34. House
of the rising Sun
La mattina dopo, Beatrix non lo ritrovò a letto e si
alzò lentamente, impaurita da ciò che sarebbe
successo. Aveva paura che si ripetesse la storia del giorno prima e nel
panico non notò subito il biglietto sul comodino. Lo
guardò per un po’ dopo essersi accorta della sua
presenza e lo agguantò d’improvviso come se
volesse cogliersi di sorpresa lei stessa. Lo strinse prima di leggerlo:
“Tornerò presto. Voglio ringraziarti per essermi
stata vicino, per aver pianto per me e con me, per avermi dato la forza
e il coraggio di andare avanti, accettare la morte di Izaya, anche se
la strada è ancora lunga, e chiudere con Brad.
Andrò a parlare con lui e lotterò per riprendermi
la mia vita, la mia dignità. Grazie e a presto, aspettami
lì. P.S. La colazione è in cucina, il mio numero
di cellulare è segnato sul post-it attaccato al frigo.
Jay.”.
Urlò di gioia senza riuscire a contenersi e dirigendosi di
corsa in cucina gettò un fugace sguardo al salotto;
ciò che vide la commosse, infatti si fermò per
ammirarla ancora un po’: la foto era sul tavolino tondo
accanto al divano, erano belli e sorridenti, due innamorati, e Beatrix
soffiò un bacio in loro direzione ringraziando Izaya per
averla messa sulla strada di Jay. Sicuramente era stato lui.
***
Se gli avessero chiesto di immaginare chi avrebbe potuto incontrare per
caso, strada facendo, avrebbe pensato a chiunque, tranne che a suo
fratello Joseph.
Sceso alla fermata Notting Hill Gate per andare a casa di Brad, lo vide
conversare rumorosamente con un suo amico.
Ormai era un ragazzo adulto e rimase sorpreso dalla somiglianza:
avevano gli stessi lineamenti; Joseph, ormai, aveva vent’anni
e sicuramente era uno studente vincente, era certo che suo padre gli
avesse dato tutti gli strumenti per esserlo.
Scelse di non avvicinarsi e di tirar dritto, ma dovette fermarsi a
causa di un nodo in gola che l’aveva reso inerme.
«Jay, sei tu?». Si sentì chiamare alle
spalle e con enorme imbarazzo si voltò.
Gli occhi di Joseph, grandi e limpidi, lo fissavano con stupore misto a
malinconia: «Non posso crederci, sei tu davvero»
sussurrò incredulo.
«Joseph, mi fa piacere vederti» rispose fingendo
calma. Non era più capace di simulare serenità:
si vergognava, soprattutto per la differenza di esperienze che avevano
vissuto. Jay stava andando a chiudere un rapporto illecito a pagamento
con il viso ancora provato dagli schiaffi, Joseph sembrava un
principino vestito con cura e con la pelle incorrotta, pura, priva di
ogni imperfezione. Nonostante si passassero pochi anni, il maggiore dei
due sembrava un vecchio consumato.
«Cosa ti è successo? Sembra che tu abbia preso un
treno in faccia!» esclamò tra il serio e lo
scherzoso.
«Una scazzottata, le ho prese alla grande.»
«Si vede.». Non si avvicinarono né si
abbracciarono, ma una forza invisibile li teneva legati occhi negli
occhi.
«Stai bene, Joe?»
«Sì. Ho dormito a casa di un amico qui, a Notting
Hill, stavo per andare a casa per poi correre
all’università.»
«Vai all’University College?»
«Sì. Dove saresti dovuto andare anche
tu…» concluse senza alcuna espressione di trionfo.
Fino a qualche tempo fa avrebbe provato soddisfazione nel sentirsi
migliore di Jay, il figlio prediletto, adesso era dispiaciuto del fatto
che il padre avesse privato suo fratello del futuro che meritava.
«Sono sinceramente contento» manifestò
un’autentica soddisfazione: era fiero di lui.
«Sai, Jay? Abbiamo parlato molto con mamma e non si
dà pace per quello che è successo. Ci siamo
chiesti dove tu potessi essere e, sono sicuro che sarebbe
d’accordo con me, ci farebbe piacere frequentarti di nuovo,
come una volta.».
Aveva quasi rimosso sua madre, la prima donna al mondo che avesse
amato, quella per la quale avrebbe fatto di tutto pur di renderla fiera
e felice.
La mamma che l’aveva cresciuto con amore, che gli aveva dato
quel nome come buon auspicio, insegnandogli ad amare e a rispettare se
stesso; che l’aveva ripudiato affianco a suo padre. Non
sentì più rabbia, si sforzò a cercarla
nel centro del suo cuore ma non c’era, così
alzò gli occhi verso Joseph, sorridendo con tenerezza:
«Farebbe piacere anche a me.»
«Ottimo! Non vedo l’ora di dirlo alla
mamma» gioì senza fare troppo rumore, come loro
padre aveva insegnato ad entrambi. «Vuoi che te la
saluti?»
«Sì. Dille che verrò presto a trovarla.
Adesso vai, perderai un altro viaggio e il tuo amico si
incazzerà» lo incitò, per poi salutarlo
con un sorriso. Lo seguì con gli occhi con affetto
finché non sparì completamente, portato via dalla
metro. Si sentì purificato e più forte;
c’era ancora qualcuno della sua vecchia famiglia ad amarlo.
Salì le scale con più convinzione di prima: era
diventato ancora più importante rompere con Brad e
riprendersi la sua vita. Se voleva rinascere, avrebbe dovuto rimuovere
da ogni recesso della sua anima anche il più piccolo
frammento di rabbia. Voleva perdonare se stesso, sua madre e avrebbe
voluto correre da Lizzie e abbracciarla forte, bere una birra con
Robert e riempire di baci la piccola Nina che non avrebbe mai
più abbandonato.
Camminò sempre più velocemente e con risolutezza,
avrebbe spazzato via Brad dalla sua vita facendo pace con il mondo e
avrebbe fatto conoscere Beatrix a Lizzie: le due donne che
l’avevano aiutato e amato; ognuna a modo proprio. La prima
era come una specie di anima gemella, la seconda una mamma piena di
amore e di attenzioni. Le avrebbe tenute strette nel cuore per sempre.
***
Bussò alla porta più e più volte
finché, finalmente, Brad comparì: aveva gli occhi
segnati dalla stanchezza, come se non avesse dormito per tutta la notte.
Appena vide Jay, lo afferrò da un braccio traendolo a
sé dopo aver chiuso la porta. Provò ad
abbracciarlo per farsi perdonare e per fargli sentire tutto il suo
pentimento e dispiacere, ma il ragazzo non glielo permise.
L’uomo desistette senza opporsi e con le lacrime agli occhi
chiese perdono: «Mi dispiace. Quello che ti ho fatto
è ingiustificabile, adesso sei arrabbiato e ti capisco. Non
riesco a guardarti le ferite che hai sulla faccia sapendo di avertele
provocate io. È che ho bisogno di te, e quando ti sento
distante divento pazzo, non posso accettare di perderti.»
«Brad, frena il monologo, ho l’impressione di
sapere già cosa vuoi dirmi e posso assicurarti che non serve
più spiegarsi.» Si fermò, scrutando gli
occhi stravolti di Brad. «Posso sedermi? Parliamo con
calma?»
«Ma certo!» Gli fece strada verso il divano che
l’aveva visto ingoiare notti e notti di amarezze, di dolore e
rabbia sotto il peso del corpo del suo aguzzino.
Strinse gli occhi per dimenticare, non voleva rivolgersi a lui con
ironia né con freddezza, e ancor meno voleva fomentare una
rabbia inutile che non gli avrebbe permesso di essere lucido e
sufficientemente categorico da chiudere definitivamente.
Si accomodò, infine, abbastanza vicino a lui.
Sospirò pesantemente, levandosi l’ennesimo peso
dal cuore; quella ritrovata leggerezza d’animo lo
aiutò ad essere diretto ma dolce: «Deve finire tra
me e te. Definitivamente.»
«Ma perché?» chiese rassegnato e con la
voce implorante. «È perché ti ho
picchiato, vero? Non succederà mai più, dammi
un’altra possibilità.»
«Non si tratta di darti altre possibilità. Magari
tra qualche tempo potremmo rivederci come due amici, ma non voglio
più, in nessun modo, stare con te. Voglio la mia
libertà.» Lo fissò con
un’espressione risoluta e gelida. Non aveva mai provato
niente per Brad, a parte la rabbia e una volta esaurita quella era
rimasto il vuoto. Gli faceva tenerezza a momenti, ma non sarebbe mai
stato in grado di salvarlo, non ne aveva le forze. Jay e Brad erano
stati come due pezzi di una stessa nave divisa e squarciata da uno
scoglio in alto mare: entrambi avevano bisogno di aiuto, di essere
salvati, e continuando a stare attaccati non avevano fatto altro che
colare a picco insieme, legati e disperati.
«Non posso accettarlo. Tu mi avevi promesso che ce
l’avresti messa tutta» urlò
l’uomo, stringendo i denti e i pugni per la frustrazione.
«Ti ho promesso che ci avrei provato. Mi dispiace: non ci
sono riuscito.»
«È così difficile stare con
me?» chiese come un bambino smarrito.
«Non sei una persona semplice, come non lo sono io; sono
sicuro che puoi migliorare ma devi fare come sto facendo io: devi
cancellare ogni cosa malsana dalla tua vita e concentrarti su te
stesso.»
«Quindi, per te, sono una cosa malsana da
cancellare!» ripeté guardandolo con astio.
«Non sei tu ad essere malsano, è la vita che
conduci ad esserlo. Voglio che sparisci dalla mia vita, sono certo che
potremmo trarre vantaggio entrambi da questa situazione. Continuare
così non serve a me come non serve a te.». Jay era
calmo e paziente, stavolta per davvero. Altre volte aveva provato ad
intavolare discorsi del genere, ma per la prima volta riusciva a
porglielo in modo totalmente equilibrato, pacato, tranquillo e davvero
sicuro.
«E se io non volessi?» chiese accavallando le
gambe, dandosi un tono da uomo d’affari come se stesse
negoziando.
«Potrai morirmi dietro per il resto della tua vita senza
avere mai più l’occasione di avere nessun tipo di
rapporto con me. Che preferisci?».
«Il tuo è un ricatto e non posso
accettarlo.»
«Ma ti rendi conto di quello che dici?»
urlò spazientito dalla totale incapacità di Brad
di ragionare. «Lo capisci che non ti sto chiedendo il
permesso di lasciarmi andare? Non sono tuo. Ti sto dando solo la
possibilità di chiudere in modo pacifico e senza
scenate.»
«Non accetto le tue condizioni. Sparire dalla tua vita mi
è totalmente impossibile dato che ti amo, brutto
stronzo!» lo offese, alla fine, risentito e certo della sua
posizione.
Jay rimase in silenzio, vagando con gli occhi in cerca di una
soluzione, ma non appena capì che un uomo capace di
comprarlo, ostinandosi a tenerlo legato a sé a quelle
condizioni, non potesse essere in grado di ragionare, optò
per le maniere forti: «D’accordo. È il
tuo punto di vista e lo rispetto, io ho il mio e dal mio canto non
posso fare altro che dirti addio senza pretendere che tu
capisca.».
Si alzò per poi dirigersi verso l’uscita ma
l’uomo non glielo permise.
In pochi secondi gli fu addosso, come l’ultima volta, e
sbattendolo a terra con violenza gli urlò contro con il viso
contratto dalla delusione: «Nessuno ti ha detto che potevi
andare via, io non ho finito.»
«Io sì!» ringhiò senza
riuscire, però, a sostenere lo sguardo perché
Brad lo aveva schiaffeggiato in viso con una brutalità tale
da fargli colpire la testa al pavimento.
Dopo i primi momenti di confusione per il trauma fu tutto
più chiaro: l’uomo era in mezzo alle sue gambe e
gli sbottonava i jeans. Fu così veloce da riuscire a non
farsi percepire subito.
Jay non avrebbe ceduto, non gli avrebbe permesso ancora di abusare di
lui, non era più il ragazzo distrutto dalla sua stessa
incapacità di reagire, così iniziò a
scalciare violentemente, cercando di afferrare qualcosa di utile da
usare contro di lui per intimarlo a fermarsi.
Ma Brad era forte e le ferite che gli aveva inflitto il giorno prima
furono decisive, quei dolori non gli permisero di ribellarsi con tutte
le sue forze.
Lo afferrò dalle gambe trascinandolo verso di sé
e dopo averlo schiaffeggiato ancora per farlo tacere, riuscì
ad abbassargli i jeans fino alle ginocchia e lo agguantò dai
capelli per sbattergli il viso in terra in modo da immobilizzarlo a suo
favore, con la schiena rivolta a lui. Lo costrinse al pavimento mentre
il ragazzo lottava per non farsi usare ancora. Ebbe paura, una
dirompente e terrificante paura. Finalmente si era risvegliato dallo
stato catatonico nel quale era caduto da mesi, adesso poteva sentire
davvero cosa stava succedendo; un tempo avrebbe chiuso gli occhi e si
sarebbe abbandonato come un corpo morto, sperando che Brad godesse al
più presto; stavolta era vivo e capace di percepire ogni
cosa, compresa la voglia di salvarsi.
Con un colpo di reni cerò di divincolarsi dalla presa.
Ce la fece.
Strisciò fino al divano nella speranza di riuscire a trovare
un appiglio su cui fare leva per alzarsi.
Non ce la fece.
Brad gli era ancora addosso e stavolta lo picchiò in pieno
viso con la cinta dei pantaloni e così impetuosamente da
fargli sputare sangue fino a soffocarsi.
Un altro colpo sulla testa con la fibbia e il sangue
cominciò a fluire copioso sul viso di Jay, sporcando il
pavimento.
Non avrebbe mollato per nulla al mondo sebbene fosse piegato dalle
percosse, si sarebbe messo al sicuro, bastava allungare ancora un
po’ la mano per afferrare qualcosa che potesse aiutarlo a
difendersi.
Mani torbide e infette lo toccarono provocandogli un forte senso di
nausea; voleva scappare dal vortice oscuro nel quale si era cacciato
con le sue stesse mani, lottò contrò di lui
affogando lamenti continui sulla superfice liscia del pavimento. Non
avrebbe pregato Dio né implorato il suo vessatore per
assicurarsi la salvezza, non c’era tempo e non
c’era più fiducia.
Prima che potesse accorgersene, Brad penetrò in lui con una
ferocia tale da strappargli un grido di dolore. A fatica
riuscì a possederlo, lacerandolo. «Tu sei mio,
Jay. Non ti lascio andare, non prima di averti fatto il mio ultimo
regalo.».
Si mosse dentro di lui infliggendogli colpi talmente profondi da farlo
piangere.
Jay urlò tanto da infastidirlo e spingerlo a compiere un
gesto così violento da zittirlo: afferrò ancora i
capelli corvini del ragazzo, sbattendogli con forza la faccia sul
pavimento.
Jay strinse gli occhi dal dolore, strozzando un gemito perso nella
concentrazione ormai catturata dagli spasmi, e le lacrime si
mischiarono al sangue, insudiciandogli i capelli. Aprì gli
occhi ormai gonfi di pianto e disperazione e vide i suoi stessi denti
rotti immersi in una pozza di sangue. «Cosa
c’è, non fai più lo
spavaldo?» chiese Brad con il timbro della voce modificato
dallo squarcio incolmabile che aveva separato la ragione dalla mancanza
totale di lucidità. La follia pura lo rese schiavo,
privandolo di ogni ragionevolezza, posando un velo oscuro sui suoi
occhi furenti, sottraendogli impietosamente l’ultimo barlume
di umanità. Jay annaspò freneticamente per non
soccombere e fece appello all’ultimo briciolo di forza che
gli rimaneva; così, sgusciando da sotto la presa aggressiva
del suo carnefice, stese la mano per prendere l’unico oggetto
che l’avrebbe salvato, annegando nei suoi stessi rantolii
angosciati e i ringhi invasati dell’uomo alle sue spalle.
Saliva e sangue si mischiarono sulla sua lingua e si sentì
più vivo che mai.
Strisciò scalciando per accrescere la distanza da Brad e
aggrapparsi all’ultimo filo sgualcito di speranza, e
fissò il luccichio del posacenere di cristallo che pareva
pesante come un macigno, irraggiungibile al pari della luna.
Gridò collerico per darsi la forza di muoversi ancora, si
sarebbe affidato al suo irriducibile coraggio per riprendersi la sua
libertà. Sentiva di potercela fare, non gli avrebbe permesso
di distruggerlo ancora e rispedirlo nell’oblio, avrebbe
rivisto la luce del sole, per Beatrix che gli aveva permesso di aprire
gli occhi, per Lizzie che l’aveva custodito e protetto, per
suo fratello, per sua madre. Per se stesso. Per Izaya.
Angolo Autrice.
Ciao! Dico solo -1 e vi ringrazio!
Alla fine vi ringrazierò tutti per bene, come meritate.
Sappiate che ho già scritto l'ultimo capitolo e lo sto
riguardando, ho scritto anche il mio ultimo angolo autrice e sappiate
che dovrete sorbirvi una pagina e mezzo di ringraziamenti ^_^
Vi adoro.
Bloomsbury
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