sopra l'osso. La pelle lì è sottile, ma il dolore si nasconde da un'altra parte, nella zona sotto alla mia maglia, e Peeta se ne rende conto.
Con le mani che tremano, sposta lentamente l'orlo del mio colletto, seguendo il rossore della mia pelle.
Sulla mia spalla sono evidenti i segni delle dita di Peeta, i punti in cui sono affondate nella mia pelle, le mezzelune sanguinanti che testimoniano la pressione delle sue unghie.
Le dita gelide di Peeta si posano lentamente sopra i segni, combaciando perfettamente.
Qualcosa deve scattare nella sua mente, perché si allontana di scatto, instabile sulle proprie gambe. Allungo una mano come per sostenerlo, ma l'orrore sul suo volto si condensa in una maschera che gli trasfigura il viso, mentre indietreggia agitando le braccia.
«Stammi lontana», geme, e la sua voce trema e si contorce come lui.
Mi costringo a staccarmi dal muro contro il quale sono premuta. Faccio un piccolo passo verso di lui, mettendo a tacere la voce egoista dentro di me che mi urla a pieni polmoni di scappare senza voltarmi indietro.
Non è stato Peeta ad aggredirmi, è stata Capitol City.
«Peeta», sussurro, preoccupata e nel profondo ancora terrorizzata.
«Ti ho detto di starmi lontana!».
Nella foga del suo urlo indietreggia ancor più furiosamente, inciampando in chissà cosa. Tenta di restare in equilibrio, ma va finire lungo disteso per terra con un tonfo. Quando mi inginocchio di fianco a lui, si solleva sui gomiti e inizia a indietreggiare strisciando.
È febbrile, sconvolto. Non c'è nulla che possa fare per calmarlo, in questo momento. Non se gli sto così vicino.
Con movimenti lenti e misurati, mi alzo dal pavimento. Peeta mi guarda e rallenta la sua fuga disperata.
Alzo le mani con i palmi rivolti verso di lui.
«Ti sto lontana. Vedi? Sono lontana».
Lentamente, smette di indietreggiare.
«Non mi avvicinerò. Resterò qui, stai tranquillo». I suoi occhi chiari sono spalancati e pieni di lacrime. «Tranquillo».
Lo guardo mentre la distanza da me lo calma. Sente di potersi controllare meglio se non sono alla sua immediata portata. Mi ha detto che pensa di essere in grado di ritrovare una lucidità maggiore sapendo che per me sarebbe più facile scappare.
Attendo in silenzio, a lungo. Poi arriva il momento di parlare, e lo faccio in un sussurro.
«Posso avvicinarmi?».
Peeta non risponde, come se anche solo un cenno potesse infrangere il delicato equilibrio che ha costruito.
«Non mi farai del male, lo so». Sorrido rassicurante e mi impongo di restare calma. Ho il cuore in gola. «Non accadrà nulla».
Peeta adesso è arrivato con la schiena contro il divanetto in fondo alla stanza. Ha i palmi delle mani aperti contro il pavimento e le gambe piegate davanti a sé.
Mi avvicino con calma, sempre  più lentamente man mano che la distanza tra noi diminuisce. Lui sembra spaventato, ma non è più in preda al terrore.
Allungo piano una mano e mi rendo conto che sto tremando come una foglia. Devo smetterla. Devo calmarmi. Peeta ha bisogno di me.
Respiro profondamente e avanzo ancora. Un ultimo passo e gli sono davanti, accucciata alla sua altezza sul pavimento fresco.
Ed è Peeta davanti a me, quello che mi fissa con gli occhi pieni di lacrime calde. Non il Peeta che conoscevo una volta, né la creatura manipolata da Capitol City. È il nuovo Peeta, quello che è sopravvissuto a tutto questo ed è risorto dalle ceneri di ciò che restava. Non sarà mai più il ragazzo timido e gentile che mi salvò la vita lanciandomi del pane. Nemmeno io sarò più la bambina di tanti anni fa.
Ma possiamo ricominciare insieme e crescere ancora. Possiamo diventare persone migliori, che conoscono il valore ed il prezzo della vita e del dolore. Lo stiamo già diventando, proprio qui, adesso.
Lentamente, per non spaventare né lui né me stessa, allungo una mano e la appoggio sulla sua guancia. Chiude gli occhi, ma non si ritrae, così la sposto con delicatezza fino ad arrivare all'attaccatura dei capelli, da cui comincio a spostare all'indietro le ciocche bionde intrise di sudore.
È un gesto che ha sempre avuto un valore particolare tra noi due. Nella grotta dei primi Hunger Games, nei sotterranei di Capitol City, in ogni luogo ha sempre significato 'Ti proteggo io'.
Guardo il suo viso stanco, le occhiaie profonde sotto gli occhi chiusi, e mi chiedo se si ricordi la profondità di questo legame.
L’idea che possa averlo rimosso mi stritola la gola in una morsa d’ansia. Non può averlo dimenticato. È troppo importante.
Sento il bisogno di scuoterlo dal suo riposo e chiedergli cosa ricordi di tutto questo, di noi. Cosa gli è rimasto di quello che abbiamo passato? Quanto è sceso in profondità il veleno degli aghi inseguitori? Quanto del nostro legame gli è stato portato via?
Ed è qui, nel panico, con il suo volto tra le mani, che accetto di amarlo.
Peeta apre di nuovo gli occhi e resta a guardarmi, ed io scoppio a piangere.
Istintivamente, mi trae a sé, nell’incavo della sua spalla, stringendomi al suo corpo. Incapace di frenare i singhiozzi, mi raggomitolo contro di lui, piangendo sul suo petto.
Non c’è più nulla da fare. L’ho accettato, e sono terrorizzata.
Stringo la sua maglietta nel mio pugno, mentre Peeta mi tiene stretta meccanicamente, come se non fosse del tutto qui accanto a me.
Le parole di Prim, pronunciate in una vita passata, riaffiorano dalla mia mente annebbiata.
Esiste la possibilità che il vecchio Peeta, quello che ti ama, sia ancora lì. Che stia cercando di uscire per tornare da te. Non darlo per spacciato.
Ormai so che il vecchio Peeta non esiste più. Siamo cambiati. Per potermi amare dovrebbe innamorarsi da capo di me, come se fossimo due persone nuove. In fondo lo siamo.
Non so nemmeno se io stessa ho il coraggio di amare di nuovo. Non so se ne ho la forza.
La mano di Peeta si sposta dalla stretta su di me, e penso che mi voglia allontanare. Vorrei smettere di singhiozzare, ma non ci riesco. Lo shock dell’aggressione si è riversato di colpo su di me, insieme al peso di una rivelazione che non ho la forza di accettare fino in fondo.
Poi, invece di allontanarmi da sé, appoggia la mano sui miei capelli. Il singhiozzo mi si spezza in gola. Lentamente, come se avesse paura di sbagliare qualcosa, Peeta inizia a togliermi con delicatezza i capelli dal volto, pettinandoli all’indietro.
Vengo catapultata nei ricordi dei nostri primi Giochi, nella caverna che ci ha quasi visti morire entrambi. Ero ferita alla testa e Peeta stava guarendo dall’infezione alla gamba. Mi ero addormentata così, sentendomi al sicuro, mentre mi spostava i capelli dalla fronte.
Il cuore mi balza in gola e soffoco un altro singhiozzo contro il suo petto.
Non c’è più niente che possa fare per tornare indietro, adesso che l’ho ammesso a me stessa. Niente più nascondigli in cui rinchiudere l’evidenza.
«Mi dispiace», sussurra Peeta, nascondendo il volto nei miei capelli. «Mi dispiace tantissimo».
Non darlo per spacciato.
Ormai le mie lacrime stanno rallentando.
«Andrà meglio la prossima volta», mormoro. «Ce la faremo».
Forse aveva ragione Prim. Vorrei che fosse qui per poterglielo dire.
La vita va avanti, e forse, da qualche parte, c’è una speranza anche per noi.


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Note della scribacchina.
Salve a tutti! Era davvero da una vita che non tornavo su EFP, soprattutto per pubblicare qualcosa.
Lo so, sono senza vergogna, e devo ancora recensire un migliaio di storie bellissime. Abbiate tanta pazienza con me.
Volevo scrivere questa storia da parecchi mesi. Mi è nata l'idea leggendo una citazione di una certa Marianne Williamson, che in italiano si potrebbe rendere come: “Finchè non vediamo la parte più oscura di qualcuno, non sappiamo veramente chi sia. Finchè non perdoniamo la parte più oscura di qualcuno, non sappiamo veramente cosa sia l'amore”.
Tralasciando la mia traduzione poco poetica, mi ha subito fatto venire in mente Katniss e Peeta.

Vorrei chiarire due cose. La prima è che questa storia è collocata in un post-Mockingjay, nel momento che preferite. Non è tanto il momento in cui Kat si rende conto di essere innamorata, ma piuttosto quando inizia ad accettarlo. L'ha presa splendidamente, direi.
La seconda cosa è molto importante, e riguarda il flashback di Peeta. Questa storia non incoraggia in nessun modo comportamenti violenti, nè ha l'intenzione di romanzare episodi di violenza domestica. Il mio intento era molto diverso, da considerare in relazione alla storia molto particolare di Peeta, ma ci tenevo a specificarlo. Se qualcuno la ritenesse comunque in qualche modo inappropriata, me lo riferisca senza indugio e provvederò ad apportare i cambiamenti necessari.

Ad ogni modo, ieri era il primo anniversario del mio arrivo qui su EFP, e che anno che è stato! Mi avete illuminato l'estate e tenuto compagnia durante il lungo inverno.
Grazie a tutti voi, ragazzi. Siete fantastici, e sono davvero felice di essermi iscritta.
Un abbraccio e a presto,
wip
  
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