Richard si sedette al tavolo
della cucina e si mise a sfogliare le pagine dell’elenco in modo febbrile.
Grundy, Guard, Guerrant, Guerrero, Guess,
Gulley, Gunn, Gunning…
Scorse i nomi col dito, finchè non trovò quello che cercava.
Gunson!
Richard sorrise, trionfante,
quando il suo dito indicò il numero di telefono di Gunson, John,
residente in G. Washington Road 153/B, Manhattan.
Per scrupolo, continuò a scorrere
i nomi fino all’ultimo Gunson, per accertarsi che non ci fossero omonimi.
E qui ebbe la prima sorpresa.
Perché dopo Gunson, Rodney, Gutowski, Dmitri,e Haaney, Colleen,
c’era un Hamilton, Charles, residente a Cross Bay Boulevard, 1202,
Queens.
L’unico Hamilton, Charles
dell’elenco.
Che coincidenza, pensò Richard.
Entrambi nella stessa pagina.
E che strano, pensò, che Keith
conoscesse qualcuno del Queens; e che abitava sulla Cross Bay, fra l’altro.
Per quanto ne sapeva, su Cross
Bay c’erano quasi solo alberghi e residences da pochi soldi, abitazioni anonime
ed economiche predilette da piccoli spacciatori, operai, impiegati sottopagati.
Non certo la fascia sociale in cui Keith era solito cercare degli amici.
Pensò di essersi sbagliato.
Forse i due testimoni di Richard
erano di un’altra città, o magari del New Jersey, dove aveva dei parenti; o
addirittura del Maryland, dove aveva frequentato l’Accademia Militare di
Annapolis, spinto dal padre; uno dei tanti college della sua tortuosa
carriera scolastica, da cui era stato cacciato per droga.
Decise di fare comunque un
tentativo.
Compose il numero di Charles Hamilton,
che rispose al primo squillo, facendo sobbalzare Richard per la sorpresa.
“Chi è?”, chiese una voce
maschile, rauca, da vecchio.
In sottofondo, Richard poteva
sentire uno speaker commentare una partita di baseball.
“Chi diavolo è, ho chiesto!”,
disse, con un tono iroso, ma confuso, da ubriaco.
Richard era certo che una voce
come quella non potesse appartenere ad un amico di Keith: a qualcuno di cui lui
si fidasse al punto di farlo assistere alla stesura del suo testamento.
Ma aveva chiamato, quindi tanto
valeva accertarsene.
“Mr. Hamilton? Sono Richard
Williams, un amico di Keith Finnegan…”
“Chi?”
Richard chiuse il telefono,
guardando davanti a sé, come in trance.
Rimase seduto fissando la parete,
il cuore che batteva forte.
Pensò che avrebbe dovuto chiedere
spiegazioni a Wilkes, il giorno dopo.
Tentò, per scrupolo, anche
l’altro numero.
Un’allegra voce femminile rispose
al telefono.
“Chi parla?”, chiese, vivace.
“Signora? Sono Richard Williams,
vorrei parlare con mr. Gunsen, se è possibile.”
“Mi spiace, mr.Williams, mio
marito non è in casa. Sapesse quante chiamate ricevo, da quando è partito per
il Messico! Lei è un suo studente?”
“No, sono… Non importa. Sa dirmi
quando torna?”
La donna rise, un riso
squillante.
“Oh, santo cielo, no! Non sarà a casa
prima di aprile, forse maggio! Sa come sono, questi viaggi di ricerca.
John è partito appena prima di
Natale, dicendomi che non sarebbe tornato prima di sei mesi. E io che pensavo
di essermi accaparrata un uomo tranquillo, quando ho sposato un insegnante di
arte precolombiana; sa, io e John avremmo dovuto andarci insieme in Messico,
però all’ultimo momento…”
Ma Richard non l’ascoltava più.
John Gunson era in Messico, il
giorno in cui avrebbe dovuto firmare il testamento di Keith.
Sì, pensò, scendendo le
scale per restituire l’elenco a mrs. Benteen. Wilkes avrebbe decisamente
dovuto dare delle spiegazioni.