Capitolo 2
Freddo. Freddo sui
palmi delle mani, una
sensazione che associai al ferro del bancone su cui ero sdraiata.
Lentamente
ripresi sensibilità e solo dopo ricominciai a sentire cosa succedeva
attorno a
me.
- Fallo, prima che si
svegli! – una voce
di donna esortava qualcun altro con tono severo. Fare cosa?, mi
chiedevo, senza
muovere un dito e mantenendo gli occhi chiusi.
- Ha ragione, Darrin.
Mi chiedo perché cavolo
hai aspettato così tanto. – disse qualcun altro, stavolta un ragazzo.
Erano in
tre, sembravano in confidenza dal loro tono.
- E’ che ho paura di
sbagliare … -
mormorò un altro, che intuii fosse questo Darrin.
Sentii dei rumori che
interpretai come
una spinta brusca e qualcos’altro.
- Ehi! – esclamò
Darrin.
- Lascia fare a me,
l’ho fatto tante
volte e sono abituato! – disse quello che sembrò avere la voce più
adulta.
- No, Savannah ha
detto che stavolta
tocca a me! – sbottò Darrin.
I quattro ragazzi
erano alla mia
sinistra, così strinsi forte il pugno destro per assicurarmi di potermi
muovere, sperando che non vedessero quel movimento. Sentivo delle
stringhe alle
braccia, alle gambe e alla vita: mi avevano legata a quel tavolo. Il
mio cuore
accelerò e qualcuno notò il cambiamento, perché sentii un respiro
vicino al
viso. Io, quindi, trattenni il fiato in attesa che si allontanasse e
sperai che
il mio cuore rallentasse e che il mio viso non fosse arrossato per
l’apporto di
sangue. Dovevo stare calma. Avevo sempre desiderato di vivere
un’esperienza
fuori dagli schemi, come i polizieschi, i thriller e i film di
criminalità che
io e Lux avevamo trovato in una scatola impolverata della soffitta.
Questo tipo
di film era illegale (perché istigava alla ribellione e alla
trasgressione), e
non so perché la mia famiglia ne avesse una scatola piena, forse era un
ricordo
di qualche antenato che i controlli annuali sulle abitazioni non aveva
mai
scovato. Mi chiedevo perché. Comunque, guardandoli, avevo capito che,
affinché
tutto andasse bene, avrei dovuto restare tranquilla e ferma. Stare al
gioco per
un po’. Solo per un po’.
Ripresi a respirare
lentamente quando
sentii i ragazzi allontanarsi.
- State indietro –
disse poi l’unico
ragazzo di cui conoscevo il nome, e probabilmente gli altri obbedirono
perché avvertii
solo una persona vicino al mio corpo.
Trattenni il respiro
ancora una volta.
Quando l’uomo si piegò in avanti, verso il mio viso, sentii il suo
respiro
pesante e qualcosa di freddo e pungente pungermi l’incavo del collo.
Proprio in
quell’istante, veloce e
decisa, aprii gli occhi assumendo un’espressione arrabbiata e allo
stesso tempo
di sfida, colpendo quelli di Darrin.
Il ragazzo, che aveva
due grandi occhi
blu scuro, indietreggiò pericolosamente con una siringa in mano con
all’interno
un liquido trasparente strillando e guardandomi spaventato. A quel
punto,
sorrisi. Mi sembrava di avere il mondo in mano.
Darrin inciampò
all’indietro e non cadde
solo perché gli altri ragazzi lo sostennero. Tra questi, il mio
rapitore. Girai
la testa e li fissai tutti, uno ad uno. I ragazzi mi guardavano
sconcertati, la
ragazza, solo lei, con un’espressione dura. Mollò Darrin, fece il giro
del
tavolo sopra il quale ero distesa e cominciò a frugare tra gli scaffali
grigi
appesi al muro. Vi erano barattoli, provette e molte altre cose che non
riconobbi. La cosa divertente è che non cercavo di scendere dal bancone
o
dimenarmi, ma ero calma. L’unica cosa che mi spaventava era la mia
assoluta
tranquillità. Queste persone, vestite con abiti neri e pieni di tasche
e borse
e dall’aria professionale mi affascinavano.
- Cosa cerchi? –
domandai.
La ragazza strinse i
denti. –
Maledizione! – gridò, poi si girò verso gli altri. – Dov’è
l’anestetico? Io l’ho
esaurito e anche voi! Dove l’hanno messo?!
- Non ne ho idea! –
esclamò il secondo
ragazzo che avevo sentito parlare.
- Non era mai
successo prima … - disse
quello dalla voce adulta.
Darrin si avvicinò
alla ragazza e le
prese un braccio. – Ascolta, Rachel, facciamo l’iniezione lo stesso.
Non lo
saprà nessuno che si è svegliata!
Rachel guardò Darrin
furiosa. – Ma è
contro le regole!
- Ehi ehi, calmatevi
ragazzi! –
ridacchiai. – Avete tutto il tempo del mondo per farmi quest’iniezione.
Sembrate psicopatici! State sereni un pochetto, su. Un caffè e il
nervosismo va
via.
Tutte le persone in
quella stanza mi
guardarono sbigottiti per un lungo, interminabile istante. Sul mio viso
aleggiava un sorriso idiota. Probabilmente la psicopatica ero io.
Li guardai divertita.
– Suvvia, ragazzi,
nessuno vi ha informati? Nessuno fotte Miranda McClair!
A quel punto fissai i
miei occhi su
quelli del più grande di tutti, e successe. Era qualcosa che non
riuscivo bene
a controllare, qualcosa a cui non sapevo dare un nome e che riuscivo a
fare fin
da piccola. Rovistai tra i filamenti dell’iride del ragazzo come fanno
i laser
delle macchine dello Stato, vidi nei suoi occhi le macchie che
caratterizzano
una mente criminale, poi andai più a fondo, lì dove niente riusciva ad
arrivare. Visualizzai i suoi desideri più grandi, vidi una ragazza,
strinsi gli
occhi: Rachel, la bionda Rachel in vestito bianco andare con lui verso
l’altare.
Con le unghie strappai quest’immagine come fosse tela soffice e ne
costruii un’altra,
veloce e precisa. Al suo posto, ora, c’ero io, libera dalle stringe che
mi
tenevano legata al bancone, in piedi davanti a lui, con la stessa loro
divisa.
I suoi desideri, da quel momento, sarebbero stati quelli di vedermi
libera e
parte di quello che facevano parte tutti, non importa quanto sarebbe
durata
questa voglia: in quel momento era forte e decisa.
Il ragazzo spostò lo
sguardo non appena
la mia mente uscì dalla sua iride castana. Si guardò intorno confuso,
poi
parlò, con voce autoritaria.
- Lasciatela andare.
– sentenziò.
Rachel, Darrin e
l’altro dissero un ‘Cosa?!’
quasi urlato, poi parlarono uno sull’altro, fino a che la voce di
Rachel
sovrastò le altre.
- Vuoi mandare a
monte tutti i piani?! –
gridò lei.
Il ragazzo la guardò
gelido. – Lei ci
serve viva. – mormorò.
Ammetto che questa
frase mi fece
rabbrividire. Non pensavo che volessero uccidermi, al massimo usarmi
come cavia
di qualche esperimento, ma non uccidermi. Avvertii un moto di paura, ma
cercai
di mantenere un’espressione calma.
Tutti tacquero, anche
Rachel, che
guardava il ragazzo avvicinarsi a me con gli occhi spalancati.
- Ellis?! – lo
chiamò, sconvolta.
Ellis mi slacciò le
stringe in un modo
che non vidi perché non potevo alzare la schiena e presto fui libera di
mettermi seduta, ma non sorridevo più. L’atmosfera era tesa. Quella
stanza
bianca e grigia mi incuteva paura all’improvviso.
- Ha un buon
potenziale, non avete
notato? Potrebbe servirci nelle missioni più difficili. – disse Ellis.
Rachel era ancora più
furiosa. – Stai scherzando,
spero! Lei è una delle sospettate!
Okay, la situazione
si stava facendo
alquanto bizzarra. Sospettata di cosa?
Ellis prese un altro
tipo di stringhe e
mi legò i polsi, unendoli come delle manette; poi mi trascinò fuori
dalla
stanza seguita dagli altri e da una stordita Rachel. Mi portò in quella
che
intuì essere una cella simile a quella dei carceri, munita di sbarre, e
mi
rinchiuse dentro a chiave. Ellis tirò fuori la sua pistola, osservò di
cosa era
carica, poi mormorò: - Io ho ancora un po’ di anestetico – prima di
puntarmela
alla tempia e sparare.
Di nuovo, buio.
La sensibilità tornò
anche stavolta
lentamente. Stavolta ero distesa a terra, in una posizione strana,
sicuramente
data dal fatto che ero caduta sul pavimento priva di sensi.
Mi misi in ascolto:
un uomo e una donna
che prima non c’erano parlavano animatamente con Ellis, ma con tono
molto
basso, fino a che l’uomo esclamò: - Smettila, Ellis! Non possiamo
accoglierla
senza un motivo ben valido!
- Ma il mio è un
motivo valido! –
insistette Ellis. A quanto pare, avevo fatto un buon lavoro nella sua
testa.
Anche stavolta, però,
avrei dovuto
giocarmi l’elemento sorpresa, pazzia e iride.
Girai la testa verso
le sbarre, poi mi
alzai di scatto e mi schiacciai sulle sbarre, gridando e gemendo come
una pazza,
sbattendo il ferro per far rumore.
- Lasciatemi,
lasciatemi! – urlavo,
assieme ad altre cose incomprensibili. L’uomo, sulla mezza età, e la
donna, sui
quarant’anni ma particolarmente bella, mi fissarono senza dire nulla.
Poi
ricominciarono a guardare e a parlare con Ellis ignorandoli.
A quel punto mi
calmai, dando fine alla recita
e guardandoli con il mio sorriso complice. – Sto scherzando, solo so
fare la
parte della vittima ma non voglio. Per me sarebbe un onore lavorare per
voi.
Ottenuta la loro
attenzione completa,
entrai nell’iride della donna. Anche stavolta, strappai i suoi desideri
di
maternità e dipinsi quelli di vedermi libera e parte di loro.
Due volte in un
giorno. Non mi succedeva
mai, di fare quella cosa per più di
una volta ogni due giorni, figuriamoci due in un pomeriggio.
- Savannah? – la
chiamò l’uomo mentre
questa si avvicinava alla cella con le chiavi prese dalle mani di Ellis.
- Ellis non ha tutti
i torti – disse mentre
mi apriva.
A quel punto, decisi
che, essendo che vedermi
assieme a loro era il desiderio più grande della donna che aveva
sicuramente un’importanza
fondamentale in quella situazione, loro non mi avrebbero avuta subito:
si vuole
di più sempre quello che non si ha. Perciò, appena Ellis mi liberò
dalle
stringhe, sfrecciai nel lungo corridoio accanto a me, scivolando sul
pavimento
liscio, mentre i tre mi chiamavano ed Ellis cercava di raggiungermi
inutilmente.
Girai un paio di
volte per i corridoi,
fino a che, fortunatamente, trovai la porta. Pressai tutti i bottoni
sulla
parete finchè la porta non si aprì e io corsi fuori senza preoccuparmi
di
richiuderla, sperando di trovare la strada di casa.
Mi sentivo folle, e
fottutamente bene.
Correndo, vidi
qualcosa che in cuor mio speravo
di scorgere. |