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Autore: writinglove    15/07/2014    2 recensioni
E se l'apocalisse fosse arrivata?Se il male avesse raggiunto un paesino nello stato dell'Ohio?Se in una giornata qualunque,la vita di una ragazza qualunque fosse stata sconvolta nel peggiore dei modi?
Dalla storia :
L’azzurro si mischiò al nero per un istante interminabile,e quel nero non era l’oscurità della notte nella quale eravamo entrambe avvolte. Io non la stavo guardando e lei non mi stava guardando. La verità era che in quell’istante fermo nel tempo,che in quell’attimo pieno d’infinito e di emozioni,noi stavamo leggendo. […] Prima ancora che potessi capire altro,che un’ennesima certezza mi sfuggisse di mano,smisi di leggere. Ed era troppo quel che avevo visto,era tutto troppo…ogni cosa sapeva di una piacevole ed allettante esagerazione. Ma c’era una cosa che non mi scivolò via dalle mani come fosse semplice fumo,un’unica certezza imprescindibile : in quell’attimo la mia esistenza aveva ripreso ad esistere,ed il mio cuore a battere.
Genere: Drammatico, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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capitolo

BETWEEN THE HUNGRY

Alessandra Monroe

Camminavamo nella foresta mano nella mano. I nostri pensieri vagabondavano in un silenzio composto solo dal cinguettio degli uccellini e dal rumore delle fronde degli alberi smosse dal vento. Era arrivato il momento di tornare al campo e a malincuore camminavamo,con la mente ancora ferma in una fotografia che sapeva di felicità nascosta. Io e Brittany avevamo fatto l'amore,di nuovo. La terra umida del nostro piccolo nido sapeva ancora dei nostri odori fusi,delle nostre labbra congiunte,e dei nostri sospiri fugaci. Ogni volta che la sfioravo,ogni volta che toccavo quelle labbra morbide o assaporavo la sua pelle,sentivo nel petto tutto l'amore che provavo. Non c'era niente di più giusto in quel mondo che non ci meritava.

Le accarezzai il dorso della mano con il pollice,lei mi guardò e sorrise.

«Sono felice» disse,continuando a guardarmi con quell'aria estasiata.

Smisi di camminare e le baciai una guancia,poi lei mi attirò a sé con delicatezza,e poggiò le sue labbra sulle mie.

«Ti amo. Sei tutto quello che ho,adesso».

Mi spostò una ciocca di capelli ed i nostri occhi si incontrarono «ti amo» rispose lei,accarezzandomi una guancia «e sei tutto quello che ho».

Ci baciammo a lungo,sebbene fossero ore ormai che eravamo lontane dal campo. Gli altri cominciavano sicuramente a preoccuparsi della nostra assenza,così ricominciammo a camminare a passo svelto. Il tetto naturale sopra le nostre teste finì,e i nostri occhi si spostarono sulle tende poste in quell'immenso prato verde.

«I nostri bisogni durano ore» disse lei,ridendo.

Risi anch'io «colpa di quello schifo di cibo».

Mentre ancora scrutavo il nostro piccolo accampamento,mi accorsi di una cosa : il wrangler non era più lì. Controllai più e più volte,sotto lo sguardo confuso di Brittany,e poi conclusi che non ve n'era traccia. Sentii il cuore balzarmi in gola e poi,in uno scatto improvviso,le mie gambe cominciarono a muoversi rapidissime,in preda ad una paura tremenda ed improvvisa. Brittany corse con me,senza fare domande,e prima ancora che potessi realizzare qualsiasi altra cosa,ci ritrovammo di fronte il gazebo,dove tutti erano radunati. Non proprio tutti.

«Merda!Non ci posso credere...non ci credo!» urlò Steven disperato agitandosi davanti il tavolino,con le mani sul viso.

Il ragazzo neppure si era reso conto della nostra presenza,anzi,a dire il vero non se n'era reso conto nessuno. Tutti guardavano Steven aspettandosi qualcosa,ma non vedevano altro che la rabbia e il panico che lo facevano muovere convulsamente,soffocato dalla preoccupazione. Io e Brittany ci guardammo in faccia,con la stessa espressione confusa e il respiro affannato,e ci avvicinammo di più al gruppo.

«Siete qui!» esclamò Steven,sorpreso.

«Dov'è il Wrangler?»

Il ragazzo scosse la testa e battè forte la mano sul tavolo,in un impeto d'ira. Le pistole sobbalzarono.

«Mia sorella...» disse,facendosi scrocchiare le dita e stringendo il pugno con forza.

Guardai quei volti di nuovo. C'erano Lucas,Noah e Steven. Soltanto tre...

«Alex?» domandai accigliata.

Steven annuì con forza e si passò di nuovo una mano sul viso «mi ha fregato le chiavi!» urlò,colpendo di nuovo il tavolino.

Lucas si allontanò dal ragazzo e si avvicinò a me. Gli presi la mano.

«Che gli hai detto,eh?!» urlò Noah,furioso,avvicinandosi minacciosamente all'altro «scommetto che l'hai sfinita con quella storia del supermarket e adesso è piena di sensi di colpa» si avvicinò ancora. Era nero in viso,ed i suoi occhi erano iniettati di sangue. «Se tutta questa storia è colpa tua,io..»

Steven scosse la testa,disperato «tu non capisci!Non sai di cosa stai parlando».

La rabbia sul viso di Noah si spense improvvisamente e guardò il ragazzo confuso «che intendi dire?»

Steven si allontanò dal tavolo e cominciò a camminare avanti e indietro,torturandosi le mani. «Voi non sapete chi sia Alex,nemmeno immaginate...» si interruppe e continuò a scuotere la testa,come un folle «non capite..non sapete niente» blaterò tra sé e sé.

Aumentai la presa sulla mano di Lucas.

«Cosa?!Cos'è che non sappiamo,Steven?!» gridò Noah,furioso.

Il ragazzo smise di camminare,si voltò e ci guardò. Sul suo viso c'era dolore,disperazione,preoccupazione,paura,panico...ma fu quando mi concentrai sui suoi occhi pieni di lacrime che avvertii quelle sue stesse emozioni assalirmi in un mix devastante.

«Alex è un'ex tossicodipendente. Mia sorella è un'ex drogata e adesso è andata in cerca della sua dose» disse con un filo di voce.



ALEX


Mi sentivo male. Ogni singolo muscolo del mio corpo tremava. Non riuscivo a tenere le mani sul volante e di tanto la macchina mi scappava a destra o a sinistra,senza che lo volessi. Mi asciugai il sudore sulla fronte e tornai a concentrarmi sulla strada. Non riuscivo neppure a respirare,non riuscivo a stare ferma,ma ogni volta che mi muovevo,avvertivo una fitta allo stomaco e ricominciavo a battere i denti per il freddo. Non sapevo dove stessi andando,non sapevo...non ero abbastanza concentrata. La strada pareva muoversi davanti i miei occhi,ed io non riuscivo a tenere la macchina dritta,senza che sbandassi. Un affamato apparve in lontananza,vicino ad una di quelle villette colorate,che stonavano in mezzo al grigio nelle quali erano immerse. Battei i denti di nuovo e feci un respiro profondo. Guardai il volante e le mie mani. Il tremore era aumentato. Mi sentivo male. Perché ero lì? Scossi la testa quando quella domanda mi folgorò. Qualsiasi cosa sarebbe andata bene,qualsiasi!Antidepressivi,Ecstasy,Ketamina,Cocaina...qualunque cosa. Poi,mentre osservavo quell'affamato divenire sempre più vicino e allo stesso tempo più sfocato,ricordai.


Tutto era cominciato quando ancora guardavo il mondo con gli occhi ingenui di una ragazzina. Mio padre mi ripeteva sempre che New York era pericolosa. Peccato che non fosse mai presente nel momento in cui avevo bisogno di sentire quelle parole. Era un famoso avvocato,il più famoso divorzista di tutta New York e,come tale,si ritrovava spesso a viaggiare ed era totalmente assorto dal lavoro. Mia madre,invece,aveva ereditato una fortuna dal suo precedente divorzio durato solo pochi mesi quando ancora era una donna dalla bellezza vivida e naturale,e non faceva altro che spendere e spendere,e ancora spendere,per vivere nella più completa agiatezza. Andava dal chirurgo,organizzava viaggi alle Spa con le sue amiche sposate con importanti imprenditori,e poi partecipava a brunch,feste,inaugurazioni...a tutto,meno che alla mia vita. Spesso usciva di casa ed io neppure sapevo il motivo,non che mi interessasse in fondo. Dall'età di quattordici anni avevo imparato a cavarmela da sola. Mio fratello si era arruolato come marine non appena aveva compiuto vent'anni,insoddisfatto della vita al college,e così ero rimasta sola. Sola in un attico enorme,sola con la mia solitudine ed un senso incolmabile di vuoto. Non appena iniziai il liceo,molte cose cambiarono piuttosto rapidamente. Mi resi conto di aver messo piede in un mondo completamente diverso da quello che conoscevo. Il liceo,infatti,era un mondo a sé stante,un universo parallelo tanto allettante,quanto pericoloso. Imparai che cose come la popolarità,la moda ed i ragazzi erano di primaria importanza. Imparai che per sopravvivere,bisognava annullare la personalità e cedere all'omologazione. Imparai che il tuo cognome era un marchio,un timbro,un biglietto di entrata. Ogni cosa era sbagliata,me ne rendevo conto,ma ben presto l'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio e lentamente le cose mi sfuggirono di mano,mentre ero ancora convinta di avere il pieno controllo della mia vita. Quando conobbi Carly,che mi salutò per la prima volta complimentandosi per il mio modo di vestire,credetti che da quel momento in poi non sarei più rimasta sola. Nel mio attico c'era posto anche per lei e la sua gente,ed il mio cuore aveva immediato bisogno di essere curato.

Cominciammo ad uscire. I ragazzi più ricchi e popolari della città ci invitavano a delle feste favolose. In una di quelle conobbi Ryan. Era il figlio di un petroliere,ed aveva i capelli ricci e di un biondo cenere che portava ribelli,ad incorniciare il viso su cui spiccavano due grandi occhi verdi. Quella sera Carly mi ripeté più volte che Ryan mi aveva puntato e che non potevo farmelo scappare. Era l'ennesimo biglietto di entrata in quella società malsana,così,quando lui mi guardò con quei suoi occhioni intensi e mi sorrise,fui costretta a sorridere a mia volta. Parlammo della scuola,parlammo dello sport,delle feste,dei nostri genitori e poi bevemmo. Bevvi una bud,e tre shot di tequila. La vista divenne improvvisamente offuscata,i rumori distanti,ed i suoi baci insistenti. Mi trascinò in una camera al piano di sopra,e poi lo facemmo. Persi la verginità a quattordici anni,con la confusione che mescolava i miei pensieri incoerenti,e l'alcool che scorreva impetuoso nelle mie vene. Quando tornai a casa alle quattro del mattino e guardai il cellulare,mi accorsi di non aver ricevuto neppure una chiamata. Mia madre non era nel suo letto,mio padre era in viaggio chissà dove e con chi,ed il mio letto era freddo,gelido come il mio cuore. Mi obbligai a non piangere,mi costrinsi a vedere il lato positivo delle cose,ma il groppo che avevo in gola non aveva intenzione di lasciarmi respirare e mi riaddormentai nella più completa solitudine,cercando di ricordare degli sprazzi di quella serata. Brian neppure mi guardò quando tornammo a scuola il lunedì successivo,e non aveva intenzione di farlo. Io lo osservavo di sottecchi,mentre scherzava con i suoi amici,ed avvertivo un peso opprimente al petto. Cosa gli sarebbe costato salutarmi,o scambiare due chiacchere come fossimo buoni amici?Me lo chiesi spesso,ma smisi non appena capii che non valesse la pena concentrarmi su una cosa così inutile. Capii che era così che funzionavano le cose. Carly mi disse che comunque fosse andata,mi ero portata a letto un invidiabile bocconcino,uno dei ragazzi più desiderabili di tutto l'istituto. Fui costretta ad arrendermi a quell'idea e,soltanto un mese dopo,mi ritrovai ad un'ennesima festa,con diversi occhi puntati addosso e sorrisi rivolti con una malizia disarmante. Quella sera bevvi più del solito. Mio padre mi aveva chiamata qualche ora prima e mi aveva detto che non sarebbe tornato per il fine settimana perché era troppo impegnato con un caso di divorzio che valeva milioni di dollari. Mandai giù diversi shot di vodka alla pesca,poi qualche Manhattan ed altri cocktail di cui non ricordai neppure il nome. Mi voltai dal bancone del bar,e vidi Alan Harryson che mi fissava con due piccoli occhi arrossati. Era così fatto,che a stento riusciva a reggersi in piedi. Lui mi raggiunse,con quell'aspetto disorientato,e dopo qualche chiacchera malriuscita me ne andai via sulla sua limousine,per continuare la festa nella sua villa da ultra milionario. Quando tornai a casa alle nove del mattino,dopo aver vomitato anche l'anima in quel lussuoso water,mia madre era in piedi.

«Ciao» mi disse,sorridente «dove sei stata?»

Io la guardai con un'espressione fredda e le risposi «ho dormito da un'amica».

Lei continuò a guardarmi,persa chissà in quale futile pensiero,e mi rispose semplicemente «hai un aspetto terribile. Perché non vai a farti una doccia e non prendi un paio di aspirine?»

Neppure le risposi. Corsi un camera mia e mi chiusi dentro,aspettando che Carly mi chiamasse per programmare la nostra prossima serata.

Poi,però,le cose degenerarono.

Le feste divennero sempre più frequenti al crescere della nostra popolarità e l'alcol divenne senz'alcun dubbio il mio migliore amico. Cominciavano a non bastarmi le sbronze in compagnia di qualche ragazzo e senza che me ne rendessi conto,il sesso divenne l'unico sfogo che avessi. Ma a nessuno importava di come usassi il tempo libero,a nessuno interessava quanto bevessi o a che ora tornassi. L'importante era avere un bell'aspetto,conversare come una donna matura con le amiche della mamma,e sorridere fingendo di stare bene. Con mio padre sorridevo sempre. Ogni volta che raccontava com'era andato il suo ultimo divorzio,io sorridevo e mi complimentavo. E quando si chiudeva nel suo ufficio per parlare al telefono o usciva di casa avvisando di avere un importante impegno da sbrigare,correvo nel suo ufficio e bevevo whisky fino a che non mi girava la testa. Sapevo che era sbagliato,lo sapevo,ma faceva male. Faceva male respirare,sorridere o parlare. Faceva male baciare un ragazzo che neppure ricordava il mio nome,faceva male la mattina dopo quando mi svegliavo in qualche casa sconosciuta,con la testa che mi lampava. Ma a nessuno importava chi fosse realmente Alessandra Monroe o quale fosse la sua vita. A nessuno importava cosa provasse o cosa pensasse. Alex era una ragazza popolare,la figlia di Nathan Monroe,il più famoso e ricco avvocato divorzista.

Una sera,mentre tenevo tra le mani una bottiglia fredda di champagne ed osservavo gli altri ragazzi ballare,Carly mi presentò Troy. Era all'ultimo anno e quando passava per i corridoi della scuola,tutti,ma proprio tutti,lo salutavano. Carly mi disse che quella sera Troy ci avrebbe fatte divertire. Io pensai che avremmo fatto sesso con lui,e invece la serata volse diversamente. Mentre bevevo lo champagne direttamente dalla bottiglia,Troy tirò fuori una busta con delle pasticche.

«Che roba è?» chiesi improvvisamente allarmata,sforzandomi di mettere a fuoco la sua immagine.

Carly mi sorrise e mi disse di stare tranquilla e che quella sera ce la saremmo spassata come non mai.

«Ecstasy» rispose il ragazzo tirando fuori dalla busta tre pasticche «è roba buona,credimi. Ne hai mai provata una?»

Scossi la testa,guardandolo confusa.

«Sono ottime per godersi la serata. Sono innocue,credimi. Ti sgombrano la mente e ti sballano di brutto» mi rassicurò lui con tranquillità,come se stesse spiegando gli ingredienti di una torta.

Poi capii : Troy era un pusher. Lo guardai un'ultima volta,guardai Carly che mi incitava con lo sguardo,e ingoiai la pasticca con lo champagne,senza pensarci più.

Lentamente,senza rendermene conto,quel mondo malsano inglobò la mia vita a sé. Divenne parte costituente,fondamentale ed insostituibile. Sesso,droga e alcol. Sesso,droga e alcol. E poi ancora : sesso,droga e alcol.

Una mattina,quando tornai a casa dopo aver passato la notte a fumare marijuana,fatta di ecstasy e su di giri per l'alcol,mi madre mi bloccò sulla soglia d'entrata.

«Dove sei stata?» mi chiese,accigliata.

Mi passai le mani sul viso dall'aspetto cadaverico,e mi sforzai di ignorare la nausea che mi metteva in subbuglio lo stomaco.

«Da Carly» risposi fredda.

Lei esaminò il mio viso con apparente cura,ed indurì l'espressione «non mi piace come ti comporti ultimamente,Alessandra».

La guardai sconvolta. Era mia madre o una sosia?

«Hai rovinato la festa di bentornato che avevo organizzato per Lydia».

Poi ricordai,con un sorriso amaro ed ebbi la risposta alla mia domanda. Io,Carly,Tracy,Troy e Wren avevamo preso tutte le bottiglie di champagne e ce l'eravamo svignata,lasciando la festa priva dell'elemento più importante.

«Non succederà più» risposi secca.

Lei mi sorrise,con quell'aria da svampita,ed io salii in camera mia.

Le cose,ogni cosa,continuava imperterrita a portare dolore nella mia vita. La solitudine non spariva né con le amicizie,né con il sesso. Mio fratello,il mio migliore amico,non c'era e nulla,ma proprio nulla riusciva a colmare il vuoto nel mio petto. Così,una mattina,prima di andare a scuola,con un'ansia crescente che si impadroniva del mio corpo,decisi.


Troy mi guardò ancora una volta,prima di sganciare la busta che teneva in mano.

«Sta' tranquillo!» tentai di rassicurarlo «lo sai che non esagererò. Quante volte devo ripetertelo?»

Lui continuò ad osservarmi,accigliato,ed alzò gli occhi al cielo «non mi piace che tu usi questa roba. Conosco delle persone che sono finite male. Che ne dici se ti do quelle pasticche che hai provato al Webster?Sono ottime. Oppure ho anche quel...»

«Ma che cazzo!» esclamai stufa «La smetti di comportarti come se fossi il mio ragazzo?Ho i soldi. Dammi quella roba e facciamola finita».

Lui sbuffò «Alex...»

«No».

Mi porse la busta arancione controvoglia,e quando feci per prenderla,lui continuò a fare resistenza.

«Troy!» esclamai alterata «Molla questa cazzo di busta!»

Sbuffò di nuovo e poi obbedì.

Presi la busta,la infilai alla svelta nello zaino,e ne presi un'altra.

«Ecco i tuoi soldi» dissi secca,lanciandogliela addosso.

Mi voltai e rincominciai a camminare.

«Alex!» mi chiamò lui.

Non mi voltai.

«Fa' attenzione!»


Quando tornai a casa,mi accorsi che era vuota,di nuovo. Salii in camera mia e mi sedetti sul letto,con la busta tra le mani. Non potevo finire di complicarmi la vita in quel modo,eppure,allo stesso tempo, sapevo che sarebbe diventata ancora più semplice. Non provare niente,non sentire alcuna emozione,se non l'euforia che la droga o l'alcol mi davano,limitava la mia vita,ed in fondo era quello che volevo. Non ero altro che un involucro triste e vuoto,privo di sentimenti,con un cuore gelido e un petto scavato. Quando stavo per mettere via la busta,il telefono squillò. Lessi il nome sul display,con la speranza che fosse mio padre,ed invece vidi il nome di Sam Bukley. Il mondo mi crollò addosso,per l'ennesima volta. A scuola si era diffusa la voce che fossi una facile e,in men che non si dica,i ragazzi cominciarono a provarci spudoratamente con me,in ogni situazione,soltanto per portarmi a letto. Sam era uno di quelli,e non era mio padre. Con l'amaro in bocca spensi il display del cellulare e mi portai le mani sul viso. Sam non era mio padre. Mia madre non c'era,mio fratello nemmeno. Fu nella solitudine che mi aveva accompagnata sino ad allora,come una morsa soffocante e un peso opprimente sul petto,che sniffai la mia prima striscia di cocaina. I granelli di polvere guizzarono rapidi come un fulmine su per la narice,e,nel momento stesso in cui mi resi conto di esser semplice carne priva di vita ed animata solo dalla disperazione,piansi.


Scossi la testa per scacciare via quegli stupidi ricordi. Non importava chi ero o quale fosse la mia storia. In quel momento,avevo un solo pensiero nella testa : devo trovarla. Fermai il wrangler di fronte ad una di quelle villette e le mie mani tremolanti spensero il motore. Mi guardai allo specchietto e non vidi altro che un viso pallido e bianco come il latte,la pelle al di sotto degli occhi livida ed incavata,e numerose gocce di sudore sulla fronte. Battei i denti. Dovevo trovarla. Aprii lo sportello a fatica,e sentii i muscoli delle braccia cedere,privi di forze. Richiusi lo sportello e mi guardai intorno. Avevo la sensazione che sarebbe finita male. Avvertivo quel velo di oscuro avvolgermi,come se fosse stato un avviso sussurrato nel silenzio della morte. Chiusi gli occhi e respirai a pieni polmoni. Tremai di nuovo. Dovevo trovarla. Quando li riaprii,il cuore mi balzò nel petto.

«Sono morta...» biascicai,con le parole che mi si strozzarono in gola.

Dalla fine della strada,stavano arrivando. Decine di teste ricoperte da una pelle grigiastra e marcia,apparvero all'orizzonte,accompagnate dall'indistinguibile suono della fine. Avrei dovuto smetterla di complicarmi la vita. Avrei dovuto finirla,eppure niente risultava più astratto nella mia mente. Sarei morta per la seconda volta,per mano dello stesso assassino. Per la seconda volta,sarei morta da sola.

«O mio Dio».

Ed eccoci qui,di nuovo. Vi chiedo davvero scusa per il ritardo,ma i temporali estivi sono micidiali e mi hanno mandato il modem K.O. Spero davvero di non avervi deluso,ma mi sembrava necessario un capitolo che spiegasse la storia di Alex,che è probabilmente il personaggio più misterioso della fanfiction. Era giusto darle spessore,ed era giusto farvi leggere un pezzetto di lei. Forse è stato azzardato,forse no. E' un personaggio a cui tengo particolarmente e capirete in futuro il perché. Adesso diverse cose si spiegano,come il suo aspetto particolarmente preoccupante che aveva notato Santana,i suoi atteggiamenti,ma anche la storia del supermarket che verrà ripresa nel prossimo capitolo. Beh,che dirvi?Il prossimo capitolo sarà molto molto intenso e particolarmente impegnativo. State pronti,perchè succederà qualcosa di importante (è un eufemismo) per lo svolgimento della storia.

Con la speranza che abbiate gradito questo mio ultimo lavoro,vi aspetto nelle recensioni,come sempre. Vi ringrazio per il vostro supporto costante e per la carica che mi date.

Alla prossima!

  
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