"Take, take all you need
And i'll
compensate your greed
With broken
hearts
Sell i'll sell
your memories
For 15 pounds per
year
But just the good
days
Say, it'll make
you insane
And it's bending
the truth
You're to blame
For all the life
that you'll lose and you watch this space
But i'm going all
the way
And be my slave
to the grave
I'm the priest
God never paid."
The
Small Print- Muse
26. The
Small Print
“Quando la tempesta sarà finita,
probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a
uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero.
Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu,
uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è
entrato.”
Haruki Murakami
Odiava le feste.
Nello specifico odiava le persone che vi incontrava.
Per giorni Brad aveva cercato di convincerlo a presenziare,
finché ci era riuscito, o meglio, lo aveva costretto
velatamente.
Dopo essersi vestito elegante per il grande evento al quale avrebbero
partecipato, a detta di Brad, alcune delle personalità di
spicco del business londinese, si fissò allo specchio per
qualche istante e dopo mesi aveva veramente guardato il suo riflesso.
Non gli era più interessato conoscere il proprio aspetto;
non pensava fosse importante sapere se era bello, brutto, ordinato,
elegante: ormai il suo specchio era Brad, anzi, la sua espressione.
Quella sera lo aveva guardato estasiato e soddisfatto.
«Truccati.» gli
“consigliò” mentre il ragazzo
abbottonava i polsini.
«Mi hai preso per uno spaventapasseri?» chiese
senza neanche guardarlo.
Brad si avvicinò, ponendosi alle sue spalle; lo
afferrò dalla vita trascinandolo verso di sé
dalla cinta, per poi poggiarsi con il mento sulla spalla del ragazzo.
Squadrò il loro riflesso allo specchio e con estremo
compiacimento sorrise: amava ciò che vedeva.
Senza distogliere lo sguardo gli morse il collo, godendo del contatto
visivo. Dopo avergli passato la lingua sulla pelle lasciò
che i bollenti spiriti si calmassero: «Truccati.»
«Non uso farlo, non ho l’occorrente.».
Lo liberò di colpo per dirigersi in bagno; ne
uscì con ciò che serviva.
Jay pensò che quella pretesa fosse solo un'altra delle sue
tante fantasie erotiche; tesi avvalorata dagli sguardi accaldati e
ammiccanti che spesso gli aveva lanciato durante il viaggio in macchina.
Abbandonato sullo schienale dell’auto, Jay fissava la strada
cercando di capire dove questa fantomatica festa privata avrebbe avuto
luogo.
Vide riflessi al finestrino i suoi occhi contornati dalla matita nera
che, con linee marcate, faceva risaltare il colore chiaro delle sue
iridi: disgustoso.
***
Arrivarono nei pressi di Kensington e dopo aver percorso Holland Park
Avenue si fermarono davanti ad uno dei tanti lussuosi condomini del
quartiere.
Scese dall’auto guardando in direzione dell’attico
ben visibile per via delle ampie vetrate che fungevano da pareti. Tutto
l’attico dava spettacolo di sé, riuscendo ad
illuminare con le sue luci finanche la strada:
«Un’umile dimora. Il proprietario sarà
felice di dire al mondo quanto è figa la sua
casa.» disse ironicamente, schiacciando al suolo la sigaretta
appena accesa e che Brad gli aveva strappato prontamente dalle labbra
prima che potesse fare il primo tiro: «Fai meno il
sarcastico, Jay. Ti farò conoscere la gente che
conta».
***
Non fu la ricchezza ostentata a sconvolgerlo, neanche il sontuoso
salone pieno di gente ben vestita, ma il fatto che ogni uomo si
accompagnasse ad un ragazzino, pressappoco della sua età,
con gli occhi truccati di nero. Ognuno era la copia
dell’altro. «Che cazzo di festa è
questa?» balbettò indietreggiando, vittima di un
inspiegabile paura che lo costringeva a spostare convulsamente lo
sguardo da un paio di occhi all’altro, sempre più
velocemente, rivedendo se stesso in ognuno di essi.
«Calmati. Non ho intenzione di venderti o di cederti o
qualsiasi altra cosa tu stia pensando. Non ti divido con
nessuno.» sibilò Brad servendogli un sorriso di
scherno.
«Non è questo il punto.»
precisò deglutendo a fatica «Mi hai
marchiato?»
«Ma come ti viene in mente?» l’uomo rise
divertito, bloccando Jay sul posto con la mano, stringendogli la spalla
«Hai una fervida fantasia, piccolo.»
«Non mi fare questo. Tutto, ma questo no.»
pregò guardandolo, stavolta, supplichevole.
«Non essere ridicolo. Non ti accadrà niente, non
esagerare. È una festa privata tranquillissima. È
solo un modo per passare una serata liberamente. Condividiamo i nostri
segreti in questo appartamento, tu sei il mio
“segreto” e tutti i ragazzi che vedi sono i
“segreti” altrui. Invece di impaurirti e pensare
chissà che cosa, conosci qualcuno e divertiti!»
«Qualsiasi cosa sia, mi fa schifo.»
«Come ogni cosa che mi riguarda, Jay.» concluse
Brad con pacata irritazione, stampandosi in viso un sorriso di
circostanza per poi lasciare il ragazzo in mezzo alla stanza
raggiungendo uno dei tanti uomini cartolina fatti di apparenze ma,
anche, di “segreti” marchiati di trucco nero sulle
palpebre.
Strinse gli occhi per allontanare da sé
l’agitazione e il disgusto e si allontanò dal
salone, raggiungendo le scale che portavano al piano di sotto
dell’appartamento: il piano più nascosto, quello
senza vetrate.
Camminò incerto, mischiandosi tra quella gente. Odiava far
parte di quella calca, ma ormai ci era dentro con tutte le scarpe.
Vide le coppe di champagne abbandonate su un grande tavolo moderno in
laminato e cercò senza successo una bottiglia ancora piena:
avrebbe bevuto, così per passare la serata con
più serenità. Senza alcun motivo posò
gli occhi su un ampio divano illuminato da un curioso lampadario
moderno che scendeva a pioggia dall’alto e dirigendosi in
quella direzione, si accorse delle persone sedute. Non ci aveva fatto
caso inizialmente, ma su quel divano c’erano uomini occupati
a chiacchierare distintamente, fumando sigarette; qualcuno abbracciava
il proprio “segreto” muto e silenzioso e proprio
mentre il suo sguardo venne catturato da due occhi neri e vuoti di uno
di questi, la sua attenzione, in automatico, si spostò
sull’elegante signore accanto a lui.
Lo stupore non gli fece accettare subito ciò che vide e si
arrestò sconvolto. Lo shock superò di gran lunga
la rabbia, perciò rimase impalato, muto, inchiodando con gli
occhi suo padre.
George Hahn beveva champagne serenamente, chiacchierando in modo
amichevole e del tutto informale mentre, con un braccio, cingeva
avidamente le spalle di un ragazzino silenzioso e assorto.
Per minuti interminabili lottò con il suo cervello che,
d’istinto, non riusciva a collocare suo padre in un posto
neanche lontanamente paragonabile a quello in cui in realtà
si trovava ma, poi, quell’immagine divenne una certezza.
L’incontro di sguardi avvenne irreparabilmente e George,
inespressivo, non distolse gli occhi da lui neanche per un istante;
apparentemente non sembrava stupito, ma il cuore in realtà
aveva perso un battito. Si alzò, scusandosi con i suoi
interlocutori dell’improvviso congedo e, rivolgendo un cenno
a Jay, sparì dalla sala.
Prima con incertezza, poi con impazienza, lo seguì lungo un
corridoio che separava la zona giorno dalla zona notte e non appena si
trovò nell’ufficio privato, privo di
illuminazione, del padrone di casa, la luce si accese e la porta si
chiuse alle sue spalle.
«Cosa ci fai qui?».
La voce di suo padre era sempre la stessa: severa, impostata, dura.
Per un attimo gli parve di essere ritornato indietro, a quel giorno in
cui quello stesso uomo lo aveva schiacciato senza esclusione di colpi.
Pensò alla serie infinita di circostanze che si vennero a
creare dopo quel fatto e si accorse che ne era passato di tempo; si
rese conto di non essere più quello di una volta. Si
voltò, trovandosi davanti l’espressione arrogante
che si aspettava, ma non si fece intimorire, anzi, lo imitò
alla perfezione di rimando: «Cosa ci fai tu, qui!?»
«Non credo di doverti dare spiegazioni.» rispose
inarcando le sopracciglia, con aria di superiorità.
«Beh! Neanche io.» concluse con un sorrisetto
sarcastico, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni,
appoggiandosi con le gambe incrociate alla scrivania. Nonostante il
cuore battesse all’impazzata rimase calmo e irremovibile,
fissandolo con aria di sfida.
«Io mi trovo qui perché conosco molti di quelli
presenti. Mi hanno invitato, ma non ho niente a che fare con lo stile
di vita di questa gente.» spiegò fingendosi
estraneo.
«Vallo a raccontare a qualcun altro, George. Ti ho visto
mentre abbracciavi quel ragazzo come fosse di tua
proprietà.»
«Anche fosse, non credo tu possa giudicarmi, non sei proprio
nella posizione visto il trucco che porti. Sembri una
prostituta…»
«E tu un ricco pervertito. Non so chi è
peggio.» lo interruppe senza andare per il sottile.
Seguirono momenti di impaccio in equilibrio tra l’intenzione
di attaccarsi ancora e la voglia di scappare, ma George, con ironia,
optò per la scelta meno saggia: «Quindi, il
ragazzo coraggioso che è venuto a prenderti a casa e che io,
sfortunatamente, non ho avuto il piacere di conoscere, alla fine ti ha
ridotto ad una puttanella d’alto bordo.». Prima che
potesse concludere la provocazione, si ritrovò gli occhi di
Jay pericolosamente troppo vicini. Con uno scatto si era staccato dalla
scrivania per raggiungerlo e sfidarlo: «Ti conviene
tacere.» gridò puntandogli il dito in faccia
«Quell’uomo non fa più parte della mia
vita. Chi mi ha messo in questa situazione è uno come
te.»
«Ti costringe, figliolo?» chiese con falsa
preoccupazione «Pensavo che i ragazzini come te si vendessero
spontaneamente.»
«Nessuno mi costringe…»
«Bene! Allora sono due le cose: o quel ragazzo con il quale
non stai più ti ha ridotto in miseria o sei semplicemente un
ipocrita arrivista. Mi aspettavo avresti trovato
un’occupazione decente arrivato a questa età,
invece fai la prostituta.» lo giudicò con estrema
leggerezza.
«Sai cosa ho sempre ammirato in te? Sei un barrister anche
nella vita privata, riesci ad attaccarti ad ogni cavillo pur di averla
vinta, ma con me non attacca.» lo provocò per poi
accusarlo: «Puoi offendermi quanto vuoi, ma una cosa
è certa: hai umiliato, offeso e abbandonato tuo figlio di
diciassette anni. Mi hai rovinato la vita e ho creduto per anni che tu
fossi uno sporco omofobo incapace di ragionare e poi, alla fine, vengo
a scoprire che invece non sei altro che un omosessuale represso che ha
sposato una donna che, certamente, ha scopato per anni controvoglia e
nel frattempo andava a caccia di giovani gay pagando il loro silenzio.
Dio, quanto mi fai schifo!» esclamò alla fine
digrignando i denti. La rabbia, fomentata dai ricordi che lentamente
risalirono tutti in superficie, ridisegnò le linee del suo
viso, rendendolo duro e spietato.
Izaya era stato in grado di cancellare i momenti di dolore causati dai
suoi genitori, lo aveva reso felice ma rivedere suo padre aveva
risvegliato il diciassettenne distrutto e mortificato che era stato,
fortificato, però, dagli eventi amari che avevano costellato
il resto della sua vita fino a quel giorno.
«Io conosco l’ambiente e avevo paura che tu potessi
cadere in situazioni del genere. Per questo avrei preferito
più un figlio malato che gay.». L’ultima
frase farcita di ipocrisia e di dilagante ignoranza stizzì
Jay che, però, non si lasciò perdere
l’occasione di sferrare l’ennesimo colpo:
«Certo! Quindi per farmi del bene hai preferito sbattermi
fuori casa: sei un genio, cazzo!» ironizzò
schioccando le dita e annuendo.
«Non ti ho mai sbattuto fuori casa, te ne sei andato
tu.»
«Se non me ne fossi andato probabilmente avrei fatto una fine
peggiore, sarei diventato come te: un omosessuale represso pieno di
rancore e rabbia. Io credo, invece, che tu avessi solo la fottutissima
paura che io potessi scoprirti mentre ti scopavi i culi dei
quattordicenni.»
«Non parlarmi così, non ti permetto di rivolgerti
a me in questo modo.» lo minacciò, puntandogli il
dito contro. Era così adirato da riuscire a mutare
completamente l’aspetto del suo volto; se avesse potuto
l’avrebbe ucciso pur di tappargli la bocca.
Gli occhi intrisi di odio di George si scontrarono contro quelli freddi
di Jay che, preso da una calma quasi disumana, si lasciò
andare ad una risata provocatoria: «Paparino, hai rinunciato
ai tuoi diritti di padre da un po’. Non sei nella posizione
di dirmi quello che devo o non devo fare. Io so solo una cosa,
però: non sono più quello che ero. Se da bambino
avessi saputo tutto ciò, probabilmente ne sarei rimasto
scioccato, oggi, invece, mi stupisco di me stesso perché non
solo non mi sento meravigliato, ma ho quasi voglia di andare a trovare
mia madre.»
«Non minacciarmi, Jay. Non metterti contro di me, ne pagherai
le conseguenze.» sussurrò tremante dalle collera.
«Sai una cosa, George?» si avvicinò al
suo orecchio per poi sussurragli: «Non me ne frega un cazzo.
Se vuoi uccidermi mi fai solo un favore.».
Uscì dalla stanza prima che il padre potesse rispondere e
non appena giunse nel salone principale vide Brad con aria trionfante
scrutarlo tra la folla.
Inizialmente non capì cosa volesse significare quello
sguardo, ma poi la cosa divenne fin troppo chiara: Brad sapeva che alla
festa ci sarebbe stato suo padre.
Non appena questa idea lambì la sua mente, ebbe la conferma
di quanto fosse meschino. Quell’uomo era un mostro e sapeva
di lui più di quello che aveva sempre lasciato intendere;
Jay capì quanto potesse essere pericolosamente macchinoso
solo dall’espressione divertita che aveva sul volto.
Li aveva fatti incontrare volutamente a quella festa specifica, dove
avrebbe potuto marchiarlo così da far capire al padre
ciò che in realtà era diventato suo figlio, solo
per il gusto di complicargli la vita, ferirlo a morte e, magari,
metterlo ancora di più nelle condizioni di aver bisogno di
lui.
Ma le sue aspettative furono tradite perché Jay, con un
cenno della mano, lo invitò fuori a parlare.
***
Lo raggiunse con cautela, togliendosi dalle labbra il sorriso che
pocanzi aveva lasciato scorgere senza nasconderlo.
Jay lo aspettava appoggiato all’auto, intento a fumare una
sigaretta: sembrava calmo, paurosamente controllato.
Il ragazzo che aveva difronte lo inquietava a volte: riusciva ad essere
così influenzabile eppure tremendamente enigmatico.
Non sapeva cosa aspettarsi ma in quel momento colse un sentimento che
fino ad allora non si era mai palesato. Nella foga di possederlo e
giocare bene le sue carte non aveva mai pensato
all’eventualità che, a lungo andare, avrebbe
potuto affezionarsi seriamente a lui.
«Dimmi.» lo affiancò. Stavolta era Brad
quello incerto e il fatto che Jay fosse in strada quieto e
apparentemente impassibile lo impaurì; più che
lui, la cosa che maggiormente lo spaventava era ammettere di provare
qualcosa, tanto da capovolgere i ruoli e renderlo l’unica
vittima del rapporto che con tanto affanno aveva instaurato.
Jay si voltò, manifestando apertamente il suo irremovibile
sangue freddo; una strana luce gli riempiva gli occhi verdi. Le labbra
rosse, infuocate dalla conversazione con suo padre, si mossero
lentamente per formulare le parole che Brad aveva appena scoperto di
temere: «Sparisci dalla mia vita.».
Era categorico, sicuro e terribilmente disperato; non di una
disperazione angosciata, ma terribilmente disinteressata.
Jay non aveva più paura, aveva accettato il suo cambiamento:
ormai era vuoto, privo di qualsiasi sentimento, non era neanche
più irritato: era morto con Izaya.
«Sapevo che ci sarebbe stato tuo padre, per questo ti ho
portato qui. Volevo aiutarti a prenderti un’ultima
soddisfazione.»
«Bugiardo.» lo accusò senza alcun
rancore «Non mi importano le tue ragioni, anche
perché sei così abituato a mentire che ormai non
te ne rendi neanche più conto. Non sono arrabbiato con te,
voglio solo liberarmi di te.».
«Jay…» lo stava perdendo e solo Dio
poteva immaginare quanto tutto questo gli facesse male. «Non
te ne andare.» lo implorò con la voce rotta in
gola. I suoi giochi stavano crollando, ciò che aveva
costruito era finito sotto i piedi di Jay che, implacabile, calpestava
ogni cosa.
«Non farti vedere mai più.» concluse
spegnendo la sigaretta sull’asfalto.
Si voltò, staccandosi dall’auto, e
cominciò a camminare, ad allontanarsi sicuro da quella casa
e da quei due luridi uomini che gli avevano rovinato la vita.
Brad, di colpo, perse ogni contegno e gli corse dietro per poi
afferrarlo dalla giacca: «Non te ne puoi andare. Tu non puoi
lasciarmi.».
Jay si divincolò, voltandosi verso di lui senza neanche
fermarsi: «Sparisci.» sussurrò.
Brad lo lasciò andare, immobilizzato dagli occhi trasparenti
e freddi che lui stesso aveva valorizzato pesantemente. Il trucco ormai
era sfatto, in ogni senso.
«Va bene, vaffanculo!» urlò furioso,
scuotendo le mani senza alcuna logica: «Volevo aiutarti. Mi
stai abbandonando, Jay. Mi stai lasciando?».
Non ricevette risposta e non appena si accorse che urlare non sarebbe
servito a niente smise di farlo, continuando a scrutare la figura
sicura e fiera dell’unico ragazzo che avesse mai desiderato
fino alle viscere sparire all’orizzonte senza mai voltarsi.
Angolo Autrice.
Rieccomi. Spero che questo capitolo vi sia paiciuto e aspetto con ansia
i vostri commenti. *è curiosa*
Non ho molto da dire, solo che sto scrivendo tanto e sono felice
perché sto riuscendo a completare una storia che anche se ho
pubblicato pochi mesi fa c'ho sul groppo da un anno.
Scrivere di Jay non è un peso e mi mancherà
quando sarà finito, spero mancherà anche a voi,
ma ultimare la storia è diventata una questione di principio
U_U
Voglio ringraziare Bijouttina che so che farà i salti di
gioia (ma non cantare vittoria troppo presto), Babbo Aven con il quale
riesco perfettamente a scambiarmi opinioni su questa storia con totale
schiettezza, LadyWolf che sa come finisce :P, Elsker che
è sempre la mia piccolina adorata e che riesce sempre a
stupirsi ad ogni capitolo e che mi ha consigliato questa citazione che
ho scelto di inserire all'inizio di questo capitolo, DarkViolet92 che
c'è sempre, Ghost che è una delle prime a sapere
come finisce ma legge lo stesso con amore, Julie che proprio adesso
è ai capitoli idilliaci di Izaya e ancora non sa che
è morto e quando ci arriverà mi
ucciderà (ho distrutto la sua ship) e poi voglio ringraziare
chi è ancora all'inizio ma che arriverà alla
fine, chi è sparito ma so che ritornerà: Mrs
Burro, Fox, Ita, Nahash, SorellaGrimm e se dimentico qualcuno
uccidetemi, e tutti quelli che leggono silenziosamente o che mi fanno
sapere in altro modo cosa ne pensano: Oxymoros ad esempio :P
Ringrazio Moloko che legge e ogni tanto mi minaccia dicendomi: "ho
delle cose da dire" e mi fa aspettare facendomi tremare le chiappette.
Grazie a WarHamster che mi sta dando una grande mano d'aiuto a
sistemare la storia. Stiamo ancora ai primi capitoli ma presto
correggeremo tutti gli scempi che ho lasciato per strada.
Grazie a tutti quelli che hanno inserito la storia nei
Preferiti/Ricordati/Seguiti.
A presto.
Bloomsbury
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