Epilogo
Epilogo.
Sedici anni dopo.
Una figura procedeva nella neve, farinosa
nella consistenza e croccante sotto il peso dei suoi
stivali impellicciati. Il candore del cielo sgorgava
fioccando, fino a trapuntare il suo cappuccio di piccole perle
di ghiaccio. La direzione obliqua del vento la costringeva
ad opporsi, puntando il capo in avanti. La tempesta turbinava,
ovattata, ululante, con la fierezza e la discrezione del Nord. Mano a
mano che si faceva strada nell'illusione ottica d'una distesa
illimitata, una striscia scura violava l'integrità illibata
della crosta superficiale del manto. Il sole era azzurro, e
anzichè scaldare soffiava un alito artico. Ombre celesti ed
affilate disegnavano sulla pianura innevata la rotta del suo viaggio,
da
oriente ad occidente. Con la maestosa lentezza e la vezzosa grazia di
un'ospite a cui piace farsi attendere, indugiava ad ogni passo, seguiva
i movimenti dei propri stivali con lo sguardo. Le gonne ondeggiavano
accondiscendendo ai
movimenti delle sue gambe. Il cappuccio di velluto turchese le celava
il volto, però non riusciva a nascondere lo sfavillio biondo
di qualche boccolo che sfuggiva e turbinava, danzando al fischio del
vento. Con sguardo
serafico, regalmente soddisfatto, la figura ispirò l'odore
del
Nord.
Finalmente, un grande palazzo grigio si profilò davanti a
lei
-Grande Inverno. La figura continuò ad avanzare, senza
esitazioni. Ancora, e ancora, fino a che non giunse alle porte delle
fortificazioni. Dei piantoni le vigilavano, ma fu sufficiente che la
figura pronunciasse poche parole affinchè, con
un'espressione
attonita, i soldati si facessero da parte.
Quando giunse alla sala del trono, aveva le cosce e le ginocchia
indolenzite, per via dei troppi grumi di neve ghiacciata che aveva
spaccato con gli stivali, però un sorriso compiaciuto era
accomodato sulle sue labbra. Proseguì, un passo per volta,
come aveva sempre fatto. Con calma. Sono in cinque, aveva
detto suo padre.
Mentre avanzava, all'improvviso, un viso minuto si sporse
dalle
file dei cortigiani per osservarla, con gli occhi sgranati. Tutti si
scostarono immediatamente per fargli spazio, e la figura
capì.
Brandon Stark, il più giovane. Inaspettatamente,
Brandon aveva le fattezze di un Tully: il sangue di
Catelyn aveva avuto delle ripercussioni fin nella generazione
successiva. Era un bel bambino, con occhi grigio-azzurri e capelli
color dei germogli di barbabietola, chiaro di pelle e molto curioso
d'indole.
-Cos'hai tanto da guardare, moccioso?- domandò.
Il piccolo assunse allora un atteggiamento cospiratorio, parlando a
bassa voce, con un misto di titubante timore e puerile eccitazione.
-Ma è vero che mangi le persone?-
Il sorriso della figura s'allargò. -Non saprei. Secondo te
è vero?- rigirò la domanda, affabilmente.
A quel punto un ragazzo di qualche anno più grande, forse
undicenne, prese il bambino per il polso e lo trattenne.
-Vieni qui, Brandon. Non essere impertinente.- ordinò, senza
riuscire a dissimulare il proprio nervosismo. Alla figura rivolse
soltanto un brevissimo sguardo, pregno d'inquietudine. Howland Stark, pensò
la figura. Lui era un piccolo Stark fatto e finito, invece, scuro di
occhi e capelli, cupo e serio e contegnoso come un lord in miniatura.
Un'espressione torva, tra l'altero, il triste ed il preoccupato,
dominava il suo volto fin dalla prima età.
La figura, finalmente, raggiunse i gradini sbreccati che conducevano al
trono. Dall'alto di esso, un ragazzo la stava fissando. I suoi capelli
erano castani, molto scuri, e avvolti in mille ricci che gli
ammorbidivano la nuca. Gli occhi erano sempre quelli di suo padre, ma
nei lineamenti, come brontolava sempre Osha, assomigliava
inequivocabilmente a Meera. Quando parlò, la sua voce fu
secca
come una frusta. Kenned
Stark.
-Benvenuta a Grande Inverno, cugina.-
-Vedo che non ci sarà bisogno di presentazioni.-
esclamò la ragazza, sollevando il mento. I due fratelli
più piccoli s'era schierati al fianco degli altri, quasi a
formare uno squadrone compatto e invincibile, per difendersi
dall'interferenza esterna. I suoi cugini erano lì per
giudicarla.
Kenned non distolse lo sguardo da lei nemmeno per un istante, come
tenendosi pronto ad anticipare il repentino movimento di un serpente.
-Mia sorella ti ha visto arrivare.- rispose semplicemente. La figura
notò che vicino al trono del Re del Nord vi era un altro
scranno, di poco più piccolo, di norma riservato alla
regina.
In quel momento, vi sedeva una fanciulla dall'espressione di spietata
durezza. Una benda insanguinata le cingeva la fronte. Quello che di
primo acchito aveva scambiato per un mantello, che la avvolgeva fino ai
piedi, in realtà erano i capelli spropositatamente
lunghi, spessi come
velluto. Lo sguardo dei suoi occhi verdi, puntato contro di lei come
una lancia, era il più ostile che la figura avesse mai
percepito
su di sè. L'ospite non invitata sorrise. Ma certo, poi c'era
lei. Levenna Stark.
Quella che morirà per prima.
-E quindi tu sei mia cugina, quella con la vista dell'oltre.- scelse
invece di dire. -Gli dèi sono stati generosi con te.-
Le persone come noi
invecchiano più in fretta, diceva Jojen. Scoprono cose che non
dovrebbero scoprire. Sapere troppo è nocivo quanto non
sapere nulla. La principessa storse un sorriso caustico. A
guardare meglio, marchiata sulla benda
sporca di sangue, c'era la forma dei suoi occhi. -Credi?-
Con le
dita, Nesmera fece
scivolare via il proprio cappuccio. La chioma aurea
lampeggiò
sotto la luce sinistra delle torce, e molti sguardi la esaminarono con
sospetto. Il suo viso pallido era estremamente attraente, e Levenna
notò con fastidio che Kenned era arrossito. Era bella,
sì. Forse persino più di Elyn Tully, considerata
la
fanciulla più graziosa dei Sette Regni. E i suoi occhi... i
suoi occhi erano cristallizzati nell'azzurro perlaceo della brina. Occhi azzurri. Gli occhi di Rickon Stark,
pensò Osha con rimpianto, riguardosamente nascosta fra le
file dei cortigiani. Aveva cresciuto tutti i figli di Bran, uno per
uno. Li aveva estratti dal grembo della loro madre e li aveva posati
sul seno di Meera. Li aveva visti compiere i primi passi e pronunciare
le prime parole. Li aveva assistiti quando piangevano e li aveva curati
quando s'ammalavano. Li aveva amati come fossero stati suoi. Vedere
adesso Kenned così cresciuto, ormai un uomo, le provocava un
moto d'orgoglio nel petto. Però... però era
sempre rimasta quella nostalgia, al pensiero del ragazzino con cui
aveva condiviso tanti anni di pellegrinaggi e peripezie. Si era sempre
chiesta cosa il futuro avesse riservato a Rickon ed alla sua Lannister
biondina. E la risposta era l'adolescente scaltra e smilza involta in
quel mantello.
-Perchè Bran il Metamorfo non è qui, ad
accogliere la sua unica nipote?- chiese. Come se non lo sapesse! pensò
Levenna, stizzita.
-I miei genitori non sono a Grande Inverno, in questo momento.- rispose
Kenned, freddamente. -Si trovano a Torre delle Acque Grigie,
all'Incollatura, a fare visita a mio fratello Robben.-
Non c'era voluto molto, a Bran e Meera, per comprendere che Robben era
in realtà un crannogman, destinato all'Incollatura e a
nient'altro, e che restare al Nord avrebbe avuto il solo effetto di
farlo soffrire. Era un Reed in tutto e per tutto, e nessuno aveva il
coraggio di contestare questo, nemmeno Osha che vedeva i
caratteri degli Stark dappertutto. Non appena aveva compiuto sette
anni, Meera l'aveva spedito all'Incollatura veloce come un fulmine,
affinchè crescesse nella dimora dei suoi nonni materni.
Robben Stark. E siamo a cinque.
Robben Stark, e poi il trono del Nord rimarrà senza eredi.
-Perchè sei qui?-
proseguì Kenned. Levenna
si augurò che suo fratello avesse il buonsenso di mantenere
le
difese perennemente innalzate, e di non lasciarsi distrarre. Aveva
visto quella ragazza in sogno più di una volta, sapeva
quanto
potesse essere pericolosa. E l'insidia consisteva proprio nel fatto che
non lo sembrava per niente.
Nesmera sorrise. -Non ho bisogno di un motivo. Sono una Stark, e questa
è casa mia.-
-Una Snow.- precisò il principe, che evidentemente non
apprezzò la sua tracotanza. -I tuoi genitori non si sono mai
sposati.-
-Per quel che ne sai tu.- obiettò la ragazza, inarcando un
sopracciglio. -Si sono sposati, invece. Con un rito skaagosiano.-
Kenned cercò di trattenere la propria impazienza. -I riti
skaagosiani non valgono nulla, se non c'è un septon e non ci
sono dei testimoni.-
Nesmera lo ignorò. -Intendi cacciarmi, allora?-
Il ragazzo fece una pausa.
-Se quella che vai cercando è una casa, sarai benvoluta ora
e
sempre. Ma se quello che speri di ottenere è un trono, non
posso
prometterti lo stesso. Comunque sia, a Grande Inverno
riceverai il trattamento che meriti. Niente di più,
niente di meno.-
Levenna sospirò. Erano parole altisonanti, ma, appunto,
erano
parole. Kenned avrebbe saputo comportarsi di conseguenza, se fosse
stato necessario? Il problema era che mancava di polso. Era facilmente
manipolabile da chi avesse avuto cattive intenzioni e tante belle
paroline a fior di labbra... come la lì presente.
-Mio padre dice che il Trono di Spade non è di chi lo
eredita,
ma di chi lo conquista.- dichiarò Nesmera. -A mio
parere,
per il Trono del Nord vale lo stesso.-
Che sfacciataggine, pensò
Levenna con disgusto. Non
ha nemmeno la decenza di fare finta.
-È questo che sei giunta fin qui a chiedere?
Del tempo
per conquistare il trono?- La voce di Kenned era indurita di avversione.
-Mi hai forse sentita pronunciare queste parole?-
Nel momento in cui Nesmera sorrise di nuovo, con scanzonata malizia, il
principe del Nord abbassò lo sguardo. Lei ragionò
che
aveva ancora un po' di tempo, prima che Bran Stark tornasse, per
lavorarsi l'erede. Era
un piano folle, un piano avventato, il suo. Brandon Stark. Howland Stark.
Robben Stark. Levenna Stark. Kenned Stark. Però
aveva ancora nella testa quel che suo padre le aveva detto.
Chi sia di sangue Stark, può regnare sull'intero Nord. Chi
sia
di sangue Lannister, può regnare sull'intero Sud. Ma chi sia
di
sangue Stark e di sangue Lannister, può regnare su Westeros.
-Questa è Grande Inverno, cugina.- le
rammentò
Kenned, aspramente, quasi rimproverandosi della debolezza cui aveva
ceduto poco prima. -Territorio di caccia di un branco. Non la si
può invadere così facilmente.-
La fanciulla rispose con l'amabilità che sua madre le aveva
insegnato. -Non ho dubbi.-
Il metalupo ai piedi di Levenna, di piccole dimensioni, dalla
pelliccia completamente nera come la notte, aveva cominciato a
ringhiare sommessamente, i canini bianchi scoperti. La mano della
ragazza corse a carezzarle il naso umido e blandirla, ma il suo viso
non infranse la propria rigida, intransigente impassibilità.
-Sta' buona, Kendra.-
La metalupa riposò il muso in mezzo alle zampe, ancora
un'espressione di guardingo sospetto negli occhi diafani come la neve.
Quando Nymeria aveva partorito una cucciolata, di cui Kendra era
l'unica superstite, Bran -per evitare noiosi litigi fra i figli- aveva
decretato che fosse il piccolo metalupo appena nato a scegliere il
proprio protetto: non appena aveva visto Levenna, Kendra non aveva
esitato un attimo ad accoccolarsi nel suo grembo, con indolente,
spontanea e quasi noncurante naturalezza, come se quello fosse stato il
suo posto da sempre.
Nesmera l'osservò, indolente. Le piacevano, i metalupi.
Quando
era molto piccola, suo padre si divertiva a caricarla in groppa a
Cagnaccio e spedirli a fare una passeggiata, fra gli urli atterriti di
Myrcella.
-Sembra che la bestia senta la tua paura, e quindi cerchi di
proteggerti. Davvero leale da parte sua.- La velata insinuazione era
stata scoccata con molta maestria, ma Levenna aveva sempre detestato i
giochi di parole.
-Non ho
paura di te, Nesmera
Snow.- proferì con voce arida e solenne. -Si teme soltanto
ciò che non si conosce. Ti ho vista nascere e crescere e
piangere e morire: io ti conosco.-
Lei è la mia
vera avversaria, qui dentro, pensò Nesmera. Con
gli altri sarà una passeggiata, ma Levenna si
dimostrerà
un ostacolo. Per questo devo toglierla di mezzo subito.
-Chi lo sa, che il futuro non ti riservi ancora qualche segreto.-
replicò, pungente.
-D'altronde, come vi piace dire spesso, l'inverno sta arrivando.-
Le ragazze si fissarono negli occhi per diversi istanti,
sfidandosi a vicenda ad abbassare lo sguardo, ma entrambe lo
sostennero. Era evidente che a Grande Inverno non c'era abbastanza
spazio per due
principesse.
Fu Kenned a spezzare quell'incantesimo.
-Se vuoi rimanere qui, lo dovrai fare secondo le nostre regole. Noi non
mangiamo le persone, per esempio. Prova a fare una cosa simile e ti
faccio decapitare, chiaro? Non permetterò simili
depravazioni in casa nostra.-
Nesmera sbadigliò, forse per deridere gli avvertimenti del
cugino, forse per reale stanchezza.
-Penso che andrò a riposare. Il viaggio è stato
lungo e faticoso, anche se nessuno si è premurato di
chiederlo. Ragazzo, portami nelle mie stanze. Ho bisogno di dormire.-
Fece un cenno a Howland. Lui lanciò un'occhiata
interrogativa a Kenned, che annuì, così il
fratello minore fece segno a Nesmera di seguirlo. Prima di scivolare
fuori dalla sala del trono, la fanciulla rivolse un ultimo sguardo
intenso al principe ereditario.
Il tonfo delle porte che restituivano alla sala la sua quiete
strappò a Kenned uno sbuffo sollevato.
-Maledizione. È appena arrivata, e già la vorrei
fuori di qui il più in fretta possibile.-
confessò, inquieto. -Saperla nel castello, insieme ai nostri
fratelli... non mi farà dormire di notte.-
Levenna non rispose. -L'unico modo per vivere in pace è
tagliarle la gola mentre dorme, fratello.-
Ma lui non era affatto d'accordo: subito s'incupì.
-No, Levenna. Noi non siamo assassini, tantomeno di consanguinei. E
poi, vuoi davvero scatenare una guerra fratricida da nostro padre e
nostro zio? Attualmente, non abbiamo nessuna vera prova che lei
è un pericolo per noi.-
-I miei sogni non sono
nessuna prova!- sbottò Levenna, infervorandosi.
-Tu non hai idea di
quello che le visto fare. Se lo sapessi, sguaineresti la spada e la
andresti a cercare.-
Kenned tacque. Conosceva il temperamento di sua sorella, e allo stesso
tempo sapeva quanto di lei gli fosse precluso di conoscere. Abitava una
realtà molto diversa dalla loro. Tutti avevano finito per
considerarla una strana creatura, alcuni la chiamavano pazza. Altri si
limitavano a detestarla, come il suo stesso padre.
-Fra Nesmera Snow e il potere ci sono cinque eredi legittimi.-
mormorò, tentando di far suonare la propria voce autoritaria
quanto quella di Bran Stark. La voce di chi è assolutamente
sicuro di ciò che dice. Levenna aveva lo sguardo vacuo,
perso nel vuoto, e colmo di risentimento.
-Fra Nesmera Snow e il potere c'è un tappeto di velluto
rosso.-
Kenned avvertì l'angoscia serrargli lo stomaco. Si
augurò con tutto il cuore che sua sorella si sbagliasse. Ad
ogni modo, presto suo padre sarebbe tornato ed avrebbe risolto tutto
quanto. Se noi saremo
ancora vivi, per allora, gli giunse in mente. I gemelli Lannister spaccano il
Sud a metà per farsi guerra, re Gendry fa finta di niente, e
adesso lei...
cosa sta succedendo ai Sette Regni?
Levenna si alzò dal suo scranno. Le vennero in
mente le parole di una conversazione ormai lontana, quando Jojen le
aveva stretto le mani nelle proprie e le aveva parlato con la sua
tipica pacatezza. Io
appartengo ad un'altra vita... e sono morto. Invece tu sei giovane,
Levenna, così giovane. Io ti ho insegnato quello che sapevo,
e
non è molto. Il resto, lo devi imparare da te. Non hai
più bisogno di me, anche se adesso credi il contrario. Tu
hai un
ruolo da interpretare, io un passato a cui tornare. Le nostre strade si
separano.
Il panico l'aveva sopraffatta: lui non poteva abbandonarla
così. Jojen era l'unica persona che la capiva. Se se ne
fosse andato per sempre, l'avrebbe lasciata completamente sola, in
balia di un mondo che detestava. Levenna aveva negato, gridato e
supplicato. Levenna si era
aggrappata al suo mantello e si era gettata in ginocchio. Levenna aveva
pianto stretta a lui per l'ultima volta. Jojen le aveva detto questo,
in sogno, più di sette mesi prima. Da allora, non l'aveva
più visto.
-Che cosa dovrei fare, secondo te?-
Levenna avanzò fino alla porta. Posò una mano
sulla maniglia. Kendra procedeva al suo fianco, e
lei percepiva la pelliccia strusciare contro i polpacci.
Si voltò a guardare il fratello.
-Quando il caso ti coinvolge nel gioco del trono, Kenned... l'unica
cosa che si può fare è iniziare a giocare.-
Sorrise. Kenned non lo fece. Forse l'inverno stava tornando.
Fine.
Note
dell'Autrice: Ebbene sì. Fine. u.u
E qui scatta il cambio generazionale XD Non credo che ve
l'aspettaste, ma spero che sia risultato di vostro gradimento. Visto
che ho praticamente nella testa ogni singolo figlio di ogni singola
casata, mi sarebbe tanto piaciuto dilungarmi, ma sarebbe stato inutile
e noioso. E comunque, no, non scriverò nessuna
continuazione. Lascio alla vostra immaginazione ciò che
verrà dopo. Nesmera riuscirà ad ammazzare tutti e
cinque i cugini, oppure Levenna riuscirà a mandare in fumo i
suoi piani? XD Se amassi trollare quanto Martin, vi direi che muoiono
entrambe trafiggendosi a vicenda con due spade. XD Ma non lo sono,
fortunatamente.
Grazie per aver letto questa fanfiction fin qui. ^-^ Grazie soprattutto
a quelli che hanno messo questa storia fra le
seguite/ricordate/preferite, e in special modo ai recensori.
È tutto! Grazie ancora e buone vacanze!
Lucy
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