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Autore: writinglove    23/07/2014    2 recensioni
E se l'apocalisse fosse arrivata?Se il male avesse raggiunto un paesino nello stato dell'Ohio?Se in una giornata qualunque,la vita di una ragazza qualunque fosse stata sconvolta nel peggiore dei modi?
Dalla storia :
L’azzurro si mischiò al nero per un istante interminabile,e quel nero non era l’oscurità della notte nella quale eravamo entrambe avvolte. Io non la stavo guardando e lei non mi stava guardando. La verità era che in quell’istante fermo nel tempo,che in quell’attimo pieno d’infinito e di emozioni,noi stavamo leggendo. […] Prima ancora che potessi capire altro,che un’ennesima certezza mi sfuggisse di mano,smisi di leggere. Ed era troppo quel che avevo visto,era tutto troppo…ogni cosa sapeva di una piacevole ed allettante esagerazione. Ma c’era una cosa che non mi scivolò via dalle mani come fosse semplice fumo,un’unica certezza imprescindibile : in quell’attimo la mia esistenza aveva ripreso ad esistere,ed il mio cuore a battere.
Genere: Drammatico, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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BETWEEN THE HUNGRY

L'Eroe silenzioso .

Non avevo mai pensato che una ragazza come Alex potesse portare sulle spalle una storia con un simile peso. Steven,con l'aria ancora palesemente sconvolta,cominciò a raccontare ed ogni singolo sguardo era rivolto verso di lui,attento,mentre ascoltavamo le sue parole.

«New York era una città pericolosa.» iniziò,con la voce triste e malinconica «Non come adesso,ma ugualmente pericolosa. Mio padre era un famoso avvocato divorzista e mia madre una donna che per tutta la vita ha finto di non vedere i problemi della nostra famiglia.» fece una pausa,amareggiato. «Crescemmo nel lusso. Frequentammo entrambi delle scuole private,ed i nostri genitori avevano già stabilito il nostro futuro dal momento in cui eravamo stati messi al mondo.» Brittany annuì rattristata come se sapesse di cosa stava parlando. «Finito il liceo,i miei decisero di iscrivermi alla Brown. Rimasi in silenzio per tre anni. Se avessi resistito un ultimo anno,mi sarei laureato. Ma quello non era il mio ambiente,non era il mio sogno,e così un giorno tornai a casa e dissi ai miei che la mia vita al college finiva lì. Alex mi stringeva la mano mentre raccontavo quale fosse il mio vero sogno,e dopo poco i miei smisero di guardarmi in faccia. Avevo quasi ventun'anni,e potevo scegliere da solo il mio futuro. Mi arruolai nei Marines pochi mesi dopo,nonostante la disapprovazione dei miei genitori,e da lì cominciò la mia vera vita. Era quello che avevo sempre desiderato,era l'ambiente che amavo ed era giusto per me. Fui egoista,adesso lo so,perché trascurai un dettaglio : Alex. Il nostro rapporto è sempre stato molto affiatato : eravamo fratelli e migliori amici. Era l'unica persona al mondo con cui fossi mai riuscito ad aprirmi completamente. Le raccontavo ogni pensiero,ogni emozione,ogni piccolo dettaglio della mia vita,ma quando me ne andai per cominciare l'addestramento,lei restò sola. Ogni volta che la chiamavo,non faceva altro che ripetermi che per lei le cose andavano alla grande. Mi raccontava di come si fosse inserita bene in un ambiente come il liceo,o di come fossero fantastici i suoi amici,o dei ragazzi per cui aveva una cotta. Tutte bugie. Quando tornai a casa il Natale di due anni dopo,scoprii tutta la verità. Quel giorno Alex era strana,ed io pensai che fosse un po' su di giri per via dello champagne che la mamma aveva messo a tavola. Ai miei occhi appariva come un'estranea. Aveva perso diversi chili,ed il suo viso era pallido ed ossuto. Le chiesi se fosse tutto ok e lei mi rispose di sì,sorridendo. A quel punto capii che c'era qualcosa che non andava,qualcosa di sbagliato. Mia sorella è sempre stato un libro aperto per me,e dalla sua espressione mi insospettii. Mentre parlava al telefono,corsi in camera sua e cominciai a frugare tra i vestiti nell'armadio,in ogni mobile,sotto il letto,però non trovai nulla. Quando ero sul punto di andarmene,adocchiai la sua borsa appoggiata sulla scrivania. Cominciai a frugare anche lì dentro e,in una tasca interna,trovai una busta piena di cocaina. Mi mancò il fiato. Mi sentivo male. Mia sorella,la persona più importante della mia vita,si drogava. Tornai in cucina con la busta in mano,mentre ancora parlava al telefono,e tirai un calcio alla sedia. Ero furioso. Potreste pensare che fossi furioso per lo sbaglio che stava commettendo,ma in verità lo ero perché lei mi aveva tenuto allo scuro di tutto. Io ero il suo confidente,il suo migliore amico,e lei mi aveva ingannato. Alex si voltò a guardare la sedia che era stata sbalzata in aria,e poi mi guardò,confusa. Quando mi osservò meglio,si accorse che stringevo tra le mani la bustina. Le cadde il telefono di mano e sgranò gli occhi,sconvolta. Non si aspettava che qualcuno l'avrebbe scoperta. I miei ancora si chiedevano che cosa stesse succedendo,così,senza aver detto ancora una parola,lanciai la busta sul tavolo. Sapete cosa disse mia madre?Le disse : “scommetto che non è tua,vero cara?”. 

Mi presi una pausa dal servizio per starle vicino,e la convinsi ad andare in un centro di riabilitazione. Ci stette per sei mesi,perdendo la scuola ed ogni amicizia che aveva avuto sino ad allora. Aveva solo sedici anni,maledizione!Non potevo pensarci,non potevo soffermarmi su quel dettaglio,perché mi sarei sentito male. Quando uscì,le cose sembrarono essersi sistemate. Io tornai al mio lavoro e lei ricominciò la sua vita da zero,lontana da ogni tentazione. Quando si diplomò,i miei cercarono di spedirla alla Cornell,ma lei,come me,non voleva andare al college,così fece un patto con loro. Se le avessero concesso un anno sabbatico,con un bel viaggio in Messico,lei si sarebbe iscritta l'anno successivo. I miei accettarono. Partì per il Messico con Meredith,una ragazza di Brooklyn che spese tutti i suoi risparmi per quel viaggio,anziché per andare al college. Alex mi disse che era una brava ragazza e che non dovevo preoccuparmi,perché erano passati anni da quell'accaduto e che adesso stava bene. Mi lasciai convincere. Pochi mesi dopo,Alex mi chiamò. Mi chiese se avessi quarantamila dollari da prestarle e mi disse che me li avrebbe restituiti. Capii che si era cacciata un'altra volta nei guai e mollai tutto per andare a prenderla. Lei e Meredith si erano incasinate con dei trafficanti di droga del posto,e avevano bisogno di soldi. Sapevo che sarebbe successo,prima o poi. Avevo sempre avuto dentro quella brutta sensazione,ma mi ero costretto ad ignorarla. Diedi i soldi a quei tizi e trascinai Alex via da lì. Meredith non ebbe intenzione di seguirci. Chiamai mio padre e gli dissi che Alex ci era ricaduta di nuovo,ed eravamo d'accordo per rispedirla in rehab. Poco dopo mia madre mi chiamò e mi disse che non fosse necessario,che Alex sarebbe tornata a casa e si sarebbe iscritta alla Cornell,come lei aveva deciso. Rimanevo sempre sconvolto per il menefreghismo dei miei,ma quella volta era troppo. Era giunto il momento di mettere le cose in chiaro,e di sbattere in faccia a mia madre lo stato cadaverico di mia sorella. Possibile che non si accorgesse di quanto fosse grave la situazione?Possibile che non si rendesse conto di che razza di madre era?Possibile che non capisse che mia sorella,a soli sedici anni,era finita in riabilitazione,e che stava per tornarci?Ero stufo. Ero stufo di quella situazione,ero stufo di vedere mia sorella ridotta uno straccio dopo aver trascorso mesi ad autodistruggersi,ed ero stufo di vedere mia madre sorriderle,evitando di guardarla negli occhi. Volevo raggiungere New York per farla finita. Io ed Alex ci saremmo staccati da quella famiglia,e da quel momento in poi mia sorella sarebbe rimasta sotto il mio controllo,ed avrebbe obbedito alle mie decisioni. Come ben sapete,durante il viaggio di ritorno accadde quel che accadde. Io avevo portato con me una pistola,intuendo il tipo di pasticci nei quali Alex si era cacciata,e lei se l'era procurata sul posto,preoccupata per la sua incolumità. All'improvviso il problema della droga passò in secondo piano. Per le strade cominciavano a spuntare quelle cose e cominciarono a fare una strage. Promisi ad Alex che saremmo riusciti a raggiungere New York e che saremmo rimasti insieme ad ogni costo. Lei mi guardò negli occhi e mi disse che la droga non avrebbe più fatto parte della sua vita. Con quella situazione che si stava scatenando,fui costretto a crederle. Mi sembrava lucida,normale come quella di un tempo. Ma credo che fino ad oggi abbia continuato a far uso di cocaina,che se la sia procurata da qualche parte durante il nostro viaggio o che addirittura se la sia portata dal Messico. Io...io non riesco a credere di non essermi reso conto di niente» disse disperato,mentre la prima lacrima prendeva a rigargli il viso «gli affamati potrebbero averla già uccisa o potrebbe essere in pericolo. Potrebbe non essere lucida e ...e...ed io devo ritrovarla. E' mia sorella».

Guardai quel ragazzo,con gli occhi pieni di lacrime. Provavo sensi di colpa per averlo usato e tristezza per la storia che avevo appena ascoltato. Avevo sempre pensato che la mia vita fosse stata incasinata,avevo sempre pensato che nella vita delle persone si celasse sempre un briciolo di sofferenza,ma quando immaginavo quella di Alex,quando immaginavo la sua sofferenza,quella che credevo facesse parte di ogni singola vita,non mi sembrava altro che serenità,al confronto con la sua. Brittany scosse la testa,asciugandosi le lacrime,e Lucas non mi mollava la mano.

«Sistemeremo ogni cosa.» disse Noah,deciso. «La ritroveremo. Non permetterò che nessuno muoia».

Fu in quel momento che capii che il vecchio Puckerman era tornato e ci avrebbe prestato un po' della sua forza.

«Alex è tutta la mia vita» disse Steven,tra i singhiozzi «è l'unica cosa che conta,per me».

Mentre guardavo il ragazzo,asciugarsi le lacrime,disperato,capii fino in fondo le sue parole. Mi voltai verso Lucas e gli accarezzai un braccio,poi verso Brittany,che strinsi tra le mie braccia con affetto.

«Amico,la ritroveremo» affermò Noah con convinzione «dovesse essere l'ultima cosa che faccio».

Infilai

stivale,e   Infilai il coltello nello stivale e mi costrinsi a respirare. Era pericoloso e non riuscivo a togliermi quel pensiero dalla testa. Alex aveva preso una delle pistole,così eravamo parecchio a corto di armi. Noah impugnava il fucile,pronto ad incamminarsi,e Steven stringeva tra le mani l'unica pistola,con lo sguardo fermo e deciso di chi ha intenzione di portare a termine la sua missione. Ci saremmo incamminati a piedi,tra i pericoli di quella piccola cittadina,alla ricerca di quella ragazza persa in chissà quanta disperazione. Nonostante cercassi di soffocarla,non riuscivo ad evitare che una sensazione negativa si appropriasse della mia mente. Mi chiedevo come avremmo fatto a ritrovarla in quella vecchia città in piena distruzione,con gli affamati che vagabondavano per le strade,alla ricerca di cibo. Non eravamo abbastanza armati ed ero convinta che la sola speranza non ci avrebbe salvati da una morte certa. Alex sarebbe potuta essere già morta,ed avrebbe potuto vagare per le strade,minacciandoci con le sue grida di fame. Scossi la testa per eliminare quel pensiero. Dovevo essere pronta. Dovevamo esserlo tutti.

«Sarà diretta verso il centro abitato» disse Steven,guardandoci «è l'unico posto dove possa trovare della droga. Sarà costretta a guardare nelle abitazioni e probabilmente sarà più pericoloso di quanto pensiate» fece una pausa «non siete costretti a seguirmi. Non lo è nessuno di voi. Non voglio che la vostra vita venga messa a repentaglio per colpa dei miei errori. Se non deciderete di seguirmi,vi capirò» concluse guardandoci serio.

Scossi la testa «non devi neppure dirlo. Non siamo forse un gruppo?»

Steven annuì «Grazie» rispose lui,spostando lo sguardo sulla pistola.

«Santana ha ragione. Io ci sto» disse Brittany.

«Non mi rimangio le promesse. Quando do la mia parola,resta quella».

«Ci sto anch'io».

Nel silenzio composto da numerosi pensieri,ci incamminammo. Attraversammo il campo che si estendeva per un paio di chilometri,forse anche di più,e poi ci ritrovammo sulla strada. Nell'osservare l'asfalto,mi pentii di non aver chiesto a Lucas e Brittany di restare all'accampamento. Sapevo che la mia paura sarebbe rimasta costante all'interno della mia persona,era inevitabile. Allo stesso tempo,però,sapevo di non poter permettere che succedesse qualcosa a nessuno di loro. Come per Steven,sua sorella era la sua vita,per me loro erano la mia. Restavamo l'uno vicino all'altro,controllando persino il rumore dei nostri respiri,camminando a passo svelto e pronti a sfoderare i nostri coltelli o le nostre pistole. La strada principale che percorrevamo,circondata dalla natura viva del bosco,portava dritta a Rochester. Ma dovevamo muoverci. La città distava un chilometro e mezzo,ed intanto il tempo volava svelto e quello della fuga di Alex fino a quel momento aumentava. A metà strada tre affamati sbucarono dalla vegetazione e si posero davanti a noi,bloccandoci la via. Si muovevano lentamente,protendendo le braccia per afferrarci,e ringhiando la loro fame. Noah posò il fucile a terra e sfoderò il coltello dalla cinta dei pantaloni,e lo stesso fece Steven. Io avanzai per aiutarli,ma prima ancora che sfoderassi il coltello dallo stivale,i due avevano trapassato il cranio degli affamati,lasciandoli accasciati a terra. Steven era una furia. Aveva colpito il primo affamato con un calcio allo stomaco,mentre Noah aveva tirato a sé il secondo,afferrandolo per il collo. Per un attimo credetti che sarebbe stato morso,invece tenne ferma la mano attorno alla gola della creatura e poi con un gesto felino gli piantò il coltello nel cranio. Steven aveva fatto perdere l'equilibrio all'affamato, poi,senza neppure usare l'arma dalla lama appuntita,gli aveva spaccato il cranio con un paio di calci. Una scena disgustosa. Il terzo affamato aveva stretto le mani attorno il braccio di Steven,Noah era intervenuto e l'aveva scaraventato a terra con la forza,e gli aveva piantato il coltello in mezzo agli occhi. I due si guardarono in faccia,riprendendo fiato,si voltarono per guardare se stessimo bene,e poi,sempre in silenzio,come se non fosse successo niente di nuovo o di eccezionale,riprendemmo a camminare a passo svelto. Con l'avvicinarsi alla città,aumentò la mia agitazione. Mi guardavo intorno,sempre allerta,preoccupata che potessimo finire in una trappola bella e buona dalla quale non saremmo potuti sfuggire. Guardavo Brittany,che ogni tanto mi fissava,ed odiavo il fatto che non potessi tenerla per mano. Quella storia non sarebbe durata ancora molto,ne ero già stufa. L'avrei stretta tutte le volte che ne avevo voglia,l'avrei baciata ogni qual volta che ne avessi sentito il desiderio,l'avrei tenuta per mano tutte le volte che i nostri occhi si fossero incrociati,spaventati. Perché di vita ce n'era una sola,e neppure sapevamo quando sarebbe terminata o in che modo. Potevamo morire tra solo un quarto d'ora o cinque minuti. Sarebbero potuti sbucare decine di affamati dalla città o dalla foresta,o da tutt'e due contemporaneamente,e allora sarebbe stata la fine. Immaginavo una di quelle cose aggredirmi alle spalle,e poi un'altra e un'altra ancora,sino a che il loro peso non mi avrebbe fatta accasciare a terra. Poi avrebbero cominciato a divorarmi,mentre con gli occhi osservavo Brittany fare la stessa fine. Rabbrividii e sentii l'immediato bisogno di rifugiarmi nel suo abbraccio. Le sfiorai la mano di proposito,e lei mi sorrise.

«Ti amo» le mimai,per non farmi sentire da Lucas poco distante «qualunque cosa accada».

Gli angoli della bocca le si piegarono all'insù,e si morse un labbro. Potevo scorgere nei suoi occhi il desiderio di baciarmi,lo stesso desiderio che avevo anch'io.

Raggiungemmo la città pochi minuti dopo e mi accorsi soltanto allora che il passo di Steven,con il passare del tempo,non faceva altro che aumentare. Fummo costretti ad accelerare anche noi e,quando vidi il primo edificio grigiastro affiancare la strada,avvertii un peso sullo stomaco. Noah si voltò e ci sussurrò di seguirlo. Nel frattempo le nuvole si addensavano sopra le nostre teste,sempre più grigie,sempre più cariche d'acqua. Steven si guardava intorno,attento,agitato...preoccupato. Abbandonammo la strada che avevamo percorso sino ad allora e ne prendemmo un'altra,secondaria,sulla sinistra. Il cuore mi batteva rapido nel petto e controllavo dove mettessi i piedi,per evitare di fare rumore. Poi,verso la fine della strada,li sentimmo. Sbucarono dall'incrocio guardandoci con quegli occhi vitrei ed accelerarono il passo,aumentando allo stesso tempo l'intensità dei loro versi. Ne spuntarono cinque,poi sette,otto,dieci,dodici. Mi voltai e ne vidi altri nella direzione opposta. Quella era una delle trappole di cui parlavo. Eravamo circondati. Eravamo in cinque e loro il triplo. Il mio respiro divenne corto,il cuore mi esplodeva nel petto,la paura mi divorava e mi ovattava la testa,come fosse un velo trasparente dal quale filtravo ogni cosa. Lo scatto all'indietro del carrello di una pistola mi fece sussultare. Guardai Brittany. Guardai Lucas. Poi ancora Brittany,poi ancora Lucas. Che cosa dovevamo fare?Come potevamo uscire da quella situazione?

Noah e Steven indietreggiarono per guadagnare terreno,ma allo stesso tempo dall'altro lato della strada ne stavano arrivando altri. Quando vidi spuntare altre teste da dietro l'angolo,il mio corpo cominciò a tremare. Presi la mano di Brittany e la strinsi forte tra le mie dita. Non volevo lasciarla.

«Cazzo» borbottò Noah,con il viso contratto in una smorfia dura ed i muscoli rigidi come il legno.

Steven cominciò a sparare alle nostre spalle. Colpì tre affamati alla nuca,che caddero a terra,poi continuò a sparare. Noah impugnò il fucile saldamente,nonostante gli tremassero le mani,e sparò a due affamati,mancandoli alla testa. Avevo paura. In quell'esatto istante,sapevo che saremmo morti tutti. Sfoderai il coltello dallo stivale e Brittany fece lo stesso,Lucas ce l'aveva già in mano. Se volevamo sopravvivere,dovevamo lottare. In quel momento li guardai,e fui pronta a farlo.

«Ci penso io qui dietro!» avvisò Steven,rivolto a Noah «tu mira a quelli davanti».

Così fecero. Il rumore dei colpi sparati,uno dietro l'altro,misto a quello dei versi,era assordante. Sentivo il frastuono entrarmi nelle orecchie ed esplodermi nelle tempie. Impugnai il coltello in mano e,quando il primo affamato mise le mani su Noah,che era intento a sparare agli altri,lo afferrai dalla maglia logora e lo scaraventai a terra con uno sgambetto. Gli conficcai il coltello nella fronte con un gesto pieno di rabbia e mi rialzai. Noah mi ringraziò con uno sguardo piuttosto distratto,mentre era intento a mirare alla testa gli affamati che continuavano ad avvicinarsi. Continuavano ad arrivare,uno dopo l'altro,attratti dal rumore. Quella strada era diventato l'inferno sulla terra. Era l'inferno per ognuno di noi. Brittany e Lucas stavano aiutando Steven a ripulire l'inizio della strada,quella alle nostre spalle,in modo che potessimo fuggire da lì ed allontanarci da quel putiferio. Noah ed io badavamo a quelli davanti,ma quando il fucile finì le cartucce,ci rendemmo conto entrambi che non c'era abbastanza tempo per ricaricare.

«Steven!» gridò Noah,nel panico.

Tirò fuori il coltello dalla cinta dei pantaloni e si preparò a fronteggiare il gruppo. Non potevamo farcela,in due non era possibile. Steven accorse da noi e guardò dritto di fronte a sé,con gli occhi sgranati.

«Sono troppi. Sto finendo le munizioni. Dobbiamo andarcene,ora!»

Steven cominciò a sparare,mentre noi altri indietreggiavamo a mano a mano che Brittany e Lucas liberavano la strada alle nostre spalle. Camminavamo troppo lentamente,però,e quell'orda ci avrebbe inglobati da un momento all'altro. Scossi la testa,sconvolta. Mi voltai verso Brittany,che mi guardava a distanza di qualche metro,e notai la disperazione sul suo viso. Non poteva finire in quel modo,non era giusto. Le nostre vite,ogni nostro pensiero,ogni nostro desiderio,ogni nostra emozione o paura...non potevamo morire lì,come tante vittime sacrificali,dilaniati da quei mostri. Tutto quello che avevamo vissuto,tutto quello che avevamo passato,le nostre storie. La mia storia,quella di Brittany,quella di mio fratello,quella di Alex,quella di Steven...nessuno avrebbe ricordato le nostre vite,nessuno avrebbe ricordato i nostri volti o chi eravamo stati. Tutto sarebbe finito lì,in quella strada grigia,sotto una coltre di nuvole minacciose,tra grida di disperazione e speranza che moriva. Gli occhi azzurri di Brittany mi fissavano,penetrando la paura che si mischiava nell'aria. Accolsi quello sguardo nel cuore,e pensai che sarebbe stato l'ultimo che avrei mai visto.

«Ti amo» le mimai,ancora una volta,con un sorriso triste.

Avevo voglia di piangere,e forse presto l'avrei fatto. Ma non ero ancora pronta a lasciar scivolare la vita dalle mie mani,non era giunto il momento. Contai gli affamati che avevamo davanti : ne erano rimasti otto.

«Affrontiamoli!» gridai agli altri.

Continuammo ad indietreggiare.

«Ho finito le munizioni!» esclamò Steven,disperato.

Quando ero convinta che sarebbe finita,Noah si gettò nella mischia. Aveva il fucile sorretto in orizzontale in una mano e il coltello nell'altra. Io e Steven ci guardammo in faccia,sconvolti. Noah impugnò il fucile per la canna,come con una mazza da baseball. Due affamati lo accerchiarono e Steven corse in suo soccorso. Noah colpì la testa di uno dei due con il fucile talmente forte,da frantumargli il cranio. Steven gli tolse di dosso l'altro essere e gli piantò il coltello nella nuca. Poi corse da un altro,gli chiuse entrambe le mani attorno al collo e lo sollevò come fosse fatto di gomma piuma. Lo scaraventò a terra con una rabbia mostruosa,e gli spaccò la testa con una piedata. Quando però le cose sembravano mettersi per il meglio,davanti ai nostri occhi increduli e sconvolti,Noah venne preso alle spalle da un affamato. Fu preso di sorpresa e cadde a terra, perdendo l'equilibrio.

«Noah!» gridai con il cuore in gola,pronta ad accorrere in suo aiuto.

Lui mise il fucile in orizzontale e spinse via l'affamato,per poi colpirlo. Lo gettò a terra e lo massacrò di colpi con la base dell'arma,fino a fracassargli la testa. Mi guardò,mi fece un gesto d'assenso,e tornò nella mischia. Dietro di noi,non ne arrivavano più. Giusto qualcuno di rado che Brittany e Lucas,collaborando,riuscivano ad eliminare. L'asfalto era pieno di cadaveri e camminarvici sopra,diventava quasi impossibile.

Poi,un urlo mi fermò il cuore. Era glaciale,pieno di sofferenza.

«Cristo!»

Steven era a terra,a carponi,con una mano sopra il braccio. Sull'asfalto si trascinava un affamato,avvicinandosi pericolosamente al ragazzo. Noah si voltò verso di lui e spaccò il cranio dell'affamato con il fucile.

«Cos'è successo?» chiese Puckerman,con il viso pieno di gocce di sudore.

Steven,ancora a terra,scosse la testa «mi ha morso!» esclamò,mentre il sangue sgorgava incontrollatamente dalla ferita.

«Non mi sono accorto di niente. E' sbucato all'improvviso e si è attaccato al mio braccio. Dio...mi ha staccato il muscolo!» gridò,portandosi una mano tra i denti,per il dolore.

Noah lo guardò ancora incredulo e lo sollevò da terra «fammi vedere» disse.

Steven si scoprì la ferita e potei vedere anch'io,nitidamente,come fosse stato dilaniato. Il sangue gli aveva macchiato tutta la maglietta e scendeva,copiosamente,sino ad intingere anche i pantaloni verde militare.

«Aspetta» disse Noah. Si strappo un pezzo di stoffa dalla maglietta e glielo diede «legaglielo intorno e tieni premuta la mano».

«D'accordo» rispose Steven,stringendo i denti,bianco in viso.

Non c'era più neppure un affamato in quella strada e Brittany e Lucas si avvicinarono agli altri due,assieme a me.

«Cos'è successo?» chiese Lucas sconvolto.

«Mi ha morso!» rispose Steven.

«Amico,che cosa hai intenzione di fare?» chiese Noah all'altro. Lui lo guardò confuso. «Torniamo al campo o cerchiamo Alex?»

Steven strinse identi,di nuovo «Alex» biascicò.

Ci rincamminammo tutti e cinque,ma più lentamente. Raggiungemmo la fine della strada e svoltammo l'angolo,questa volta senza problemi. Steven continuava a piangere per il dolore ed il pezzo di stoffa,che teneva avvolto attorno alla ferita,era intinto di sangue e gocciava a terra,lasciando una scia sull'asfalto.

«Sei stato bravo» dissi a mio fratello,quando tornò al mio fianco assieme a Brittany.

Lui scosse la testa «ti ricordi all'ospedale,quando si è scatenato tutto?» mi disse.

Annuii.

«Il padre della tua amica» affermò semplicemente,con quell'aria preoccupata.

Impiegai qualche secondo per rendermi conto di cosa stesse cercando di dirmi. Mandy. Suo padre. Era morto e poi era diventato...

«Sì,mi ricordo».

Ci capimmo con uno sguardo. Ricordavo bene quell'immagine ferma nel tempo. Quel corpo che si era sollevato ed aveva divorato la propria figlia. Come dimenticarlo?Avevo il ricordo di Mandy impresso nel cuore. Rivedevo la sua immagine ogni qual volta che un affamato compariva e rivivevo lo stesso stupore e terrore al ricordo di suo padre.

«Dovremmo informarlo?» mi chiese lui.

Ci pensai qualche secondo e scossi la testa «sarebbe una distrazione adesso,Lucas. Non sappiamo cosa succederà. Steven ha riportato una ferita grave,ma potrebbe sopravvivere».

Mi sembrava la cosa più giusta. Non eravamo certi di niente,ed una tale notizia,avrebbe potuto creare ancor più caos di quello nel quale sguazzavamo.

Lui si limitò ad annuire,ancora pensieroso.

Camminammo per qualche altro minuto e ci ritrovammo di fronte a delle villette a schiera dall'aspetto grazioso. Come fosse stato un fulmine a ciel sereno,lo vidi.

«Il Wrangler!» esclamai con un guizzo al cuore.

Tutti portarono lo sguardo sul fuoristrada rosso in lontananza. Steven,con espressione dolorante,cominciò a correre in direzione della macchina e noi lo seguimmo. Il ragazzo aprì lo sportello dell'auto,ma all'interno non vi era nessuno. Lo richiuse,si guardò intorno,e poi si asciugò il sudore sulla fronte. Cominciava ad esser pallido,ed il suo viso era velato da qualche goccia di sudore. Per alcuni versi,mi ricordava un po' quello di Alex nei giorni precedenti.

«Non può essere lontana» affermò Noah,osservando l'espressione delusa del ragazzo.

Restammo per qualche istante in silenzio,domandandoci cosa fare.

«Zitti!» intimò Brittany,concentrata «Lo sentite?»

Avrei potuto ascoltare il battito del mio cuore in quel silenzio,invece,prestando attenzione,avrei giurato di riuscire ad udire i versi degli affamati. Era un suono distorto,lontano,addirittura metallico...sembrava quasi immaginario,ma c'era.

«Dev'essere lei!» esclamai «Forse la stanno seguendo».

Steven annuì «i versi sembrano provenire da in fondo alla strada!»

In men che non si dica,cominciammo a correre,alimentati da un briciolo di speranza nel petto. Noah ricaricò il fucile e si mise in testa al gruppo assieme a Steven. Facemmo cento metri,forse,e poi vedemmo il gruppo di affamati addossati alla porta del garage dell'ennesima villetta. Colpivano la superficie di metallo goffamente,emettendo quel suono soffocato e spaventoso con tutta la loro forza.

«Alex è lì dentro!» esclamò Steven,con un filo di voce sofferente.

Non appena aprì bocca,alcuni degli affamati si voltarono. Forse erano una ventina e,uno per volta,si girarono incuriositi dal suono che avevano udito.

«Merda» bofonchiò Noah,allarmato.

Gli affamati cominciarono ad avvicinarsi e noi ad indietreggiare. Erano in troppi,ed avevamo una sola arma a disposizione. La situazione si ripeteva,di nuovo.

«Ho un'idea!» disse Brittany «Corriamo fino al Wrangler,tu sali sul tettuccio della macchina e li fai fuori uno per uno da lontano. Saremo abbastanza distanti e potremo allontanarci con facilità. Si può fare?»

Noah la guardò,ci pensò su un istante,ed annuì.

Di corsa,tornammo a fare lo stesso tragitto di prima,al contrario. Ci separavano almeno settanta metri da loro,e Noah salì sul tettuccio del Wrangler,alla svelta. Prese un grande respiro,impugnò il fucile a dovere,e sparò il primo colpo che mancò del tutto l'affamato. Sparò ancora,e ancora,e ancora,fino a che non persi il conto dei proiettili che erano partiti dall'arma. Uno per uno,gli affamati caddero a terra,inermi. Ne rimasero soltanto tre,ormai abbastanza vicini,e Noah li fece fuori con una facilità disarmante,allo stesso modo degli altri.

«Andiamo a prenderla» disse Puckerman,pronto a tornare di fronte alla villetta «dobbiamo muoverci. Il rumore ne attirerà altri. A breve potremmo ritrovarci circondati da tutti gli affamati di questa cittadina».

Steven si portò una mano sul viso cadaverico,si asciugò il sudore e tossì con fatica. Le gocce sul viso gli colavano dalla fronte,sino agli occhi,e poi ancora dal naso,sulla bocca. La sua situazione si stava aggravando,e ormai il pezzo di stoffa che teneva legato attorno alla ferita,non era altro che pregno di sangue sino a risultare pesante per via del liquido assorbito,e completamente inutile.

«Andiamo» disse stringendo i denti,in una smorfia di dolore.

Soffrivo nel vederlo in quel modo. Il pensiero che mi aveva instillato Lucas,non faceva altro che ritornarmi in mente e tormentarmi. Non volevo pensare ad una sua possibile morte,ma se fosse successo? Non poteva morire. Non poteva e basta. Era il più forte lì,il più coraggioso,il capo gruppo,e se la sarebbe cavata. Se la sarebbe cavata per forza. Quando un ricordo che tenevo da giorni lontano dalla mente riaffiorò,scossi la testa per scacciarlo via. Non era il momento per cedere ai sensi di colpa.

Ripercorremmo i metri che ci separavano dalla villetta,e quando ci dirigemmo verso la porta del garage,questa si aprì,lentamente,quasi con timore.

«Vi chiedo scusa» biascicò Alex,in lacrime,con le parole che le si strozzavano in gola.

La ragazza era irriconoscibile. Il suo viso non aveva un semplice colorito pallido,sintomo di malessere,ma bensì grigiastro. Le occhiaie sotto il suo viso non erano più bluastre,ma scure e ben definite,come dopo aver preso un pugno in un occhio. I suoi capelli erano sporchi ed incollati,i suoi occhi gonfi e stanchi,le sue labbra violacee e screpolate,ed il suo viso era avvolto da un fitto velo di sudore. Le lacrime che le rigavano il viso si mischiavano alla sostanza che il suo malessere produceva,e il risultato dell'insieme di quei particolari,era un aspetto malsano,sofferente...irriconoscibile.

«Alex!» urlò il fratello con un bagliore negli occhi.

La ragazza batté i denti,cercando di tenere a bada il tremolio nelle mani,e si avvicinò al fratello,inizialmente timorosa «ti prego,non essere arrabbiato. Ho sbagliato,lo so» disse con un filo di voce spezzata dai singhiozzi.

Quando poi guardò meglio il ragazzo,sgranò gli occhi e si portò una mano sulla bocca « che ti è successo?» gli chiese basita.

Steven scosse la testa e si sforzò di sorridere. Teneva ancora la mano sulla spalla,su quella fasciatura che ormai serviva solo per nascondere agli occhi la gravità della sua situazione.

«Mi ha morso un affamato,ma non è niente. Sta' tranquilla. Ricuciremo la ferita al campo,prenderò qualche antibiotico e sarò nuovo come prima».

«O mio Dio...fammi vedere!»

«No!» esclamò il ragazzo deciso,scuotendo la testa «adesso torniamo al campo. Abbiamo fatto parecchio rumore per ammazzare quei bastardi».

Alex annuì,sconvolta.


Il ritorno fu alquanto traumatico. Gli affamati non furono un problema,ma Alex e Steven sì. Entrambi stavano soffrendo,chi per un motivo,chi per un altro. Durante il tragitto,Alex cominciò a rimettere e dentro la macchina si era diffuso l'odore acre e familiare del vomito. Steven invece,continuava a stare sempre peggio e tutti noi cominciavamo a preoccuparci sul serio. Il suo viso diventava sempre più pallido ed i suoi occhi sempre più stanchi. La ferita continuava a perdere sangue incessantemente,e la sua fronte scottava come un tizzone ardente. Quando raggiungemmo il campo,tirai un inutile sospiro di sollievo. La prima fase era terminata,adesso iniziava la seconda.


Noah trasportò Steven,che cominciava a perdere i sensi,nel gazebo,e lo adagiò sul tavolo. Lo costrinse ad ingoiare degli antibiotici con dell'acqua,e poi chiese la cassetta del pronto soccorso. Quando levò la benda,lo sentii imprecare a bassa voce. Io e Brittany ci avvicinammo per guardare la ferita,ed Alex ci seguì,barcollante.

«Steven...» mormorò la ragazza,scioccata,continuando a piangere. Si portò una mano alla bocca,ricominciò a vomitare.

Buona parte del muscolo del braccio era stato mangiato,e s'intravedeva il bianco dell'osso. Non riuscii a fissarla troppo a lungo. Persino dopo aver spaccato crani a dei morti viventi,la vista di una simile cosa,mi metteva sottosopra lo stomaco.

«Datemi un accendino» ordinò Noah,con voce ferma.

Teneva in una mano un ago,e nell'altra del filo. Mi misi una mano in tasca e diedi l'oggetto a Noah,rapidamente. Il ragazzo passò la punta dell'ago sulla fiamma,per sterilizzarla,e poi infilò il filo. Guardò con attenzione la ferita,e cominciò a ricucirla,con le mani che gli tremavano.

«Ce la farà?» chiese Alex,guardando Noah.

Il ragazzo non rispose,continuò a ricucire.

Steven stava sempre più male. Tossiva,si agitava,mentre le lacrime gli rigavano il viso. Quando gli toccai la fronte,fui costretta a togliere la mano all'istante per l'eccessivo calore.

«Portatemi una benda bagnata di acqua fredda!» ordinai.

Poco dopo Brittany tornò,stringendo tra le mani una sua maglietta fradicia. L'adagiai sulla fronte sudata del ragazzo,e premetti la mia mano contro questa. Poi,non so perché,gli strinsi la mano. Glielo dovevo. Era qualcosa che sentivo di dover fare,e quando il mio sguardo incrociò quello di Brittany,lei annuì,in un gesto d'assenso.

«Steven,mi dispiace» disse Alex,sopraffatta da dei violenti singhiozzi «perdonami,ti prego. E' soltanto colpa mia...è tutta colpa mia. Ti prego,resta con me. Sei tutto quel che mi è rimasto. Sei tutto quel che ho!»

In quel momento il ragazzo aprì gli occhi,a fatica,e la guardò «non...n-non potr...ei mai avercela c-con te. S-sei la mia sorel...sorellina,ricordi?» biascicò a fatica,con un sorriso spento.

Avvertii una fitta al petto. Non potevo fare a meno di immaginare quella situazione riversata su di me e Lucas. E se l'avessi perso?E se lui avesse perso me?

Alex sorrise,mentre un fiume di lacrime le inondò il viso «ti prego...» lo supplicò disperata,accarezzandogli le guance «devi restare con me. Sei l'unica persona che ho,sei l'unica persona che abbia mai avuto».

Steven la guardò negli occhi e sussurrò,stanco «sarò sempre con te. S-stare..staremo in...insiem-me ad ogni c-costo. Come...come pr...omesso».

Alex gli baciò la fronte ed adagiò la sua su quella della ragazzo,bagnandogli la pelle con le sue lacrime. Steven chiuse gli occhi,e quando Noah finì di ricucire la ferita,era già tardi. Adagiai le dita sul collo del ragazzo,ma non c'era battito. Steven era morto.

«No!» urlò Alex,accasciandosi a terra,sulle ginocchia «No!Steven...Steven!Ti prego...torna da me!Non puoi lasciarmi!L'avevi promesso!L'avevi promesso...» sussurrò,con le mani sul viso.

Restammo in silenzio. Guardavamo tutti il suo viso,tutti,tranne Alex. La nostra tristezza,divenne un tutt'uno straripante,che colmava il nostro petto. Non riuscivo a crederci. Non poteva essere vero. Non doveva! Non era giusto...non era...no!Scossi la testa,e pochi secondi dopo sentii esplodere il nodo in gola in un pianto liberatorio. Mollai la mano del ragazzo,che ancora stringevo,e mi allontanai da lì. Non riuscivo a respirare,non riuscivo a guardarlo. Feci qualche passo,con le gambe che mi tremavano,e poi sentii il calpestio dell'erba alle mie spalle. Mi voltai,era Brittany che mi veniva incontro,asciugandosi le lacrime.

«Ehi» disse con la voce triste e debole.

Scossi la testa di nuovo e allora lei corse ad abbracciarmi. Mi strinse forte tra le sue braccia,ma potevo avvertire che persino la sua forza fosse triste e stanca,debole come la mia. Appoggiai il viso sulla sua spalla,e continuai a piangere,ascoltando solo il rumore del suo respiro e quello dei miei singhiozzi.

«Non doveva finire così» biascicai contro la sua maglietta.

Lei mi accarezzò la schiena e mi baciò la fronte «lo so,Santana. Lo so».

«Non è giusto...non» un altro singhiozzo mi assalì,bruscamente.

Lei mi cinse con ancora più forza «Non,non è giusto» disse con la voce improvvisamente ferma «Non è giusto più niente ormai. E' successo,è successo e basta. Con chi vuoi prendertela?A chi vuoi attribuire la colpa?Steven era un guerriero,ha resistito sino all'ultimo soltanto per fare un sorriso alla sorella. Dobbiamo ricordarlo così,com'è giusto che sia».

Le sue parole mi tranquillizzarono,e la frequenza dei miei singhiozzi diminuì «non gli ho mai chiesto scusa per averlo coinvolto nei miei problemi. Non ci siamo mai chiariti,io avrei...»

Brittany si staccò e si allontanò giusto quel poco che bastasse per fermare i suoi occhi nei miei,con intensità «tu cosa?» mi chiese seria,ad un soffio dal mio viso «Non azzardarti a farlo,Santana. Non azzardarti a provare colpa per qualcosa di cui non sei tu la responsabile. Questo mondo è bastardo. Le cose sono andate come sono andate. Steven era un ragazzo intelligente ; sono sicura che senza che tu gli avessi detto niente,lui aveva già capito tutto».

Riflettei un attimo ed annuii. Brittany mi asciugò la lacrime con il dorso della sua mano,e mi baciò la guancia,dolcemente,come una madre premurosa.

«Ti amo» mi sussurrò,tornando a stringermi «adesso più che mai».

«Ti amo anch'io».

Nel momento stesso in cui avevo visto uno di noi morire,mentre un nodo alla gola mi soffocava,mi ero resa conto di quanto fosse breve la vita,e di come potesse essere spezzata con facilità. La paura di perdere gli unici affetti che avevo era forte,mostruosa,ma la voglia di amare ancora più forte. Non avrei permesso neppure per un singolo istante al mio corpo di ignorare l'amore. Amore fraterno o amore tra anime complementari. Ogni singolo istante era fondamentale. Per ogni singolo istante della mia vita,avrei amato l'Amore.

So che forse molti di voi hanno odiato il personaggio di Steven,come biasimarvi?Dopo il capitolo nel quale è andato a letto con Santana,la cosa mi sembra più che legittima. Forse l'ho odiato anch'io,e vi chiedere come sia possibile odiare un personaggio che io stessa ho creato. Eppure,dopo questo capitolo,spero che come me siate tornati a provare stima verso di lui. Steven era l'eroe silenzioso della vita,un ragazzo che ha avuto il coraggio di lottare per i suoi sogni e che ha amato e si è sacrificato fino alla fine per la sorella. La forza,nel mondo di "Between the hungry", non è sufficiente,non basta per sopravvivere. Ed è di questo che il gruppo si rende conto : che ogni cosa è vana di fronte all'imperturbabile uragano del mondo,ogni cosa,tranne l'amore. L'amore fa morire e vivere,l'amore ci rende viventi nel momento stesso in cui i nostri occhi si chiudono stanchi,per sempre. Steven è morto da vivo,è morto da eroe. Chiudo questo capitolo con la speranza che,nonostante la terribile fine,l'abbiate gradito. Ancora molto dovrà succedere e vi aspetto come al solito nelle recensioni per discutere assieme di quest'altro mio piccolo lavoro. Alla prossima,gente!Mi auguro che anche voi siate o sarete gli eroi silenziosi della vita...

  
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