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Autore: Itsakira    29/09/2014    0 recensioni
In una società distopica del futuro dove la criminalità è stata eliminata da numerose analisi delle menti degli abitanti di Rubin, esiste qualcuno in grado di sfuggire ai controlli e ad evitare di essere arrestata e uccisa, anche se possiede una mente criminale: una 17enne un po' ribelle. Miranda, però, viene catturata da una società segreta, adibita alla liberazione dei criminali in carcere e al testare sulle vittime un siero misterioso, che in un primo momento tenta di ucciderla ma lei, dopo esser riuscita a liberarsi, prova in tutti i modi a diventarne un membro. Cosa succede se in una missione Miranda s'innamora della prossima vittima? E il vero nemico è lo stato o la società?
Genere: Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
Freddo. Freddo sui palmi delle mani, una sensazione che associai al ferro del bancone su cui ero sdraiata. Lentamente ripresi sensibilità e solo dopo ricominciai a sentire cosa succedeva attorno a me.
- Fallo, prima che si svegli! – una voce di donna esortava qualcun altro con tono severo. Fare cosa?, mi chiedevo, senza muovere un dito e mantenendo gli occhi chiusi.
- Ha ragione, Darrin. Mi chiedo perché cavolo hai aspettato così tanto. – disse qualcun altro, stavolta un ragazzo. Erano in tre, sembravano in confidenza dal loro tono.
- E’ che ho paura di sbagliare … - mormorò un altro, che intuii fosse questo Darrin.
Sentii dei rumori che interpretai come una spinta brusca e qualcos’altro.
- Ehi! – esclamò Darrin.
- Lascia fare a me, l’ho fatto tante volte e sono abituato! – disse quello che sembrò avere la voce più adulta.
- No, Savannah ha detto che stavolta tocca a me! – sbottò Darrin.
I quattro ragazzi erano alla mia sinistra, così strinsi forte il pugno destro per assicurarmi di potermi muovere, sperando che non vedessero quel movimento. Sentivo delle stringhe alle braccia, alle gambe e alla vita: mi avevano legata a quel tavolo. Il mio cuore accelerò e qualcuno notò il cambiamento, perché sentii un respiro vicino al viso. Io, quindi, trattenni il fiato in attesa che si allontanasse e sperai che il mio cuore rallentasse e che il mio viso non fosse arrossato per l’apporto di sangue. Dovevo stare calma. Avevo sempre desiderato di vivere un’esperienza fuori dagli schemi, come i polizieschi, i thriller e i film di criminalità che io e Lux avevamo trovato in una scatola impolverata della soffitta. Questo tipo di film era illegale (perché istigava alla ribellione e alla trasgressione), e non so perché la mia famiglia ne avesse una scatola piena, forse era un ricordo di qualche antenato che i controlli annuali sulle abitazioni non aveva mai scovato. Mi chiedevo perché. Comunque, guardandoli, avevo capito che, affinché tutto andasse bene, avrei dovuto restare tranquilla e ferma. Stare al gioco per un po’. Solo per un po’.
Ripresi a respirare lentamente quando sentii i ragazzi allontanarsi.
- State indietro – disse poi l’unico ragazzo di cui conoscevo il nome, e probabilmente gli altri obbedirono perché avvertii solo una persona vicino al mio corpo.
Trattenni il respiro ancora una volta. Quando l’uomo si piegò in avanti, verso il mio viso, sentii il suo respiro pesante e qualcosa di freddo e pungente pungermi l’incavo del collo.
Proprio in quell’istante, veloce e decisa, aprii gli occhi assumendo un’espressione arrabbiata e allo stesso tempo di sfida, colpendo quelli di Darrin.
Il ragazzo, che aveva due grandi occhi blu scuro, indietreggiò pericolosamente con una siringa in mano con all’interno un liquido trasparente strillando e guardandomi spaventato. A quel punto, sorrisi. Mi sembrava di avere il mondo in mano.
Darrin inciampò all’indietro e non cadde solo perché gli altri ragazzi lo sostennero. Tra questi, il mio rapitore. Girai la testa e li fissai tutti, uno ad uno. I ragazzi mi guardavano sconcertati, la ragazza, solo lei, con un’espressione dura. Mollò Darrin, fece il giro del tavolo sopra il quale ero distesa e cominciò a frugare tra gli scaffali grigi appesi al muro. Vi erano barattoli, provette e molte altre cose che non riconobbi. La cosa divertente è che non cercavo di scendere dal bancone o dimenarmi, ma ero calma. L’unica cosa che mi spaventava era la mia assoluta tranquillità. Queste persone, vestite con abiti neri e pieni di tasche e borse e dall’aria professionale mi affascinavano.
- Cosa cerchi? – domandai.
La ragazza strinse i denti. – Maledizione! – gridò, poi si girò verso gli altri. – Dov’è l’anestetico? Io l’ho esaurito e anche voi! Dove l’hanno messo?!
- Non ne ho idea! – esclamò il secondo ragazzo che avevo sentito parlare.
- Non era mai successo prima … - disse quello dalla voce adulta.
Darrin si avvicinò alla ragazza e le prese un braccio. – Ascolta, Rachel, facciamo l’iniezione lo stesso. Non lo saprà nessuno che si è svegliata!
Rachel guardò Darrin furiosa. – Ma è contro le regole!
- Ehi ehi, calmatevi ragazzi! – ridacchiai. – Avete tutto il tempo del mondo per farmi quest’iniezione. Sembrate psicopatici! State sereni un pochetto, su. Un caffè e il nervosismo va via.
Tutte le persone in quella stanza mi guardarono sbigottiti per un lungo, interminabile istante. Sul mio viso aleggiava un sorriso idiota. Probabilmente la psicopatica ero io.
Li guardai divertita. – Suvvia, ragazzi, nessuno vi ha informati? Nessuno fotte Miranda McClair!
A quel punto fissai i miei occhi su quelli del più grande di tutti, e successe. Era qualcosa che non riuscivo bene a controllare, qualcosa a cui non sapevo dare un nome e che riuscivo a fare fin da piccola. Rovistai tra i filamenti dell’iride del ragazzo come fanno i laser delle macchine dello Stato, vidi nei suoi occhi le macchie che caratterizzano una mente criminale, poi andai più a fondo, lì dove niente riusciva ad arrivare. Visualizzai i suoi desideri più grandi, vidi una ragazza, strinsi gli occhi: Rachel, la bionda Rachel in vestito bianco andare con lui verso l’altare. Con le unghie strappai quest’immagine come fosse tela soffice e ne costruii un’altra, veloce e precisa. Al suo posto, ora, c’ero io, libera dalle stringe che mi tenevano legata al bancone, in piedi davanti a lui, con la stessa loro divisa. I suoi desideri, da quel momento, sarebbero stati quelli di vedermi libera e parte di quello che facevano parte tutti, non importa quanto sarebbe durata questa voglia: in quel momento era forte e decisa.
Il ragazzo spostò lo sguardo non appena la mia mente uscì dalla sua iride castana. Si guardò intorno confuso, poi parlò, con voce autoritaria.
- Lasciatela andare. – sentenziò.
Rachel, Darrin e l’altro dissero un ‘Cosa?!’ quasi urlato, poi parlarono uno sull’altro, fino a che la voce di Rachel sovrastò le altre.
- Vuoi mandare a monte tutti i piani?! – gridò lei.
Il ragazzo la guardò gelido. – Lei ci serve viva. – mormorò.
Ammetto che questa frase mi fece rabbrividire. Non pensavo che volessero uccidermi, al massimo usarmi come cavia di qualche esperimento, ma non uccidermi. Avvertii un moto di paura, ma cercai di mantenere un’espressione calma.
Tutti tacquero, anche Rachel, che guardava il ragazzo avvicinarsi a me con gli occhi spalancati.
- Ellis?! – lo chiamò, sconvolta.
Ellis mi slacciò le stringe in un modo che non vidi perché non potevo alzare la schiena e presto fui libera di mettermi seduta, ma non sorridevo più. L’atmosfera era tesa. Quella stanza bianca e grigia mi incuteva paura all’improvviso.
- Ha un buon potenziale, non avete notato? Potrebbe servirci nelle missioni più difficili. – disse Ellis.
Rachel era ancora più furiosa. – Stai scherzando, spero! Lei è una delle sospettate!
Okay, la situazione si stava facendo alquanto bizzarra. Sospettata di cosa?
Ellis prese un altro tipo di stringhe e mi legò i polsi, unendoli come delle manette; poi mi trascinò fuori dalla stanza seguita dagli altri e da una stordita Rachel. Mi portò in quella che intuì essere una cella simile a quella dei carceri, munita di sbarre, e mi rinchiuse dentro a chiave. Ellis tirò fuori la sua pistola, osservò di cosa era carica, poi mormorò: - Io ho ancora un po’ di anestetico – prima di puntarmela alla tempia e sparare.
Di nuovo, buio.

La sensibilità tornò anche stavolta lentamente. Stavolta ero distesa a terra, in una posizione strana, sicuramente data dal fatto che ero caduta sul pavimento priva di sensi.
Mi misi in ascolto: un uomo e una donna che prima non c’erano parlavano animatamente con Ellis, ma con tono molto basso, fino a che l’uomo esclamò: - Smettila, Ellis! Non possiamo accoglierla senza un motivo ben valido!
- Ma il mio è un motivo valido! – insistette Ellis. A quanto pare, avevo fatto un buon lavoro nella sua testa.
Anche stavolta, però, avrei dovuto giocarmi l’elemento sorpresa, pazzia e iride.
Girai la testa verso le sbarre, poi mi alzai di scatto e mi schiacciai sulle sbarre, gridando e gemendo come una pazza, sbattendo il ferro per far rumore.
- Lasciatemi, lasciatemi! – urlavo, assieme ad altre cose incomprensibili. L’uomo, sulla mezza età, e la donna, sui quarant’anni ma particolarmente bella, mi fissarono senza dire nulla. Poi ricominciarono a guardare e a parlare con Ellis ignorandoli.
A quel punto mi calmai, dando fine alla recita e guardandoli con il mio sorriso complice. – Sto scherzando, solo so fare la parte della vittima ma non voglio. Per me sarebbe un onore lavorare per voi.
Ottenuta la loro attenzione completa, entrai nell’iride della donna. Anche stavolta, strappai i suoi desideri di maternità e dipinsi quelli di vedermi libera e parte di loro.
Due volte in un giorno. Non mi succedeva mai, di fare quella cosa per più di una volta ogni due giorni, figuriamoci due in un pomeriggio.
- Savannah? – la chiamò l’uomo mentre questa si avvicinava alla cella con le chiavi prese dalle mani di Ellis.
- Ellis non ha tutti i torti – disse mentre mi apriva.
A quel punto, decisi che, essendo che vedermi assieme a loro era il desiderio più grande della donna che aveva sicuramente un’importanza fondamentale in quella situazione, loro non mi avrebbero avuta subito: si vuole di più sempre quello che non si ha. Perciò, appena Ellis mi liberò dalle stringhe, sfrecciai nel lungo corridoio accanto a me, scivolando sul pavimento liscio, mentre i tre mi chiamavano ed Ellis cercava di raggiungermi inutilmente.
Girai un paio di volte per i corridoi, fino a che, fortunatamente, trovai la porta. Pressai tutti i bottoni sulla parete finchè la porta non si aprì e io corsi fuori senza preoccuparmi di richiuderla, sperando di trovare la strada di casa.
Mi sentivo folle, e fottutamente bene.
Correndo, vidi qualcosa che in cuor mio speravo di scorgere.
  
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