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Autore: Ninfea Blu    05/10/2014    13 recensioni
Oscar ha delle sorelle, lo sappiamo. Questa storia parla di una di queste sorelle, una che non conosciamo, perchè la Ikeda non ha pensato a una possibilità del genere. Danielle ha davvero molto in comune con Oscar... stessi capelli, stessi occhi. Qui parlerò dei suoi sentimenti, del suo rapporto con Oscar e inevitabilmente con l'amico Andrè che potrebbe, in qualche modo, mettersi fra loro. Perchè Danielle, gemella identica ma più femminile della nostra madamigella, potrebbe avere il coraggio di essere tutto quello che non è Oscar...
Aggiunte fan art cap. 7 - cap. 12
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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tempo inquieto

23 – Tempo inquieto (attese)

 

 

 

Oscar si allontanò dalla stanza col solito passo sicuro e cadenzato.

Attraversò il lungo corridoio del palazzo ascoltando l’eco sordo dei suoi tacchi sul pavimento, l’orecchio teso, pronta a cogliere i passi di lui quando l’avesse seguita.

Si aspettava che lo facesse. Lo sperava, forse.

Continuò ad allontanarsi, senza troppa fretta, ma con decisione.

 

Ascoltava.

 

Niente.

 

Ma quanto ci metteva?

Si fermò dietro una porta socchiusa ad ascoltare la quiete della casa che era stata appena scossa dal suo alterco con la gemella; non le giungeva nessuna voce, né bisbiglio, tutto pareva avvolto nel silenzio, anche la servitù sembrava essersi dileguata, poi riprese a camminare un poco più lentamente.

Oltre il rumore dei suoi passi, la seguiva solo il silenzio che si accompagnava a un vago senso d’ inquietudine.

Lungo lo scalone che portava al pian terreno, mantenne l’orecchio ben teso, nel tentativo di captare i passi rapidi e furtivi del suo attendente, ma nessun suono giungeva al suo orecchio.

 

André ritardava.

 

L’inquietudine piano si trasformava in una strana angoscia che le stava afferrando il cuore e pareva stringerlo in una morsa spietata.

Un timore subdolo le strisciava sulla pelle come sudore, e neppure lei sapeva perché avvertisse quel malessere.

E magari lo sapeva bene.

Non era del tutto nuovo quel timore, ma lo scopriva per davvero in quell’ istante, lungo quanto la triste distanza che cresceva tra lei e il suo attendente. Danielle l’aveva delusa profondamente, ma qualcosa nell’anima le diceva che non avrebbe dovuto sorprendersi, che tutto era sempre stato lì davanti a lei, fin dall’inizio.

Il sospetto era stato forte e preciso.

Danielle infatuata del suo uomo, del suo amico.

 

-         Sei innamorata del mio André?

 

Lo aveva detto.

Così.

 

Come la cosa più ovvia e naturale, senza pensarci troppo su.

Lo aveva rimarcato con l’asprezza della voce.

Il suo André.

 

Impossibile confondersi, ma come si fa a credere che il tradimento provenga dal tuo stesso sangue, dalla tua carne, da colei che è venuta al mondo insieme a te, con cui hai diviso per nove mesi il calore dell’utero materno?

E André conosceva i sentimenti della sorella, ma sembrava ignorare i suoi; per la prima volta in tanti anni l’aveva messa in discussione, per questo anche lui l’aveva delusa, e mai il senso d’umiliazione era stato più potente.

Ma alla fine, l’avrebbe seguita, come faceva sempre.

Allora, perché ritardava? Perché non la raggiungeva?

Sull’ingresso del palazzo che dava sul cortile interno si fermò ancora, aggrappata più all’indefinibile che alla speranza. Si voltò ad osservare il vestibolo, scorse solo la figura di una cameriera che passava frettolosamente trasportando qualcosa a cui non prestò attenzione.

Sarà passato un minuto, forse meno.

Riprese a camminare verso l’esterno per raggiungere il suo cavallo legato lì fuori.

Non montò subito in sella.

Attese ancora.

Sperò di nuovo di sentire un suono di passi provenire dalle sue spalle, accompagnati da una voce che la chiamava.

 

Pochi secondi. Un minuto.

Cinque, dieci.

 

Cento, mille istanti che si dilatavano lenti e feroci.

Una mano posata sulla sella, si voltò per l’ultima volta a sbirciare con la coda dell’occhio dietro di sé.

Quanto tempo era passato?

Andrè non veniva.

Presto avrebbe fatto buio. Sarebbe sceso su ogni cosa attorno, sui muri, sulle strade di Parigi, sulle campagne. Su di lei. Sui suoi pensieri intrisi di amarezza che nell’oscurità si immergevano come pesci in uno stagno d’acqua torbida.

Mettersi in viaggio a quell’ora, quando il cielo imbruniva, e le ombre parevano farsi più sinistre e grottesche, poteva essere pericoloso; non le importava, voleva solo fuggire da lì, tornare a casa sua.

 

I lumi della città andavano spegnendosi; a breve l’oscurità avrebbe inghiottito Parigi, nascondendo nella notte le sue miserie.

Attraversò uno dei ponti della Senna al debole lume di un lampione ad olio che spargeva la sua luce su un lato del selciato. Dalla parte opposta, un viandante misterioso con un cappellaccio logoro calato sulla fronte, un organetto a tracolla e una gamba di legno si trascinava arrancando, intonando una ballata triste. Mentre spingeva il cavallo al galoppo, piantando i talloni nei fianchi della sua bestia, una rabbia sorda le mordeva l’animo, le graffiava il petto costretto e soffocato nella giubba, e saliva in stille salate che bruciavano come sale negli occhi. Quando le lacrime la invasero non tentò di fermarle, le lasciò tracciare linee umide e trasparenti sulle guance, né sentì il gusto dolente e amaro sulle labbra. Voleva mettersi a urlare e spinse il cavallo allo sfinimento per portarsi velocemente fuori dalle strade principali della città, per poterlo fare senza preoccuparsi che qualcuno potesse sentirla.

Un’ ora sarebbe bastata ad asciugare il pianto prima di giungere a palazzo.

 

 

 

 

André raggiunse la dimora dei Jarjayes circa mezzora dopo di lei.

Oscar aveva allentato il colletto della giubba che la soffocava e slacciato la divisa, assumendo così un’ aria dimessa e in disordine, ma non se ne curava. La balia le aveva fatto trovare la cena pronta, ma non aveva appetito e lei non era riuscita nemmeno a sedersi al tavolo.

Era rimasta ad aspettarlo incapace di ritirarsi nelle sue stanze, consumando con le suole degli stivali gli intarsi preziosi del pavimento della sua dimora.

Da una delle finestre al pian terreno, lo vide portare il suo baio nella stalla, e attardarsi prima di uscirne. Aveva acceso una delle lanterne che si trovavano appese all’interno, e lo vide attraversare il cortile per raggiungere l’ingresso della servitù sul retro. Per raggiungere la sua stanza doveva passare da quella parte del palazzo e non avrebbe potuto evitarla, e lei decise di attenderlo al varco come una sentinella pronta chiedere il pedaggio.

Si era seduta su una poltrona addossata alla parete, sotto la luce delle candele che creavano un alone giallastro sulla tappezzeria, le braccia abbandonate sui braccioli e le lunghe gambe distese davanti, incrociate una sull’altra. Sentì i suoi passi nell’anticamera, seguì una pausa;  probabilmente André stava posando la lanterna per accendere una candela, infine avvertì il suono dei cardini della porta che si apriva.

Nella vaghezza della semioscurità, André non si accorse subito di lei; solo quando avvertì la sua voce, alzò la testa nella sua direzione, scorgendola. Ne fu un poco sorpreso, ma tentò di non mostrarlo.

“Ben arrivato André. Pensavo ti fossi perso…” Esordì.

Lui non si lasciò ingannare dal tono basso e stranamente calmo, falsamente noncurante, in cui colse sottile velata ironia.

“Non preoccuparti, conosco la strada a memoria, Oscar. Comunque, avresti dovuto aspettarmi, non attraversare mezza Parigi col buio da sola…”

“L’attendente sei tu, non io… e le strade le conosco quanto te…”

“È stata Danielle a trattenermi…”

“Sì, e doveva avere ottimi argomenti se hai perso tempo con lei.”

André fece finta di nulla.

“Hai già cenato?”

“Non ho fame… Mi devi dire qualcosa, André?”

“Ci sarebbero molte cose da dire… - tentò già poco convinto e oppresso da un senso di spossatezza - ma vista l’ora, è meglio rimandare a domani…” e mentre lo diceva, sapeva già che lei non gli avrebbe prestato ascolto: la scintilla tra lui e Oscar era destinata a divampare in un fuoco più grande.

“È inutile rimandare quello che si può affrontare subito, e io non voglio aspettare domani. Voglio sapere cosa ti ha chiesto Danielle… e voglio saperlo adesso. Hai capito, André?” concluse in tono un po’ troppo aspro.

André sostenne quello sguardo di solito talmente limpido che pareva fatto di ghiaccio, ma non quella sera; in quell’istante, forse per reazione al pensiero penoso di lasciarla, gli sovvenne l’immagine calda, tenera e fremente di lei in altri momenti segreti, e si chiese come facesse a volte a essere così dura. Ma quelle erano le due anime opposte di Oscar, e lui le conosceva bene entrambe. E le amava, sebbene contrastanti.

Quel conflitto era la sua fragilità.

Quella fragilità che lui tentava da una vita di proteggere e che lui amava. Quel conflitto che in Danielle non esisteva, almeno non così.

Danielle non aveva bisogno di lui, ma Oscar sì.

Danielle prima o poi, se ne sarebbe resa conto, era solo questione di tempo.

André non temeva la tentazione, per quanto allettante fosse; era sicuro che la permanenza in Normandia con Danielle non lo avrebbe fatto innamorare di lei, semmai avrebbe aiutato la gemella a comprendere meglio quanto i suoi sentimenti per lui fossero più idealizzati che effettivi. Ma con Oscar le cose erano sempre state più difficili. Con lei si dovevano correre dei rischi e lui stava mettendo sul piatto della bilancia sé stesso e il suo amore sofferto.

Quanto avrebbe pesato per lei quel sentimento e la passione che aveva finito per travolgerla?

Ebbe pochi attimi di incertezza, soffermando il pensiero sulle parole più giuste da dire, quali usare e come usarle, e si rese conto in fretta che non esisteva un modo semplice e diplomatico per esporle i fatti.

Era una pugnalata a cuore aperto, diretta e scoperta.

Emise un lieve sospiro basso, prima di parlare col tono più quieto, quasi rassegnato che potesse trovare, senza alcuna inflessione particolare nella voce. Disse semplicemente, “Danielle mi ha proposto di partire con lei per la Normandia. Io ho accettato il suo invito.”

Restò a fissare in silenzio la sua espressione indecifrabile. Gli parve di cogliere un guizzo nelle iridi celesti, ma causa la poca luce, poteva essersi ingannato. Forse un lieve moto di sorpresa le fece scuotere le spalle, ma non ci furono altre reazioni evidenti.

Uno strano silenzio carico di interrogativi galleggiò tra loro per alcuni istanti; Oscar parve riflettere su qualcosa, si alzò dalla poltrona e mosse qualche passo verso la vetrata, senza avvicinarsi a lui. La luce bianca opalescente di una grande luna piena le illuminava il volto diafano e bellissimo.

“Dimentichi che sei al mio servizio, André. Tu hai le tue mansioni qui; il mio attendente non può andarsene come più gli aggrada, quando ne ha voglia.” Sentenziò senza neppure guardarlo, il tono fermo, troppo.

Per un istante, lui restò basito di fronte all’apparente freddezza di quelle parole, e subito pensò che avrebbe dovuto aspettarsele.

Tanto valeva spingere l’affondo all’estremo.

“Scusami Oscar, forse non sono stato chiaro. Pensavo che visto i nostri ultimi trascorsi, e l’evolversi della nostra attuale situazione… non posso restare al tuo servizio, mi pare ovvio, non dopo quello che ci siamo detti oggi pomeriggio. Andarmene credo sia la cosa più saggia da fare.”

Oscar si voltò di botto nella sua direzione.

“Trovi saggio fuggire in Normandia con mia sorella? È un dispetto? Sei arrabbiato per quello che ti ho detto oggi? È così?” Rispose alterata.

La voce di Oscar perse in meno di un secondo la freddezza ostentata poco prima: più alta del dovuto, vibrava di disappunto e sconcerto, a un passo dall’esplodere di rabbia.

“Non giudicarmi in maniera tanto puerile, Oscar. Sai bene che i motivi sono molto seri; io non posso più lavorare per te come facevo prima, sono cambiate troppe cose, lo sai.”

“Se è solo questo il problema, posso fornirti tutte le referenze che ti servono per un altro impiego, senza andare in Normandia per seguire Danielle. È una cosa stupida e folle, André. Non hai pensato che mio cognato, scoperte le circostanze della fuga, potrebbe pretendere soddisfazione per un’ offesa del genere? Potrebbe reclamare la tua vita e nessuno si opporrebbe, le leggi sono dalla sua parte.”

“Neppure tu, Oscar? – Alla domanda seguì un sospiro leggero e impercettibile. - Non ti preoccupare per questo: non voglio dare a Leopold motivo per offendersi. Seguirò Danielle solo in veste di accompagnatore.”

“Oh, mai sai bene che per lei non sarà così; è innamorata di te, almeno così dice. Perché la incoraggi?… Oh, forse è esattamente ciò che vuoi?”

“Ha importanza, Oscar? – André con un movimento brusco, le si avvicinò di qualche passo, ma non bastò ad accorciare quella distanza che lei aveva messo fra loro. – Ha qualche importanza che possa ricambiare i suoi sentimenti, oppure no? Rispondi! Per te cambierebbe qualcosa? Cambierebbe qualcosa fra noi?”

“Beh, io…”

“L’unica cosa che voglio… no anzi, l’unica cosa che posso fare ora è andarmene da qui, e per me un posto vale l’altro, se tu non sei con me.”

Andrè le si era fatto completamente vicino, il corpo prossimo a quello di lei, il viso rivolto al suo, e una mano le aveva raggiunto il volto, sfiorandolo in una carezza veloce e triste, che era scivolata sotto il mento a sollevarlo. Aveva indugiato sulle labbra, preso dalla tentazione di baciarla un’ ultima volta, ma aveva allontanato le mani ritraendosi come scottato.

Oscar era rimasta incantata per un momento, sospesa nell’attesa di quel bacio che non era arrivato, e lo aveva guardato allontanarsi di scatto, con il cuore preda di uno strano impulso, ma incapace di esternarlo.

Fosse bastato un bacio a trattenerlo, ma lui non le diede il tempo di provare a catturarlo con parole o gesti che fossero più dolci, né con quegli occhi capaci di accendersi come braci ardenti.

Non sapevano stare vicini senza farsi del male, prigionieri uno dell’altro, di un sentimento che avrebbe dovuto essere libertà, luce del sole, ma diventava tormento ed estasi da nascondere, preziosi attimi vissuti al buio che vivevano nelle spazio di ore troppo brevi, da sembrare solo sogni evanescenti che morivano alle prime luci pallide del mattino.

Conoscevano l’amore clandestino e nient’altro, la brama segreta dei corpi che si consumava rapida nei loro incontri lasciandoli vuoti e inappagati, il calore e il profumo della pelle che imprigionava i sensi e la ragione.

Scivolò via, lontano da lei, facendo leva su sé stesso.

“Io capisco quanto possa essere difficile per te, Oscar, conciliare il dovere con i sentimenti… il soldato freddo e rigoroso, senza debolezze, con la donna tenera e appassionata che preme per uscire. Non voglio importi niente, neppure il mio amore… per questo ho deciso di andare via. Forse questo risolverà i tuoi conflitti.”

“Non è necessario che tu te ne vada in Normandia. Se non vuoi restare qui a palazzo, possiamo trovare un’ altra sistemazione; siamo persone adulte, possiamo risolvere la cosa senza traumi.”

Senza traumi? Oh…– André rise amaramente, portandosi una mano alla fronte. - Non c’è un’ altro modo. Fammi andar via, ti prego Oscar. Se resto qui, finiremo solo per farci altro male…e io continuerei a chiederti quello che tu non puoi darmi…”

Il tono si André era diventato improvvisamente triste, quasi rassegnato a qualcosa di inevitabile. Seguirono brevi attimi di silenzio, carico dello sguardo penetrante di Oscar. Appariva pensierosa.

“È davvero così, André? - Domandò dopo un momento, la voce vibrante, e le parve di cogliere un’ ombra di smarrimento negli occhi di lui. - Dimmi che non segui Danielle, perché lei è tutto quello che non posso essere io. Giurami che non la desideri per questo…altrimenti, che motivo avresti per seguirla?”

Ma la risposta che le giunse la lasciò senza fiato, e se possibile ancora più stordita.

“Non è per una sottana e un po’ di belletto. Mio tormento e consolazione sarà che lei mi ricorderà te. Mi sembrerà di averti ancora accanto, Oscar. Con nessun’ altra avrei la forza di fare questo.”

La sincerità di quella frase la colpì come un pugno in pieno stomaco, e un dolore acuto, oltre che inatteso le attraversò il petto e le salì fino agli occhi, dove si sciolse in acqua trattenuta a fatica dentro l’azzurro freddo delle iridi. Strinse i pugni conficcandosi le unghie nei palmi, ma non servì: come André fu oltre la soglia della stanza, si accasciò sul pavimento in ginocchio e il pianto più straziante le annebbiò la vista.

Solo allora si accorse che faceva freddo in quell’ala della casa.

 

 

*******

 

 

La Normandia ci accolse con il suo clima fresco e temperato. Avevo mandato avanti gran parte della servitù ad aprire la dimora e prepararla al mio arrivo. Mi piaceva molto quella casa, lontana dal frastuono di Versailles e di Parigi, dove molto raramente qualcuno veniva a farmi visita, e mi sarebbe piaciuto ancor di più soggiornare lì, in compagnia di André. Mi aveva seguita come non avevo sperato che facesse, con serenità e senza ripensamenti apparenti o rammarico di qualche tipo.

Non sapevo come si fosse congedato da Oscar, né come lei avesse preso quell’abbandono da parte dell’uomo che era diventato a tutti gli effetti il suo amante; immaginavo soltanto che nel cuore, Oscar fosse una donna come lo ero io, e a nessuna donna piace essere lasciata dal suo uomo, amante o innamorato che sia.

André non mi aveva detto nulla a riguardo, e quando durante il nostro viaggio avevo cercato di indagare sull’ argomento, con gentilezza, ma con fermezza aveva mantenuto la più stretta riservatezza, invitandomi a non fare domande.

“Scusami Danielle, ma preferirei non parlare di questo. A che servirebbe? Accontentati del fatto che sono qui con te e godiamoci il momento.”

Guardandolo attentamente, indovinai una pena disegnata nella piega un poco amara delle sue belle labbra. Mi bastò, e rispettai il suo riserbo, ripromettendomi di regalare serenità e gioia al nostro soggiorno in Normandia.

 

Le prime settimane passarono piacevolmente.

André era una compagnia dolce e profonda che scacciava la solitudine e riempiva di vita ed entusiasmo le mie giornate, anche se a volte avevo l’impressione di scorgere una vaga indefinibile tristezza nello sguardo verde ombroso del mio giovane e affascinante accompagnatore, e mi chiesi quanto il pensiero di Oscar lo ossessionasse.

Me ne accorgevo soprattutto in alcuni momenti particolari, nelle ore del crepuscolo e in certi luoghi; notavo sguardi assorti e lontani in occasione delle nostre cavalcate sulla spiaggia che si stendeva ampia e selvaggia appena dietro la villa. Lanciavamo i cavalli in corse folli, opponendo i nostri corpi all’aria che ci investiva, sollevando spruzzi d’acqua salata che raggiungeva i nostri visi travolti dall’eccitazione, poi rallentavamo la corsa e lasciavamo che le nostre cavalcature procedessero placidamente lungo la battigia, in un dondolio che seguiva il ritmo dei nostri respiri rallentati. Era allora che, osservando il suo viso, lo notavo: un mutamento repentino e improvviso gli spegneva lo sguardo che diveniva malinconico e quasi assente.

Certamente doveva pensare a lei e io, nei giorni a venire, mi premurai di distrarlo in ogni modo.

Trascorrevamo insieme molte ore, cavalcando sulla spiaggia o attraverso i boschi che sorgevano poco distante dalla villa nell’entroterra. Pranzavo e cenavo con lui in una saletta appartata affacciata sul mare, che facevo preparare con gran cura solo per noi due.

André mi accompagnava in paese per le poche visite e per incombenze di vario genere, che riguardavano la gestione della villa, svolgendo quasi le mansioni di un segretario personale.

Si offrì lui, per quell’ attività, con l’intento preciso di prevenire possibili maldicenze sul significato della sua presenza al mio fianco.

“Se la gente penserà che sono alle tue dipendenze, eviteremo noiosi pettegolezzi al riguardo, non credi?”

Mi disse una sera a cena, dopo una breve escursione in paese, divenuta pretesto per saldare fornitori e falegnami che avevano lavorato alla villa, sorseggiando un bicchiere di vino sotto la luce soffusa delle candele, mentre sul mare in lontananza il disco rosso del sole andava a nascondersi sotto l’orizzonte.

Risi divertita dei suoi scrupoli.

“Lo sai che si dice dei segretari, André? Soprattutto quando sono giovani e di bell’aspetto? E tu sei abbastanza affascinante da suscitare sospetti. Non che la cosa mi importi molto, in realtà. Che pensino pure quello che vogliono, - dissi osservando il cielo che si apriva oltre le finestre del mio giardino – sono troppo felice, adesso.”

“Dovrebbe importarti, Danielle. Non voglio danneggiare la tua reputazione. Sei ancora una donna sposata, anche se stai pensando al divorzio. Mi pare di aver notato qualche sguardo sospettoso anche tra i tuoi servitori. E il curato di Etretat ti ha subito chiesto notizie del signor conte.”

“Non ti preoccupare, André. Stiamo bene qui, e io voglio solo godere di questo; voglio solo che qui con me, tu possa trovar pace per il tuo cuore. Ne sarei felice, André. A te fa piacere essere qui, vero? Non sei pentito di avermi seguita fin quaggiù?”

“Ma no, Danielle. Certo che mi fa piacere.”

“Però immagino che sentirai la mancanza… - esitai, con lieve imbarazzo - di Palazzo Jarjayes.”

Dissi guardandolo apertamente, e lui abbassò piano il bicchiere di vino sulla tovaglia ricamata. Non ebbi il coraggio di nominarla; forse non volevo che il suo fantasma si frapponesse fra noi. Ma la risposta che mi diede André, suggeriva ben altri significati.

“Non di Palazzo Jarhyes… semmai delle persone che vivono lì…” commentò pacato, ma era impossibile non cogliere il riferimento.

Gli accarezzai una guancia con tenera passione, salendo fino a incontrare i riccioli scuri sulla sua fronte. In risposta, lui prese la mia mano nel calore della sua, e baciò il dorso delle dita con fare rispettoso.

Ma non era quello il tipo di bacio che avrei voluto da lui.

Per quelle settimane, André non tentò mai approcci di natura diversa, per quanto io lo sperassi, e le sue buone maniere, gentili e discrete non mi trassero mai in inganno. Era deciso a non incoraggiarmi, anche se mostrava di gradire le mie premure.

 

Una mattina mi svegliai prima del solito e decisi di scrivere a mio marito, una lettera precisa e sintetica con tutte le mie richieste e condizioni che ponevo all’adozione di quella bambina. Scrissi la lettera, cosparsi la polvere sull’inchiostro per farlo asciugare, la piegai e la misi da parte.

Dopo presi un altro foglio di carta e lo vergai con poche righe.

 

- Fai colazione mio gentile amico, poi raggiungimi  a cavallo lungo la spiaggia.  Ti aspetto lì, vicino agli scogli.

 

 

Avevo ancora addosso la mia preziosa veste da camera e i miei capelli erano lunghi e scivolavano sulla schiena in morbide onde. Chiamai Ninette e le porsi il biglietto per André, che avrebbe consegnato appena si fosse svegliato.

La mia cameriera mi guardò con complicità.

Aveva intuito tutto da molto tempo, ma non mi aveva mai esternato impressioni o commenti. Avevo forse letto una vaga perplessità in alcuni sguardi all’inizio, ma si era sempre comportata con discrezione. Prese il biglietto e si ritirò con un piccolo inchino.

In fretta, mi sfilai la mia veste di seta e indossai abiti di foggia maschile, più comodi per cavalcare. Mi osservai allo specchio delle mia toilette e decisi di lasciare i capelli sciolti sulle spalle; applicai solo un velo di cipria sul viso, mentre riccioli lunghi e ribelli mi ricadevano sul petto e sul davantino dell’abito, tra i pizzi vaporosi della camicia e la stoffa azzurra del gilet ricamato.

Guanti e scudiscio, lasciai la stanza per dirigermi verso le scuderie dove avrei trovato la mia dolce Desiree già sellata e pronta per me.

André doveva essere ancora a letto, perché non lo vidi in giro.

Fui tentata di raggiungerlo nella sua stanza che avevo fatto preparare in un’ ala laterale del palazzo, per non suscitare troppe chiacchiere tra i domestici; volevo dargli il buongiorno, ma rinunciai. Sarebbe stato più bello incontrarlo sulla spiaggia e cavalcare insieme a lui fino al limitare del paese che sorgeva a pochi chilometri dalla villa padronale.

 

 

Attesi lunghi minuti, portando Desiree al trotto, arrivai al limitare degli scogli che incorniciavano la spiaggia. Scesi da cavallo per andare a sedermi sulle rocce dove non arrivavano gli spruzzi delle onde.

L’aria era frizzante, e io stavo insolitamente bene.

Osservai il mare scuro in lontananza, che quella mattina appariva agitato e creste bianche di spuma si inseguivano infrangendosi sull’arena.

Non mi accorsi del tempo trascorso, ma dovette passare una buona mezzora, prima di scorgere in lontananza il cavallo dell’attendente apparire dietro la curva che nascondeva il piccolo promontorio su cui sorgeva la villa.

Osservai la sua magnetica figura, capelli corvini ribelli trattenuti dal nastro nero appena mossi dall’aria, il volto lievemente abbronzato dal sole, la camicia bianca slacciata sul petto, i calzoni scuri che fasciavano le gambe muscolose chiuse dentro gli stivali alti di cuoio lucido. Lo guardai ammirata e mi sembrò bello come un dio, un tutt’ uno col suo destriero nero.

D’ impeto, rimontai in sella a Desiree per andargli incontro al galoppo.

Mi sentivo euforica e felice, e se fosse sceso da cavallo per salutarmi, nel mio slancio gli sarei saltata al collo per baciarlo con tutta la passione che mi stava invadendo.

 

Ma mentre gli andavo incontro, mi accorsi che qualcosa non andava. La sua espressione cambiava, man mano che si avvicinava a me. André rallentò in maniera brusca, fin quasi a far scartare nervosamente lo stallone nero, lo vidi arrestarsi, stringere le briglie convulsamente, girare su se stesso e continuare a guardarmi. Doveva essere nervoso e trasmetteva la sensazione al suo cavallo.

Avvertii il suo sguardo fisso su di me, quando fui a pochi metri, e mi colpì implacabile e ostinato; passò dalla più accesa costernazione al risentimento.

Cosa diavolo lo aveva turbato tanto?

Lo capii immediatamente dopo.

“André, ma…”

Accennai un debole sorriso, che si spense subito, di fronte alla sua risposta seccata e indisponente.

“Ma che scherzo è questo! Non potevi scegliere un altro abbigliamento? Non mi diverte, Danielle. Per niente.”

Un colpo di talloni nei fianchi del cavallo e corse via, sollevando un poco la sabbia umida. E io restai lì, stupita e ferita, a guardare l’uomo che amavo fuggire lontano.

 

 

********

 

I corridoi di Versailles, con i pavimenti lucidi e le venature preziose dei marmi policromi, le sembravano tutti uguali, quasi interminabili. Su una parete si apriva una fila interminabile di finestre, da cui entrava una luce fastidiosa che a intervalli regolari la investiva, abbagliandola.

Non badava nemmeno ai cortigiani che incrociava, non si preoccupava neppure dei vaghi cenni di saluto, le occhiate furtive e curiose che lanciavano quando passava loro accanto.

Era come se non esistesse anima viva.

Procedeva in maniera meccanica, come se nulla di ciò che faceva dipendesse dalla sua volontà.

Aveva appena avuto un’ udienza privata con la regina, ma non era andata secondo i piani prefissati. Avevano parlato di tutto, tranne del reale serio motivo che aveva spinto Oscar a chiedere udienza. Quasi non lo ricordava, e neppure le importava più.

Guardò con lieve fastidio il tenente Girodelle che l’aspettava composto e impettito alla fine del corridoio, davanti alla porta dell’ufficio di comando. Bastò vederlo lì, per capire che l’ attendeva qualche nuova seccatura, e il suo umore non era al meglio della forma per affrontare con lucidità un qualsiasi problema.

“Comandante è necessaria la vostra presenza nel salone dei ricevimenti: ci sono alcuni nobili che rumoreggiano e protestano per l’assenza di Sua Maestà. Le guardie hanno cercato di allontanarli, ma gli animi si stanno scaldando in modo preoccupante.”

Senza un commento e con l’espressione più indifferente, Oscar si diresse verso quell’ala della reggia e Girodelle la seguì nel salone per darle manforte.

Pochi minuti dopo, i nobili presenti, sotto lo sguardo severo e deciso del comandante delle guardie reali, malcontenti stavano lasciando la sala, senza avere potuto perorare le loro richieste alla regina.

Tornata la calma e il silenzio, Oscar ritornò indietro per dirigersi verso l’uscita, con la mente distratta da pensieri che fingeva fossero senza importanza, ma inesorabilmente la guidavano sempre nello stesso luogo, allo stesso volto. Mai avrebbe pensato che l’assenza fosse qualcosa di così pesante e tangibile. Mai avrebbe detto che fosse qualcosa di fisico percepibile con i sensi.

A volte le mancava l’aria e i profumi dei fiori la stordivano anche se passeggiava per i viali ghiaiosi dei giardini; allora si guardava attorno, alla disperata ricerca di un’ ombra su cui fermare lo sguardo affamato.

Ma non trovava nulla su cui riposare gli occhi e la tristezza più cupa l’assaliva, come se il cielo troppo azzurro e vasto sulla sua testa le pesasse addosso, facendola sentire persa.

Tutta quella bellezza inutile era troppo triste e amara da vivere da soli.

La voce di Girodelle alle sue spalle giunse come un martello alle tempie.

“Scusate Comandante, ma non ho potuto fare a meno di notare l’assenza del vostro attendente. Sono diversi giorni ormai, e prima non era mai successo. Sapete, è strano vedervi senza André…”

Sentire il nome fu come ricevere uno schiaffo sull’anima già pesta. Forse Girodelle parlò di nuovo, ma lei non lo sentì. Avvertì solo lo spasimo penoso del cuore che prese a battere irregolare.

Guardò l’ufficiale a occhi sbarrati come se il tenente avesse osato compiere chissà quale delitto.

Due settimane, e non aveva più pianto da quando se n’era andato, e lei aveva sigillato quel dolore come un prigioniero pericoloso da tenere sotto chiave. E ora era lì, più bruciante che mai, pronto a uscire e svergognarla per mostrare a tutti quanto fosse fragile e smarrita.

Lei non riusciva più a trattenerlo dentro, ma la rabbia era l’unica cosa che le permettesse di controllare le lacrime.

Volse rapida le spalle al suo secondo, e rispose con durezza.

“Tenente Girodelle, questa non è cosa che vi riguardi!”

Si allontanò frettolosamente, quasi correndo. Attraversò le sale, scese lo scalone che portava all’esterno a passo spedito. In pochi attimi, fu nel grande cortile della reggia, montò sul suo cavallo e partì al galoppo. Corse con furia attraverso la campagna e con altrettanta furia, lasciò bruciare gli occhi al fuoco salato delle lacrime.

 

-         Maledizione André!! Mi manchi da stare male! Non è giusto. Non dovevi lasciarmi per seguire lei… Non ti perdonerò mai per questo. Mai!!

 

 

 

********

 

 

IL cavallo nero corre sfrenato contro il vento. Il suo cavaliere lo frusta quasi senza pietà, colpi rapidi di scudiscio sulla coscia nervosa, che scatta e guizza nella corsa forsennata.

Danielle è rimasta indietro amareggiata, ma non gli importa. Sente solo quel vuoto dentro che lo assale e lo soffoca, e l’amarezza che lascia il veleno della delusione nelle vene.

La serenità, la calma dello spirito è durata solo pochi giorni, l’equivalente di ore vaghe e indefinibili, finite troppo in fretta. Gli era sembrata durevole a volte, e in alcuni istanti aveva finito quasi per crederci. Dimenticare, liberarsi di quell’amore pareva diventata una cosa possibile, fino a quando il ricordo non lo schiaccia di nuovo contro il muro di quella vita vissuta con lei.

Per quanto Danielle faccia, nonostante tutta la dolcezza che sa metterci,  e tutto l’amore sincero che prova, lui non riesce a dimenticare, né a soffocare il sentimento che sente.

E mentre corre contro l’aria, André ha paura di aver fallito.

 

Quale terribile inganno sanno suscitare i sensi.

Ha creduto che fosse lei.

Per un momento, l’ ha vista così, l’ oro dei capelli sciolti al vento, abbacinanti come la luce solare, le vesti da uomo.

Ha pensato… Ha sperato…

 

È lei, è venuta da me.

È venuta a cercarmi, perché mi ama come la amo io.

 

 

Ma le illusioni sono per gli sciocchi.

E di essi, lui si sente il re.

 

Come fai Oscar?

Come fai a non sentire questo dolore che spacca il cuore?

Non ti manca la mia pelle, i miei baci? Le nostre labbra affamate di noi?

Le nostre notti rapaci e dolorose? Non ti manca il nostro dolore che misteriosamente ci faceva sentire vivi, e si placava esausto solo nel cerchio possessivo delle nostre braccia?

Oscar, come fai a vivere, se io non vivo più?

 

 

Pensieri penosi che si perdono come aquiloni senza fili nell’aria salmastra, su una spiaggia grigia lontana percossa da venti troppo freddi.

 

 

 

Continua…

 

 

 

Eccomi qui, dopo tanto tempo.

Scusatemi per la lunga attesa, ma questo è un periodo ancora un po’ grigio per me, fatto di alti e bassi, che in alcuni momenti mi sembrano solo bassi, tra vari problemi personali che incidono profondamente sul mio umore, quindi anche sulla voglia di scrivere che dovrebbe essere un piacere, e purtroppo in alcuni momenti sembra che nulla lo sia.

Il capitolo era scritto per metà, ma la seconda parte non voleva saperne di venire fuori; poi qualche giorno fa… non so… ho ricominciato a scrivere e il capitolo si è concluso quasi da solo. Spero sia venuto bene.

Devo dire che mi è piaciuto scriverlo, spero solo che a voi piaccia leggerlo.

Ho trascurato di rispondere ad alcuni dei vostri commenti e mi dispiace, ma sappiate che li leggo tutti e che li apprezzo, e sono uno stimolo importante e sincero su cui rifletto a fondo, che mi sprona ad andare avanti e a fare sempre, se possibile, meglio. Di questo vi ringrazio, dal profondo del cuore, e spero che vorrete continuare a lasciare i vostri pareri sinceri, per me tutti importanti.

Non vi tedio oltre.

Saluti Ninfea.

 

 

 

 

 

 

   
 
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