23 – Tempo inquieto (attese)
Oscar si allontanò dalla stanza col solito passo
sicuro e cadenzato.
Attraversò il lungo corridoio del palazzo
ascoltando l’eco sordo dei suoi tacchi sul pavimento, l’orecchio teso, pronta a
cogliere i passi di lui quando l’avesse seguita.
Si aspettava che lo facesse. Lo sperava, forse.
Continuò ad allontanarsi, senza troppa fretta, ma
con decisione.
Ascoltava.
Niente.
Ma quanto ci metteva?
Si fermò dietro una porta socchiusa ad ascoltare
la quiete della casa che era stata appena scossa dal suo alterco con la
gemella; non le giungeva nessuna voce, né bisbiglio, tutto pareva avvolto nel
silenzio, anche la servitù sembrava essersi dileguata, poi riprese a camminare
un poco più lentamente.
Oltre il rumore dei suoi passi, la seguiva solo il
silenzio che si accompagnava a un vago senso d’ inquietudine.
Lungo lo scalone che portava al pian terreno,
mantenne l’orecchio ben teso, nel tentativo di captare i passi rapidi e furtivi
del suo attendente, ma nessun suono giungeva al suo orecchio.
André ritardava.
L’inquietudine piano si trasformava in una strana
angoscia che le stava afferrando il cuore e pareva stringerlo in una morsa
spietata.
Un timore subdolo le strisciava sulla pelle come
sudore, e neppure lei sapeva perché avvertisse quel malessere.
E magari lo sapeva bene.
Non era del tutto nuovo quel timore, ma lo
scopriva per davvero in quell’ istante, lungo quanto la triste distanza che
cresceva tra lei e il suo attendente. Danielle l’aveva delusa profondamente, ma
qualcosa nell’anima le diceva che non avrebbe dovuto sorprendersi, che tutto
era sempre stato lì davanti a lei, fin dall’inizio.
Il sospetto era stato forte e preciso.
Danielle infatuata del suo uomo, del suo amico.
-
Sei innamorata del mio
André? …
Lo aveva detto.
Così.
Come la cosa più ovvia e naturale, senza pensarci
troppo su.
Lo aveva rimarcato con l’asprezza della voce.
Il suo André.
Impossibile confondersi, ma come si fa a credere che
il tradimento provenga dal tuo stesso sangue, dalla tua carne, da colei che è
venuta al mondo insieme a te, con cui hai diviso per nove mesi il calore
dell’utero materno?
E André conosceva i sentimenti della sorella, ma
sembrava ignorare i suoi; per la prima volta in tanti anni l’aveva messa in
discussione, per questo anche lui l’aveva delusa, e mai il senso d’umiliazione
era stato più potente.
Ma alla fine, l’avrebbe seguita, come faceva
sempre.
Allora, perché ritardava? Perché non la
raggiungeva?
Sull’ingresso del palazzo che dava sul cortile
interno si fermò ancora, aggrappata più all’indefinibile che alla speranza. Si
voltò ad osservare il vestibolo, scorse solo la figura di una cameriera che
passava frettolosamente trasportando qualcosa a cui non prestò attenzione.
Sarà passato un minuto, forse meno.
Riprese a camminare verso l’esterno per
raggiungere il suo cavallo legato lì fuori.
Non montò subito in sella.
Attese ancora.
Sperò di nuovo di sentire un suono di passi
provenire dalle sue spalle, accompagnati da una voce che la chiamava.
Pochi secondi. Un minuto.
Cinque, dieci.
Cento, mille istanti che si dilatavano lenti e
feroci.
Una mano posata sulla sella, si voltò per l’ultima
volta a sbirciare con la coda dell’occhio dietro di sé.
Quanto tempo era passato?
Andrè non veniva.
Presto avrebbe fatto buio. Sarebbe sceso su ogni
cosa attorno, sui muri, sulle strade di Parigi, sulle campagne. Su di lei. Sui
suoi pensieri intrisi di amarezza che nell’oscurità si immergevano come pesci
in uno stagno d’acqua torbida.
Mettersi in viaggio a quell’ora, quando il cielo
imbruniva, e le ombre parevano farsi più sinistre e grottesche, poteva essere
pericoloso; non le importava, voleva solo fuggire da lì, tornare a casa sua.
I lumi della città andavano spegnendosi; a breve
l’oscurità avrebbe inghiottito Parigi, nascondendo nella notte le sue miserie.
Attraversò uno dei ponti della Senna al debole
lume di un lampione ad olio che spargeva la sua luce su un lato del selciato. Dalla
parte opposta, un viandante misterioso con un cappellaccio logoro calato sulla
fronte, un organetto a tracolla e una gamba di legno si trascinava arrancando,
intonando una ballata triste. Mentre spingeva il cavallo al galoppo, piantando
i talloni nei fianchi della sua bestia, una rabbia sorda le mordeva l’animo, le
graffiava il petto costretto e soffocato nella giubba, e saliva in stille
salate che bruciavano come sale negli occhi. Quando le lacrime la invasero non
tentò di fermarle, le lasciò tracciare linee umide e trasparenti sulle guance,
né sentì il gusto dolente e amaro sulle labbra. Voleva mettersi a urlare e
spinse il cavallo allo sfinimento per portarsi velocemente fuori dalle strade
principali della città, per poterlo fare senza preoccuparsi che qualcuno
potesse sentirla.
Un’ ora sarebbe bastata ad asciugare il pianto
prima di giungere a palazzo.
André raggiunse la dimora dei Jarjayes circa
mezzora dopo di lei.
Oscar aveva allentato il colletto della giubba che
la soffocava e slacciato la divisa, assumendo così un’ aria dimessa e in
disordine, ma non se ne curava. La balia le aveva fatto trovare la cena pronta,
ma non aveva appetito e lei non era riuscita nemmeno a sedersi al tavolo.
Era rimasta ad aspettarlo incapace di ritirarsi
nelle sue stanze, consumando con le suole degli stivali gli intarsi preziosi
del pavimento della sua dimora.
Da una delle finestre al pian terreno, lo vide
portare il suo baio nella stalla, e attardarsi prima di uscirne. Aveva acceso
una delle lanterne che si trovavano appese all’interno, e lo vide attraversare
il cortile per raggiungere l’ingresso della servitù sul retro. Per raggiungere
la sua stanza doveva passare da quella parte del palazzo e non avrebbe potuto
evitarla, e lei decise di attenderlo al varco come una sentinella pronta
chiedere il pedaggio.
Si era seduta su una poltrona addossata alla
parete, sotto la luce delle candele che creavano un alone giallastro sulla
tappezzeria, le braccia abbandonate sui braccioli e le lunghe gambe distese
davanti, incrociate una sull’altra. Sentì i suoi passi nell’anticamera, seguì
una pausa; probabilmente André stava
posando la lanterna per accendere una candela, infine avvertì il suono dei
cardini della porta che si apriva.
Nella vaghezza della semioscurità, André non si
accorse subito di lei; solo quando avvertì la sua voce, alzò la testa nella sua
direzione, scorgendola. Ne fu un poco sorpreso, ma tentò di non mostrarlo.
“Ben arrivato André. Pensavo ti fossi perso…”
Esordì.
Lui non si lasciò ingannare dal tono basso e stranamente
calmo, falsamente noncurante, in cui colse sottile velata ironia.
“Non preoccuparti, conosco la strada a memoria,
Oscar. Comunque, avresti dovuto aspettarmi, non attraversare mezza Parigi col
buio da sola…”
“L’attendente sei tu, non io… e le strade le
conosco quanto te…”
“È stata Danielle a trattenermi…”
“Sì, e doveva avere ottimi argomenti se hai perso
tempo con lei.”
André fece finta di nulla.
“Hai già cenato?”
“Non ho fame… Mi devi dire qualcosa, André?”
“Ci sarebbero molte cose da dire… - tentò già poco
convinto e oppresso da un senso di spossatezza - ma vista l’ora, è meglio
rimandare a domani…” e mentre lo diceva, sapeva già che lei non gli avrebbe
prestato ascolto: la scintilla tra lui e Oscar era destinata a divampare in un
fuoco più grande.
“È inutile rimandare quello che si può affrontare
subito, e io non voglio aspettare domani. Voglio sapere cosa ti ha chiesto
Danielle… e voglio saperlo adesso. Hai capito, André?” concluse in tono un po’
troppo aspro.
André sostenne quello sguardo di solito talmente
limpido che pareva fatto di ghiaccio, ma non quella sera; in quell’istante,
forse per reazione al pensiero penoso di lasciarla, gli sovvenne l’immagine
calda, tenera e fremente di lei in altri momenti segreti, e si chiese come
facesse a volte a essere così dura. Ma quelle erano le due anime opposte di
Oscar, e lui le conosceva bene entrambe. E le amava, sebbene contrastanti.
Quel conflitto era la sua fragilità.
Quella fragilità che lui tentava da una vita di proteggere
e che lui amava. Quel conflitto che in Danielle non esisteva, almeno non così.
Danielle non aveva bisogno di lui, ma Oscar sì.
Danielle prima o poi, se ne sarebbe resa conto,
era solo questione di tempo.
André non temeva la tentazione, per quanto
allettante fosse; era sicuro che la permanenza in Normandia con Danielle non lo
avrebbe fatto innamorare di lei, semmai avrebbe aiutato la gemella a
comprendere meglio quanto i suoi sentimenti per lui fossero più idealizzati che
effettivi. Ma con Oscar le cose erano sempre state più difficili. Con lei si
dovevano correre dei rischi e lui stava mettendo sul piatto della bilancia sé
stesso e il suo amore sofferto.
Quanto avrebbe pesato per lei quel sentimento e la
passione che aveva finito per travolgerla?
Ebbe pochi attimi di incertezza, soffermando il
pensiero sulle parole più giuste da dire, quali usare e come usarle, e si rese
conto in fretta che non esisteva un modo semplice e diplomatico per esporle i
fatti.
Era una pugnalata a cuore aperto, diretta e
scoperta.
Emise un lieve sospiro basso, prima di parlare col
tono più quieto, quasi rassegnato che potesse trovare, senza alcuna inflessione
particolare nella voce. Disse semplicemente, “Danielle mi ha proposto di
partire con lei per la Normandia. Io ho accettato il suo invito.”
Restò a fissare in silenzio la sua espressione
indecifrabile. Gli parve di cogliere un guizzo nelle iridi celesti, ma causa la
poca luce, poteva essersi ingannato. Forse un lieve moto di sorpresa le fece
scuotere le spalle, ma non ci furono altre reazioni evidenti.
Uno strano silenzio carico di interrogativi
galleggiò tra loro per alcuni istanti; Oscar parve riflettere su qualcosa, si
alzò dalla poltrona e mosse qualche passo verso la vetrata, senza avvicinarsi a
lui. La luce bianca opalescente di una grande luna piena le illuminava il volto
diafano e bellissimo.
“Dimentichi che sei al mio servizio, André. Tu hai
le tue mansioni qui; il mio attendente non può andarsene come più gli aggrada,
quando ne ha voglia.” Sentenziò senza neppure guardarlo, il tono fermo, troppo.
Per un istante, lui restò basito di fronte
all’apparente freddezza di quelle parole, e subito pensò che avrebbe dovuto
aspettarsele.
Tanto valeva spingere l’affondo all’estremo.
“Scusami Oscar, forse non sono stato chiaro.
Pensavo che visto i nostri ultimi trascorsi, e l’evolversi della nostra attuale
situazione… non posso restare al tuo servizio, mi pare ovvio, non dopo quello
che ci siamo detti oggi pomeriggio. Andarmene credo sia la cosa più saggia da
fare.”
Oscar si voltò di botto nella sua direzione.
“Trovi saggio fuggire in Normandia con mia
sorella? È un dispetto? Sei arrabbiato per quello che ti ho detto oggi? È
così?” Rispose alterata.
La voce di Oscar perse in meno di un secondo la
freddezza ostentata poco prima: più alta del dovuto, vibrava di disappunto e
sconcerto, a un passo dall’esplodere di rabbia.
“Non giudicarmi in maniera tanto puerile, Oscar.
Sai bene che i motivi sono molto seri; io non posso più lavorare per te come
facevo prima, sono cambiate troppe cose, lo sai.”
“Se è solo questo il problema, posso fornirti
tutte le referenze che ti servono per un altro impiego, senza andare in
Normandia per seguire Danielle. È una cosa stupida e folle, André. Non hai
pensato che mio cognato, scoperte le circostanze della fuga, potrebbe
pretendere soddisfazione per un’ offesa del genere? Potrebbe reclamare la tua
vita e nessuno si opporrebbe, le leggi sono dalla sua parte.”
“Neppure tu, Oscar? – Alla domanda seguì un
sospiro leggero e impercettibile. - Non ti preoccupare per questo: non voglio
dare a Leopold motivo per offendersi. Seguirò Danielle solo in veste di
accompagnatore.”
“Oh, mai sai bene che per lei non sarà così; è
innamorata di te, almeno così dice. Perché la incoraggi?… Oh, forse è
esattamente ciò che vuoi?”
“Ha importanza, Oscar? – André con un movimento
brusco, le si avvicinò di qualche passo, ma non bastò ad accorciare quella
distanza che lei aveva messo fra loro. – Ha qualche importanza che possa
ricambiare i suoi sentimenti, oppure no? Rispondi! Per te cambierebbe qualcosa?
Cambierebbe qualcosa fra noi?”
“Beh, io…”
“L’unica cosa che voglio… no anzi, l’unica cosa
che posso fare ora è andarmene da qui, e per me un posto vale l’altro, se tu
non sei con me.”
Andrè le si era fatto completamente vicino, il
corpo prossimo a quello di lei, il viso rivolto al suo, e una mano le aveva
raggiunto il volto, sfiorandolo in una carezza veloce e triste, che era
scivolata sotto il mento a sollevarlo. Aveva indugiato sulle labbra, preso
dalla tentazione di baciarla un’ ultima volta, ma aveva allontanato le mani
ritraendosi come scottato.
Oscar era rimasta incantata per un momento,
sospesa nell’attesa di quel bacio che non era arrivato, e lo aveva guardato
allontanarsi di scatto, con il cuore preda di uno strano impulso, ma incapace
di esternarlo.
Fosse bastato un bacio a trattenerlo, ma lui non
le diede il tempo di provare a catturarlo con parole o gesti che fossero più
dolci, né con quegli occhi capaci di accendersi come braci ardenti.
Non sapevano stare vicini senza farsi del male,
prigionieri uno dell’altro, di un sentimento che avrebbe dovuto essere libertà,
luce del sole, ma diventava tormento ed estasi da nascondere, preziosi attimi
vissuti al buio che vivevano nelle spazio di ore troppo brevi, da sembrare solo
sogni evanescenti che morivano alle prime luci pallide del mattino.
Conoscevano l’amore clandestino e nient’altro, la
brama segreta dei corpi che si consumava rapida nei loro incontri lasciandoli vuoti
e inappagati, il calore e il profumo della pelle che imprigionava i sensi e la
ragione.
Scivolò via, lontano da lei, facendo leva su sé
stesso.
“Io capisco quanto possa essere difficile per te,
Oscar, conciliare il dovere con i sentimenti… il soldato freddo e rigoroso,
senza debolezze, con la donna tenera e appassionata che preme per uscire. Non
voglio importi niente, neppure il mio amore… per questo ho deciso di andare
via. Forse questo risolverà i tuoi conflitti.”
“Non è necessario che tu te ne vada in Normandia.
Se non vuoi restare qui a palazzo, possiamo trovare un’ altra sistemazione;
siamo persone adulte, possiamo risolvere la cosa senza traumi.”
“Senza traumi? Oh…– André rise amaramente,
portandosi una mano alla fronte. - Non c’è un’ altro modo. Fammi andar via, ti
prego Oscar. Se resto qui, finiremo solo per farci altro male…e io continuerei
a chiederti quello che tu non puoi darmi…”
Il tono si André era diventato improvvisamente
triste, quasi rassegnato a qualcosa di inevitabile. Seguirono brevi attimi di
silenzio, carico dello sguardo penetrante di Oscar. Appariva
pensierosa.
“È davvero così, André? - Domandò dopo un momento,
la voce vibrante, e le parve di cogliere un’ ombra di smarrimento negli occhi
di lui. - Dimmi che non segui Danielle, perché lei è tutto quello che non posso
essere io. Giurami che non la desideri per questo…altrimenti, che motivo
avresti per seguirla?”
Ma la risposta che le giunse la lasciò senza
fiato, e se possibile ancora più stordita.
“Non è per una sottana e un po’ di belletto. Mio
tormento e consolazione sarà che lei mi ricorderà te. Mi sembrerà di averti
ancora accanto, Oscar. Con nessun’ altra avrei la forza di fare questo.”
La sincerità di quella frase la colpì come un
pugno in pieno stomaco, e un dolore acuto, oltre che inatteso le attraversò il
petto e le salì fino agli occhi, dove si sciolse in acqua trattenuta a fatica
dentro l’azzurro freddo delle iridi. Strinse i pugni conficcandosi le unghie
nei palmi, ma non servì: come André fu oltre la soglia della stanza, si
accasciò sul pavimento in ginocchio e il pianto più straziante le annebbiò la
vista.
Solo allora si accorse che faceva freddo in
quell’ala della casa.
*******
La Normandia ci accolse con il suo clima fresco e
temperato. Avevo mandato avanti gran parte della servitù ad aprire la dimora e
prepararla al mio arrivo. Mi piaceva molto quella casa, lontana dal frastuono
di Versailles e di Parigi, dove molto raramente qualcuno veniva a farmi visita,
e mi sarebbe piaciuto ancor di più soggiornare lì, in compagnia di André. Mi
aveva seguita come non avevo sperato che facesse, con serenità e senza
ripensamenti apparenti o rammarico di qualche tipo.
Non sapevo come si fosse congedato da Oscar, né
come lei avesse preso quell’abbandono da parte dell’uomo che era diventato a
tutti gli effetti il suo amante; immaginavo soltanto che nel cuore, Oscar fosse
una donna come lo ero io, e a nessuna donna piace essere lasciata dal suo uomo,
amante o innamorato che sia.
André non mi aveva detto nulla a riguardo, e
quando durante il nostro viaggio avevo cercato di indagare sull’ argomento, con
gentilezza, ma con fermezza aveva mantenuto la più stretta riservatezza,
invitandomi a non fare domande.
“Scusami Danielle, ma preferirei non parlare di
questo. A che servirebbe? Accontentati del fatto che sono qui con te e
godiamoci il momento.”
Guardandolo attentamente, indovinai una pena
disegnata nella piega un poco amara delle sue belle labbra. Mi bastò, e
rispettai il suo riserbo, ripromettendomi di regalare serenità e gioia al
nostro soggiorno in Normandia.
Le prime settimane passarono piacevolmente.
André era una compagnia dolce e profonda che
scacciava la solitudine e riempiva di vita ed entusiasmo le mie giornate, anche
se a volte avevo l’impressione di scorgere una vaga indefinibile tristezza
nello sguardo verde ombroso del mio giovane e affascinante accompagnatore, e mi
chiesi quanto il pensiero di Oscar lo ossessionasse.
Me ne accorgevo soprattutto in alcuni momenti
particolari, nelle ore del crepuscolo e in certi luoghi; notavo sguardi assorti
e lontani in occasione delle nostre cavalcate sulla spiaggia che si stendeva
ampia e selvaggia appena dietro la villa. Lanciavamo i cavalli in corse folli,
opponendo i nostri corpi all’aria che ci investiva, sollevando spruzzi d’acqua
salata che raggiungeva i nostri visi travolti dall’eccitazione, poi
rallentavamo la corsa e lasciavamo che le nostre cavalcature procedessero
placidamente lungo la battigia, in un dondolio che seguiva il ritmo dei nostri
respiri rallentati. Era allora che, osservando il suo viso, lo notavo: un
mutamento repentino e improvviso gli spegneva lo sguardo che diveniva
malinconico e quasi assente.
Certamente doveva pensare a lei e io, nei giorni a
venire, mi premurai di distrarlo in ogni modo.
Trascorrevamo insieme molte ore, cavalcando sulla
spiaggia o attraverso i boschi che sorgevano poco distante dalla villa
nell’entroterra. Pranzavo e cenavo con lui in una saletta appartata affacciata
sul mare, che facevo preparare con gran cura solo per noi due.
André mi accompagnava in paese per le poche visite
e per incombenze di vario genere, che riguardavano la gestione della villa,
svolgendo quasi le mansioni di un segretario personale.
Si offrì lui, per quell’ attività, con l’intento
preciso di prevenire possibili maldicenze sul significato della sua presenza al
mio fianco.
“Se la gente penserà che sono alle tue dipendenze,
eviteremo noiosi pettegolezzi al riguardo, non credi?”
Mi disse una sera a cena, dopo una breve
escursione in paese, divenuta pretesto per saldare fornitori e falegnami che
avevano lavorato alla villa, sorseggiando un bicchiere di vino sotto la luce
soffusa delle candele, mentre sul mare in lontananza il disco rosso del sole
andava a nascondersi sotto l’orizzonte.
Risi divertita dei suoi scrupoli.
“Lo sai che si dice dei segretari, André?
Soprattutto quando sono giovani e di bell’aspetto? E tu sei abbastanza
affascinante da suscitare sospetti. Non che la cosa mi importi molto, in
realtà. Che pensino pure quello che vogliono, - dissi osservando il cielo che
si apriva oltre le finestre del mio giardino – sono troppo felice, adesso.”
“Dovrebbe importarti, Danielle. Non voglio
danneggiare la tua reputazione. Sei ancora una donna sposata, anche se stai
pensando al divorzio. Mi pare di aver notato qualche sguardo sospettoso anche
tra i tuoi servitori. E il curato di Etretat ti ha subito chiesto notizie del signor
conte.”
“Non ti preoccupare, André. Stiamo bene qui, e io
voglio solo godere di questo; voglio solo che qui con me, tu possa trovar pace
per il tuo cuore. Ne sarei felice, André. A te fa piacere essere qui, vero? Non
sei pentito di avermi seguita fin quaggiù?”
“Ma no, Danielle. Certo che mi fa piacere.”
“Però immagino che sentirai la mancanza… - esitai,
con lieve imbarazzo - di Palazzo Jarjayes.”
Dissi guardandolo apertamente, e lui abbassò piano
il bicchiere di vino sulla tovaglia ricamata. Non ebbi il coraggio di
nominarla; forse non volevo che il suo fantasma si frapponesse fra noi. Ma la
risposta che mi diede André, suggeriva ben altri significati.
“Non di Palazzo Jarhyes… semmai delle persone che
vivono lì…” commentò pacato, ma era impossibile non cogliere il riferimento.
Gli accarezzai una guancia con tenera passione,
salendo fino a incontrare i riccioli scuri sulla sua fronte. In risposta, lui
prese la mia mano nel calore della sua, e baciò il dorso delle dita con fare
rispettoso.
Ma non era quello il tipo di bacio che avrei
voluto da lui.
Per quelle settimane, André non tentò mai approcci
di natura diversa, per quanto io lo sperassi, e le sue buone maniere, gentili e
discrete non mi trassero mai in inganno. Era deciso a non incoraggiarmi, anche
se mostrava di gradire le mie premure.
Una mattina mi svegliai prima del solito e decisi
di scrivere a mio marito, una lettera precisa e sintetica con tutte le mie
richieste e condizioni che ponevo all’adozione di quella bambina. Scrissi la
lettera, cosparsi la polvere sull’inchiostro per farlo asciugare, la piegai e
la misi da parte.
Dopo presi un altro foglio di carta e lo vergai
con poche righe.
- Fai colazione mio
gentile amico, poi raggiungimi a
cavallo lungo la spiaggia. Ti aspetto
lì, vicino agli scogli.
Avevo ancora addosso la mia preziosa veste da
camera e i miei capelli erano lunghi e scivolavano sulla schiena in morbide
onde. Chiamai Ninette e le porsi il biglietto per André, che avrebbe consegnato
appena si fosse svegliato.
La mia cameriera mi guardò con complicità.
Aveva intuito tutto da molto tempo, ma non mi
aveva mai esternato impressioni o commenti. Avevo forse letto una vaga perplessità
in alcuni sguardi all’inizio, ma si era sempre comportata con discrezione.
Prese il biglietto e si ritirò con un piccolo inchino.
In fretta, mi sfilai la mia veste di seta e
indossai abiti di foggia maschile, più comodi per cavalcare. Mi osservai allo
specchio delle mia toilette e decisi di lasciare i capelli sciolti sulle
spalle; applicai solo un velo di cipria sul viso, mentre riccioli lunghi e
ribelli mi ricadevano sul petto e sul davantino dell’abito, tra i pizzi
vaporosi della camicia e la stoffa azzurra del gilet ricamato.
Guanti e scudiscio, lasciai la stanza per
dirigermi verso le scuderie dove avrei trovato la mia dolce Desiree già sellata
e pronta per me.
André doveva essere ancora a letto, perché non lo
vidi in giro.
Fui tentata di raggiungerlo nella sua stanza che
avevo fatto preparare in un’ ala laterale del palazzo, per non suscitare troppe
chiacchiere tra i domestici; volevo dargli il buongiorno, ma rinunciai. Sarebbe
stato più bello incontrarlo sulla spiaggia e cavalcare insieme a lui fino al
limitare del paese che sorgeva a pochi chilometri dalla villa padronale.
Attesi lunghi minuti, portando Desiree al trotto,
arrivai al limitare degli scogli che incorniciavano la spiaggia. Scesi da
cavallo per andare a sedermi sulle rocce dove non arrivavano gli spruzzi delle
onde.
L’aria era frizzante, e io stavo insolitamente
bene.
Osservai il mare scuro in lontananza, che quella
mattina appariva agitato e creste bianche di spuma si inseguivano infrangendosi
sull’arena.
Non mi accorsi del tempo trascorso, ma dovette
passare una buona mezzora, prima di scorgere in lontananza il cavallo
dell’attendente apparire dietro la curva che nascondeva il piccolo promontorio
su cui sorgeva la villa.
Osservai la sua magnetica figura, capelli corvini
ribelli trattenuti dal nastro nero appena mossi dall’aria, il volto lievemente
abbronzato dal sole, la camicia bianca slacciata sul petto, i calzoni scuri che
fasciavano le gambe muscolose chiuse dentro gli stivali alti di cuoio lucido.
Lo guardai ammirata e mi sembrò bello come un dio, un tutt’ uno col suo
destriero nero.
D’ impeto, rimontai in sella a Desiree per
andargli incontro al galoppo.
Mi sentivo euforica e felice, e se fosse sceso da
cavallo per salutarmi, nel mio slancio gli sarei saltata al collo per baciarlo
con tutta la passione che mi stava invadendo.
Ma mentre gli andavo incontro, mi accorsi che
qualcosa non andava. La sua espressione cambiava, man mano che si avvicinava a
me. André rallentò in maniera brusca, fin quasi a far scartare nervosamente lo
stallone nero, lo vidi arrestarsi, stringere le briglie convulsamente, girare
su se stesso e continuare a guardarmi. Doveva essere nervoso e trasmetteva la
sensazione al suo cavallo.
Avvertii il suo sguardo fisso su di me, quando fui
a pochi metri, e mi colpì implacabile e ostinato; passò dalla più accesa
costernazione al risentimento.
Cosa diavolo lo aveva turbato tanto?
Lo capii immediatamente dopo.
“André, ma…”
Accennai un debole sorriso, che si spense subito,
di fronte alla sua risposta seccata e indisponente.
“Ma che scherzo è questo! Non potevi scegliere un
altro abbigliamento? Non mi diverte, Danielle. Per niente.”
Un colpo di talloni nei fianchi del cavallo e
corse via, sollevando un poco la sabbia umida. E io restai lì, stupita e
ferita, a guardare l’uomo che amavo fuggire lontano.
********
I corridoi di Versailles, con i pavimenti lucidi e
le venature preziose dei marmi policromi, le sembravano tutti uguali, quasi
interminabili. Su una parete si apriva una fila interminabile di finestre, da
cui entrava una luce fastidiosa che a intervalli regolari la investiva,
abbagliandola.
Non badava nemmeno ai cortigiani che incrociava,
non si preoccupava neppure dei vaghi cenni di saluto, le occhiate furtive e
curiose che lanciavano quando passava loro accanto.
Era come se non esistesse anima viva.
Procedeva in maniera meccanica, come se nulla di
ciò che faceva dipendesse dalla sua volontà.
Aveva appena avuto un’ udienza privata con la regina,
ma non era andata secondo i piani prefissati. Avevano parlato di tutto, tranne
del reale serio motivo che aveva spinto Oscar a chiedere udienza. Quasi non lo
ricordava, e neppure le importava più.
Guardò con lieve fastidio il tenente Girodelle che
l’aspettava composto e impettito alla fine del corridoio, davanti alla porta
dell’ufficio di comando. Bastò vederlo lì, per capire che l’ attendeva qualche
nuova seccatura, e il suo umore non era al meglio della forma per affrontare
con lucidità un qualsiasi problema.
“Comandante è necessaria la vostra presenza nel
salone dei ricevimenti: ci sono alcuni nobili che rumoreggiano e protestano per
l’assenza di Sua Maestà. Le guardie hanno cercato di allontanarli, ma gli animi
si stanno scaldando in modo preoccupante.”
Senza un commento e con l’espressione più
indifferente, Oscar si diresse verso quell’ala della reggia e Girodelle la
seguì nel salone per darle manforte.
Pochi minuti dopo, i nobili presenti, sotto lo
sguardo severo e deciso del comandante delle guardie reali, malcontenti stavano
lasciando la sala, senza avere potuto perorare le loro richieste alla regina.
Tornata la calma e il silenzio, Oscar ritornò
indietro per dirigersi verso l’uscita, con la mente distratta da pensieri che
fingeva fossero senza importanza, ma inesorabilmente la guidavano sempre nello
stesso luogo, allo stesso volto. Mai avrebbe pensato che l’assenza fosse
qualcosa di così pesante e tangibile. Mai avrebbe detto che fosse qualcosa di
fisico percepibile con i sensi.
A volte le mancava l’aria e i profumi dei fiori la
stordivano anche se passeggiava per i viali ghiaiosi dei giardini; allora si
guardava attorno, alla disperata ricerca di un’ ombra su cui fermare lo sguardo
affamato.
Ma non trovava nulla su cui riposare gli occhi e
la tristezza più cupa l’assaliva, come se il cielo troppo azzurro e vasto sulla
sua testa le pesasse addosso, facendola sentire persa.
Tutta quella bellezza inutile era troppo triste e
amara da vivere da soli.
La voce di Girodelle alle sue spalle giunse come
un martello alle tempie.
“Scusate Comandante, ma non ho potuto fare a meno
di notare l’assenza del vostro attendente. Sono diversi giorni ormai, e prima
non era mai successo. Sapete, è strano vedervi senza André…”
Sentire il nome fu come ricevere uno schiaffo
sull’anima già pesta. Forse Girodelle parlò di nuovo, ma lei non lo sentì.
Avvertì solo lo spasimo penoso del cuore che prese a battere irregolare.
Guardò l’ufficiale a occhi sbarrati come se il
tenente avesse osato compiere chissà quale delitto.
Due settimane, e non aveva più pianto da quando se
n’era andato, e lei aveva sigillato quel dolore come un prigioniero pericoloso
da tenere sotto chiave. E ora era lì, più bruciante che mai, pronto a uscire e
svergognarla per mostrare a tutti quanto fosse fragile e smarrita.
Lei non riusciva più a trattenerlo dentro, ma la
rabbia era l’unica cosa che le permettesse di controllare le lacrime.
Volse rapida le spalle al suo secondo, e rispose
con durezza.
“Tenente Girodelle, questa non è cosa che vi
riguardi!”
Si allontanò frettolosamente, quasi correndo.
Attraversò le sale, scese lo scalone che portava all’esterno a passo spedito.
In pochi attimi, fu nel grande cortile della reggia, montò sul suo cavallo e
partì al galoppo. Corse con furia attraverso la campagna e con altrettanta
furia, lasciò bruciare gli occhi al fuoco salato delle lacrime.
-
Maledizione André!! Mi
manchi da stare male! Non è giusto. Non dovevi lasciarmi per seguire lei… Non
ti perdonerò mai per questo. Mai!!
********
IL cavallo nero corre sfrenato contro il vento. Il
suo cavaliere lo frusta quasi senza pietà, colpi rapidi di scudiscio sulla
coscia nervosa, che scatta e guizza nella corsa forsennata.
Danielle è rimasta indietro amareggiata, ma non
gli importa. Sente solo quel vuoto dentro che lo assale e lo soffoca, e
l’amarezza che lascia il veleno della delusione nelle vene.
La serenità, la calma dello spirito è durata solo
pochi giorni, l’equivalente di ore vaghe e indefinibili, finite troppo in
fretta. Gli era sembrata durevole a volte, e in alcuni istanti aveva finito
quasi per crederci. Dimenticare, liberarsi di quell’amore pareva diventata una
cosa possibile, fino a quando il ricordo non lo schiaccia di nuovo contro il
muro di quella vita vissuta con lei.
Per quanto Danielle faccia, nonostante tutta la
dolcezza che sa metterci, e tutto
l’amore sincero che prova, lui non riesce a dimenticare, né a soffocare il
sentimento che sente.
E mentre corre contro l’aria, André ha paura di
aver fallito.
Quale terribile inganno sanno suscitare i sensi.
Ha creduto che fosse lei.
Per un momento, l’ ha vista così, l’ oro dei
capelli sciolti al vento, abbacinanti come la luce solare, le vesti da uomo.
Ha pensato… Ha sperato…
È lei, è venuta da me.
È venuta a cercarmi, perché mi ama come la amo io.
Ma le illusioni sono per gli sciocchi.
E di essi, lui si sente il re.
Come fai Oscar?
Come fai a non sentire questo dolore che spacca il
cuore?
Non ti manca la mia pelle, i miei baci? Le nostre
labbra affamate di noi?
Le nostre notti rapaci e dolorose? Non ti manca il
nostro dolore che misteriosamente ci faceva sentire vivi, e si placava esausto
solo nel cerchio possessivo delle nostre braccia?
Oscar, come fai a vivere, se io non vivo più?
Pensieri penosi che si perdono come aquiloni senza
fili nell’aria salmastra, su una spiaggia grigia lontana percossa da venti
troppo freddi.
Continua…
Eccomi qui, dopo tanto tempo.
Scusatemi per la lunga attesa, ma questo
è un periodo ancora un po’ grigio per me, fatto di alti e bassi, che in alcuni
momenti mi sembrano solo bassi, tra vari problemi personali che incidono
profondamente sul mio umore, quindi anche sulla voglia di scrivere che dovrebbe
essere un piacere, e purtroppo in alcuni momenti sembra che nulla lo sia.
Il capitolo era scritto per metà, ma
la seconda parte non voleva saperne di venire fuori; poi qualche giorno fa… non
so… ho ricominciato a scrivere e il capitolo si è concluso quasi da solo. Spero
sia venuto bene.
Devo dire che mi è piaciuto scriverlo,
spero solo che a voi piaccia leggerlo.
Ho trascurato di rispondere ad alcuni
dei vostri commenti e mi dispiace, ma sappiate che li leggo tutti e che li
apprezzo, e sono uno stimolo importante e sincero su cui rifletto a fondo, che
mi sprona ad andare avanti e a fare sempre, se possibile, meglio. Di questo vi
ringrazio, dal profondo del cuore, e spero che vorrete continuare a lasciare i
vostri pareri sinceri, per me tutti importanti.
Non vi tedio oltre.
Saluti Ninfea.