“Grazie per essere venuto, Richard”
Nicole era seduta ad uno dei tavoli esterni del bar; teneva
la testa bassa, le mani intorno alla tazza di caffè. Il vento leggero le
scompigliava i corti capelli biondi.
Richard vedeva Keith riflesso in ogni suo lineamento: il
taglio degli occhi, la linea della mascella…
Cercò di non pensare a quanto somigliasse al fratello.
I suoi modi bruschi celavano un animo sensibile, come quello
di Keith: erano sempre andati d’accordo, lei e Richard, durante la sua
relazione con Keith; e lui aveva imparato ad apprezzare le sua battutacce, le
pacche sulle spalle, le maniere dirette.
Mascolina, energica,
volitiva, Nicole Finnegan era riuscita dove il fratello aveva fallito: gestiva
uno studio di fotografia di tendenza, che le rendeva bene. Periodicamente si
organizzavano mostre dei suoi lavori, e lei era spesso invitata ai cocktail
party e nei salotti-bene della città.
Richard chiamò il cameriere con un cenno e si fece portare
un caffè a sua volta.
“Grazie a te. Stavo pensando di chiamarti, ieri sera, sai?,
ma mi hai preceduto.”
Nicole ebbe un tenue sorriso. Era molto pallida; lo guardò
di sfuggita.
“Sono sempre io la più veloce”
Si riferiva ad un vecchio scherzo: ogni volta che loro tre -
Keith, Nicole e Richard - camminavano sul lungo vialetto della villa di
famiglia, Richard e Nikki prima si guardavano di sottecchi, furtivamente,
acceleravano il passo con indifferenza, e infine spiccavano una corsa per
vedere chi arrivava per primo al cancello: come due bambini. Non sapevano come
fosse cominciata la sfida, ma ogni volta che percorrevano insieme il vialetto,
la gara si ripeteva.
Keith restava a guardare con le braccia incrociate,
sorridente, scuotendo la testa con finta disapprovazione. Fanatica del jogging,
Nikki vinceva quasi sempre: arrivava al cancello, le braccia alzate come una
campionessa, fingendo di tagliare un immaginario nastro del traguardo.
Erano stati giorni felici.
La guardò ora. Finito il caffè, si stringeva nella giacca di
jeans. Aveva le ciglia appiccicate, come se avesse appena pianto. Era più bella
del fratello, gli occhi azzurri come il padre, i lineamenti delicati: ma
vestiva in modo sciatto (jeans, sneakers, camicie da uomo), e teneva i capelli
– chiarissimi, come quelli di un albino - in un pratico taglio corto.
“Pensi che si sia ammazzato?” Chiese d’improvviso.
Guardava altrove, la voce sorda.
“No.”
Nikki tirò su rumorosamente col naso.
“Neanch’io.”
Pausa. Un soffio di vento arruffò i capelli a entrambi.
“Nikki… Era di nuovo nei guai con la droga?”
“No!” Lei alzò la testa di scatto, rabbiosamente. “Non aveva
più niente a che fare con quella roba, ne sono sicura. Lo sentivo spesso, negli
ultimi tempi: me ne sarei accorta.”
“Davvero?”
“Ti dico di no.” Incrociò le braccia, ostinata.
“Va bene, va bene.”
Sospirò. “Allora. Tu hai qualche idea su cosa possa essere successo?”
“Speravo che ne avessi una tu, Dick. Ti ho chiamato proprio
per questo.”
Richard fece un risolino scialbo.
“Santiddio.”
“Direi che siamo molto d’aiuto l’uno all’altro.”
“Richard sospirò. “Non aveva problemi di soldi. Non era
malato. Non aveva nemici.” Si prese la testa fra le mani. “Non so cosa pensare,
Nikki”
Rimasero entrambi in silenzio per un po’.
“Richard…” Nicole aveva di nuovo lo sguardo sfuggente, si
mordeva un labbro.
“Cosa?”
Cincischiava l’orlo della giacca.
“Cosa, Nikki?”
“Insomma, si vedeva con un tale, negli ultimi tempi. Non
sapevo se dirtelo oppure no.”
L’interesse di Richard si risvegliò d’improvviso.
“Chi? Chi era?”
“Non lo so, Richard, l’ho visto sì e no due volte…” Sospirò
al sopracciglio alzato di Richard. “Ok, ok. Si chiama Ben... Benjamin, credo. È
un avvocato.”
“Benjamin come?”
“Non lo so! Te l’ ho detto, ci siamo incontrati un
paio di volte.” Lo guardò, irritata. “Cosa pretendevi?, che gli chiedessi il
numero d’assicurazione e il cognome da nubile di sua madre?”
“Va bene, va bene, va bene.” Disse Richard in fretta,
conciliante. Nikki aveva la tendenza ad innervosirsi facilmente, per un
nonnulla: una frase, un commento. Tanto facilmente quanto, poi, dimenticava
l’accaduto. “Hai detto che è un avvocato, giusto? In che studio lavora? Ne hai
un idea?”
Nicole fece spallucce. “Che ne so…” Giocherellava col
tovagliolino di carta, appallottolandolo. Improvvisamente, però, sembrò colpita
da un’idea. Alzò la testa.
“Aspetta. Non so come si chiama lo studio, però è sulla
Sesta - sai, mi è venuto in mente perché una volta Keith doveva passare a
prendere Ben, ed era irritato perché stavano ristrutturando la stazione della
metro, e lui doveva allungare il percorso per aggirare il cantiere... E l’unico
lavoro di questo tipo che hanno fatto ultimamente è stato sulla Sesta strada.”
“Benjamin. Avvocato. Sesta strada”, elencò Richard. “È già
qualcosa. Grazie, Nik.”
Nicole lo guardò, sospettosa. “Non ti metterai a giocare
alla signora Fletcher, spero?”
“No, no, no. Non mi ci vedo, con la permanente.” Schivò la
pallottola di carta che Nikki gli aveva gettato addosso.
“Scemo”
“No, no, sono serio, sono serio. Voglio solo fare un po’ di
chiarezza in questa storia. Magari questo Ben Comesichiama sa qualcosa che noi
non sappiamo.”
Nikki si agitò sulla sedia, a disagio. Sembrava pensierosa.
“Richard… Gli volevo bene anch’io, lo sai.” Disse infine.
Lui la guardò, sorpreso. “Certo. Lo so. Perché mi dici
questo?”
Nicole sorrise, con un po’ d’imbarazzo.
“Se vuoi andartene in giro a ficcanasare nella vita di mio
fratello, violare la privacy della gente e metterti nei guai, beh, non sperare
di farlo senza di me.”
Richard rise, un risolino triste.
“Grazie, Nikki.”
“Ok, allora. Sai dove trovarmi, se hai bisogno di me.” Lei
si alzò dal tavolo, si abbottonò la giacca.
“Bene, è ora che io vada. Ciao, Richard.” Si incamminò, poi
si girò di nuovo. “Ah, il funerale è domenica. Alle nove.”