BETWEEN
THE HUNGRY
L'Eroe
silenzioso .
Non
avevo mai pensato che una ragazza come Alex potesse portare sulle
spalle una storia con un simile peso. Steven,con l'aria ancora
palesemente sconvolta,cominciò a raccontare ed ogni singolo
sguardo
era rivolto verso di lui,attento,mentre ascoltavamo le sue parole.
«New
York era una città pericolosa.»
iniziò,con la voce triste e
malinconica «Non come adesso,ma ugualmente pericolosa. Mio
padre era
un famoso avvocato divorzista e mia madre una donna che per tutta la
vita ha finto di non vedere i problemi della nostra
famiglia.» fece
una pausa,amareggiato. «Crescemmo nel lusso. Frequentammo
entrambi
delle scuole private,ed i nostri genitori avevano già
stabilito il
nostro futuro dal momento in cui eravamo stati messi al
mondo.»
Brittany annuì rattristata come se sapesse di cosa stava
parlando.
«Finito il liceo,i miei decisero di iscrivermi alla Brown.
Rimasi in silenzio per tre anni. Se avessi resistito un ultimo
anno,mi sarei laureato. Ma quello non era il mio ambiente,non era il
mio sogno,e così un giorno tornai a casa e dissi ai miei che
la mia
vita al college finiva lì. Alex mi stringeva la mano mentre
raccontavo quale fosse il mio vero sogno,e dopo poco i miei smisero
di guardarmi in faccia. Avevo quasi ventun'anni,e potevo scegliere da
solo il mio futuro. Mi arruolai nei Marines pochi mesi dopo,nonostante
la disapprovazione dei miei genitori,e da lì
cominciò la mia
vera vita. Era quello che avevo sempre desiderato,era l'ambiente che
amavo ed era giusto per me. Fui egoista,adesso lo so,perché
trascurai un dettaglio : Alex. Il nostro rapporto è sempre
stato
molto affiatato : eravamo fratelli e migliori amici. Era l'unica
persona al mondo con cui fossi mai riuscito ad aprirmi completamente.
Le raccontavo ogni pensiero,ogni emozione,ogni piccolo dettaglio
della mia vita,ma quando me ne andai per cominciare
l'addestramento,lei restò sola. Ogni volta che la
chiamavo,non
faceva altro che ripetermi che per lei le cose andavano alla grande.
Mi raccontava di come si fosse inserita bene in un ambiente come il
liceo,o di come fossero fantastici i suoi amici,o dei ragazzi per cui
aveva una cotta. Tutte bugie. Quando tornai a casa il Natale di due
anni dopo,scoprii tutta la verità. Quel giorno Alex era
strana,ed io
pensai che fosse un po' su di giri per via dello champagne che la
mamma aveva messo a tavola. Ai miei occhi appariva come un'estranea.
Aveva perso diversi chili,ed il suo viso era pallido ed ossuto. Le
chiesi se fosse tutto ok e lei mi rispose di sì,sorridendo.
A quel
punto capii che c'era qualcosa che non andava,qualcosa di sbagliato.
Mia sorella è sempre stato un libro aperto per me,e dalla
sua
espressione mi insospettii. Mentre parlava al telefono,corsi in
camera sua e cominciai a frugare tra i vestiti nell'armadio,in ogni
mobile,sotto il letto,però non trovai nulla. Quando ero sul
punto di
andarmene,adocchiai la sua borsa appoggiata sulla scrivania.
Cominciai a frugare anche lì dentro e,in una tasca
interna,trovai
una busta piena di cocaina. Mi mancò il fiato. Mi sentivo
male. Mia
sorella,la persona più importante della mia vita,si drogava.
Tornai
in cucina con la busta in mano,mentre ancora parlava al telefono,e
tirai un calcio alla sedia. Ero furioso. Potreste pensare che fossi
furioso per lo sbaglio che stava commettendo,ma in verità lo
ero
perché lei mi aveva tenuto allo scuro di tutto. Io ero il
suo
confidente,il suo migliore amico,e lei mi aveva ingannato. Alex si
voltò a guardare la sedia che era stata sbalzata in aria,e
poi mi
guardò,confusa. Quando mi osservò meglio,si
accorse che stringevo
tra le mani la bustina. Le cadde il telefono di mano e
sgranò gli
occhi,sconvolta. Non si aspettava che qualcuno l'avrebbe scoperta. I
miei ancora si chiedevano che cosa stesse
succedendo,così,senza aver
detto ancora una parola,lanciai la busta sul tavolo. Sapete cosa
disse mia madre?Le disse : “scommetto che non è
tua,vero cara?”.
Mi
presi una pausa dal servizio per starle vicino,e la convinsi ad
andare in un centro di riabilitazione. Ci stette per sei
mesi,perdendo la scuola ed ogni amicizia che aveva avuto sino ad
allora. Aveva solo sedici anni,maledizione!Non potevo pensarci,non
potevo soffermarmi su quel dettaglio,perché mi sarei sentito
male.
Quando uscì,le cose sembrarono essersi sistemate. Io tornai
al mio
lavoro e lei ricominciò la sua vita da zero,lontana da ogni
tentazione. Quando si diplomò,i miei cercarono di spedirla
alla
Cornell,ma lei,come me,non voleva andare al college,così
fece un
patto con loro. Se le avessero concesso un anno sabbatico,con un bel
viaggio in Messico,lei si sarebbe iscritta l'anno successivo. I miei
accettarono. Partì per il Messico con Meredith,una ragazza
di
Brooklyn che spese tutti i suoi risparmi per quel
viaggio,anziché
per andare al college. Alex mi disse che era una brava ragazza e che
non dovevo preoccuparmi,perché erano passati anni da
quell'accaduto
e che adesso stava bene. Mi lasciai convincere. Pochi mesi dopo,Alex
mi chiamò. Mi chiese se avessi quarantamila dollari da
prestarle e
mi disse che me li avrebbe restituiti. Capii che si era cacciata
un'altra
volta nei guai e mollai tutto per andare a prenderla. Lei e Meredith
si erano incasinate con dei trafficanti di droga del posto,e avevano
bisogno di soldi. Sapevo che sarebbe successo,prima o poi. Avevo
sempre avuto dentro quella brutta sensazione,ma mi ero costretto ad
ignorarla. Diedi i soldi
a quei tizi e trascinai Alex via da lì. Meredith non ebbe
intenzione
di seguirci. Chiamai mio padre e gli dissi che Alex ci era ricaduta
di nuovo,ed eravamo d'accordo per rispedirla in rehab. Poco dopo mia
madre mi
chiamò e mi disse che non fosse necessario,che Alex sarebbe
tornata
a casa e si sarebbe iscritta alla Cornell,come lei aveva deciso.
Rimanevo sempre sconvolto per il menefreghismo dei miei,ma quella
volta era troppo. Era giunto il momento di mettere le cose in
chiaro,e di sbattere in faccia a mia madre lo stato cadaverico di mia
sorella. Possibile che non si accorgesse di quanto fosse grave la
situazione?Possibile che non si rendesse conto di che razza di madre
era?Possibile che non capisse che mia sorella,a soli sedici anni,era
finita in riabilitazione,e che stava per tornarci?Ero stufo. Ero
stufo di quella situazione,ero stufo di vedere mia sorella ridotta
uno straccio dopo aver trascorso mesi ad autodistruggersi,ed ero stufo
di vedere mia madre
sorriderle,evitando di guardarla negli occhi. Volevo raggiungere New
York per farla finita. Io ed Alex ci saremmo staccati da quella
famiglia,e da quel momento in poi mia sorella sarebbe rimasta sotto
il mio controllo,ed avrebbe obbedito alle mie decisioni. Come ben
sapete,durante il viaggio di ritorno accadde quel che accadde. Io
avevo portato con me una pistola,intuendo il tipo di pasticci nei
quali Alex si era cacciata,e lei se l'era procurata sul
posto,preoccupata per la sua incolumità. All'improvviso il
problema
della droga passò in secondo piano. Per le strade
cominciavano a
spuntare quelle cose e cominciarono a fare una strage. Promisi ad
Alex che saremmo riusciti a raggiungere New York e che saremmo
rimasti insieme ad ogni costo. Lei mi guardò negli occhi e
mi disse
che la droga non avrebbe più fatto parte della sua vita. Con
quella
situazione che si stava scatenando,fui costretto a crederle. Mi
sembrava lucida,normale come quella di un tempo. Ma credo che fino ad
oggi abbia continuato a far uso di cocaina,che se la sia procurata da
qualche parte durante il nostro viaggio o che addirittura se la sia
portata dal Messico. Io...io non riesco a credere di non essermi reso
conto di niente» disse disperato,mentre la prima lacrima
prendeva a
rigargli il viso «gli affamati potrebbero averla
già uccisa o
potrebbe essere in pericolo. Potrebbe non essere lucida e ...e...ed
io devo ritrovarla. E' mia sorella».
Guardai
quel ragazzo,con gli occhi pieni di lacrime. Provavo sensi di colpa
per averlo usato e tristezza per la storia che avevo appena
ascoltato. Avevo sempre pensato che la mia vita fosse stata
incasinata,avevo sempre pensato che nella vita delle persone si
celasse sempre un briciolo di sofferenza,ma quando immaginavo quella
di Alex,quando immaginavo la sua sofferenza,quella che credevo
facesse parte di ogni singola vita,non mi sembrava altro che
serenità,al confronto con la sua. Brittany scosse la
testa,asciugandosi le lacrime,e Lucas non mi mollava la mano.
«Sistemeremo
ogni cosa.» disse Noah,deciso. «La ritroveremo. Non
permetterò che
nessuno muoia».
Fu
in quel momento che capii che il vecchio Puckerman era tornato e ci
avrebbe prestato un po' della sua forza.
«Alex
è tutta la mia vita» disse Steven,tra i singhiozzi
«è l'unica
cosa che conta,per me».
Mentre
guardavo il ragazzo,asciugarsi le lacrime,disperato,capii fino in
fondo le sue parole. Mi voltai verso Lucas e gli accarezzai un
braccio,poi verso Brittany,che strinsi tra le mie braccia con
affetto.
«Amico,la
ritroveremo» affermò Noah con convinzione
«dovesse essere l'ultima
cosa che faccio».
Infilai
stivale,e
Infilai il coltello nello stivale e mi costrinsi a
respirare. Era pericoloso e
non riuscivo a togliermi quel pensiero dalla testa. Alex aveva
preso una delle pistole,così eravamo parecchio a corto di
armi. Noah
impugnava il fucile,pronto ad incamminarsi,e Steven stringeva tra le
mani l'unica pistola,con lo sguardo fermo e deciso di chi ha
intenzione di portare a termine la sua missione. Ci saremmo
incamminati a piedi,tra i pericoli di quella piccola cittadina,alla
ricerca di quella ragazza persa in chissà quanta
disperazione.
Nonostante cercassi di soffocarla,non riuscivo ad evitare che una
sensazione negativa si appropriasse della mia mente. Mi chiedevo come
avremmo fatto a ritrovarla in quella vecchia città in piena
distruzione,con gli affamati che vagabondavano per le strade,alla
ricerca di cibo. Non eravamo abbastanza armati ed ero convinta che la
sola speranza non ci avrebbe salvati da una morte certa. Alex sarebbe
potuta essere già morta,ed avrebbe potuto vagare per le
strade,minacciandoci con le sue grida di fame. Scossi la testa per
eliminare quel pensiero. Dovevo essere pronta. Dovevamo esserlo
tutti.
«Sarà
diretta verso il centro abitato» disse Steven,guardandoci
«è
l'unico posto dove possa trovare della droga. Sarà costretta
a
guardare nelle abitazioni e probabilmente sarà
più pericoloso di
quanto pensiate» fece una pausa «non siete
costretti a seguirmi.
Non lo è nessuno di voi. Non voglio che la vostra vita venga
messa a
repentaglio per colpa dei miei errori. Se non deciderete di
seguirmi,vi capirò» concluse guardandoci serio.
Scossi
la testa «non devi neppure dirlo. Non siamo forse un
gruppo?»
Steven
annuì «Grazie» rispose lui,spostando lo
sguardo sulla pistola.
«Santana
ha ragione. Io ci sto» disse Brittany.
«Non
mi rimangio le promesse. Quando do la mia parola,resta
quella».
«Ci
sto anch'io».
Nel
silenzio composto da numerosi pensieri,ci incamminammo. Attraversammo
il campo che si estendeva per un paio di chilometri,forse anche di
più,e poi ci ritrovammo sulla strada. Nell'osservare
l'asfalto,mi
pentii di non aver chiesto a Lucas e Brittany di restare
all'accampamento. Sapevo che la mia paura sarebbe rimasta costante
all'interno della mia persona,era inevitabile. Allo stesso
tempo,però,sapevo di non poter permettere che succedesse
qualcosa a
nessuno di loro. Come per Steven,sua sorella era la sua vita,per me
loro erano la mia. Restavamo l'uno vicino all'altro,controllando
persino il rumore dei nostri respiri,camminando a passo svelto e
pronti a sfoderare i nostri coltelli o le nostre pistole. La strada
principale che percorrevamo,circondata dalla natura viva del
bosco,portava dritta a Rochester. Ma dovevamo muoverci. La
città
distava un chilometro e mezzo,ed intanto il tempo volava svelto e
quello della fuga di Alex fino a quel momento aumentava. A
metà
strada tre affamati sbucarono dalla vegetazione e si posero davanti a
noi,bloccandoci la via. Si muovevano lentamente,protendendo le
braccia per afferrarci,e ringhiando la loro fame. Noah posò
il
fucile a terra e sfoderò il coltello dalla cinta dei
pantaloni,e lo
stesso fece Steven. Io avanzai per aiutarli,ma prima ancora che
sfoderassi il coltello dallo stivale,i due avevano trapassato il
cranio degli affamati,lasciandoli accasciati a terra. Steven era una
furia. Aveva colpito il primo affamato con un calcio allo
stomaco,mentre Noah aveva tirato a sé il
secondo,afferrandolo per il
collo. Per un attimo credetti che sarebbe stato morso,invece tenne
ferma la mano attorno alla gola della creatura e poi con un gesto
felino gli piantò il coltello nel cranio. Steven aveva fatto
perdere
l'equilibrio all'affamato, poi,senza neppure usare l'arma dalla lama
appuntita,gli aveva spaccato il cranio con un paio di calci. Una
scena disgustosa. Il terzo affamato aveva stretto le mani attorno il
braccio di Steven,Noah era intervenuto e l'aveva scaraventato a
terra con la forza,e gli aveva piantato il coltello in mezzo agli
occhi. I due si guardarono in faccia,riprendendo fiato,si voltarono
per guardare se stessimo bene,e poi,sempre in silenzio,come se non
fosse successo niente di nuovo o di eccezionale,riprendemmo a
camminare a passo svelto. Con l'avvicinarsi alla
città,aumentò la
mia agitazione. Mi guardavo intorno,sempre allerta,preoccupata che
potessimo finire in una trappola bella e buona dalla quale non
saremmo potuti sfuggire. Guardavo Brittany,che ogni tanto mi
fissava,ed odiavo il fatto che non potessi tenerla per mano. Quella
storia non sarebbe durata ancora molto,ne ero già stufa.
L'avrei
stretta tutte le volte che ne avevo voglia,l'avrei baciata ogni qual
volta che ne avessi sentito il desiderio,l'avrei tenuta per mano
tutte le volte che i nostri occhi si fossero incrociati,spaventati.
Perché di vita ce n'era una sola,e neppure sapevamo quando
sarebbe
terminata o in che modo. Potevamo morire tra solo un quarto d'ora o
cinque minuti. Sarebbero potuti sbucare decine di affamati dalla
città o dalla foresta,o da tutt'e due contemporaneamente,e
allora
sarebbe stata la fine. Immaginavo una di quelle cose aggredirmi alle
spalle,e poi un'altra e un'altra ancora,sino a che il loro peso non
mi avrebbe fatta accasciare a terra. Poi avrebbero cominciato a
divorarmi,mentre con gli occhi osservavo Brittany fare la stessa
fine. Rabbrividii e sentii l'immediato bisogno di rifugiarmi nel suo
abbraccio. Le sfiorai la mano di proposito,e lei mi sorrise.
«Ti
amo» le mimai,per non farmi sentire da Lucas poco distante
«qualunque cosa accada».
Gli
angoli della bocca le si piegarono all'insù,e si morse un
labbro.
Potevo scorgere nei suoi occhi il desiderio di baciarmi,lo stesso
desiderio che avevo anch'io.
Raggiungemmo
la città pochi minuti dopo e mi accorsi soltanto allora che
il passo
di Steven,con il passare del tempo,non faceva altro che aumentare.
Fummo costretti ad accelerare anche noi e,quando vidi il primo edificio
grigiastro affiancare la strada,avvertii un peso sullo stomaco. Noah
si voltò e ci sussurrò di seguirlo. Nel frattempo
le nuvole si
addensavano sopra le nostre teste,sempre più grigie,sempre
più
cariche d'acqua. Steven si guardava
intorno,attento,agitato...preoccupato. Abbandonammo la strada che
avevamo percorso sino ad allora e ne prendemmo
un'altra,secondaria,sulla sinistra. Il cuore mi batteva rapido nel
petto e controllavo
dove mettessi i piedi,per evitare di fare rumore. Poi,verso la fine
della strada,li sentimmo. Sbucarono dall'incrocio guardandoci con
quegli occhi vitrei ed accelerarono il passo,aumentando allo stesso
tempo l'intensità dei loro versi. Ne spuntarono cinque,poi
sette,otto,dieci,dodici. Mi voltai e ne vidi altri nella
direzione opposta. Quella era una delle trappole di cui parlavo.
Eravamo
circondati. Eravamo in cinque e loro il triplo. Il mio respiro
divenne corto,il cuore mi esplodeva nel petto,la paura mi divorava e
mi ovattava la testa,come fosse un velo trasparente dal quale
filtravo ogni cosa. Lo scatto all'indietro del carrello di una
pistola mi fece sussultare. Guardai Brittany. Guardai Lucas. Poi
ancora Brittany,poi ancora Lucas. Che cosa dovevamo fare?Come
potevamo uscire da quella situazione?
Noah
e Steven indietreggiarono per guadagnare terreno,ma allo stesso tempo
dall'altro lato della strada ne stavano arrivando altri. Quando vidi
spuntare altre teste da dietro l'angolo,il mio corpo
cominciò a
tremare. Presi la mano di Brittany e la strinsi forte tra le mie
dita. Non volevo lasciarla.
«Cazzo»
borbottò Noah,con il viso contratto in una smorfia dura ed i
muscoli
rigidi come il legno.
Steven
cominciò a sparare alle nostre spalle. Colpì tre
affamati alla
nuca,che caddero a terra,poi continuò a sparare. Noah
impugnò il
fucile saldamente,nonostante gli tremassero le mani,e sparò
a due
affamati,mancandoli alla testa. Avevo paura. In quell'esatto
istante,sapevo che saremmo morti tutti. Sfoderai il coltello dallo
stivale e Brittany fece lo stesso,Lucas ce l'aveva già in
mano. Se
volevamo sopravvivere,dovevamo lottare. In quel momento li guardai,e
fui pronta a farlo.
«Ci
penso io qui dietro!» avvisò Steven,rivolto a Noah
«tu mira a
quelli davanti».
Così
fecero. Il rumore dei colpi sparati,uno dietro l'altro,misto a quello
dei versi,era assordante. Sentivo il frastuono entrarmi nelle
orecchie ed esplodermi nelle tempie. Impugnai il coltello in mano
e,quando il primo affamato mise le mani su Noah,che era intento a
sparare agli altri,lo afferrai dalla maglia logora e lo scaraventai a
terra con uno sgambetto. Gli conficcai il coltello nella fronte con un
gesto pieno di rabbia e mi rialzai. Noah mi ringraziò con
uno
sguardo piuttosto distratto,mentre era intento a mirare alla testa
gli affamati che continuavano ad avvicinarsi. Continuavano ad
arrivare,uno dopo l'altro,attratti dal rumore. Quella strada era
diventato l'inferno sulla terra. Era l'inferno per ognuno di noi.
Brittany e Lucas stavano aiutando Steven a ripulire l'inizio della
strada,quella alle nostre spalle,in modo che potessimo fuggire da
lì
ed allontanarci da quel putiferio. Noah ed io badavamo a quelli
davanti,ma quando il fucile finì le cartucce,ci rendemmo
conto
entrambi che non c'era abbastanza tempo per ricaricare.
«Steven!»
gridò Noah,nel panico.
Tirò
fuori il coltello dalla cinta dei pantaloni e si preparò a
fronteggiare il gruppo. Non potevamo farcela,in due non era
possibile. Steven accorse da noi e guardò dritto di fronte a
sé,con
gli occhi sgranati.
«Sono
troppi. Sto finendo le munizioni. Dobbiamo andarcene,ora!»
Steven
cominciò a sparare,mentre noi altri indietreggiavamo a mano
a mano
che Brittany e Lucas liberavano la strada alle nostre spalle.
Camminavamo troppo lentamente,però,e quell'orda ci avrebbe
inglobati
da un momento all'altro. Scossi la testa,sconvolta. Mi voltai verso
Brittany,che mi guardava a distanza di qualche metro,e notai la
disperazione sul suo viso. Non poteva finire in quel modo,non era
giusto. Le nostre vite,ogni nostro pensiero,ogni nostro
desiderio,ogni nostra emozione o paura...non potevamo morire
lì,come
tante vittime sacrificali,dilaniati da quei mostri. Tutto quello che
avevamo vissuto,tutto quello che avevamo passato,le nostre storie. La
mia storia,quella di Brittany,quella di mio fratello,quella di
Alex,quella di Steven...nessuno avrebbe ricordato le nostre
vite,nessuno avrebbe ricordato i nostri volti o chi eravamo stati.
Tutto sarebbe finito lì,in quella strada grigia,sotto una
coltre di
nuvole minacciose,tra grida di disperazione e speranza che moriva.
Gli occhi azzurri di Brittany mi fissavano,penetrando la paura che si
mischiava nell'aria. Accolsi quello sguardo nel cuore,e pensai che
sarebbe stato l'ultimo che avrei mai visto.
«Ti
amo» le mimai,ancora una volta,con un sorriso triste.
Avevo
voglia di piangere,e forse presto l'avrei fatto. Ma non ero ancora
pronta a lasciar scivolare la vita dalle mie mani,non era giunto il
momento. Contai gli affamati che avevamo davanti : ne erano rimasti
otto.
«Affrontiamoli!»
gridai agli altri.
Continuammo
ad indietreggiare.
«Ho
finito le munizioni!» esclamò Steven,disperato.
Quando
ero convinta che sarebbe finita,Noah si gettò nella mischia.
Aveva
il fucile sorretto in orizzontale in una mano e il coltello
nell'altra. Io e Steven ci guardammo in faccia,sconvolti. Noah
impugnò il fucile per la canna,come con una mazza da
baseball. Due
affamati lo accerchiarono e Steven corse in suo soccorso. Noah
colpì
la testa di uno dei due con il fucile talmente forte,da frantumargli
il cranio. Steven gli tolse di dosso l'altro essere e gli
piantò il
coltello nella nuca. Poi corse da un altro,gli chiuse entrambe le
mani attorno al collo e lo sollevò come fosse fatto di gomma
piuma.
Lo scaraventò a terra con una rabbia mostruosa,e gli
spaccò la
testa con una piedata. Quando però le cose sembravano
mettersi per
il meglio,davanti ai nostri occhi increduli e sconvolti,Noah venne
preso alle spalle da un affamato. Fu preso di sorpresa e cadde a terra,
perdendo
l'equilibrio.
«Noah!»
gridai con il cuore in gola,pronta ad accorrere in suo aiuto.
Lui
mise il fucile in orizzontale e spinse via l'affamato,per poi
colpirlo. Lo gettò a terra e lo massacrò di colpi
con la base
dell'arma,fino a fracassargli la testa. Mi guardò,mi fece un
gesto d'assenso,e tornò nella mischia. Dietro di noi,non ne
arrivavano più. Giusto qualcuno di rado che Brittany e
Lucas,collaborando,riuscivano ad eliminare. L'asfalto era pieno di
cadaveri e camminarvici sopra,diventava quasi impossibile.
Poi,un
urlo mi fermò il cuore. Era glaciale,pieno di sofferenza.
«Cristo!»
Steven
era a terra,a carponi,con una mano sopra il braccio. Sull'asfalto si
trascinava un affamato,avvicinandosi pericolosamente al ragazzo. Noah
si voltò verso di lui e spaccò il cranio
dell'affamato con il
fucile.
«Cos'è
successo?» chiese Puckerman,con il viso pieno di gocce di
sudore.
Steven,ancora
a terra,scosse la testa «mi ha morso!»
esclamò,mentre
il sangue sgorgava incontrollatamente dalla ferita.
«Non
mi sono accorto di niente. E' sbucato all'improvviso e si è
attaccato al mio braccio. Dio...mi ha staccato il muscolo!»
gridò,portandosi una mano tra i denti,per il dolore.
Noah
lo guardò ancora incredulo e lo sollevò da terra
«fammi vedere»
disse.
Steven
si scoprì la ferita e potei vedere anch'io,nitidamente,come
fosse
stato dilaniato. Il sangue gli aveva macchiato tutta la maglietta e
scendeva,copiosamente,sino ad intingere anche i pantaloni verde
militare.
«Aspetta»
disse Noah. Si strappo un pezzo di stoffa dalla maglietta e glielo
diede «legaglielo intorno e tieni premuta la mano».
«D'accordo»
rispose Steven,stringendo i denti,bianco in viso.
Non
c'era più neppure un affamato in quella strada e Brittany e
Lucas si
avvicinarono agli altri due,assieme a me.
«Cos'è
successo?» chiese Lucas sconvolto.
«Mi
ha morso!» rispose Steven.
«Amico,che
cosa hai intenzione di fare?» chiese Noah all'altro. Lui lo
guardò
confuso. «Torniamo al campo o cerchiamo Alex?»
Steven
strinse identi,di nuovo «Alex» biascicò.
Ci
rincamminammo tutti e cinque,ma più lentamente. Raggiungemmo
la fine
della strada e svoltammo l'angolo,questa volta senza problemi. Steven
continuava a piangere per il dolore ed il pezzo di stoffa,che teneva
avvolto attorno alla ferita,era intinto di sangue e gocciava a
terra,lasciando una scia sull'asfalto.
«Sei
stato bravo» dissi a mio fratello,quando tornò al
mio fianco
assieme a Brittany.
Lui
scosse la testa «ti ricordi all'ospedale,quando si
è scatenato
tutto?» mi disse.
Annuii.
«Il
padre della tua amica» affermò semplicemente,con
quell'aria
preoccupata.
Impiegai
qualche secondo per rendermi conto di cosa stesse cercando di dirmi.
Mandy. Suo padre. Era morto e poi era diventato...
«Sì,mi
ricordo».
Ci
capimmo con uno sguardo. Ricordavo bene quell'immagine ferma nel
tempo. Quel corpo che si era sollevato ed aveva divorato la propria
figlia. Come dimenticarlo?Avevo il ricordo di Mandy impresso nel
cuore. Rivedevo la sua immagine ogni qual volta che un affamato
compariva e rivivevo lo stesso stupore e terrore al ricordo di suo
padre.
«Dovremmo
informarlo?» mi chiese lui.
Ci
pensai qualche secondo e scossi la testa «sarebbe una
distrazione
adesso,Lucas. Non sappiamo cosa succederà. Steven ha
riportato una
ferita grave,ma potrebbe sopravvivere».
Mi
sembrava la cosa più giusta. Non eravamo certi di niente,ed
una tale
notizia,avrebbe potuto creare ancor più caos di quello nel
quale
sguazzavamo.
Lui
si limitò ad annuire,ancora pensieroso.
Camminammo
per qualche altro minuto e ci ritrovammo di fronte a delle villette a
schiera dall'aspetto grazioso. Come fosse stato un fulmine a ciel
sereno,lo vidi.
«Il
Wrangler!» esclamai con un guizzo al cuore.
Tutti
portarono lo sguardo sul fuoristrada rosso in lontananza. Steven,con
espressione dolorante,cominciò a correre in direzione della
macchina
e noi lo seguimmo. Il ragazzo aprì lo sportello dell'auto,ma
all'interno non vi era nessuno. Lo richiuse,si guardò
intorno,e poi
si asciugò il sudore sulla fronte. Cominciava ad esser
pallido,ed il
suo viso era velato da qualche goccia di sudore. Per alcuni versi,mi
ricordava un po' quello di Alex nei giorni precedenti.
«Non
può essere lontana» affermò
Noah,osservando l'espressione delusa
del ragazzo.
Restammo
per qualche istante in silenzio,domandandoci cosa fare.
«Zitti!»
intimò Brittany,concentrata «Lo sentite?»
Avrei
potuto ascoltare il battito del mio cuore in quel
silenzio,invece,prestando attenzione,avrei giurato di riuscire ad
udire i versi degli affamati. Era un suono
distorto,lontano,addirittura metallico...sembrava quasi
immaginario,ma c'era.
«Dev'essere
lei!» esclamai «Forse la stanno seguendo».
Steven
annuì «i versi sembrano provenire da in fondo alla
strada!»
In
men che non si dica,cominciammo a correre,alimentati da un briciolo
di speranza nel petto. Noah ricaricò il fucile e si mise in
testa al
gruppo assieme a Steven. Facemmo cento metri,forse,e poi vedemmo il
gruppo di affamati addossati alla porta del garage dell'ennesima
villetta. Colpivano la superficie di metallo goffamente,emettendo
quel suono soffocato e spaventoso con tutta la loro forza.
«Alex
è lì dentro!» esclamò
Steven,con un filo di voce sofferente.
Non
appena aprì bocca,alcuni degli affamati si voltarono. Forse
erano
una ventina e,uno per volta,si girarono incuriositi dal suono che
avevano udito.
«Merda»
bofonchiò Noah,allarmato.
Gli
affamati cominciarono ad avvicinarsi e noi ad indietreggiare. Erano
in troppi,ed avevamo una sola arma a disposizione. La situazione si
ripeteva,di nuovo.
«Ho
un'idea!» disse Brittany «Corriamo fino al
Wrangler,tu sali sul
tettuccio della macchina e li fai fuori uno per uno da lontano.
Saremo abbastanza distanti e potremo allontanarci con
facilità. Si
può fare?»
Noah
la guardò,ci pensò su un istante,ed
annuì.
Di
corsa,tornammo a fare lo stesso tragitto di prima,al contrario. Ci
separavano almeno settanta metri da loro,e Noah salì sul
tettuccio
del Wrangler,alla svelta. Prese un grande respiro,impugnò il
fucile
a dovere,e sparò il primo colpo che mancò del
tutto l'affamato.
Sparò ancora,e ancora,e ancora,fino a che non persi il conto
dei
proiettili che erano partiti dall'arma. Uno per uno,gli affamati
caddero a terra,inermi. Ne rimasero soltanto tre,ormai abbastanza
vicini,e Noah li fece fuori con una facilità disarmante,allo
stesso
modo degli altri.
«Andiamo
a prenderla» disse Puckerman,pronto a tornare di fronte alla
villetta «dobbiamo muoverci. Il rumore ne attirerà
altri. A breve
potremmo ritrovarci circondati da tutti gli affamati di questa
cittadina».
Steven
si portò una mano sul viso cadaverico,si asciugò
il sudore e tossì
con fatica. Le gocce sul viso gli colavano dalla fronte,sino agli
occhi,e poi ancora dal naso,sulla bocca. La sua situazione si stava
aggravando,e ormai il pezzo di stoffa che teneva legato attorno alla
ferita,non era altro che pregno di sangue sino a risultare pesante
per via del liquido assorbito,e completamente inutile.
«Andiamo»
disse stringendo i denti,in una smorfia di dolore.
Soffrivo
nel vederlo in quel modo. Il pensiero che mi aveva instillato
Lucas,non faceva altro che ritornarmi in mente e tormentarmi. Non
volevo pensare ad una sua possibile morte,ma se fosse successo? Non
poteva morire. Non poteva e basta. Era il più forte
lì,il più
coraggioso,il capo gruppo,e se la sarebbe cavata. Se la sarebbe
cavata per forza. Quando un ricordo che tenevo da giorni lontano
dalla mente riaffiorò,scossi la testa per scacciarlo via.
Non era il
momento per cedere ai sensi di colpa.
Ripercorremmo
i metri che ci separavano dalla villetta,e quando ci dirigemmo verso
la porta del garage,questa si aprì,lentamente,quasi con
timore.
«Vi
chiedo scusa» biascicò Alex,in lacrime,con le
parole che le si
strozzavano in gola.
La
ragazza era irriconoscibile. Il suo viso non aveva un semplice
colorito pallido,sintomo di malessere,ma bensì grigiastro.
Le
occhiaie sotto il suo viso non erano più bluastre,ma scure e
ben
definite,come dopo aver preso un pugno in un occhio. I suoi capelli
erano sporchi ed incollati,i suoi occhi gonfi e stanchi,le sue labbra
violacee e screpolate,ed il suo viso era avvolto da un fitto velo di
sudore. Le lacrime che le rigavano il viso si mischiavano alla
sostanza che il suo malessere produceva,e il risultato dell'insieme
di quei particolari,era un aspetto
malsano,sofferente...irriconoscibile.
«Alex!»
urlò il fratello con un bagliore negli occhi.
La
ragazza batté i denti,cercando di tenere a bada il tremolio
nelle
mani,e si avvicinò al fratello,inizialmente timorosa
«ti prego,non
essere arrabbiato. Ho sbagliato,lo so» disse con un filo di
voce
spezzata dai singhiozzi.
Quando
poi guardò meglio il ragazzo,sgranò gli occhi e
si portò una mano
sulla bocca « che ti è successo?» gli
chiese basita.
Steven
scosse la testa e si sforzò di sorridere. Teneva ancora la
mano
sulla spalla,su quella fasciatura che ormai serviva solo per
nascondere agli occhi la gravità della sua situazione.
«Mi
ha morso un affamato,ma non è niente. Sta' tranquilla.
Ricuciremo la
ferita al campo,prenderò qualche antibiotico e
sarò nuovo come
prima».
«O
mio Dio...fammi vedere!»
«No!»
esclamò il ragazzo deciso,scuotendo la testa
«adesso torniamo al
campo. Abbiamo fatto parecchio rumore per ammazzare quei
bastardi».
Alex
annuì,sconvolta.
Il
ritorno fu alquanto traumatico. Gli affamati non furono un
problema,ma Alex e Steven sì. Entrambi stavano soffrendo,chi
per un
motivo,chi per un altro. Durante il tragitto,Alex cominciò a
rimettere e dentro la macchina si era diffuso l'odore acre e
familiare del vomito. Steven invece,continuava a stare sempre peggio
e tutti noi cominciavamo a preoccuparci sul serio. Il suo viso
diventava sempre più pallido ed i suoi occhi sempre
più stanchi. La
ferita continuava a perdere sangue incessantemente,e la sua fronte
scottava come un tizzone ardente. Quando raggiungemmo il campo,tirai
un inutile sospiro di sollievo. La prima fase era terminata,adesso
iniziava la seconda.
Noah
trasportò Steven,che cominciava a perdere i sensi,nel
gazebo,e lo
adagiò sul tavolo. Lo costrinse ad ingoiare degli
antibiotici con
dell'acqua,e poi chiese la cassetta del pronto soccorso. Quando
levò
la benda,lo sentii imprecare a bassa voce. Io e Brittany ci
avvicinammo per guardare la ferita,ed Alex ci
seguì,barcollante.
«Steven...»
mormorò la ragazza,scioccata,continuando a piangere. Si
portò una
mano alla bocca,ricominciò a vomitare.
Buona
parte del muscolo del braccio era stato mangiato,e s'intravedeva il
bianco dell'osso. Non riuscii a fissarla troppo a lungo. Persino dopo
aver spaccato crani a dei morti viventi,la vista di una simile
cosa,mi metteva sottosopra lo stomaco.
«Datemi
un accendino» ordinò Noah,con voce ferma.
Teneva
in una mano un ago,e nell'altra del filo. Mi misi una mano in tasca e
diedi l'oggetto a Noah,rapidamente. Il ragazzo passò la
punta
dell'ago sulla fiamma,per sterilizzarla,e poi infilò il
filo. Guardò
con attenzione la ferita,e cominciò a ricucirla,con le mani
che gli
tremavano.
«Ce
la farà?» chiese Alex,guardando Noah.
Il
ragazzo non rispose,continuò a ricucire.
Steven
stava sempre più male. Tossiva,si agitava,mentre le lacrime
gli
rigavano il viso. Quando gli toccai la fronte,fui costretta a
togliere la mano all'istante per l'eccessivo calore.
«Portatemi
una benda bagnata di acqua fredda!» ordinai.
Poco
dopo Brittany tornò,stringendo tra le mani una sua maglietta
fradicia. L'adagiai sulla fronte sudata del ragazzo,e premetti la mia
mano contro questa. Poi,non so perché,gli strinsi la mano.
Glielo
dovevo. Era qualcosa che sentivo di dover fare,e quando il mio
sguardo incrociò quello di Brittany,lei annuì,in
un gesto
d'assenso.
«Steven,mi
dispiace» disse Alex,sopraffatta da dei violenti singhiozzi
«perdonami,ti prego. E' soltanto colpa mia...è
tutta colpa mia. Ti
prego,resta con me. Sei tutto quel che mi è rimasto. Sei
tutto quel
che ho!»
In
quel momento il ragazzo aprì gli occhi,a fatica,e la
guardò
«non...n-non potr...ei mai avercela c-con te. S-sei la mia
sorel...sorellina,ricordi?» biascicò a fatica,con
un sorriso
spento.
Avvertii
una fitta al petto. Non potevo fare a meno di immaginare quella
situazione riversata su di me e Lucas. E se l'avessi perso?E se lui
avesse perso me?
Alex
sorrise,mentre un fiume di lacrime le inondò il viso
«ti prego...»
lo supplicò disperata,accarezzandogli le guance
«devi restare con
me. Sei l'unica persona che ho,sei l'unica persona che abbia mai
avuto».
Steven
la guardò negli occhi e sussurrò,stanco
«sarò sempre con te.
S-stare..staremo in...insiem-me ad ogni c-costo. Come...come
pr...omesso».
Alex
gli baciò la fronte ed adagiò la sua su quella
della
ragazzo,bagnandogli la pelle con le sue lacrime. Steven chiuse gli
occhi,e quando Noah finì di ricucire la ferita,era
già tardi.
Adagiai le dita sul collo del ragazzo,ma non c'era battito. Steven
era morto.
«No!»
urlò Alex,accasciandosi a terra,sulle ginocchia
«No!Steven...Steven!Ti prego...torna da me!Non puoi
lasciarmi!L'avevi promesso!L'avevi promesso...»
sussurrò,con le
mani sul viso.
Restammo
in silenzio. Guardavamo tutti il suo viso,tutti,tranne Alex. La
nostra tristezza,divenne un tutt'uno straripante,che colmava il
nostro petto. Non riuscivo a crederci. Non poteva essere vero. Non
doveva! Non era giusto...non era...no!Scossi la testa,e pochi secondi
dopo sentii esplodere il nodo in gola in un pianto liberatorio.
Mollai la mano del ragazzo,che ancora stringevo,e mi allontanai da
lì. Non riuscivo a respirare,non riuscivo a guardarlo. Feci
qualche
passo,con le gambe che mi tremavano,e poi sentii il calpestio
dell'erba alle mie spalle. Mi voltai,era Brittany che mi veniva
incontro,asciugandosi le lacrime.
«Ehi»
disse con la voce triste e debole.
Scossi
la testa di nuovo e allora lei corse ad abbracciarmi. Mi strinse
forte tra le sue braccia,ma potevo avvertire che persino la sua forza
fosse triste e stanca,debole come la mia. Appoggiai il viso sulla sua
spalla,e continuai a piangere,ascoltando solo il rumore del suo
respiro e quello dei miei singhiozzi.
«Non
doveva finire così» biascicai contro la sua
maglietta.
Lei
mi accarezzò la schiena e mi baciò la fronte
«lo so,Santana. Lo
so».
«Non
è giusto...non» un altro singhiozzo mi
assalì,bruscamente.
Lei
mi cinse con ancora più forza «Non,non
è giusto» disse con la
voce improvvisamente ferma «Non è giusto
più niente ormai. E'
successo,è successo e basta. Con chi vuoi prendertela?A chi
vuoi
attribuire la colpa?Steven era un guerriero,ha resistito sino
all'ultimo soltanto per fare un sorriso alla sorella. Dobbiamo
ricordarlo così,com'è giusto che sia».
Le
sue parole mi tranquillizzarono,e la frequenza dei miei singhiozzi
diminuì «non gli ho mai chiesto scusa per averlo
coinvolto nei miei
problemi. Non ci siamo mai chiariti,io avrei...»
Brittany
si staccò e si allontanò giusto quel poco che
bastasse per fermare
i suoi occhi nei miei,con intensità «tu
cosa?» mi chiese seria,ad
un soffio dal mio viso «Non azzardarti a farlo,Santana. Non
azzardarti a provare colpa per qualcosa di cui non sei tu la
responsabile. Questo mondo è bastardo. Le cose sono andate
come sono
andate. Steven era un ragazzo intelligente ; sono sicura che senza
che tu gli avessi detto niente,lui aveva già capito
tutto».
Riflettei
un attimo ed annuii. Brittany mi asciugò la lacrime con il
dorso
della sua mano,e mi baciò la guancia,dolcemente,come una
madre
premurosa.
«Ti
amo» mi sussurrò,tornando a stringermi
«adesso più che mai».
«Ti
amo anch'io».
Nel momento stesso in cui
avevo visto uno di noi morire,mentre un nodo alla gola mi
soffocava,mi ero resa conto di quanto fosse breve la vita,e di come
potesse essere spezzata con facilità. La paura di perdere
gli unici
affetti che avevo era forte,mostruosa,ma la voglia di amare ancora
più forte. Non avrei permesso neppure per un singolo istante
al mio
corpo di ignorare l'amore. Amore fraterno o amore tra anime
complementari. Ogni singolo istante era fondamentale. Per ogni
singolo istante della mia vita,avrei amato l'Amore.
So
che forse molti di voi hanno odiato il personaggio di Steven,come
biasimarvi?Dopo il capitolo nel quale è andato a letto con
Santana,la cosa mi sembra più che legittima. Forse l'ho
odiato anch'io,e vi chiedere come sia possibile odiare un personaggio
che io stessa ho creato. Eppure,dopo questo capitolo,spero che come me
siate tornati a provare stima verso di lui. Steven era l'eroe
silenzioso della vita,un ragazzo che ha avuto il coraggio di lottare
per i suoi sogni e che ha amato e si è sacrificato fino alla
fine per la sorella. La forza,nel mondo di "Between the hungry", non
è sufficiente,non basta per sopravvivere. Ed è di
questo che il gruppo si rende conto : che ogni cosa è vana
di fronte all'imperturbabile uragano del mondo,ogni cosa,tranne
l'amore. L'amore fa
morire e vivere,l'amore ci rende viventi nel momento stesso in cui i
nostri occhi si chiudono stanchi,per sempre. Steven è morto
da vivo,è morto da eroe. Chiudo questo capitolo
con la speranza che,nonostante la terribile fine,l'abbiate gradito.
Ancora molto dovrà succedere e vi aspetto come al solito
nelle recensioni per discutere assieme di quest'altro mio piccolo
lavoro. Alla prossima,gente!Mi
auguro che anche voi siate o sarete gli eroi silenziosi della vita...
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