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by _marty
13 - Tu (II Parte)
Dmìtrij
entrò rapido nella stanza, dove si trovava Natasha, con
delle carte in mano e
la camicia appena sbottonata sui primi due bottoni. Non aveva mai
rinunciato ai
suoi pantaloni eleganti e le scarpe in tinta e difatti fu
così che fece la sua
comparsa. Voleva che lei lo ricordasse così
com’era.
Nella
mano
libera un bicchiere di whiskey.
-Puoi
andare.
Lui
congedò
così la russa che non ebbe neanche in tempo di ribattere.
L’aveva zittita con
un rapido gesto della mano. Lei sbuffò e uscì
fuori dalla stanza, facendo
sentire il rintocco dei suoi tacchi sul parquet di legno scuro. E poi,
alzando
leggermente la voce, gridò per farsi sentire.
-Io
torno
al club.
E
di
rimando si sentì la porta sbattere e l’uscita di
scena della russa.
Dmìtrij
non
poté far altro che sorridere, poiché gli sarebbe
servito tutto il tempo
necessario da solo con lei. Accese la luce della stanza e
quest’ultima fu come
risvegliatasi da un lento torpore. Era viva di colore e di mobilio di
buon
gusto. L’uomo infine si accomodò sulla poltrona
non distante dal letto e iniziò
a studiare il modo in cui introdurle il tutto.
E
non
dovette attendere molto quando la vide comparire da dietro la porta,
con
l’accappatoio legato in vita e forse un po’ troppo
grande per lei. Aveva
lasciato il viso al naturale e lasciato i capelli sciolti lungo le
spalle.
Anche così era la donna più bella di cui si fosse
invaghito in tutta la sua
vita.
Reila
allargò appena gli occhi quando si accorse che era
lì e il suo cuore perse un
battito quando lo vide proprio come lo ricordava, con fogli di carta e
il suo
bicchiere di whiskey tra le mani. Si impose di calmarsi e si
avvicinò verso di
lui, ma tenendosi sempre a distanza di sicurezza.
Lui
la
guardò, di sottecchi, assaporando i suoi movimenti e il suo
profumo che gli era
arrivato come un’ondata. Vaniglia di Saint Barth.
Reila
rimase ferma a guardarlo, a pochi metri di distanza. Mosse qualche
passo per
avvicinarsi a una delle poltrone che, nella penombra, non aveva notato.
Distolse lo sguardo dall’uomo e cercò di vedere
ciò che le era stato precluso
accorgendosi che quell’armadio moderno, attaccato al muro e
dello stesso colore
del letto, non lo aveva proprio notato.
Nessuno
dei
due parlava ma la tensione tra loro si sentiva come i tuoni e i fulmini
che
avevano cominciato a imperversare nel cielo di Mosca.
Anche
se
aveva l’accappatoio ancora addosso, si sentiva come nuda di
fronte a lui.
Difficile non notare lo sguardo da predatore con cui l’aveva
sempre guardata.
La
donna
decise infine di sistemarsi sulla poltrona proprio di fronte a
Dmìtrij. Non si
sarebbe spogliata davanti a lui. Non più.
-Avanti,
dimmi quello che hai da dire e dividiamo le strade.
Reila
aveva
rotto il silenzio e Dmìtrij alzò lo sguardo con
una lentezza sconcertante, come
se non le volesse dare conto e importanza. L’assassina
accavallò le gambe,
cercando di non mostrare assolutamente lembi di pelle non voluta.
-Quanta
fretta.
Reila
lo
fissava. Stava cercando tutto il coraggio di cui disponeva per poterlo
fare e avrebbe
dovuto resistere il tempo necessario per poterne trarre vantaggio. Il
fuoco che
aveva dentro rischiava di scontrarsi con il ghiaccio degli occhi
dell’uomo e
questo non doveva assolutamente capitare di nuovo.
-Sei
tu che
hai bisogno di me e so che ti preme molto spiegarmi il motivo per cui
mi tieni
prigioniera.
Lui
aveva
riso leggermente e le labbra si erano piegate su un lato in un ghigno
malevolo.
Dmìtrij
adesso la stava fissando, proprio come sperava non avesse fatto. Lei
era lì,
inerme e senza possibilità di difendersi, perché
sentiva già il suo corpo
tremare e purtroppo non di paura.
-Come
ben
sai mi sono nascosto qui, inscenando la mia morte e avendo avuto un
grande
aiuto da parte tua.
Reila
si
sentì morire e un suono strozzato, leggermente udibile, era
fuoriuscito dalle
sue labbra serrate.
Come
poteva
mai provare ancora qualcosa per lui?
-E
ti sei
nascosto in centro città?
-Più
sei
visibile e più non ti vedono.
Dmìtrij
aveva sorriso e il suo sguardo aveva assunto una nota dolce nel
guardarla, che
si spense subito con gli ultimi bagliori del tramonto. Bevve
l’ultimo sorso del
whiskey che aveva in mano e posò il bicchiere sul
tavolinetto in mogano accanto
alla poltrona e sulla stessa mano poggiò il capo.
Reila
aveva
sentito le farfalle nello stomaco ancora una volta, proprio quando
aveva
compiuto quel semplice gesto e le gambe si erano strette in una morsa
impercettibile. Prese un leggero respiro, mantenendo il tono calmo e
disinteressato.
-Prima
di
dirti quello che ho da proporti vorrei chiederti scusa.
E
la voce
dell’uomo tremò nell’ultima parola. Un
qualcosa che non aveva mai pronunciato
nella sua vita verso nessuno.
Negli
occhi, Reila, si sentì pressare le lacrime che
prepotentemente volevano uscire,
denotando ancora la debolezza verso l’uomo. Questa non era
assolutamente una
lotta di orgoglio, ma semplicemente di quell’amor proprio che
aveva abbandonato
molto tempo prima. Proprio sul molo di Tokyo.
-Scusa?
Aveva
trovato il coraggio di rispondergli e di riversargli tutto il veleno
che aveva
in corpo von un’unica e sola parola.
-Sì.
E
il quel
momento l’aveva guardata e nella sua espressione vi lesse un
qualcosa di strano;
un qualcosa che sembrava un vero pentimento. In Reila qualcosa si
mosse, ma era
così debole che lei non ci fece neanche caso.
L’assassina
l’aveva guardato abbassando appena le palpebre, volendo
mettere a fuoco la sua
anima e non la sua immagine. Le braccia erano state posate lungo i
braccioli e
aveva dato modo all’accappatoio che portava di spostarsi
appena sulle gambe.
Dmìtrij conosceva tutto di lei, ogni centimetro del suo
corpo e della sua
anima. Aveva capito che non c’era motivo per cui lei lo
nascondesse.
-Tu
credi
che chiedendomi scusa i problemi si risolvano?
Reila
aveva
sollevato un sopracciglio.
-No,
ma è
un inizio.
La
donna
aveva preso un respiro bloccandolo a metà e alle parole
dell’uomo, che aveva
portato il bicchiere alle labbra per bere un po’ di whiskey,
aveva risposto con
un sorriso sbilenco. Non credeva ad una sola parola che lui diceva.
-Avanti,
Dmìtrij, dimmi cosa vuoi e facciamola finita.
L’uomo
aveva nuovamente bevuto un altro po’ di whiskey e aveva
posato il bicchiere sul
tavolinetto accanto alla poltrona. Aveva nuovamente guardato le carte e
lasciato che il silenzio invadesse la stanza. Aveva deciso che tutto si
sarebbe
svolto nella tranquillità più assoluta, non
voleva davvero costringere Reila, ma
convincerla e facendole credere che fosse per sua spontanea
volontà.
La
guardava
e la trovava sempre più bella, anche con
quell’aria corrucciata e infastidita
dalla sua persona. Non avrebbe mai creduto che nel suo cuore martoriato
fosse
rimasto ancora qualcosa di lui, ma in fondo alla sua anima sperava che
ci fosse
ancora quel briciolo che gli facesse vedere che ancora pensava a lui.
-Non
volevo
finisse così.
L’uomo
ancora temporeggiava, voleva scavare nella testa di Reila e capire.
Reila
allargò gli occhi increduli. La sua espressione la disse
lunga in un solo
attimo. La voce si bloccò in gola ma cercò di non
farlo notare più di tanto.
Aveva abbassato il capo e i capelli scuri le si erano spostati sulla
fronte.
Una mano si era andata a poggiare sulla fronte, scuotendo il capo
appena
percettibilmente.
-Ho
bisogno
di qualcosa di forte.
Reila
si
era alzata dalla poltrona di scatto, guardando Dmìtrij in
cagnesco. Si avvicinò
a un mobiletto, dove sopra vi erano posati alcuni bicchieri bassi e
bombati, in
cui sperava avesse trovato quello che cercava. Aprì le ante
e il suo viso si
rasserenò trovando la vodka secca che cercava. Non aveva il
coraggio di
voltarsi verso l’uomo e gli tenne girate le spalle per tutto
il tempo in cui si
era servita e versata la bevanda che le avrebbe alleviato un
po’ di pene.
Reila
bagnò
le labbra con il liquido incolore e posò una mano sul cuore
che batteva
talmente forte da farle pensare che l’uomo
l’avrebbe sentito se si fosse
avvicinato più del dovuto.
Dmìtrij
invece
non si era mosso dalla sua poltrona e Reila preferì rimanere
vicino al
mobiletto nel caso avesse avuto bisogno di un altro bicchiere. Sapeva
che
doveva essere lucida, ma un bicchiere non avrebbe compromesso la sua
stabilità.
Le serviva solo per sciogliersi. Dopotutto quel tempo, davanti a lui,
si
sentiva ancora fragile e insicura.
Dmìtrij
la
guardò si soppiatto per tutto il tragitto e ora che si era
voltata verso di lui,
aveva abbassato il suo sguardo verso le carte. Solo lui sapeva quanto
in cuor
suo avrebbe voluto alzarsi e stringerla tra le braccia, obbligandola ad
aprirgli il suo cuore e vederle attraverso.
Quel
silenzio, per Reila, era estenuante più del rumore.
-Dimmi
cosa
vuoi.
L’aveva
detto a denti stretti, sperando che la voce bassa e tremante non si
sentisse.
Aveva il corpo leggermente scosso e cercava con tutta se stessa di
nascondere i
suoi tremori, associandoli magari alla vodka.
-Qualcuno
vuole uccidermi da prima che ti chiedessi di uccidere mio zio.
L’uomo
non
aveva voluto approfondire quel tremore che, anche se debole, aveva
percepito
nella voce della donna. La guardò e vi si
soffermò per qualche istante
accarezzando la sua figura minuta con gli occhi.
-Sono
riuscito a risalire a lui grazie ad i miei contatti.
Reila
lo
ascoltava e guardava quella bocca che tanto l’aveva
assaggiata. Si sarebbe
dovuta allontanare al più presto da lui, perché
mantenere una conversazione
sarebbe stato estenuante e ne sarebbe uscita sconfitta, ancora una
volta.
-Ricordati
che dentro questa stanza hai una persona pronta a ucciderti. Cosa ti fa
pensare
che ti aiuterò?
Dmìtrij
aveva assunto un’aria tranquilla e i suoi tratti duri si
addolcirono di colpo.
-Perché
se
tu ucciderai quest’uomo per me, ti permetterò di
avere una scelta.
Reila
era
rimasta per qualche momento interdetta.
-Di
quale
scelta parli?
L’uomo
le
aveva sorriso, proprio come faceva un tempo e a lei si era gelato il
sangue
nelle vene.
-Ti
permetterò di decidere cosa fare di me.
Mentre
lo
diceva Reila aveva bevuto un sorso e quello stesso le era andato di
traverso,
facendola tossire e bruciare la gola come
se vi fosse scesa lava. Le tremavano le mani per la rabbia e non si
riusciva a
controllare, non dopo quelle parole. Difatti scattò verso di
lui con i pugni
chiusi e pronti a prenderlo per il bavero della camicia.
Dmìtrij
la
lasciò fare e non si mosse di un millimetro mentre lei lo
afferrava dalla
camicia e facendogli spostare il busto in avanti, staccandolo dallo
schienale
della poltrona. Lo guardava in un modo pauroso, ma lui sapeva che in
quegli
occhi c’era tutto l’astio nei suoi confronti e ne
era ben consapevole. Ma
doveva tentare comunque questa strada.
-Io
non mi
vendo più. La mia decisione verso di te è stata
già presa.
Glielo
aveva detto in tono basso e irato. I suoi occhi, se avessero potuto,
avrebbero
mandato fulmini e saette.
-Il
nome
dell’uomo che sta tentando di uccidermi è Kajiro.
Reila
allargò gli occhi stanchi e affaticati e smollò
con uno spintone Dmìtrij
lasciandolo seduto su quella stramaledetta poltrona. Era ritornata al
mobiletto
e aveva versato un altro po’ di vodka all’interno
del bicchiere. Fatto questo,
si era avvicinata alla finestra, guardando da lontano le persone che
camminavano tranquille nelle strade.
-Non
lo
faccio per te, ma per me.
Dmìtrij
non
sapeva che Reila avesse un conto in sospeso con Kajiro, ma gli avevano
detto
che era una persona di cui lei si sarebbe ricordata molto bene. Doveva
giocarsi
la carta se l’avesse ricordato in positivo o in negativo e
fortunatamente per
lui, aveva già intenzione di ucciderlo.
L’uomo
si
alzò dalla sua poltrona e posò le carte che aveva
in mano sul tavolino. L’aveva
guardata per qualche istante mentre portava i passi verso la porta.
-Dopo
che
lo avrai ucciso, ritorna qui e deciderai.
Dmìtrij
afferrò la maniglia della porta e chinò
leggermente il capo, senza guardarla
conscio che neanche lei lo stava guardando. Aprì la porta.
-Nell’armadio
troverai tutto quello che ti serve e la tua pistola è
custodita nell’altra
stanza. Sei libera.
Reila
aveva
tirato un sospiro di delusione, facendo fuoriuscire tutta la rabbia che
le
aveva montato in corpo quella piccola discussione. Aveva assentito, non
aveva
fatto nient’altro e aveva tenuto lo sguardo sulla strada.
L’ultimo sorso della
vodka.
Reila sentì
solo la porta richiudersi così come si richiuse la sua
mente, lasciando libero
il suo cuore e le lacrime libere di cadere silenziose.
Angolo
dell'autrice
Devo sire che questo è stato il capitolo
più difficile che abbia mai scritto, ma non
perché non sapevo cosa scrivere ma perchè la
scena era talmente difficile da risultare per me quasi impossibile da
scrivere. Vari momenti di sconforto e vari moemnti di blocco, sono
riuscita ad aggiornare solo adesso. Dopo ben due mesi.
Non passerà più tutto questo tempo ora che la
storia è entrata nel suo vivo (dopo ben tredici capitoli) e
ora è tutto già scritto, anche se credo che i
personaggi mi faranno cambiare rotta molte volte, ma non temete che
arriverò alla fine di quest'avventura.
Rinnovo
sempre il mio invito a farmi sapere come vi sembra, non credo vi porti
via molto tempo una recensione, anche perchè ne giova
l'autostima dell'autrice (cioé me).
Vi inviterei infine a leggere "Dopo
la pioggia" per
poter capire un po' meglio dell'intera vicenda. Infine vi ringrazio per
chi l'ha messa tra le preferite/seguite/ricordate e ringrazio coloro
che hanno recensito, facendomi sapere il loro parere e i lettori
silenziosi. E vi
indirizzo verso la mia pagina che terrò sempre aggiornata
con curiosità, spoiler e quant'altro.
Lotiel
Scrittrice - Come pioggia sulla neve
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