La maglietta
del delitto
«McKagan!»
La voce di Susan si diffuse per la casa, facendo tremare i
lampadari e le gambe di Duff, già terrorizzato senza nemmeno aver visto
l’espressione della moglie: quando lo chiamava per cognome, o con il suo nome
di battesimo, c’erano sempre guai in vista.
«Piano, Sue, ho appena fatto addormentare Mae» le rispose
conciliante, chiudendosi alle spalle la porta della cameretta. Grace era a fare
i compiti da un’amica, per cui ci era voluto un po’ per convincere la piccina
ad andare a coricarsi.
«Cosa vuol dire appena?» gli chiese Susan già
sul piede di guerra, mentre stringeva tra le mani uno straccio nero che agitava
con il suo concitato gesticolare. «È da un’ora che ti ho detto di metterla a
dormire.»
«Beh, non sono mica bravo come te.»
Forse adularla non sarebbe servito a niente, ma Duff aveva
imparato che in amore e in guerra tutto era lecito, e, mentre cercava di capire
in quale delle due circostanze si trovassero in quel momento, sfruttava ogni
possibilità per calmare le acque. C’era da dire che non funzionava mai.
«No, infatti» gli disse imbufalita, facendolo rimanere così
di sasso che si ritrovò a piegare in giù gli angoli della bocca, con la stessa
espressione di Mae quando si vedeva negare le caramelle. «Altrimenti avresti
già buttato via questa maglietta!»
Sventolò in aria lo straccio che teneva in mano, prima di
stendere la stoffa davanti all’espressione basita di Duff e mostrargli la
scritta “SLUT” che campeggiava proprio sul petto, a caratteri cubitali
fosforescenti.
«Ma che problema c’è?» le chiese lentamente, temendo di
innescare quella solita miccia che metteva in pericolo la vita di tutti. «È un
ricordo.»
Vedendola così furibonda e pronta a sputare fuoco, realizzò
perché l’assicurazione sugli incendi fosse stata la prima cosa che Susan aveva
richiesto quando avevano comprato casa qualche anno prima.
«Michael, Grace sta imparando a leggere!» gli fece presente
puntandogli un dito contro il petto.
«Non andrà a esercitarsi con le scritte sui vestiti, no?»
si lagnò supplicandola, sbattendo gli occhi ripetutamente nel vano tentativo di
addolcire la sua amabile consorte.
«Se non la butti, ti faccio indossare questo affare e ti
spedisco sui marciapiedi a fare questo lavoro.»
«Ma Sue…»
«E niente più arrosto di coniglio!»
«No!» la supplicò buttandosi letteralmente ai suoi piedi e
abbracciandole le gambe.
Proprio in quel momento la porta di casa si spalancò, ed
entrò Grace con la cartella in spalla e un’adorabile fessura tra i denti.
«Papà, che ci fai lì per terra? Non dirmi che hai fatto
ancora arrabbiare la mamma!» esclamò con la sua parlantina rapida.
Dall’ingresso lasciato aperto, s’intravedeva la sua amica salutarla attraverso
il finestrino dell’auto, con la stessa finestrella nel sorriso «Slo… slu…t? Che
vuol dire?»
A quella domanda innocente, gli occhi di Susan si
spalancarono e Duff si accartocciò su se stesso ai piedi della moglie.
«…scusa, Sue.»
«Per una settimana in bianco, McKagan» berciò, per poi
avvicinarsi all’orecchio e ucciderlo definitivamente con un bisbiglio velenoso.
«E non solo il cibo.»
*
La maglietta, in caso non l’abbiate
presente, è questa. Semplice ma efficace!