capitolo
BETWEEN
THE HUNGRY
Alessandra
Monroe
Camminavamo
nella foresta mano nella
mano. I nostri pensieri vagabondavano in un silenzio composto solo
dal cinguettio degli uccellini e dal rumore delle fronde degli alberi
smosse dal vento. Era arrivato il momento di tornare al campo e a
malincuore camminavamo,con la mente ancora ferma in una fotografia
che sapeva di felicità nascosta. Io e Brittany avevamo fatto
l'amore,di nuovo. La terra umida del nostro piccolo nido sapeva
ancora dei nostri odori fusi,delle nostre labbra congiunte,e dei
nostri sospiri fugaci. Ogni volta che la sfioravo,ogni volta che
toccavo quelle labbra morbide o assaporavo la sua pelle,sentivo nel
petto tutto l'amore che provavo. Non c'era niente di più
giusto in
quel mondo che non ci meritava.
Le
accarezzai il dorso della mano con
il pollice,lei mi guardò e sorrise.
«Sono
felice»
disse,continuando a guardarmi con quell'aria estasiata.
Smisi
di camminare e le baciai una guancia,poi lei mi attirò a
sé con delicatezza,e poggiò le sue labbra sulle
mie.
«Ti
amo. Sei tutto quello che ho,adesso».
Mi
spostò una ciocca di capelli ed i nostri occhi si
incontrarono «ti
amo»
rispose lei,accarezzandomi una guancia «e
sei tutto quello che ho».
Ci
baciammo a lungo,sebbene fossero ore ormai che eravamo lontane dal
campo. Gli altri cominciavano sicuramente a preoccuparsi della nostra
assenza,così ricominciammo a camminare a passo svelto. Il
tetto
naturale sopra le nostre teste finì,e i nostri occhi si
spostarono
sulle tende poste in quell'immenso prato verde.
«I
nostri bisogni durano ore»
disse lei,ridendo.
Risi
anch'io «colpa
di quello schifo di cibo».
Mentre
ancora scrutavo il nostro piccolo accampamento,mi accorsi di una cosa
: il wrangler non era più lì. Controllai
più e più volte,sotto lo
sguardo confuso di Brittany,e poi conclusi che non ve n'era traccia.
Sentii il cuore balzarmi in gola e poi,in uno scatto improvviso,le
mie gambe cominciarono a muoversi rapidissime,in preda ad una paura
tremenda ed improvvisa. Brittany corse con me,senza fare domande,e
prima ancora che potessi realizzare qualsiasi altra cosa,ci
ritrovammo di fronte il gazebo,dove tutti erano radunati. Non proprio
tutti.
«Merda!Non
ci posso credere...non ci credo!» urlò Steven
disperato agitandosi
davanti il tavolino,con le mani sul viso.
Il
ragazzo neppure si era reso conto della nostra presenza,anzi,a dire
il vero non se n'era reso conto nessuno. Tutti guardavano Steven
aspettandosi qualcosa,ma non vedevano altro che la rabbia e il panico
che lo facevano muovere convulsamente,soffocato dalla preoccupazione.
Io e Brittany ci guardammo in faccia,con la stessa espressione
confusa e il respiro affannato,e ci avvicinammo di più al
gruppo.
«Siete
qui!» esclamò Steven,sorpreso.
«Dov'è
il Wrangler?»
Il
ragazzo scosse la testa e battè forte la mano sul tavolo,in
un impeto d'ira.
Le pistole sobbalzarono.
«Mia
sorella...» disse,facendosi scrocchiare le dita e stringendo
il
pugno con forza.
Guardai
quei volti di nuovo. C'erano Lucas,Noah e Steven. Soltanto tre...
«Alex?»
domandai accigliata.
Steven
annuì con forza e si passò di nuovo una mano sul
viso «mi ha
fregato le chiavi!» urlò,colpendo di nuovo il
tavolino.
Lucas
si allontanò dal ragazzo e si avvicinò a me. Gli
presi la mano.
«Che
gli hai detto,eh?!» urlò
Noah,furioso,avvicinandosi minacciosamente
all'altro «scommetto che l'hai sfinita con quella storia del
supermarket e adesso è piena di sensi di colpa» si
avvicinò
ancora. Era nero in
viso,ed i suoi occhi erano iniettati di sangue. «Se tutta
questa
storia è colpa tua,io..»
Steven
scosse la testa,disperato «tu non capisci!Non sai di cosa
stai
parlando».
La
rabbia sul viso di Noah si spense improvvisamente e guardò
il
ragazzo confuso «che intendi dire?»
Steven
si allontanò dal tavolo e cominciò a camminare
avanti e
indietro,torturandosi le mani. «Voi non sapete chi sia
Alex,nemmeno
immaginate...» si interruppe e continuò a scuotere
la testa,come un
folle «non capite..non sapete niente»
blaterò tra sé e sé.
Aumentai
la presa sulla mano di Lucas.
«Cosa?!Cos'è
che non sappiamo,Steven?!» gridò Noah,furioso.
Il
ragazzo smise di camminare,si voltò e ci guardò.
Sul suo viso c'era
dolore,disperazione,preoccupazione,paura,panico...ma fu quando mi
concentrai sui suoi occhi pieni di lacrime che avvertii quelle sue
stesse emozioni assalirmi in un mix devastante.
«Alex
è un'ex tossicodipendente. Mia sorella è un'ex
drogata e adesso è
andata in cerca della sua dose» disse con un filo di voce.
ALEX
Mi sentivo male.
Ogni singolo muscolo del mio corpo tremava. Non riuscivo a tenere le
mani sul volante e di tanto la macchina mi scappava a destra o a
sinistra,senza che lo volessi. Mi asciugai il sudore sulla fronte e
tornai a concentrarmi sulla strada. Non riuscivo neppure a
respirare,non riuscivo a stare ferma,ma ogni volta che mi
muovevo,avvertivo una fitta allo stomaco e ricominciavo a battere i
denti per il freddo. Non sapevo dove stessi andando,non sapevo...non
ero abbastanza concentrata. La strada pareva muoversi davanti i miei
occhi,ed io non riuscivo a tenere la macchina dritta,senza che
sbandassi. Un affamato apparve in lontananza,vicino ad una di quelle
villette colorate,che stonavano in mezzo al grigio nelle quali erano
immerse. Battei i denti di nuovo e feci un respiro profondo. Guardai
il volante e le mie mani. Il tremore era aumentato. Mi sentivo male.
Perché ero lì? Scossi la testa quando quella
domanda mi folgorò.
Qualsiasi cosa sarebbe andata
bene,qualsiasi!Antidepressivi,Ecstasy,Ketamina,Cocaina...qualunque
cosa. Poi,mentre osservavo quell'affamato divenire sempre
più vicino
e allo stesso tempo più sfocato,ricordai.
Tutto era cominciato quando ancora
guardavo il mondo con gli occhi ingenui
di una ragazzina. Mio padre mi ripeteva sempre che New York
era
pericolosa. Peccato che non fosse mai presente nel momento
in cui
avevo bisogno di sentire quelle parole. Era un famoso avvocato,il
più
famoso divorzista di tutta New York e,come tale,si ritrovava spesso a
viaggiare ed era totalmente assorto dal lavoro. Mia madre,invece,aveva
ereditato una fortuna dal suo precedente divorzio durato solo
pochi mesi quando ancora era una donna dalla bellezza vivida e
naturale,e non faceva altro che spendere e spendere,e ancora
spendere,per vivere nella più completa agiatezza. Andava dal
chirurgo,organizzava viaggi alle Spa con le sue amiche sposate con
importanti imprenditori,e poi partecipava a
brunch,feste,inaugurazioni...a tutto,meno che alla mia vita. Spesso
usciva di casa ed io neppure sapevo il motivo,non che mi
interessasse in fondo. Dall'età di quattordici anni avevo
imparato a
cavarmela da sola. Mio fratello si era arruolato come marine non
appena aveva compiuto vent'anni,insoddisfatto della vita al college,e
così ero rimasta sola. Sola in un attico enorme,sola con la
mia
solitudine ed un senso incolmabile di vuoto. Non appena iniziai il
liceo,molte cose cambiarono piuttosto rapidamente. Mi resi conto di
aver messo piede in un mondo completamente diverso da quello che
conoscevo. Il liceo,infatti,era un mondo a sé stante,un
universo
parallelo tanto allettante,quanto pericoloso. Imparai che cose come
la popolarità,la moda ed i ragazzi erano di primaria
importanza.
Imparai che per sopravvivere,bisognava annullare la
personalità e
cedere all'omologazione. Imparai che il tuo cognome era un marchio,un
timbro,un biglietto di entrata. Ogni cosa era sbagliata,me ne rendevo
conto,ma ben presto l'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio e
lentamente le cose mi sfuggirono di mano,mentre ero ancora convinta di
avere il
pieno controllo della mia vita. Quando conobbi Carly,che mi
salutò
per la prima volta complimentandosi per il mio modo di
vestire,credetti che da quel momento in poi non sarei più
rimasta sola. Nel
mio attico c'era posto anche per lei e la sua gente,ed il mio cuore
aveva immediato bisogno di essere curato.
Cominciammo ad
uscire. I ragazzi più ricchi e popolari della
città ci invitavano a
delle feste favolose. In una di quelle conobbi Ryan. Era il figlio di
un petroliere,ed aveva i capelli ricci e di un biondo cenere che
portava ribelli,ad incorniciare il viso su cui spiccavano due grandi
occhi verdi. Quella sera Carly mi ripeté più
volte che Ryan mi
aveva puntato e che non potevo farmelo scappare. Era l'ennesimo
biglietto di entrata in quella società
malsana,così,quando lui mi
guardò con quei suoi occhioni intensi e mi sorrise,fui
costretta a
sorridere a mia volta. Parlammo della scuola,parlammo dello
sport,delle feste,dei nostri genitori e poi bevemmo. Bevvi una bud,e
tre shot di tequila. La vista divenne improvvisamente offuscata,i
rumori distanti,ed i suoi baci insistenti. Mi trascinò in
una camera
al piano di sopra,e poi lo facemmo. Persi la verginità a
quattordici
anni,con la confusione che mescolava i miei pensieri incoerenti,e
l'alcool che scorreva impetuoso nelle mie vene. Quando tornai a casa
alle quattro del mattino e guardai il cellulare,mi accorsi di non
aver ricevuto neppure una chiamata. Mia madre non era nel suo
letto,mio padre era in viaggio chissà dove e con chi,ed il
mio
letto era freddo,gelido come il mio cuore. Mi obbligai a non
piangere,mi costrinsi a vedere il lato positivo delle cose,ma il
groppo che avevo in gola non aveva intenzione di lasciarmi
respirare e mi riaddormentai nella più completa
solitudine,cercando
di ricordare degli sprazzi di quella serata. Brian neppure mi
guardò
quando tornammo a scuola il lunedì successivo,e non aveva
intenzione
di farlo. Io lo osservavo di sottecchi,mentre scherzava con i suoi
amici,ed avvertivo un peso opprimente al petto. Cosa gli sarebbe
costato salutarmi,o scambiare due chiacchere come fossimo buoni
amici?Me lo chiesi spesso,ma smisi non appena capii che non valesse
la pena concentrarmi su una cosa così inutile. Capii che era
così
che funzionavano le cose. Carly mi disse che comunque fosse andata,mi
ero portata a letto un invidiabile bocconcino,uno dei ragazzi
più
desiderabili di tutto l'istituto. Fui costretta ad arrendermi a
quell'idea e,soltanto un mese dopo,mi ritrovai ad un'ennesima
festa,con diversi occhi puntati addosso e sorrisi rivolti con una
malizia disarmante. Quella sera bevvi più del solito. Mio
padre mi
aveva chiamata qualche ora prima e mi aveva detto che non sarebbe
tornato per il fine settimana perché era troppo impegnato
con un
caso di divorzio che valeva milioni di dollari. Mandai giù
diversi
shot di vodka alla pesca,poi qualche Manhattan ed altri cocktail di
cui non ricordai neppure il nome. Mi voltai dal bancone del bar,e
vidi Alan Harryson che mi fissava con due piccoli occhi arrossati.
Era così fatto,che a stento riusciva a reggersi in piedi.
Lui mi
raggiunse,con quell'aspetto disorientato,e dopo qualche chiacchera
malriuscita me ne andai via sulla sua limousine,per continuare la
festa nella sua villa da ultra milionario. Quando tornai a casa alle
nove del mattino,dopo aver vomitato anche l'anima in quel lussuoso
water,mia madre era in piedi.
«Ciao» mi
disse,sorridente «dove sei stata?»
Io la guardai con
un'espressione fredda e le risposi «ho dormito da
un'amica».
Lei continuò a
guardarmi,persa chissà in quale futile pensiero,e mi rispose
semplicemente «hai un aspetto terribile. Perché
non vai a farti una
doccia e non prendi un paio di aspirine?»
Neppure le risposi.
Corsi un camera mia e mi chiusi dentro,aspettando che Carly mi
chiamasse per programmare la nostra prossima serata.
Poi,però,le cose
degenerarono.
Le feste divennero
sempre più frequenti al crescere della nostra
popolarità e l'alcol
divenne senz'alcun dubbio il mio migliore amico. Cominciavano a non
bastarmi le sbronze in compagnia di qualche ragazzo e senza che me ne
rendessi conto,il sesso divenne l'unico sfogo che avessi. Ma a
nessuno importava di come usassi il tempo libero,a nessuno
interessava quanto bevessi o a che ora tornassi. L'importante era
avere un bell'aspetto,conversare come una donna matura con le amiche
della mamma,e sorridere fingendo di stare bene. Con mio padre
sorridevo sempre. Ogni volta che raccontava com'era andato il suo
ultimo divorzio,io sorridevo e mi complimentavo. E quando si chiudeva
nel suo ufficio per parlare al telefono o usciva di casa avvisando di
avere un importante impegno da sbrigare,correvo nel suo ufficio e
bevevo whisky fino a che non mi girava la testa. Sapevo che era
sbagliato,lo sapevo,ma faceva male. Faceva male respirare,sorridere o
parlare. Faceva male baciare un ragazzo che neppure ricordava il mio
nome,faceva male la mattina dopo quando mi svegliavo in qualche casa
sconosciuta,con la testa che mi lampava. Ma a nessuno importava chi
fosse realmente Alessandra Monroe o quale fosse la sua vita. A nessuno
importava cosa provasse o cosa pensasse. Alex era una ragazza
popolare,la figlia di Nathan Monroe,il più famoso e ricco
avvocato
divorzista.
Una sera,mentre
tenevo tra le mani una bottiglia fredda di champagne ed osservavo gli
altri ragazzi ballare,Carly mi presentò Troy. Era all'ultimo
anno e
quando passava per i corridoi della scuola,tutti,ma proprio tutti,lo
salutavano. Carly mi disse che quella sera Troy ci avrebbe fatte
divertire. Io pensai che avremmo fatto sesso con lui,e invece la
serata volse diversamente. Mentre bevevo lo champagne
direttamente dalla bottiglia,Troy tirò fuori una busta con
delle
pasticche.
«Che roba
è?»
chiesi improvvisamente allarmata,sforzandomi di mettere a fuoco la
sua immagine.
Carly mi sorrise e
mi disse di stare tranquilla e che quella sera ce la saremmo spassata
come non mai.
«Ecstasy» rispose
il ragazzo tirando fuori dalla busta tre pasticche
«è roba
buona,credimi. Ne hai mai provata una?»
Scossi la
testa,guardandolo confusa.
«Sono ottime per
godersi la serata. Sono innocue,credimi. Ti sgombrano la mente e ti
sballano di brutto» mi rassicurò lui con
tranquillità,come se
stesse spiegando gli ingredienti di una torta.
Poi capii : Troy era
un pusher. Lo guardai un'ultima
volta,guardai Carly che mi incitava con lo sguardo,e ingoiai la
pasticca con lo champagne,senza pensarci più.
Lentamente,senza
rendermene conto,quel mondo malsano inglobò la mia vita a
sé.
Divenne parte costituente,fondamentale ed insostituibile. Sesso,droga
e alcol. Sesso,droga e alcol. E poi ancora : sesso,droga e alcol.
Una mattina,quando
tornai a casa dopo aver passato la notte a fumare marijuana,fatta di
ecstasy e su di giri per l'alcol,mi madre mi bloccò sulla
soglia
d'entrata.
«Dove sei stata?»
mi chiese,accigliata.
Mi passai le mani
sul viso dall'aspetto cadaverico,e mi sforzai di ignorare la nausea
che mi metteva in subbuglio lo stomaco.
«Da Carly» risposi
fredda.
Lei esaminò il mio
viso con apparente cura,ed indurì l'espressione
«non mi piace come
ti comporti ultimamente,Alessandra».
La guardai
sconvolta. Era mia madre o una sosia?
«Hai rovinato la
festa di bentornato che avevo organizzato per Lydia».
Poi ricordai,con un
sorriso amaro ed ebbi la risposta alla mia domanda.
Io,Carly,Tracy,Troy e Wren avevamo preso tutte le bottiglie di
champagne e ce l'eravamo svignata,lasciando la festa priva
dell'elemento più importante.
«Non succederà
più» risposi secca.
Lei mi sorrise,con
quell'aria da svampita,ed io salii in camera mia.
Le cose,ogni
cosa,continuava imperterrita a portare dolore nella mia vita. La
solitudine non spariva né con le amicizie,né con
il sesso. Mio
fratello,il mio migliore amico,non c'era e nulla,ma proprio nulla
riusciva a colmare il vuoto nel mio petto. Così,una
mattina,prima di
andare a scuola,con un'ansia crescente che si impadroniva del mio
corpo,decisi.
Troy mi guardò
ancora una volta,prima di sganciare la busta che teneva in mano.
«Sta' tranquillo!»
tentai di rassicurarlo «lo sai che non esagererò.
Quante volte devo
ripetertelo?»
Lui continuò ad
osservarmi,accigliato,ed alzò gli occhi al cielo
«non mi piace che
tu usi questa roba. Conosco delle persone che sono finite male. Che
ne dici se ti do quelle pasticche che hai provato al Webster?Sono
ottime. Oppure ho anche quel...»
«Ma che cazzo!»
esclamai stufa «La smetti di comportarti come se fossi il mio
ragazzo?Ho i soldi. Dammi quella roba e facciamola finita».
Lui sbuffò
«Alex...»
«No».
Mi porse la busta
arancione controvoglia,e quando feci per prenderla,lui
continuò a
fare resistenza.
«Troy!» esclamai
alterata «Molla questa cazzo di busta!»
Sbuffò di nuovo e
poi obbedì.
Presi la busta,la
infilai alla svelta nello zaino,e ne presi un'altra.
«Ecco i tuoi soldi»
dissi secca,lanciandogliela addosso.
Mi voltai e
rincominciai a camminare.
«Alex!» mi
chiamò
lui.
Non mi voltai.
«Fa' attenzione!»
Quando
tornai a casa,mi accorsi che era vuota,di nuovo. Salii in camera mia
e mi sedetti sul letto,con la busta tra le mani. Non potevo finire di
complicarmi la vita in quel modo,eppure,allo stesso tempo, sapevo che
sarebbe diventata ancora più semplice. Non provare
niente,non
sentire alcuna emozione,se non l'euforia che la droga o l'alcol mi
davano,limitava la mia vita,ed in fondo era quello che volevo. Non
ero altro che un involucro triste e vuoto,privo di sentimenti,con un
cuore gelido e un petto scavato. Quando stavo per mettere via la
busta,il telefono squillò. Lessi il nome sul display,con la
speranza
che fosse mio padre,ed invece vidi il nome di Sam Bukley. Il mondo mi
crollò addosso,per l'ennesima volta. A scuola si era diffusa
la voce
che fossi una facile e,in men che non si dica,i ragazzi cominciarono
a provarci spudoratamente con me,in ogni situazione,soltanto per
portarmi a letto. Sam era uno di quelli,e non era mio padre. Con
l'amaro in bocca spensi il display del cellulare e mi portai le mani
sul viso. Sam non era mio padre. Mia madre non c'era,mio fratello
nemmeno. Fu nella solitudine che mi aveva accompagnata sino ad
allora,come una morsa soffocante e un peso opprimente sul petto,che
sniffai la mia prima striscia di cocaina. I granelli di polvere
guizzarono rapidi come un fulmine su per la narice,e,nel momento
stesso in cui mi resi conto di esser semplice carne priva di vita ed
animata solo dalla disperazione,piansi.
Scossi
la testa per scacciare via quegli stupidi ricordi. Non importava chi
ero o quale fosse la mia storia. In quel momento,avevo un solo
pensiero nella testa : devo
trovarla. Fermai il wrangler di fronte ad
una di quelle villette e le mie mani tremolanti spensero il motore.
Mi guardai allo specchietto e non vidi altro che un viso pallido e
bianco come il latte,la pelle al di sotto degli occhi livida ed
incavata,e numerose gocce di sudore sulla fronte. Battei i denti.
Dovevo trovarla. Aprii lo sportello a fatica,e sentii i muscoli delle
braccia cedere,privi di forze. Richiusi lo sportello e mi guardai
intorno. Avevo la sensazione che sarebbe finita male. Avvertivo quel
velo di oscuro avvolgermi,come se fosse stato un avviso sussurrato
nel silenzio della morte. Chiusi gli occhi e respirai a pieni
polmoni. Tremai di nuovo. Dovevo trovarla. Quando li riaprii,il cuore
mi balzò nel petto.
«Sono
morta...» biascicai,con le parole che mi si strozzarono in
gola.
Dalla
fine della strada,stavano arrivando. Decine di teste ricoperte da una
pelle grigiastra e marcia,apparvero all'orizzonte,accompagnate
dall'indistinguibile suono della fine. Avrei dovuto smetterla di
complicarmi la vita. Avrei dovuto finirla,eppure niente risultava
più
astratto nella mia mente. Sarei morta per la seconda volta,per mano
dello stesso assassino. Per la seconda volta,sarei morta da sola.
«O mio Dio».
Ed
eccoci qui,di nuovo. Vi chiedo davvero scusa per il ritardo,ma i
temporali estivi sono micidiali e mi hanno mandato il modem K.O. Spero
davvero di non avervi deluso,ma mi
sembrava necessario un capitolo che spiegasse la storia di Alex,che
è
probabilmente il personaggio più misterioso della
fanfiction. Era giusto
darle spessore,ed era giusto farvi leggere un pezzetto di lei. Forse
è stato azzardato,forse no. E' un personaggio a cui tengo
particolarmente e capirete in futuro il perché. Adesso
diverse cose
si spiegano,come il suo aspetto particolarmente preoccupante che
aveva notato Santana,i suoi atteggiamenti,ma anche la storia del
supermarket che verrà ripresa nel prossimo capitolo. Beh,che
dirvi?Il prossimo capitolo sarà molto molto intenso e
particolarmente impegnativo. State pronti,perchè
succederà qualcosa
di importante (è un eufemismo) per lo svolgimento della
storia.
Con
la speranza che abbiate gradito questo mio ultimo lavoro,vi aspetto
nelle recensioni,come sempre. Vi ringrazio per il vostro supporto
costante e per la carica che mi date.
Alla
prossima!
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