"If you must wait,
Wait for them
here in my arms as I shake
If you must weep,
Do it right here
in my bed as I sleep
If you must
mourn, my love
Mourn with the
moon and the stars up above
If you must mourn,
Don't do it
alone."
You-
Keaton Henson
33. You
Se n’era andato.
Beatrix si svegliò sola la mattina dopo, Jay non
c’era ma le aveva lasciato la colazione sul tavolo e la tv
accesa per non farla sentire sola.
Si massaggiò gli occhi feriti dalla luce del sole che
entrava prepotente dalla finestra e si mise a sedere, ancora accaldata
dalla coperta che il ragazzo le aveva avvolto con più cura
addosso. Fissò la tv per qualche minuto ascoltando il
notiziario e si accorse che non era propriamente mattina: aveva dormito
per quasi undici ore e così profondamente da non aver
neanche sentito Jay uscire. Ravvivò i lunghi capelli neri
inclini al disordine, soprattutto dopo aver dormito, e
poggiò i gomiti sulle ginocchia unite, reggendosi il mento
per pensare a cosa avrebbe dovuto fare. Jay era stato gentile con lei
ma, probabilmente, era arrivata l’ora di togliere il disturbo.
Prese il cellulare dalla borsetta e trovò due chiamate perse
di sua madre: almeno lei l’aveva cercata.
La richiamò: «Mamma…»
alzò gli occhi al cielo, sorbendosi una ramanzina:
«Perdonami, lo so che sono sparita, ma ho avuto delle cose da
fare. Tutto bene lì a casa?» chiese senza reale
interesse.
I genitori, immigrati indiani, vivevano in una piccola cittadina del
Kent; Beatrix era nata in Inghilterra ed aveva sempre sognato di
trasferirsi nella City finché un giorno, durante una vacanza
a Londra, riuscì a trovare un impiego part-time. Colse la
palla al balzo, andando via da Aylesford con grande disapprovazione dei
suoi.
Fosse stato per loro, all’età di sedici anni
sarebbe dovuta tornare in India per sposare un tizio che non conosceva
neanche, ma la sua caparbietà l’aveva premiata:
ormai viveva a Londra da circa dieci anni e i genitori si erano
finalmente arresi alle sue scelte.
Mentre chiacchierava con sua madre per tranquillizzarla notò
una chiave e un biglietto incastrato sotto la tazza di caffè
che Jay le aveva lasciato.
“Sono andato a sbrigare delle cose, non tornerò
prima di stasera. Tu puoi rimanere se vuoi, fa’ come se fossi
a casa tua. Jay.”.
Sorrise felice, avrebbe fatto qualcosa nell’attesa.
Strinse le chiavi di casa e salutando frettolosamente sua madre
interruppe la chiamata. Innumerevoli progetti per la serata si
accumularono nella sua mente e anche se avesse fatto la figura della
gentile massaia in attesa del ritorno del marito avrebbe comunque
preparato la cena per Jay; lo avrebbe coccolato e viziato come nessuno
aveva fatto.
«Come nessuno avrà mai fatto, per lui.»
si ripeté a fior di labbra, e non ne fu più
così sicura.
Conosceva poco Jay, ciò che pensava di lui poteva non essere
del tutto vero.
La casa era vuota, probabilmente non aveva mai ospitato nessuno diverso
da lui, ma darlo per scontato sarebbe stato ingenuo, così
sperò che a Jay facesse piacere la sua intenzione di
accoglierlo in un vero ambiente familiare, con una donna capace di
prendersene cura, e dopo essersi preparata uscì di fretta
per recarsi a casa sua, prendere qualche vestito comodo per poi andare
a fare la spesa.
Acquistò bacchette d’incenso, qualche fiore per
rendere l’appartamento più confortevole e una
sveglia perché, stranamente, in casa non ce n’era
neanche una.
«Izaya, perché sei fissato con le
sveglie?» urlò Jay in preda ad un attacco isterico
dopo aver udito il suono dell’ennesimo orologio seminato per
casa.
«Una sveglia sola non sarà mai capace di svegliarmi»
rispose alzando la voce per farsi sentire dal suo ragazzo ancora nel
letto, mettendo fine all’ultimo trillo del buongiorno che
aveva invaso il bagno.
«Un giorno le butterò tutte.»
«Dovrai passare sul mio cadavere!».
***
Era andato da Brad perché l’aveva cercato, fosse
stato per lui non si sarebbe mai recato spontaneamente a casa sua, ma
l’uomo aveva insistito.
Brad non si capacitava del fatto che Jay fosse sparito, soprattutto
dopo aver stabilito insieme come avrebbero dovuto improntare il loro
nuovo rapporto.
Aveva preso i suoi soldi e se n’era andato, senza farsi
più sentire.
Trovò quel gesto abietto ed egoista e non avrebbe mai
accettato un simile comportamento.
Avevano parlato molto e Jay, per tutto il tempo, aveva cercato di
spiegargli che non sarebbe stato così semplice riuscire a
vederlo diversamente, come un fidanzato buono e generoso. Gli
spiegò che in passato si era sentito come un giocattolo e
che sarebbe servito qualche altro mese prima di riuscire a togliersi
quella sensazione da dosso; aveva ammesso di aver preso quei soldi per
rassegnazione, perché ormai si era arreso al fatto di essere
messo al pari di una prostituta, di una proprietà.
A Brad non andò giù tanta arrendevolezza e
diffidenza nei suoi confronti, poiché stava cercando in
tutti i modi di cambiare e di diventare per Jay un buon compagno.
Non riuscivano a capirsi, ad avere pazienza l’un
l’altro e quando la comprensione è nulla da
entrambe le parti, succede che uno dei due pecca di prepotenza,
sovrastando l’altro.
***
Arrivò a casa verso sera; non ricordava neanche
più di aver lasciato Beatrix nel suo appartamento.
Aprì la porta e, immediatamente, un profumo intenso lo
stupì.
Si ricordò di Izaya quando, nei giorni liberi, amava
coccolarlo preparandogli manicaretti, ma se l’artefice di
quello sfizioso profumo fosse stato davvero Izaya non si sarebbe
ritrovato a sentire il dolore acuto che gli invadeva le guance.
Se lui fosse stato ancora vivo, non sarebbe mai caduto sotto le grinfie
di Brad.
Beatrix raggiunse la porta sentendo il rumore della chiave nella toppa
e quando vide la faccia tumefatta di Jay il sorriso le si
paralizzò.
«Cosa ti è successo?» chiese spaventata,
con le mani alla bocca dallo stupore.
«Sto bene.» il filo di voce ammaccato diceva il
contrario.
«Sei sicuro?»
«Sì, non è niente.» rispose
entrando in casa zoppicando.
Beatrix non riuscì a dire altro ma lo scrutò con
attenzione e ciò che vedeva fece più male di
qualsiasi altra cosa: Jay aveva la T-shirt strappata sulla spalla
marchiata da un livido rosso, quasi violaceo, e il sangue, ormai
rappreso, gli ricopriva le labbra e il naso segnato dalle percosse. Gli
occhi rigonfi non permettevano di cogliere la sua espressione e lei,
d’istinto, gli si mise davanti per sostenerlo.
«Mi fai passare, per favore?» la implorò
privo di forze, con voce tremolante.
Beatrix si scostò e scrutando le spalle ricurve e fiacche di
Jay poté intravedere ciò che esisteva davvero
sotto la sua pelle: era l’anima a bruciare, a fare male, non
il livido sul viso né la schiena piegata dai colpi;
l’umiliazione che provava era infinitamente più
grande di qualsiasi ferita aperta e sanguinante.
Si mise da parte, lasciandolo solo. Capì che non era stata
una semplice scazzottata, lui era stato privato di qualcosa, lo sentiva
nettamente: qualcuno gli aveva rubato un pezzo importante e
l’aveva ridotto in cenere.
Era un Jay incompleto quello che aveva davanti, ma qualcosa le disse
che stava sbagliando ancora, forse qualcuno l’aveva solo
spogliato della sua maschera e quello che vedeva adesso era il vero Jay.
Il ragazzo si diresse verso la stanza da letto a passi lenti e mozzati
dalla vergogna, non era più se stesso, non aveva reagito; si
era lasciato picchiare e violentare senza combattere, ormai era stanco
di nascondersi e aveva permesso a Brad di abusare della sua stanchezza.
Aveva sempre finto di essere un battagliero capace di tenere testa a
chiunque, stavolta non riuscì a mentire e si
lasciò prosciugare, fino a farsi svuotare a suon di pugni e
calci. Brad aveva perso le staffe, d’altronde era stanco
anche lui di lottare contro un ragazzo incapace di comportarsi in modo
coerente; pensava questo, dandosi tutte le colpe, mentre si privava dei
pantaloni intrisi di sangue asciutto.
Beatrix entrò nella stanza e lo aiutò a
spogliarsi.
Lui ripeteva di continuo che stava bene, accennando un sorriso, ma
tutto quell’ottimismo non la rassicurò neanche per
un attimo poiché avevo imparato a sue spese, in passato, che
quando si cerca di convincere qualcuno mascherando la realtà
palese non si vuole fare altro che nascondere, agli occhi degli altri,
ciò che è veramente importante, tuttavia in quel
momento non era rilevante sapere se stesse bene, ma era prioritario,
per lei, capire chi l’avesse ridotto in quel modo e
perché.
Lo aiutò a stendersi sul letto ancora in ordine e mai usato
per quella notte; non gli chiese nulla, voleva dargli i suoi tempi
senza pressarlo, ma una rabbia incontenibile si fece strada in lei e
pensò che se avesse avuto davanti chi l’aveva
ridotto in quello stato l’avrebbe fatto a pezzi con le sue
stesse mani.
Lo lasciò solo nella stanza per preparargli un bagno caldo e
non appena udì il cellulare di Jay squillare spense
l’acqua della vasca per ascoltare la conversazione.
Lui parlava con un filo di voce tremante, era ancora scosso e debole,
così Beatrix accese di nuovo l’acqua e si diresse
verso di lui per ascoltare la conversazione: era certa fosse il suo
aggressore dall’altro capo del telefono.
«Sì, non ti preoccupare. Sì,
sì… non è successo niente, non mi hai
fatto niente, sto bene!».
Beatrix odiò quel suo “sto bene” come
nient’altro nella sua esistenza e cominciò ad
urlare in preda alla rabbia più nera: «Non stai
bene per niente…» prese il telefono dalle mani di
Jay, stringendolo tanto da farsi male: «Non sta affatto
bene!!! Ti avverto, brutto depravato e pazzo che non sei altro, giuro
che se ti becco ti faccio una faccia come un pallone. Giuro! Non ti
avvicinare più a lui.» riattaccò
ansimando.
Jay era allibito, la fissò come un cucciolo impaurito, ma la
ragazza decise di non farsi intenerire e ritornò nel bagno
come se nulla fosse successo.
Poco dopo, la raggiunse con aria spaesata ed imbarazzata: si vergognava
ed era certo di non averla ingannata con le sue parole rassicuranti.
Stava male nel corpo e nell’anima e sapeva che non
l’avrebbe mai potuta convincere del contrario.
«Spogliati! Il bagno è pronto.».
Jay, togliendo l’accappatoio, cercando di nascondere i lividi
ed i graffi che aveva addosso, si bagnò gradualmente
saggiando con le dita dei piedi il calore dell’acqua che, a
poco a poco, una volta essersi immerso completamente, si tinse
lievemente di rosso. Alla vista di quel sangue Beatrix chiuse gli occhi
cercando di placare la rabbia e si inginocchiò sul
pavimento, accarezzandogli dolcemente la mano aggrappata al bordo della
vasca per cancellare con l’amore tutto il dolore che aveva
addosso, senza riuscire, però, a lavare via
l’umiliazione che avviluppava la sua anima.
Gli sciacquò con cura il viso che, lentamente, si
riappropriò dei suoi delicati e puliti lineamenti;
accarezzò i suoi capelli che si inzupparono, dando vita a
tiepide e gentili gocce che, scendendo lungo il collo e le spalle,
restituirono sollievo alla sua pelle. Con dolci e generose carezze,
Beatrix liberò la sua schiena dalle ferite e si accorse che
la pelle di Jay non era più abituata alla dolcezza;
così tentò di estinguere il dispiacere e la
sofferenza sporgendosi un po’ verso di lui, dandogli un bacio
sugli occhi, svegliandoli dalla fissità data dalle sue
memorie. Sorrise nel tentativo di rassicurarlo e lui rispose, a sua
volta, con una lieve e sgualcita manifestazione di gratitudine che gli
illuminò impercettibilmente le iridi che, ormai, avevano
quasi totalmente preso il colore dell’acqua. Beatrix
soffocò un lamento di dolore: occhi così belli e
trasparenti ma pregni di un dolore così lancinante non ne
aveva mai visti, e per alleggerire l’atmosfera lo
schizzò con un po’ d’acqua sul viso,
giocando con lui come fosse bambino. Ottenne l’effetto
desiderato: una piccola e fiacca risata riempì i pochi metri
quadrati del bagno; Jay rideva di cuore, sinceramente, seppur a fatica.
Non si diedero un tempo preciso per scambiarsi tenerezze e cure, fecero
tutto con una calma quasi ipnotica tanto da rilassarsi abbastanza da
mettersi a letto con un peso in meno. Finì asciugandogli il
corpo ed i capelli con movimenti lenti e delicati per non fargli del
male e lo accompagnò a letto dopo avergli cambiato le
lenzuola per farlo dormire nel profumo che rasserena, nella freschezza
che consola e lenisce le ferite.
Si stese, infine, accanto a lui, continuando a regalargli attente
carezze sul viso.
«Sto be…» non riuscì a finire
poiché lei lo zittì con un solo sguardo.
Jay rise ma Beatrix decise, a malincuore, di privarlo anche di
quell’ultima risata; doveva sapere:
«Perché?»
«Cosa?»
«Perché ti sei venduto a
quell’uomo?».
Il ragazzo abbassò lo sguardo come se qualcuno gli stesse
suggerendo che era arrivata l’ora di parlarne e voltandosi
verso il cassetto del comodino raccolse l’unica foto che gli
era rimasta del suo unico vero amore.
Beatrix la guardò dispiaciuta; non sapeva chi fosse
quell’uomo nella foto, ma capì che non esisteva
più perché, se fosse ancora esistito, ci sarebbe
stato lui accanto a Jay.
«Questo è Izaya.»
«Chi è?».
Jay liberò di colpo tutta la malinconia che aveva tenuto
imprigionata nel fondo dei suoi occhi e la riversò tutta nel
tono della sua voce, nelle mani deboli che cominciarono a stringere le
lenzuola: «È l’uomo che amo.».
Per paura di chiedere troppo, Beatrix titubò per un istante
ma capì che se voleva salvare Jay avrebbe dovuto ferirlo
anche con le domande: «Dov’è, adesso,
Izaya?»
«È morto e questa è una delle poche
cose che mi sono rimaste di lui.»
«Per questo ti sei venduto a quell’uomo?»
chiese asciugando la piccola lacrima aggrappata alle ciglia del ragazzo.
«Mi sono venduto per soldi, per debolezza, per
incapacità di reagire, per mancanza di
lucidità…»
«Quando stavi con Izaya ti vendevi?».
Jay distolse lo sguardo come se volesse nascondersi dalla foto e dagli
occhi del suo uomo che fissava l’obiettivo, che sembrava lo
guardasse: «No, quando stavo con lui no. Ho iniziato dopo la
sua morte.» si fermò per poi lasciarsi andare
sinceramente per la prima volta, raccontando la storia per intero,
dall’inizio. «Quando ho conosciuto Izaya non avevo
niente. Ero figlio di una famiglia piuttosto agiata che, dopo aver
scoperto le mie “tendenze”, mi ha dimenticato.
Vivevo ancora in casa mia ma come un fantasma, senza farmi notare
troppo. Né mia madre né mio padre hanno avuto
più considerazione di me. Sembrava di vivere in un girone
dell’inferno, dove vedi la tua famiglia proseguire felice
senza di te, lasciandoti indietro. Un giorno sono andato a bere
qualcosa in un bar, avrei voluto cancellare tutto e tutti come si fa
con i profili di facebook: con un tasto…” Beatrix
sorrise, avevano avuto lo stesso pensiero, ma lo lasciò
continuare perché aveva compreso che, in quel momento, Jay
non stava facendo altro che raccontare a se stesso ciò che
gli aveva rovinato la vita. «Ma non fu così.
Cercavo di pensare ad altro ma non ci riuscivo e più
ricordavo, più avrei voluto morire, e proprio mentre stavo
per perdere ogni speranza di risalita ho visto Izaya seduto al tavolo
di un bar da solo, che mi fissava. Lo notai subito… da
lì cominciarono una serie di corteggiamenti neanche troppo
velati, ho deluso un amico per lui e, te la faccio breve, ci siamo
incontrati ripetutamente in quel bar fino a che ci siamo
innamorati.» sorrise, era arrivato alla parte più
bella della sua storia. «Izaya è entrato a far
parte della mia vita come una tempesta e mi ha salvato in ogni modo
possibile, mi ha preso con sé liberandomi letteralmente da
quella prigione fatta di indifferenza, di silenzi e delusioni. Ho
passato i momenti più belli della mia vita con lui. Non
andavamo sempre d’accordo, io ho il mio caratterino e lui
aveva il suo, siamo stati insieme due anni solo che, poi, alcune
divisioni non si possono cancellare: la sua morte ci ha divisi per
sempre.».
Finalmente le sue lacrime cominciarono a sgorgare mischiate alla
sofferenza e Beatrix gli strinse la mano per dargli coraggio; la cosa
funzionò perché ricominciò a
raccontarle il resto: «Quando è morto ho vissuto
come uno zombie per mesi e mesi, per cancellare il dolore mi dimostravo
indifferente a me stesso e ai miei sentimenti e ho proseguito la mia
vita facendo di tutto pur di non pensarlo, senza riflettere troppo sul
passato. Sapevo di seppellire un ricordo che basta un filo di vento o
una corrente di risacca per farla ritornare in superficie, ma mi
ostinavo a farlo senza affrontare veramente la sua morte;
così un giorno ho incontrato quell’uomo
all’Escape: non mi piaceva, non mi è mai piaciuto,
ma mi sono lasciato raggirare. Non voglio giustificarmi, ma mi sono
lasciato ingannare da lui e dalla mia incapacità di far
fronte al dolore, ai problemi pratici che si accumulavano e non sapevo
come risolvere.» si perse nei suoi pensieri e, subito dopo,
continuò frettolosamente: «Mi ha portato a casa
sua, abbiamo fatto sesso e la mattina dopo mi ha pagato con duecento
sterline… ho iniziato così ad accettare di essere
il suo giocattolo.»
«Posso capire perché ci sei caduto, si
può dire che tu non fossi completamente in te, ma
perché hai continuato? Sei un ragazzo che può
avere tutto dalla vita, perché hai scelto di
continuare?»
«Beatrix, quando ti accorgi che non sei più capace
di provare niente e che la tua vita consiste di solitudine e affitti da
pagare, allora, anteponi i soldi e qualsiasi cosa non ti faccia pensare
a te stesso. Alla fine, a suo modo, Brad mi ama.»
«Credi che quello sia amore?»
«Una strana forma di amore. Mi tratta bene se evito di farlo
impazzire con i miei comportamenti incoerenti: una volta dico sì,
altre volte dico no,
poi gli chiedo di sparire dalla mia vita e successivamente lo accolgo
di nuovo.»
«Jay, lui ti compra con i soldi, non è amore!
Crede che tu sia di sua proprietà perché ti ha
comprato, la tua vita gli appartiene; pensa di avere il diritto di
poter disporre di te come vuole, tanto da picchiarti e trattarti come
un giocattolo, da pretendere da te qualsiasi cosa e se ti rifiuti crede
di potersi avvalere della facoltà di farti del male senza
conseguenze perché tanto, poi, il giocattolino Jay dice: Sto
bene!».
Jay abbassò lo sguardo, sapeva di essere entrato in un
circolo senza fine ma, ormai, se n’era fatto una ragione, ci
aveva fatto l’abitudine.
«Beatrix, perché hai pianto quando te
l’ho detto?».
Il cuore le si fermò. Avrebbe potuto dire di tutto, ma
l’unica realtà, che non avrebbe mai ammesso, era
che dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su di lui,
l’aveva amato. «Perché tu non hai idea
di cosa sei, Jay. Appena ti ho visto ho pensato fossi il più
bel ragazzo al mondo: la tua luce mi ha accecata e, chiamami
sentimentale, ma penso che tu sia di un altro pianeta, la
più bella persona che io abbia mai visto. Insomma Jay: credo
che tu ti veda meno importante e speciale di quello che sei.»
concluse con convinzione, provocando una risata scrosciante di Jay:
«Forse sei tu che mi vedi migliore di quello che
sono.»
«No. Io sono convinta che tu provi una disistima tale da
credere che la vita non abbia più importanza, ti vendi
perché non dai più valore a te stesso, pensi che
non ti costi nulla venderti perché tu ti ritieni un nulla,
questo perché Izaya, per te, era tutto. Per questo ho
pianto, Jay. Perché non riuscivo a capacitarmi del fatto che
un ragazzo così speciale, con quegli occhi sinceri e
trasparenti, potesse svalutarsi così tanto per i soldi.
Adesso so che non sono stati i soldi a muoverti, ma tu devi prendere
coscienza di ciò che sei, devi rivedere la tua scala di
valori ed è indiscutibile che al primo posto devi mettere te
stesso… sopra a tutto! L’uomo della tua vita non
c’è più ma tu esisti, vivi, il tuo
cuore batte. Tu meriti di vivere e di ritrovare la fiducia,
l’amore, le persone importanti, te stesso. Ti prego,
fallo.» lo pregò piangendo, sentendo spezzarsi il
cuore nel petto ad ogni parola. Desiderava fortemente ciò
che diceva, voleva vederlo reagire e combattere per la sua vita,
liberarsi di tutto il marcio del quale si era circondato.
Per la prima volta, Jay avvertì veramente il suo cuore
scalciare nel petto, Beatrix era stata in grado di farglielo sentire
ancora, ma non per rabbia o per dolore, sentì
l’amore.
Beatrix non capì quali sentimenti avessero scatenato la
reazione di Jay che cominciò a piangere così
dolorosamente e apertamente che sembrava si potesse toccargli
l’anima con un respiro. «Mi manca, mi manca come
l'aria che respiro. Mi manca il suo abbraccio, il suo calore. Beatrix,
a me manca Izaya» ruggì disperatamente tra le
lacrime, stringendo la maglietta di lei che, inerme, assisteva alla
manifestazione di un dolore più insostenibile di
ciò che credeva. In quel pianto vide un ragazzo fragile e
solo che non chiedeva altro di essere amato ancora, come aveva fatto
Izaya; vide un ragazzo lacerato dal dolore della perdita, che aveva
perso prima la sua famiglia, poi l’unico uomo che avesse mai
veramente amato; vide un ragazzo smarrito al quale un uomo meschino e
putrido aveva fatto credere che il suo valore potesse essere acquistato
con il denaro, vide un ragazzo che non si perdonava per la sua
incapacità di essere forte, per la sua debolezza
nell’accettare il distacco, la perdita e
l’abbandono. Beatrix l’abbracciò
sciogliendosi in lacrime, sperando di poter allontanare dal cuore di
Jay il dispiacere, la disillusione e il disprezzo per questa vita che
l’aveva lasciato solo, in balìa degli eventi e dei
suoi stessi errori.
Pensò che tutti quelli che l’avevano lasciato
solo, compresi i suoi genitori, si fossero comportati come lei stessa
aveva fatto con il suo account facebook: lo avevano cancellato dalla
propria vita come una piccola foto vicina ad un nome, cestinando ogni
suo sogno, ogni ricordo, ogni sentimento.
Ma Jay non era un contatto di facebook, lui era una persona, un
ragazzo, un uomo capace di provare sentimenti talmente profondi e
travolgenti da non riuscire ad accettare di essere lasciato indietro.
Jay era stato rifiutato, ripudiato dal mondo, dalla vita delle persone,
da Dio stesso.
Così lo abbracciò più forte,
poggiandolo sul cuore, con la speranza che si sarebbe addormentato con
la chiara sensazione che qualcuno, in questo maledetto mondo, non
l’avrebbe mai abbandonato.
Si addormentò dopo ore di lacrime e di frasi sconnesse,
ferito nella carne e nello spirito e Beatrix, a poco a poco, si
assopì con lui, avvicinandolo a sé come solo una
donna innamorata può stringere la persona più
preziosa della sua vita.
Angolo Autrice.
Ciao miei cari, siamo a meno due e non immaginate quanta tristezza ho
adesso. Sì, perché in realtà nel mio
pc Jay è finito da un pezzo. Adesso mi tocca condividerlo
con voi. Voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno sostenuto sempre
e puntualmente e mi scuso per la lunghezza di questo capitolo. Forse,
per renderlo meno enorme, avrei dovuto dividerlo, ma a furia di
dividere capitoli troppo lunghi 'sta fine mi sta diventando
più lunga di una divina commedia.
Spero davvero di non deludervi.
Grazie a chi ha inserito la storia nelle seguite/preferite/ricordate.
Aspetto vostri pareri.
Bacini sparsi.
Bloomsbury
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