Richard rimase sbigottito nel sapere di essere atteso. Entrò
nell’ufficio – legno scuro alle pareti, una libreria a vetri alta fino al
soffitto, mobili di buon gusto – e si sedette su una confortevole poltrona di
pelle.
L’uomo si sedette alla scrivania, congiunse le mani.
Non era certo come Richard se lo era immaginato: non molto
alto, esile, poteva avere quarant’anni. I capelli andavano ingrigendo, e il
viso dai tratti regolari non era sgradevole; ma non aveva nemmeno nulla di
notevole, tranne gli occhi, forse, di un azzurro intenso. Prima di parlare si
era tolto gli occhiali (tondi, metallici, quasi ottocenteschi), e guardava
Richard con un’espressione che a lui non riuscì di identificare.
Quando infine parlò, Richard ebbe la più grande delle
sorprese.
“Suppongo che sia qui per parlare del testamento.”
L’espressione sbalordita sul viso di Richard indusse l’uomo
a continuare, esitando: “…Non è così?”
“Testamento? Di quale testamento parla?”
Richard si sentì preso in contropiede. Testamento?
Guardò Ben Wilkes, che gli restituì lo sguardo con
espressione quieta, partecipe.
“Io non ne so niente, dev’esserci uno sbaglio.” balbettò,
confuso.
“Sono venuto a parlarle perché Nikki – la signorina Finnegan
– mi ha detto che lei e Keith vi frequentavate, e volevo chiederle se poteva
parlarmi degli ultimi giorni di Keith.”
Fu la volta di Wilkes di essere sorpreso.
“Frequentarci? Intende… Oh, no, no, no” Scosse la testa più
volte, disorientato in modo quasi comico.
“Mr. Finnegan e io avevamo esclusivamente rapporti d’affari.
Ci siamo incontrati svariate volte, questo è vero; ma solo per redigere un
testamento pubblico, di cui lei è stato nominato parzialmente beneficiario ed
esecutore. Pensavo che fosse qui per questo.”
“No! Io…” La sua voce risuonò stridula. Alzò le
braccia in un gesto di smarrimento, le lasciò ricadere. “Io non capisco.”
“Che cosa non capisce?” L’uomo si appoggiò allo schienale
della sedia, l’aria perplessa.
“Un testamento pubblico è un atto ricevuto da un notaio in
presenza di due…”
“No, no.” Richard scosse la testa. “Perché abbia voluto fare
testamento. Era giovane, sano… Non aveva neanche trent’anni, perdio!”
“Non lo so, mr. Williams, ma pareva avere, come dire? Una
certa fretta.”
Il notaio aveva assunto un’espressione imbarazzata.
“Fretta?”
“Già. O almeno, questa è l’impressione che ho ricevuto.”
Si guardarono per un po’, in silenzio.
“Capisco.” Disse infine Richard, che in realtà non capiva affatto.
La notizia, combinata alla sbornia della sera prima, gli stava procurando
un'altra emicrania. Si stropicciò gli occhi, che cominciavano a bruciare.
“Posso vedere il… uh, il documento?” Chiese, una pioggia di
puntini luminosi davanti agli occhi.
“Certamente.”
Wilkes si alzò ed estrasse una cartellina da uno schedario.
La aprì davanti a Richard e gli porse un foglio scritto a macchina; in calce,
la firma di Keith e quelle di altre due persone. I testimoni, pensò
distrattamente Richard.
Il contenuto del testamento era estremamente semplice.
L’appartamento in cui Keith aveva vissuto, di proprietà del
padre, tornava a mr.Finnegan, che poteva venderla per ripagare eventuali debiti
del figlio; una consistente somma di denaro – il lascito fiduciario di suo nonno
– andava a Nikki, insieme alla maggior parte della mobilia. A Richard erano
stati lasciati tutti gli effetti personali (abiti, accessori, il telefono
cellulare, il computer), i quadri e l’automobile, con il permesso di disporne
nel modo che preferiva. Avrebbe potuto vendere, tutto o una parte del lascito,
cederlo a terzi, oppure tenersi tutto quanto.
Non c’era altro. Keith non possedeva beni immobili, o denaro
suo.
Richard finì di leggere, indugiò sulla firma di Keith – la
sua mano aveva esitato, tremato, mentre apponeva quella firma? Ma no, il tratto
era fermo, netto, deciso.
“Che cosa devo fare?”
Il notaio sospirò. “Dunque, lei dovrà…”