32. Cheers
Darlin’
Thomas non chiamò più, segno che Jay si
sbagliava, aveva fatto sul serio, e Beatrix non si prese neanche
più il disturbo di cercarlo. Pensò che un uomo
capace di lasciare una ragazza in mezzo alla strada sbattendola fuori
dall’auto non meritasse alcun riguardo, ma la solitudine la
ingurgitò in un solo boccone e la tristezza si fece
più dura da sopportare.
Prese il pc accedendo al suo account facebook e si accorse che Thomas
l’aveva già cancellata, modificando il suo stato
da “Fidanzato” a “Single”. Non
rimase stupita, quel gesto era palesemente da lui e consultando la
propria bacheca si accorse che già dal mattino in molti
l’avevano cercata, inondandola di messaggi e di promesse di
appoggio. Di tutta risposta, anziché apprezzare,
andò sulle impostazioni del suo account e cliccò
su “disattiva il mio account”. Facebook, che
sembrava fosse l’unico a tenerci, le dava un’altra
possibilità. Esitò per qualche istante
finché, decisa a porre fine a tutta
quell’ipocrisia, flaggò tutte le impostazioni del
caso e posizionando la freccia del mouse su
“Conferma”, inserì la sua password per
convalidare la propria identità e comparì la
scritta che aspettava già da molti click:
Il tuo
account è stato disattivato
Per riattivare il tuo account, accedi con l’e-mail e la
password che usavi in precedenza. Sarai in grado di usare il sito come
prima.
Speriamo che tornerai a trovarci presto.
Così mise fine a tutto, si chiamò fuori da quel
mondo. Ogni suo ricordo, foto e stato svanirono in
quell’istante pronti a ritornare a galla non appena avesse
voluto. Facebook, più di Thomas, aveva tentato fino alla
fine di tenerla con sé e si accorse di quanto le persone
potessero essere così vili e incapaci di provare reale
attaccamento a qualcuno, così come un semplice social
network. L’amore disinteressato non sarebbe mai
più esistito, ne era certa.
***
Uscì nel fine settimana, dopo giornate di solitudine a casa,
tra una dormita, una sbornia solitaria e vecchi film:
ritornò all’Escape.
Sull’autobus che la portava a Soho i suoi pensieri non fecero
altro che prenderla in giro. Si disse continuamente che la scelta di
ritornare a Soho fosse del tutto casuale: “perché
lì ci si diverte. È il quartiere della vita
notturna a luci rosse” si ripeteva.
Pensò che anche lei meritava di svagarsi e trovare qualcuno
con cui passare qualche ora in totale leggerezza. Non appena
finì di formulare il pensiero, le parole di Jay ritornarono
a galla: “È noto che una donna, per
consolarsi, tende a cercare nuove avventure...”
Sì sentì decisamente patetica, ma scelse di non
curarsene: voleva godersi una serata diversa poiché, ormai,
non esisteva più per nessuno. Era sola.
Arrivò all’Escape vestita di tutto punto,
sfoggiando un vestitino sfizioso color argento abbinato ai suoi
inseparabili anfibi e si avviò al bancone negando a se
stessa di cercarlo, ma il cuore le svelò la
verità battendo all’impazzata per lui, per Jay,
seduto al bancone esattamente come la prima volta.
Si sentì felice come poche volte nella vita e si
avvicinò a passo spedito per evitare che qualcuno occupasse
il posto accanto.
«Le donne abbandonate tendono a consolarsi con il primo che
capita, eh? Secondo te perché, allora, vengo qui e mi siedo
vicino a te senza cercare quello che potrebbe consolarmi?»
esordì sorridente.
«Perché non tutte le donne fanno così,
me lo hai detto tu!» rispose con le labbra al bicchiere e lo
sguardo fisso alle bottiglie davanti a sé.
Fu felice di essere stata in grado, almeno con lui, di aver messo in
chiaro che non era come tante altre e annuì soddisfatta:
«Impari in fretta i concetti!». Jay diede vita al
sorrisetto sarcastico più bello che lei avesse mai visto e
per togliersi dall’impiccio di dover spiegare il
perché del suo sguardo trasognato, chiese senza tanti giri
di parole: «Quel ragazzo dell’altra sera, quello
che hai baciato, è il tuo ragazzo?»
Jay strizzò gli occhi come per cercare nei suoi ricordi di
chi potesse parlare e poggiando il bicchiere sul bancone rispose
voltandosi verso di lei: «Ma chi, Brad? Il
biondino?”
«Sì, sì! Proprio quello!»
confermò sorniona.
«Ma no…» si affrettò a
precisare: «Non è affatto il mio ragazzo,
è… come dire: un mio vecchio cliente!»
«Cliente?!» replicò perplessa:
«Tu, abitualmente, ti avvinghi in quel modo ai tuoi
clienti?»
«Se mi pagano bene, sì!» rispose
ironico, lasciando Beatrix di stucco. Ancora non aveva compreso cosa
volesse dirle ed il tono limpido e trasparente di Jay la mise
maggiormente fuori strada.
«Ma tu di cosa ti occupi, esattamente?».
Jay, accennando ancora quel sorriso irresistibile, la
scimmiottò divertito: «La Sposa è
una ficcanaso!»
«Non sono una ficcanaso!!! Se permetti vorrei capire cosa
intendi. E poi, perché mi chiami La
Sposa?» disse di getto, non riuscendo a contenere
la curiosità. Lui si voltò guardandola negli
occhi, tentando di comprendere fino in fondo che tipo di persona
potesse essere; chiaramente stava cercando di capire se Beatrix fosse
la persona giusta con la quale avrebbe potuto parlare senza mezzi
termini e scorgendo in lei, evidentemente, qualcosa di rassicurante,
rispose rassegnato: «Ho venduto il mio corpo per soldi a
quell’uomo una volta e ho paura di esserci ricaduto di nuovo.
Sono di sua proprietà.».
Beatrix sentì le parole mozzarsi in gola e rimase in
silenzio per qualche minuto. Jay non aveva smesso un attimo di fissarla
e, senza capirne il motivo, vide un’incontenibile tristezza
sgorgarle dagli occhi. Rimase stupito dalla reazione inaspettata di
quella che, per lui, era ancora una sconosciuta.
Si guardarono per un po’ senza sapere cosa dirsi e quando lei
si accorse di averlo impensierito, si asciugò le lacrime.
«Scusa Jay!»
«Figurati.» le sorrise con estrema dolcezza, tanto
da farla commuovere ulteriormente. La ragazza non riuscì a
fermarsi, così si lascio andare, infine, ad un pianto quieto
ma inarrestabile. Jay non disse nulla per tutto il tempo,
guardò le lacrime fluire senza fare nulla per fermarle, come
se quelle stesse riuscissero a purificarlo. Beatrix stava sfogando
tutto il pianto che lui stesso non era mai riuscito a tirare fuori per
anni. Quando lei, di punto in bianco, si accorse di essere un
po’ fuori luogo, si arrestò di nuovo, balbettando
sotto voce: «Scusami.»
«Non ti scusare, non hai fatto niente!» rispose con
tono rincuorante, accarezzandole il viso per poi prenderle le mani:
«Io sto bene!».
Sebbene cercasse di rassicurarla il suo viso manifestava una tale
malinconia da farle male; avrebbe voluto chiedergli il
perché si donasse con così tanta rassegnazione ad
un uomo incapace di averlo solo con l’amore. Lui, per lei,
sembrava un angelo caduto in un mondo che non gli apparteneva, un mondo
talmente duro e brutale che non sarebbe mai stato in grado di gestire.
Nonostante sembrasse sicuro di sé aveva nel cuore una
fragilità tale da poterlo spezzare in mille pezzi anche solo
con un soffio; decise di non lasciarlo indietro come avevano fatto
tutti, si sarebbe presa cura di lui perché lo meritava, il
suo sguardo glielo suggeriva: era assente, arrendevole, incapace di
sfogare alcun affanno malgrado il cuore ne fosse pieno; come se avesse
imprigionato dentro di sé un dolore troppo grande da esibire
perché sarebbe stato devastante una volta esploso. Era
umiliato, amareggiato, deluso e ferito, eppure faceva di tutto pur di
non darlo a vedere, tranne che in quel momento. Darsi a
quell’uomo ne faceva una vittima, ma di se stesso. Era
vittima e carnefice, era l’autore del suo stesso declino e
Beatrix decise che sarebbe stata lei a salvarlo perché lui
non meritava questo. Si chiese come fosse possibile rimanere
così colpita da un ragazzo che conosceva a stento, ma
qualcosa le diceva che, forse, il destino li aveva fatti incontrare in
un periodo propizio per entrambi. Non avrebbe voltato le spalle al
destino e sebbene avesse sempre cercato, nel corso della sua vita, di
privarsi del suo lato più romantico e sensibile, Jay era
riuscito a tirarglielo fuori tutto quanto, con una forza
indescrivibile. L’avrebbe preso per mano e portato lontano,
nascondendolo da tutti quelli che l’avevano sporcato ma, al
contrario, fu lui che l’afferrò e facendosi spazio
nel locale, corse fuori.
Non appena furono all’esterno dell’Escape non smise
di correre. Teneva stretta la mano di lei come se avesse il terrore di
perderla; Beatrix non conosceva la destinazione ma ebbe la sensazione
che lui desiderasse semplicemente sparire, portandosela dietro.
Passarono davanti a qualsiasi cosa con noncuranza; si lasciarono alle
spalle l’Apollo Theatre, tagliando Shaftersbury Avenue per
dirigersi verso Coventry Street. Una strada lunga e sempre dritta
incoraggiò Jay a correre più velocemente,
schivando ogni ostacolo.
Come risvegliata da un sogno, Beatrix cominciò a guardarsi
intorno e a chiedersi lucidamente dove la stesse portando ma qualcosa
la frenò dal chiederglielo.
Nell’impeto della corsa non aveva mai fatto caso a lui. Aveva
esaminato con attenzione la strada, la gente, ma non aveva mai guardato
Jay che correva affannosamente davanti a lei: stava piangendo
così forte da paralizzarle le parole in gola. Non gli
avrebbe chiesto dove stavano andando, si sarebbe lasciata trascinare
con fiducia da lui nonostante non fosse abituata né a
correre né a seguire un totale sconosciuto in giro per le
strade di Londra. Jay invece sapeva correre, l’aveva sempre
fatto e Beatrix non seppe mai che quella fu la prima volta dopo la
morte di Izaya.
Arrivati a Coventry Street, dopo aver corso per minuti e minuti, il
ragazzo si infilò di corsa in un autobus che stava per
chiudere le porte, tenendola ancora per mano, e si lasciò
cadere su un sedile vuoto per riprendere fiato.
Osservò Jay seduto a capo chino difronte a lei, con gli
occhi persi nel vuoto e quando scorse un impercettibile movimento delle
labbra senza che queste emettessero alcun suono, si
avvicinò, inginocchiandosi davanti a lui. Gli
sfiorò teneramente le mani per richiamare la sua attenzione:
«Che hai detto?»
Rimase per qualche secondo in attesa di ricevere una risposta e prima
che potesse incalzarlo, poté sentire un flebile ma
disarmante: «Grazie!».
Non c’era altro da dire, così lo
abbracciò forte, tenendolo stretto.
Quella fu la prima volta in cui Jay si sentì finalmente
vivo. Libero di piangere e di sentirsi un autentico schifo senza
nasconderlo a se stesso.
***
Arrivarono a casa di lui, non troppo distante da Soho Square, e la
prima cosa che Beatrix riuscì a percepire, dopo qualche
momento di osservazione, fu l’assenza di qualcuno o qualcosa.
L’appartamento ero piccolo, impersonale ma ben curato; in
quella casa vivevano ricordi e lacrime intrappolati nei muri, ne aveva
la certezza. Malgrado fosse ordinato e pulito non c’erano
foto né oggetti personali; c’era il necessario per
vivere, ma nulla di indispensabile per la cura dell’anima,
tranne i libri.
Mentre Jay lanciava le chiavi sul tavolo, togliendosi la giacca,
Beatrix osservò assorta il soggiorno cercando disperatamente
qualcosa che smontasse la sensazione che la stava torturando. Cercava
un gatto o anche solo qualche vestito messo alla rinfusa, una foto, un
videogioco, un souvenir. Non c’era niente.
Finalmente, Jay attirò la sua attenzione: «Fai un
caffè?» le chiese sparendo dentro una stanza.
Quella richiesta così diretta, alla mano, la
sollevò: forse Jay era semplicemente un maniaco
dell’ordine, anche se non sembrava il tipo.
Entrò in cucina e mille pensieri discordanti iniziarono ad
assalirla.
Si fece mille domande per tutto il tempo, occupata a preparare il
caffè e capì, mentre posava le tazze piene sul
tavolino del soggiorno, che se non gliele avesse poste direttamente non
avrebbe mai potuto indovinare nulla di lui.
Beatrix era sempre stata una ragazza estremamente riflessiva e, il
più delle volte, incline alle fantasticherie. Raramente
chiedeva qualcosa per non risultare indelicata, ma faceva di tutto pur
di capire senza dover parlare. Osservava la vita degli altri sperando
di afferrare dai dettagli ciò che le interessava: con Jay
sarebbe stato impossibile. Lui era criptico, poco propenso al dialogo
sebbene le avesse già raccontato qualcosa di lui. Lo aveva
fatto, però, perché lei aveva chiesto qualcosa e
non per pura voglia di aprirsi.
Lo trovò già steso sul divano, intento a cercare
un canale interessante alla tv.
«Ecco il caffè!» annunciò con
voce squillante. Jay strizzò gli occhi, quel tono di voce
gli ricordava Lizzie.
«Ti ho portato una maglietta. Mettiti comoda!» la
invitò porgendole una T-shirt invecchiata dal largo uso.
«Grazie!» l’afferrò pensando
che quello fosse un gesto davvero gentile.
Jay era impenetrabile ma garbato nei modi, si vendeva ad un uomo ma era
capace di azioni cortesi e del tutto disinteressate, amava la
solitudine ma l’aveva invitata a casa sua: era tutto e il
contrario di tutto.
«Figurati, è solo una maglietta vecchia e neanche
troppo degna di esistere ancora.» rispose attento al
televisore che passava l’ennesima replica di
Ramsay’s Kitchen Nightmares su Channel 4. «Non
trovi che Gordon Ramsay sia un figo?»
«Già!» rispose lei guardando
distrattamente lo schermo della tv.
Beatrix si spogliò davanti a lui senza farsi troppi
problemi, come fosse normale, e quella sensazione di casa e di
normalità fu talmente forte da emozionarla; non aveva mai
agito con così tanta naturalezza davanti a qualcuno, ma con
Jay sembrava tutto così facile; anche fidarsi ciecamente.
Dopo essersi cambiata si stese accanto a lui e guardarono la tv in
silenzio, ma l’impazienza di sapere e di conoscerlo
demolì ogni inibizione. «Jay…»
«Dimmi!» rispose debolmente, con gli occhi chiusi e
la testa pggiata su quella di lei.
Era rilassato, il suo respiro era calmo e si pentì di aver
anche solo pensato di porgli altre domande dopo il pianto inconsolato
al quale aveva assistito in strada.
Finalmente appariva sereno.
«Niente…».
Avrebbe voluto parlare, chiedergli tante cose, raccontargli di
sé, ma sembrava non servisse più; in qualche modo
sapevano già tutto l’uno dell’altra
senza dirsi nulla, vissero quel momento immersi nel silenzio che,
ormai, parlava per loro.
Jay l’abbracciò per la prima volta quella notte e
lei provò per lui un affetto mai sperimentato. Si
adagiò sul suo petto caldo per ascoltargli il battito del
cuore ed inspirò profondamente il suo profumo fino a farlo
penetrare nell’anima per non dimenticarlo più, e
si addormentarono così, l’uno stretto
all’altra, riposando dopo tanto tempo nella pace
più sublime.
Angolo Autrice.
Mi vergogno terribilmente, ma ho scritto un capitolo così
sdolcinato che m'è venuto il diabete. Jay è il
solito, Beatrix è una romanticona e, santo iddio, ho creato
una sensibilona da 10+++.
Con questo siamo a -3 e so già cosa state pensando...
sappiate che siete fuori strada XD
Voglio ringraziare Bijouttina, Babbo Aven, Lady Wolf ed Elsker.
Ringrazio anche tutti gli altri con tanto ammore.
La storia di Jay finisce... chissà se vi mancherà
anche solo un po'.
Grazie a tutti quelli che hanno messo le storie nelle
preferite/Ricordate/seguite.
Un abbraccio.
Bloomsbury
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