La
Famiglia Kazama
Livello di sicurezza 6.
Accesso
Negato.
Charlotte
sbuffò innervosita.
Detestava quel
dannato livello di sicurezza e ancora di più non potervi
accedere.
Indispettita
fissò lo schermo del computer, dove le parole “Jun
Kazama” si stagliavano a caratteri cubitali, come a deridere
il suo misero account non autorizzato e sempre più irritata
chiuse il portatile, sbattendolo con poca cura.
Aveva i nervi
a fior di pelle, non solo aveva scoperto che, senza alcun motivo
logico, nei database della compagnia c’erano file su Jin e
tutta la sua famiglia, ma adesso che voleva consultarli non poteva
farlo perché nel suo stupido account non era previsto
l’accesso al livello sei.
Il miagolio di
Ra irritò ulteriormente la ragazza, la quale
cercò di ignorarlo. Quel gatto era stata una condanna,
più ci pensava più si convinceva
dell’errore fatto nel portarlo a casa.
« Ra
sta un po’ zitto!» esclamò esasperata
Charlie.
Doveva
riflettere e l’insistente ed esasperante miagolio non
l’aiutava affatto.
Il micio la
fissò offeso e per vendetta saltò sulla libreria
facendo cadere tutto ciò che c’era sopra.
«
Ra!» urlò Charlotte scattando in piedi, mentre
l’animale si sistemò soddisfatto in cima al
mobile. « Stupido gatto!»
Imprecando
silenziosamente riunì i vari libri e oggetti a terra e tra
di essi trovò qualcosa che le diede un’idea su
come trovare le informazioni che le servivano.
«
Per questa volta ti è andata bene» disse a
mo’ di minaccia alzando gli occhi verso il micio, per poi
recuperare il suo cellulare.
Ci mise un
po’ prima di comporre il numero desiderato, infondo era da
molto tempo che non lo faceva e dal modo in cui si erano conclusi i
loro rapporti non era molto sicura di volerlo sentire nuovamente.
Però che altra scelta aveva? Se davvero voleva qualche
informazione su Jun Kazama l’unica cosa da fare, sorvolando
l’improponibile opzione di domandare al figlio, era chiedere
aiuto a Jimmy Fong.
Charlie
sospirò e lentamente compose il numero.
Il cellulare
all’altro capo squillò per molto tempo, anche
più del dovuto probabilmente, e quando la giovane si
convinse che nessuno ormai le avrebbe risposto, una calda voce che fin
troppo bene conosceva disse « Pronto.»
«
Ciao Jimmy, sono Charlie.»
Per diversi
attimi il ragazzo all’altro capo del telefono rimase in
silenzio, poi dopo quella che alla giovane sembrò
un’eternità, rispose «
Charlotte.»
«
Come stai?»
«
Che ti serve?» chiese lui di rimando.
«
Perché pensi che mi serva qualcosa?»
domandò ferita lei, davvero credeva che lo avrebbe chiamato
soltanto per necessita? Anche se effettivamente era per il suo aiuto
che lo aveva cercato, questo non significava certo che si ricordava di
lui soltanto nel momento del bisogno.
«
Andiamo Charlie» disse Jim e alla ragazza sembrò
quasi di sentirlo sorridere. « Sono passati quattro anni
dall’ultima volta.»
« Lo
so, mi dispiace.. Io ho..»
«
Risparmiami patetiche scuse come: “ho avuto da
fare” o “sono stata
impegnata”.»
« Mi
dispiace, scusami.»
Jimmy
sospirò, dispiaceva anche a lui.
«
Dai Charlie, che ti serve?»
«
Lavori ancora per l’Interpool?»
«
Si..»
«
Puoi procurarmi informazioni su Jun Kazama?»
«
Si, certo. Per quando ti servono?»
« Il
prima possibile.»
«
Okay, ti farò sapere in questi giorni.»
«
Grazie Jim.»
« Di
niente.»
Per alcuni
attimi nessuno dei due parlò, incapaci di aggiungere altro o
semplicemente attaccare, poi rassegnatosi il ragazzo concluse
« Ci sentiamo presto.»
«
Si. Ciao Jim.»
«
Ciao Charlotte.»
Come Jimmy le
aveva promesso, nel giro di pochi giorni trovò le
informazioni richieste e in un caldo pomeriggio Charlie si
trovò seduta nello stesso caffè in cui
più di quattro anni prima aveva incontrato la giovane
recluta Jimmy Fong.
Era
un assolato pomeriggio di inizio autunno e Charlotte, al limite della
sua pausa pomeridiana stava tornando verso il suo istituto, per
affrontare l’interminabile lezione di economia aziendale, la
quale, data la vivace tonalità funebre della docente,
richiedeva una dose doppia di caffè per essere superata.
La
ragazza camminava con deliberata lentezza, pensando ad almeno un
centinaio di modi in cui avrebbe preferito passare quel pomeriggio, ma
a cui doveva rinunciare per quella noiosa lezione.
Charlie
detestava profondamente economia aziendale e non solo perché
la vivacità della professoressa era pari a quella di un
bradipo in fin di vita, ma perché per due lunghissime ore
avrebbe dovuto affrontare noiosissimi calcoli di bilanci e leggi
giuridiche in chiave economica, che ad una sedicenne interessavano ben
poco.
“Stupido
Teorema della Ragnatela” pensò la giovane,
immaginando il tono strascicato con cui la sua professoressa
l’avrebbe pronunciato.
Facendo
una smorfia al solo pensiero la ragazza guardò
l’orologio, aveva ancora tre minuti per arrivare in orario
e.. Bum!
«
Brucia! Brucia! Brucia!» imprecò Charlotte
gettando a terra il bicchiere che, prima che finisse sulla sua
camicetta, conteneva il suo caffè.
«
Oh Dio! Scusami! Scusami tanto! Io andavo di fretta e non ti ho vista,
scusami davvero. Stai bene?» chiese qualcuno mettendole una
mano sulla spalla.
Charlie
alzò lo sguardo incontrando il volto di un giovane ragazzo
dai gentili occhi celesti, il quale le sorrise dispiaciuto.
«
Scusami davvero. Ti sei fatta male?»
Lei
scosse la testa, ma quando il ragazzo abbassò lo sguardo
sulla camicetta macchiata esclamò « Mi dispiace
tantissimo, è rovinata.»
«
Non fa niente, posso sempre lavarla.»
Lui
annuì, poi togliendosi la sciarpa aggiunse «
Prendi questa, puoi nascondere la macchi almeno.»
«
Grazie» rispose Charlie permettendogli mettergliela.
«
Perfetto» disse soddisfatto. « Adesso scusa, ma
devo scappare sono in tremendo ritardo.»
«
Si, anche io» annuì la giovane. « Ehi
aspetta, ma come farò a restituirtela?»
Il
giovane fece spallucce. « Credo proprio che dovremo
rivederci.»
Charlotte
sorrise. « Si, penso anche io. Domani?»
«
Qui?»
«
Si.»
«
Allora a domani.. Scusa, ma non ho afferrato il tuo nome.»
«
Charlotte..»
«
Io sono Jimmy.»
« Sei in
anticipo» disse una calda voce riportandola al presente.
« Di nuovo.»
«
No, sei tu che sei in ritardo anche questa volta.»
I loro occhi
si incontrarono e un sorriso malinconico si aprì sulle loro
labbra: si erano detti le stesse frasi di all’ora.
Per alcuni
attimi nessuno dei due parlò, scrutandosi a vicenda: lui
portava i capelli più corti, il suo fisico era
più tonico e al suo anulare sinistro stava una fedina; lei
aveva i capelli più lunghi, il suo volto si era affinato e
il suo stile nel vestire era diventato più elegante, ma i
suoi occhi non erano cambiati, oggi come all’ora erano di una
luminosità disarmante.
«
Jim io..» iniziò a dire Charlie, venendo
però interrotta da un cenno del ragazzo: non era
lì per rivangare sul passato.
«
Lascia stare..»
« No
invece, io ti devo delle scuse.»
«
Charlie sono passati quattro anni ormai..»
«
E’ proprio per questo che te le devo.. Io.. Avrei voluto
richiamarti Jim, davvero. Non hai idea di quanto avrei voluto farlo, ma
avevo paura del tuo giudizio, di quello che avresti pensato di
me..»
Jimmy
sospirò, sapeva che era una pessima idea rincontrarla, ma
non era mai stato capace di dirle di no, anche se quello significava
riaprire vecchie ferite.
«
Avevo diciassette anni, Jim. Ero una ragazzina.. Avevo paura che se ti
avessi detto che mio padre era uno degli uomini che disprezzavi tanto,
avresti odiato anche me.. Io.. Adesso mi rendo conto quanto sono stata
stupida, ma all’ora mi sembrava giusto
così..»
«
Charlie» le disse lui allungando una mano per sfiorare quella
di lei. « L’ho superata orami.»
La giovane
annuì sorridendo tristemente, mentre Jim abbassò
lo sguardo.
In
realtà lui non aveva mai superato davvero tutta quella
storia, la verità era che non si era mai perdonato per non
averla mai più ricercata, per non averle detto che infondo
non gli importava niente di chi fosse suo padre, la verità
era che tutt’ora si pentiva di non averla riportata indietro
quando ne aveva avuto l’occasione. Ma questo non poteva
dirglielo, questo lei non l’avrebbe mai saputo,
perché quattro anni erano molti e troppe cose orami erano
cambiate, loro erano cambiati.
Il silenzio
cadde su di loro e nessuno dei due trovò niente da dire per
interromperlo: troppi ricordi aleggiavano tra di loro, troppe frasi non
dette gli separava, troppi rimorsi gli corrodeva e troppi rimpianti gli
agognava.
Soltanto
quando la cameriera venne a prendere le ordinazioni e tornò
con due caffè, si decisero a parlare.
«
Ciò che mi hai chiesto» disse Jimmy porgendole una
busta.
La ragazza
sorrise aprendola ed estraendo un fascicolo interamente dedicato a Jun
Kazama.
«
Grazie, Jim.»
L’agente
Fong la osservò leggere attentamente le informazioni che lui
le aveva consegnato e un insensata angoscia lo pervase: non era stato
per niente facile arrivare a quel file, aveva dovuto accedere a
database secretati e a livelli di sicurezza estremamente alti.
«
Charlie» chiese improvvisamente. « In che guaio ti
stai cacciando questa volta?»
Charlotte
alzò appena lo sguardo dal fascicolo e inarcando un
sopracciglio rispose « In nessun guaio.»
Lui
alzò gli occhi al cielo.
«
Charlie sai dove ho preso quel fascicolo?»
La ragazza
fece spallucce e Jim continuò « Era nei database
dell’Interpool, ma è stato preso hackerando i
sistemi della Mishima Zaibatsu. Hai idea di cosa significa?»
«
Che se i Mishima se ne accorgono siete nei guai?»
«
Che ti stai cacciando in qualcosa di molto pericoloso, tutto
ciò che ha a che vedere con quella famiglia porta solo
guai.»
«
Hai sempre avuto la tendenza a vedere le cose peggiori di quello che
realmente sono, Jim.» rispose lei con fina noncuranza.
Jimmy
alzò gli occhi al cielo esasperato, poi esclamò
« Charlie sono serio!»
Lei fece
spallucce, sapeva benissimo che mettersi sulla strada dei Mishima non
era raccomandabile, ma non le interessava. Al ragazzo invece
bastò guardarla negli occhi per capire che avrebbe comunque
continuato quel percorso, pericoli o meno e questo non poteva
permetterlo.
«
Perché non mi ascolti mai?! Perché devi essere
così maledettamente testarda!» esclamò
il ragazzo sbattendo le mani di fronte a sé. «
E’ stato un errore portarti quel fascicolo, forza
dammelo.»
Charlotte
sussultò, stringendo a sé i fogli. «
No.»
«
Charlie dammi il dossier.»
«
Non lo farò.»
«
Non costringermi a denunciarti all’Interpool.»
«
Fallo pure, ma cosa pensi diranno i tuoi superiori quando gli
dirò che sei stato tu a consegnarmelo?» rispose la
Hellenton.
Per diversi
attimi nessuno dei due parlò, gli occhi fissi in quelli
dell’altro, sfidandosi con lo sguardo, entrambi forti delle
loro convinzioni, entrambi decisi a non cedere.
Sembrò
passare un’eternità senza che nessuno battesse
ciglio, poi a rompere quel silenzio carico di tensione fu il cellulare
di Jim.
«
Fong» rispose il ragazzo, senza staccare gli occhi da
Charlie.
Charlotte
osservò il giovane annuire alle parole del suo interlocutore
misterioso e rispondere di tanto in tanto con informazioni del tutto
irrilevanti per lei, fino a che la chiamata non si concluse.
«
Si, tra un attimo sono da te» rispose Jim buttando
giù.
«
Lavoro?» domandò lei.
Il ragazzo
annuì, poi sospirando sconfitto aggiunse «
Charlie, ti prego, in qualsiasi cosa tu ti stia buttando, ti scongiuro,
lascia perdere.»
«
Non posso Jim.»
«
Perché?» chiese esasperato lui.
Perché?
Forse
perché quella donna di cui lui gli aveva dato informazioni
le appariva continuamente in sogno? Perché lei le chiedeva
continuamente di proteggere suo figlio? Perché non aveva la
più pallida idea da cosa dovesse proteggerlo?
Perché tutta quella situazione stava rischiando di mandarla
fuori di testa e l’unico modo per capirci qualcosa era
conoscerla meglio?
«
Perché devo.»
Jimmy scosse
la testa afflitto. Sapeva fin dall’inizio che incontrarla di
nuovo sarebbe stata una pessima idea, che farlo avrebbe riaperto
vecchie ferite e vecchi legami, ma non immaginava quanto ancora forte
potesse essere ciò che lo legava a lei.
« Ti
prego, promettimi che starai attenta» chiese alla fine,
sfiorandole la mano.
« Te
lo prometto. Fidati di me.»
Per
l’ennesima volta i loro sguardi si incrociarono, dicendo per
loro tutto ciò che non riuscivano a parole.
«
Fidati di me» insistette lei, sorridendo.
Jim scosse la
testa. « So già che me ne
pentirò.»
E con quel
sorriso ancora impresso nella mente Jimmy Fong uscì dal
locale.
«
Alla buon ora!» esclamò il suo collega una volta
che lui salì in auto. « Ce ne hai messo di tempo,
che accidenti stavi facendo là dentro?»
«
Niente» tagliò corto il ragazzo.
Lei Wulong
lavorava fianco a fianco con lui da diversi anni ormai e aveva imparato
a conoscere così bene il suo collega che bastava un semplice
sguardo per capire come stava e in quel momento Jimmy Fong non stava
affatto bene.
«
E’ tutto okay?»
«
Si, grazie.»
«
Sicuro?»
«
Si. Parti.»
Lei
annuì, sapeva che il suo amico si sarebbe aperto non appena
si fosse sentito pronto, anche se non immaginava che lo avrebbe fatto
così presto: infondo era pur sempre Jim.
«
Lei, posso chiederti un favore? Un favore da amico.»
«
Certo» rispose il detective, confuso.
«
Potresti tenere d’occhio una persona per me?»
«
Sicuramente» rispose il poliziotto, poi incuriosito aggiunse
« Posso chiedere perché non te ne occupi
tu?»
Jimmy non era
mai stato il tipo che scaricava i suoi problemi agli altri, quando
c’era qualcosa di cui occuparsi, volente o nolente, lo faceva
e basta.
«
Perché sono troppo coinvolto. Allora, puoi farlo?»
«
Si, certo. Dimmi il nome.»
Jim
sospirò.
«
Charlotte Hellenton.»
Esattamente
come Jimmy Fong poco prima, anche Charlotte lasciò il locale
per salire sulla sua auto e partire per qualche angolo del paese.
Come aveva
letto nel fascicolo la famiglia Kazama era proprietaria di un dojo ad
un paio d’ore d’auto da lì e la ragazza,
pur constatando che lo avrebbe raggiunto in molto meno tempo se avesse
aspettato il giorno successivo e fosse partita da casa sua, diede
ordine a Ricardo di mettersi in viaggio.
Per tutto il
tragitto Charlie lesse e rilesse il dossier fino ad impararlo quasi a
memoria, scoprì così, che Jun Kazama nacque in un
piccolo villaggio immerso nella natura e che proprio grazie alle sue
origini entrò nella Polizia Ambientale; partecipò
al secondo Iron Fist Tournament, dove conobbe Kazuya Mishima, dal quale
ebbe un figlio. Scomparve in circostanze misteriose quindici anni dopo
e da allora non si avevano più sue notizie.
Il fascicolo
custodito alla Mishima Zaibatsu però, oltre a racchiudere
informazioni sul passato della ragazza faceva anche riferimento ad
alcune strane capacità che lei sembrava avere. Erano tutte
informazioni appena accennate, niente di particolarmente approfondito,
ma il solo fatto che ci fossero fecero supporre a Charlotte che fossero
vere.
Raggiunsero il
dojo nel tempo prestabilito e quando Charlie scese dall’auto,
aiutata dal suo autista personale il caldo asfissiante
l’accolse, facendole rimpiangere di non aver
rimandato la visita ad un orario più fresco.
«
Grazie Ricardo. Va pure, ti chiamerò quando sarò
pronta.»
L’uomo
annuì e salendo in automobile ripartì.
Una volta
rimasta sola Charlotte si guardò intorno: si trovava in una
piccola e tranquilla cittadina, piuttosto carina tutto sommato, molto
diversa dalle caotiche metropoli che era abituata a frequentare, ma a
suo modo affascinante. Di fronte a lei si estendeva una maestosa
struttura in stile giapponese che si rivelò essere il dojo
della famiglia Kazama.
Senza pensare
minimamente a come si sarebbe presentata, né a come avrebbe
spiegato le sue bizzarre richieste Charlie entrò nella
struttura dove venne accolta da un’atmosfera di calma e
tranquillità.
Calma e
tranquillità che però vennero rotte pochi secondi
dopo da tre uomini, tutti elegantemente vestiti, che
trafelati se la stavano dando letteralmente a gambe.
« Ma
che accidenti..?»
« E
questo è tutto!» esclamò poi una voce
femminile proveniente dalla stanza adiacente, seguita dalla comparsa di
un quarto uomo, anch’egli elegantemente imbellettato,
letteralmente lanciato nell’atrio. « E non
azzardatevi a tornare!»
Il malcapitato
si alzò frettolosamente in piedi e senza neanche recuperare
le sue cose corse a rotta di collo verso l’uscita.
Charlotte
osservò la scena a bocca aperta e con cautela raggiunse
l’entrata che conduceva alla seconda sala.
La porta la
condusse in un’enorme stanza colma di attrezzi da
allenamento, all’interno della quale due giovani ragazze
stavano parlando tra loro.
«
Sai forse hai un pochino esagerato Asuka» disse una giovane
dai lunghi codini neri.
«
Esagerato un corno! E’ stato il minimo!»
esordì l’altra come una furia.
Charlotte si
schiarì la voce ed esitante chiese « E’
permesso?»
Immediatamente
le due figure si voltarono verso di lei, lasciandola di stucco: per un
attimo ebbe come l’impressione di trovarsi di fronte Jun
Kazama.
«
Chi accidenti è lei? Cosa vuole?»
esclamò quella che doveva chiamarsi Asuka. « Se
è qui per acquistare la struttura ho già spiegato
ai suoi colleghi che non sono interessata!»
«
No, no, non sono qui per questo» rispose Charlie, immaginando
che lei si riferisse ai tizi in giacca e cravatta che aveva visto
scappare appena arrivata. « Sto cercando il signor
Kazama.»
Asuka
incrociò le braccia al petto squadrando Charlie, poi rispose
« Non c’è.»
«
Capisco. Sa dove posso trovarlo? O quando?»
«
E’ in ospedale.»
« Mi
dispiace molto, io non..»
« Ma
per qualsiasi cosa può rivolgersi a me, sono sua
figlia» disse la ragazza.
«
Si, grazie» rispose la Hellenton osservando il suo volto, era
incredibile quanto fosse simile a Jun.
Asuka
ricambiò il suo sguardo inarcando un sopracciglio perplessa,
poi facendo spallucce si voltò verso la compagna dicendo
« Dove eravamo rimaste?»
« Al
compito di economia di domani e che devo dare da mangiare a
Panda.»
« Si
giusto il compito..» sbuffò Asuka. « Ma
quel panda non si stanca mai di mangiare?»
« Tu
che dici?» rispose la ragazza coi codini andando a recuperare
la sua borsa. « Forza andiamo che dobbiamo
studiare.»
«
Non me lo ricordare.. Devo assolutamente farlo bene quel
test.»
« A
chi lo dici! L’anno scorso sono riuscita a raggiungere la
media minima per un soffio.»
Charlotte
osservò le due ragazze allontanarsi verso
un’uscita secondaria, senza degnarla di uno sguardo, quasi
come non esistesse e senza sapere che fare si chiarì la voce
per richiamare la loro attenzione.
Entrambe si
voltarono verso di lei e Asuka, inarcando un sopracciglio, chiese
« Si?»
« Mi
dispiace disturbarvi, ma vorrei parlare con il signor Kazama di una
questione che a me preme molto e..»
« Le
ho già detto che mio padre è in ospedale e al
momento non può ricevere visite» la interruppe la
giovane.
«
Capisco, magari allora potrei parlarne con lei.»
Asuka
inarcò le sopracciglia osservandola infastidita, quella tipa
era davvero insistente, ed annuendo la invitò a seguirla.
Charlotte
seguì le due ragazze verso l’uscita posteriore
della struttura che le condusse in un modesto giardino, dove vennero
accolte da un enorme panda dai bracciali colorati.
« Si
sieda pure» disse la Kazama indicando un piccolo tavolo
situato sotto un gazebo.
«
Grazie, ma mi dia del tu, siamo quasi coetanee» rispose
Charlie accomodandosi.
« Lo
stesso vale per te» annuì lei.
« Ti
ringrazio molto.»
Un silenzio
imbarazzante cadde tra di loro e venne interrotto soltanto alcuni
minuti dopo dall’animale che con un sonoro sbadiglio
richiamò la loro attenzione.
«
Accidenti Panda, arrivo!» esclamò la giovane con i
codini. « Scusate.»
Charlotte
osservò la mora allontanarsi con un ramo di bambù
in mano, sotto lo sguardo di Asuka, che sempre più perplessa
la scrutava. La Kazama, infatti, più guardava quella bella e
raffinata ragazza meno riusciva ad immaginare cosa potesse volere da
suo padre, cosa mai poteva fare lei per una tipa i quali vestiti
probabilmente costavano quanto la struttura del suo dojo? Insomma,
quella biondina non aveva certo l’aspetto di una interessata
alle arti marziali, quindi che diavolo poteva volere da suo padre?
«
Non per passare per quella scorbutica, ma possiamo arrivare
direttamente al dunque?» chiese Asuka.
«
Hai perfettamente ragione e ti chiedo scusa per essermi dilungata
così inutilmente» rispose Charlie, sconcertando
ancora di più la sua ascoltatrice. « Vorrei che mi
parlassi di tua zia, Jun Kazama.»
A quelle
parole la giovane con i codini si voltò di scatto, mentre
l’altra facendo spallucce rispose « E morta diversi
anni fa, o se vogliamo attenerci alla versione di mio padre
è misteriosamente scomparsa e prima o poi
tornerà. Ma secondo me è semplicemente
morta.»
Charlotte fu
palesemente delusa da quella risposta sommaria, si era aspettata
qualcosa di più, così senza darsi per vinta
aggiunse « Si, sono a conoscenza del suo decesso,
però quello che intendevo era se potresti raccontarmi
qualcosa di lei, sai passioni, aspirazioni, qualche dote
particolare..»
Asuka
rifletté un attimo, poi scuotendo la testa rispose
« Non so, non l’ho mai conosciuta e mio padre non
parla mai di lei. Tutto ciò che so, dipartita a parte,
è che ha un figlio, magari puoi chiedere a lui.»
«
Si.. Magri farò così..»
La Kazama
osservò il volto deluso della sua ospite, poi facendo
spallucce si alzò facendole così capire che era
giunto il momento di andarsene. Charlotte la imitò
ringraziandola per il suo aiuto e porgendole la mano, che
l’altra strinse, ma non appena le due furono in contatto
tutto intorno alla Hellenton iniziò a vorticare e
il buio l‘avvolse.
Charlie
aprì gli occhi.
Tutto intorno a lei
regnava un calma sconcertante.
Alzò il volto
cercando di capire dove si trovasse, ma ciò che le
saltò subito agli occhi fu una figura.
Jun Kazama.
Jun si voltò
verso di lei, facendole cenno di avvicinarsi.
Senza sapere come
Charlie fu al suo fianco. La donna le sorrise, ma non fu un sorriso
normale, avevano un che di inquietante quelle labbra incurvate.
Lentamente
l’espressione della donna cambiò, assumendo una
smorfia di malvagia soddisfazione.
Intorno a loro tutto si
fece scuro e Jun abbassa il volto.
Un violaceo liquido
viscoso l’avvolse e quando nuovamente alzò il viso
esso era completamente mutato: i capelli erano diventati neri come la
notte, il suo sorriso maligno ed i suoi occhi, prima di un castano
caloroso, adesso erano di un giallo d’orato inquietante.
Charlotte avrebbe voluto
fuggire, ma i suoi muscoli le impedivano di muoversi.
La nuova Jun
allungò un braccio verso di lei e quello strano liquido
iniziò ad avvolgerla.
Charlie chiuse gli
occhi, incapace di lottare.
Sentì il
freddo penetrarle dentro, soffocando quel calore naturale presente
dentro di sé. Sentì il terrore sparire
lentamente, lasciando il posto a qualcosa di diverso e di
spaventosamente sbagliato,
Qualcosa le impose di
aprire gli occhi e di fronte a lei Jun la guardò
soddisfatta.
Si fissarono per alcuni
attimi, poi la donna di fronte a lei mutò mostrandole una
giovane dai crudeli occhi gialli.
Charlie
gridò.
Quello era il suo
riflesso.
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