Autore: Alexiel Mihawk
| alexiel_hamona
(LJ)
Titolo:
Caffé nero e semi di melograno
Fandom: Mitologia Greca
Personaggi: Ade, Thanatos,
Persefone, Ecate,
Zeus, Poseidone, Era, Demetra (e tutti gli Olimpi, o quasi)
Genere: generale,
commedia, sentimentale
Rating: verde, sfw
Avvertimento:
one shot, implied!Incest, modern!AU
Parole: 4767
Prompt: Mitologia,
Ade/Persefone, Modern AU
in cui Demetra va a trovare sua figlia
Note: Prompt di
kuma_cla, nato da
un’iniziativa su LJ che si chiama FanFiction Meme. Funziona
così, io dò una
lista di fandom e il mondo mi lascia dei prompt su quei fandom/quelle
ship, in
modo che io possa poi scriverci. Trovate la mia lista sul mio
Livejournal (link nel capitolo precedente o sul mio profilo),
se volete passare e lasciare dei prompt sentitevi liberi di farlo.
Qualche
nota tecnica. Cliff Edwards aka Ukelele Ike è un musicista
realmente esistito;
tutti i nomi di ansiolitici da me citati esistono davvero (e sono
bellissimi,
chi li inventa è il mio mito). Per quanto riguarda la
caratterizzazione degli
dei in questo capitolo, sento di dovermi spiegare. Io non credo che
Zeus sia un
totale cazzone, nemmeno che Era sia solo una gran stronza, non solo
almeno, in
questa storia si vede poco, ma ognuno di questi dei ha i sui pregi e i
suoi
difetti. Zeus se si impegna può essere un buon padre e
nonostante tutte le
volte in cui ha tradito Era, sono anche convinta che a modo suo la ami.
Era è
una madre, sì è una donna gelosa e vendicativa,
ma è anche una sorella e donna
e capisce certe cose meglio di tutti, inoltre me la immagino che non si
scandalizza per nulla, dopo tutto ha sposato Zeus. Persefone sta
attraversando
una fase molto ribelle della sua vita, Demetra non è di per
sé cattiva, ma è
una madre iperprotettiva che non si mette nei panni di sua figlia e non
ne
capisce le esigenze; qui Persefone scoppia, non ne può
più e quindi arrivano a
litigare. Non ho voluto concludere con un “si sposarono e
vissero tutti felici
e contenti”, perché mi sembrava prematuro.
Con
questo capitolo si conclude questa raccolta, ma non la mia esplorazione
di
questa coppia, ho già in programma un’altra one
shot legata a questo universo,
e poi beh, credo mi darò alla pazza gioia con altro, visto
che di prompt
Ade/Persefone ne ho ricevuti tantissimi.
Caffè
nero e semi di melograno
Capitolo
terzo: in cui Demetra per ripicca organizza una riunione non richiesta
e
Persefone decide di dimostrare la sua indipendenza.
Il
dio dei morti è sempre stato un uomo pacato e abitudinario.
La
sua sveglia suona sempre alla stessa ora e, dopo essere rimasto cinque
minuti
(ma non di più, perché lui è una
persona seria) a poltrire nel letto, il dio
dei morti si lava, si veste e va a fare colazione, sempre in
quest’ordine. Ha i
suoi rituali, rituali che gli piace compiere ogni mattina appena
sveglio, tra di
essi compare bersi una tazza di caffè nero, rigorosamente
senza zucchero,
rigorosamente fumante. Da quando Persefone abita con lui, in quel
grande
palazzo un po’ meno deprimente, il caffè delle
nove è migliore, forse perché è
lei a farlo, forse semplicemente perché è lei a
versarglielo nella tazza con un
sorriso (e Ade si scioglie, perché quei gesti sono
così naturali, così
quotidiani, che sembra che non ci sia altro luogo in cui la giovane dea
sia
destinata a stare).
Quando
riesce a bere il suo caffè, leggere l’Eco dei
morti, magari addirittura
ascoltare le chiacchiere sconclusionate di Persefone appena sveglia,
allora sa
che la giornata inizierà bene e, se è fortunato,
proseguirà meglio.
Quel
mattino, tuttavia, non sembra essere destinato a far parte di questa
ambita
schiera di piacevoli giornate; Ecate e Thanatos piombano nella sala da
pranzo
urlando e agitando la posta come dei forsennati, facendogli rovesciare
il caffè
sulla camicia bianca e facendo quasi cadere Persefone dalla sedia. Ade
trattiene a stento una bestemmia e l’impulso di incenerire
quei due sul posto.
«Siete
ubriachi?» domanda scocciato. Non sarebbe la prima volta.
«No,
ascolta, è successa una cosa» esclama Ecate, che
quella mattina dimostra una
trentina d’anni.
«Una
cosa orribile» aggiunge Thanatos.
«Hai
finito lo shampoo?» domanda Ade sarcastico cercando, invano,
di pulirsi la
camicia.
«Il
copri poltrona rosa non si intona col rossetto?» chiede
Persefone, rincarando
la dose e meritandosi un’occhiata adorante da parte del dio
dei morti; l’Averno
la sta rendendo più ironica.
«Ridete
pure, stronzi» ribatte Ecate piccata «Intanto
Demetra è andata a lamentarsi da
Zeus accusandoti di averle rapito la figlia!»
Silenzio.
«E
Zeus ha deciso di autoinvitarsi qui, insieme a tutta la combriccola,
per una –,
passami il foglio per favore. Ah, ecco. Una riunione familiare di
emergenza,
che avrà sede presso la reggia di Ade, Averno, in data 23
Settembre» legge
Thanatos, non indossa gli occhiali da sole e in quel momento i suoi
occhi rossi
mandano lampi «Siamo fottuti».
«Ma
il 23 è dopodomani» Persefone lascia cadere la
brioche sul tavolo e si mette le
mani tra i capelli.
«Calmatevi!»
La
voce di Ade è regale come poche volte l’hanno
udita. Tutti sanno quanto il dio
dei morti detesti le riunioni familiari, i suoi parenti sono pettegoli,
rumorosi e spesso imbarazzanti, tuttavia quella gli sembra una buona
occasione
per dimostrare a sua sorella che no, non ha rapito Persefone; senza
contare che
sull’Olimpo tutti sono curiosi come una perpetua il giorno
delle confessioni di
vedere la misteriosa figlia di Demetra e, Ade ne è convinto,
anche lei non vede
l’ora di incontrare la sua famiglia.
E
poi, sì, vuole togliersi lo sfizio, perché quei
bastardi dei suoi fratelli non
sono mai venuti a trovarlo, nemmeno una volta, con la scusa che
“È tutto buio, scusa, ma
l’assenza di spazi
aperti me lo ammoscia” e quello che dice Zeus
è legge, quando fa comodo.
«Per
prima cosa, qualcuno mi porti una camicia pulita» borbotta
facendo un cenno a
un’arpia di passaggio «Poi radunate tutti, bisogna
organizzare questa riunione.
Non posso mica servire ai miei parenti idromele di bassa
qualità e ambrosia del
secolo scorso».
«Se
ci dovesse essere Afrodite non farti
infinocchiare dai suoi occhioni azzurri e dalla sua voce melliflua,
è una vera
manipolatrice. E ricordati di essere sempre gentile con Ares, o di
mandarlo al
diavolo, è tuo cugino, ma è anche in parte tuo
fratello, insomma fai come ti
pare. E se Zeus o Apollo dovessero allungare le mani, ti autorizzo a
trasformarli in un cespuglio di rovi, o a scatenargli dietro
Cerbero» borbotta
Ade cercando, invano, di allacciare la cravatta.
«Lascia,
ci penso io» ride Persefone alzandosi
dalla poltrona sulla quale si è adagiata
nell’attesa «E quindi sono quasi tutti
miei zii, cugini e fratelli, giusto?»
Ade
annuisce, mentre le mani candide della ragazza
si muovono attorno al suo collo andando a formare un nodo perfetto.
«Ti
ho già detto quanto è disfunzionale la nostra
famiglia? E quanto tuo padre non sappia tenerselo nelle
mutande?» risponde Ade
a cui la vicinanza di Persefone fa sempre un effetto strano.
Lei
ride e gli posa un bacio leggero sulle labbra.
«Andrà
bene» gli sussurra e il suo cuore si
scioglie un pochino quando il dio degli inferi le sorride dolcemente,
le passa
una mano dietro la schiena e l’attira più vicina
per baciarla di nuovo.
Ade si
chiede per quanto tempo riuscirà a limitarsi
a baciarla, perché, davvero, se continua così
rischia di impazzire e nessuno
vuole un dio dei morti impazzito, che preleva anime a caso e lascia
uscire
titani dal tartaro per fargli fare passeggiatine serali
sull’olimpo. Forse è
meglio pensare ad altro, come alla comitiva di spostati che in quel
momento sta
facendo ingresso a casa sua.
Zeus
guida la truppa, e a vederlo con il suo
completo marrone, la camicia bianca, il viso abbronzato e i capelli
biondi,
sembra che non sia possibile che abbia un qualsiasi grado di parentela
con Ade,
la cui carnagione pallida è evidenziata dal completo total
black che indossa
quella sera (e Persefone ci ha provato a dirgli che camicia nera su
giacca nera
con cravatta nera forse era un po’ eccessivo, ma il dio degli
inferi non l’ha
ascoltata).
Segue
Poseidone, con un cappellino di paglia, una
maglietta azzurra con enormi fiori viola stampati sopra, un paio di
pantaloncini color kaki e quello stramaledetto ukulele sotto braccio; io glielo brucio, pensa Ade vedendolo
entrare.
Era
è particolarmente tranquilla, probabilmente si
è presa un’intera boccetta di Valium prima di
arrivare ed è, cosa assolutamente
incredibile, accompagnata da Ares e Afrodite, anche se Ade ricorda bene
che
durante l’ultima riunione la regina degli dei ha chiamato la
dea dell’amore con
epiteti non esattamente eleganti. Era Vacca
grassa? O forse, no, ricorda male, probabilmente si trattava
di Sgualdrina con le labbra rifatte.
In
ogni caso, lui lo sa, Afrodite è lì solamente per
godersi lo spettacolo, non
certo per aiutare una divinità sotto sedativi. Seguono gli
altri figli di Zeus:
Dioniso, Apollo ed Ermes, mancano solo Efesto e Atena, che, pur essendo
gli
unici veramente ben accetti in quel luogo, non sono riusciti a venire.
A
chiudere la fila ecco Demetra (che in realtà tutti si
aspettavano sarebbe entrata
per prima urlando come una furia e mettendo a soqquadro ogni cosa)
accompagnata
da Artemide.
Non
c’è nemmeno bisogno di aspettare che lo
salutino, perché inizi la scenata plateale della dea
dell’agricoltura.
«Tu!»
esclama la donna puntando un lungo dito
abbronzato contro il dio dei morti.
«Io»
Ade rotea le pupille e va a sedersi sul suo
scranno, ad un’estremità di un enorme tavolo
rotondo che ha fatto preparare
apposta (rotondo, così che nessuno litighi per chi deve
stare a capotavola).
«Hai
rapito la mia bambina! La mia meravigliosa,
innocente bambina! Zeus, digli qualcosa!»
Il capo
degli dei, osserva Demetra, poi lancia uno
sguardo a suo fratello, la cui aria non potrebbe essere più
scocciata di così,
quindi a quella che immagina essere Persefone, e porca
merda, capisce perfettamente cosa abbia spinto Ade!
«Dammi
il cinque fratello! Sei grande!» esclama
avvicinandosi con il braccio per aria.
«Zeus!»
Demetra è sull’orlo del collasso.
«Padre!»
rincara la dose Artemide, che è sempre la
prima a difendere le fanciulle il cui onore è stato
macchiato da qualche
maschio senza dignità.
«Sì,
sì. Ade sei stato molto cattivo! Cattivo Ade»
borbotta sedendosi a fianco del fratello e dandogli di gomito.
Ora lo ammazzo
e getto il suo cadavere a concimare le praterie degli
Asfodeli, pensa il dio
dei morti esasperato.
In quel
momento, fortunatamente, interviene
Persefone, meravigliosa nel suo lungo abito verde e arancione.
«Madre,
ora smettila! Ade non mi ha rapito, lo sai
benissimo!»
Il
gruppo di divinità alle spalle di Demetra
esplode in una fiumana di commenti: “Mi
sembrava strano”, “Ade
non è come
quel porco di papà”, e anche “Demetra,
mi hai presa in giro, stronza!” probabilmente di
Artemide stessa.
«Son
scappata di casa perché ero stufa di vivere
segregata tra quattro mura, perché ero stufa di non poter
fare niente, di non conoscere
la mia famiglia e di non poter avere una vita».
«Figlia
ingrata!»
«Piantatela!»
esclama Zeus, e la sua voce risuona
potente come un fulmine per tutta la sala «Prendete posto.
Adesso. O andate a
ubriacarvi da qualche parte, oh! Ciao Ecate!»
«Ciao
questo paio di palle! Mi devi ancora dei soldi dall’ultima
guerra, bastardo!»
risponde la donna con astio, ora dimostra almeno quarantacinque anni e
indossa
un tailleur nero; al suo fianco Thanatos ridacchia sotto i baffi,
lanciando
occhiate d’intesa a Dioniso.
Qualcuno
si siede, qualcuno segue il consiglio di
suo padre e, con un’anfora sottobraccio, si fa strada verso
la terrazza;
Demetra sulla sua sedia sembra affranta, i suoi ricci si sono
afflosciati e il
suo sorriso si è spento, Era li fissa tutti come se fossero
idioti (e
probabilmente ha ragione). Al tavolo oltre a loro si sono seduti
Persefone,
Afrodite e Poseidone, che pare veramente molto impegnato ad accordare
l’ukulele.
«Merda,
dovevo farlo fare ad Apollo! A quest’ora
avrebbe già finito!»
«L’unica
cosa che dovevi fare, fratello, era
lasciarlo a casa quello schifo di coso!» borbotta Ade
innervosito dal rumore,
passandosi le dita lungo le tempie e facendosi versare due dita di
vino,
sapendo che non lo calmerà comunque.
«Schifo
farà il tuo completo da becchino! Lo sai da
quanto tempo giriamo assieme io e questo strumento? Lo sai?»
esclama il dio del
bare con voce tonante «Mi è stato regalato nel
1920 da Ukelele Ike!»
Afrodite
si mette le mani nei capelli, Zeus sbatte
la testa contro il tavolo.
«Fantastico»
borbotta Era aprendo una boccetta di
Valium «Di nuovo la storia di quello strumento del cazzo.
Vuoi cara?»
Demetra
scuote disperatamente la testa all’offerta
della sorella mentre lancia occhiate di sottecchi a sua figlia, che,
seduta a
sinistra di Ade, osserva con interesse i membri di una famiglia a cui
non è
nemmeno stata presentata.
«…e
dopo che lo trassi in salvo dalla tempesta,
Clif per ringraziarmi mi regalò il suo primo Ukulele e mi
insegnò anche a
suonarlo! E poi dicono che i mortali non fanno più niente
per noi!» Poseidone finalmente
conclude la sua storia, che tutti hanno cercato di ignorare visto che
è stata
raccontata almeno ottanta volte negli ultimi novant’anni.
«Parla
per te. Io sono ancora parecchio apprezzata
dai pagani» ridacchia Ecate avvicinandosi al tavolo con un
bicchiere di martini
in mano, si appoggia alla spalla di Zeus e, approfittando bassamente
dello
stato di rincoglionimento di Era, gli sussurra «Peccato che
queste religioni
neopagane diano maggiore spazio alle divinità femminili, non
trovi. Chi è che
prega Zeus al giorno d’oggi? Ah, sì,
nessuno».
Scompare
ridacchiando, evitando per un pelo un
fulmine, mentre il re degli Dei mastica silenziosamente maledizioni tra
i
denti.
«Quando
avete finito di dare sfoggio di tutte le
vostre tare mentali» interviene Ade sarcastico
«C’è qualcuno che vorrei
presentarvi».
Porge
la mano a Persefone per aiutarla ad alzarsi e
le sorride (cosa che ovviamente ai suoi fratelli non sfugge).
«Vi
presento Persefone, che Demetra ha gentilmente
nascosto per tutti questi secoli».
La
ragazza sorride timidamente e azzarda un timido
“Come va?”,
prima di essere
bruscamente interrotta da Zeus che, rovesciata la sedia (ma
mi raccomando, comportiamoci pure come se i mobili fossero IKEA),
le si avvicina e la abbraccia con foga.
«Demetra!
Come hai potuto nascondermi una figlia
così bella!»
Probabilmente
perché sei un porco, è
il pensiero che sfreccia
nelle teste di tutti i presenti al tavolo.
«Sei
bellina davvero» interviene Afrodite
approvando silenziosamente i capelli ramati e il viso delicato.
Persefone,
ancora stretta nell’abbraccio paterno,
arrossisce: «Grazie, ma tu sei molto più
bella».
Sceglie
di seguire i suggerimenti di Ade, consapevole
di quanto gli dei possano essere permalosi a volte.
«Ben
detto, tesoro» ridacchia Afrodite sistemandosi
una ciocca bionda oltre l’orecchio «Ora, se questi
vecchi rompiscatole si
decidono a lasciarti andare, ti porto a conoscere il resto della
famiglia.
Visto che tua madre non sembra intenzionata a farlo».
Demetra
mastica un’imprecazione tra i denti e si
trattiene dal sollevare il dito medio all’insegna della dea
della bellezza, si
alza con un moto di stizza e, lanciando uno sguardo glaciale a tutti,
si avvicina
alla figlia.
«Non
sarò intenzionata a farlo, ma nulla mi vieta di
venire con voi» anche perché a quanto pare
è l’unica occasione che ha per
parlare con Persefone e non vuole sprecarla.
Come
scompaiono dietro la porta Zeus si rimette a
sedere e si scambia uno sguardo d’intesa con Poseidone.
«Dunque»
comincia il re degli dei «Persefone, eh?»
«Persefone
cosa?» domanda di rimando Ade, già
scocciato.
«Tu
e lei, sotto lo stesso tetto… Sì, insomma, mi
stai dicendo che non è successo niente?» passa una
mano sulla spalla del
fratello con fare complice, mentre in sottofondo Poseidone suona due
note col
suo fido strumento, come ad accompagnare l’insinuazione di
Zeus.
Ade
vira dal bianco lenzuolo al fucsia rossetto di
Ecate.
«Devi
ammettere, fratello» interviene il dio del
mare «Che tu non sei mai stato tipo da soccorrere damigelle
in difficoltà o da
prestarsi alle richieste di chiunque, anche quando si trattava di belle
donne».
«Te
la sei fatta?» continua Zeus, realmente
interessato.
«Siete
dei bastardi! E no, non ci sono andato a
letto!» esclama il dio dei morti imbarazzatissimo.
«Ma
se l’è fatta» borbotta Era intervenendo
per la
prima volta nella discussione e attirando su di sé una serie
di sguardi
sorpresi.
«Cosa,
cosa c’è? Solo perché sono donna non
posso
parlare? Guardate che sono la dea del matrimonio, queste cose le noto.
Tra voi
due c’è così tanta tensione sessuale
non risolta che Elena e Paride
impallidiscono al confronto».
«Ecco
la donna che ho sposato!» interviene Zeus
ridendo e prendendole la mano, in uno dei suoi rari slanci
d’affetto.
«Ma
tu non eri strafatta di ansiolitici? Che ne so
Valium, Prozac, Lexotan, Tavor, Oblivon, niente eh?» domanda
Ade, che ora è
dello stesso colore dei capelli di Persefone.
«Io
la trovo carina» esclama Poseidone, mollando
finalmente l’ukulele sul tavolo e facendosi più
vicino «Secondo me sareste una
bella coppia».
«Se
ti senti in colpa perché è mia figlia non
farlo, hai la mia benedizione!»
«Mi
sento in colpa perché è mia nipote,
idiota!»
«Oh,
certo» borbotta nuovamente Era sarcastica
«Perché siamo sempre stati così attenti
a queste cose noi, niente incesto,
assolutamente».
«Senza
contare, che se non te la fai tu me la
faccio io!» esclama Zeus convinto, ricevendo uno scappellotto
dalla moglie.
«Per
Urano! È tua figlia! Non hai un minimo di
decenza?» persino Poseidone è schifato.
«No»
è la placida risposta del dio del cielo.
«Zeus,
io te lo dico. Sei mio fratello, e,
nonostante la tua insopportabile testa di cazzo, ti voglio anche bene.
Ma se ci
provi sei morto» borbotta Ade, incrociando le braccia sul
petto con fare
oltraggiato e strappando una risata ai presenti.
«…il
tizio sdraiato sul parapetto a provarci con le
arpie è Ermes e quello che abbraccia la giara cantando
è Dioniso» conclude
Afrodite, che stringe la mano a un uomo grande e grosso con iridi di
fuoco e
ispidi capelli neri.
«Donne e
giovinetti amanti, viva Bacco e viva Amore! Ciascun suoni, balli e
canti!»
sta gridando a squarciagola il dio del vino, con un braccio stretto
attorno
alla giara di vino e l’altro sulla spalla di Thanatos.
«In
realtà gli viene meglio quando c’è Eros
con
lui» borbotta Ares, riferendosi agli orribili duetti di suo
figlio e Dioniso.
«Solo
perché sono due spostati» rimbrotta Demetra,
ma Persefone sta ridendo.
Apollo
le si avvicina baldanzoso e la invita a unirsi
a loro, seduta in un angolo Artemide sbuffa, ancora offesa per essersi
fatta
raggirare in quel modo da sua zia.
«Benvenuta
in famiglia!» esclama il biondissimo dio
del sole porgendole un bicchiere di vino.
«Grazie»
risponde la ragazza arrossendo.
«Se
avessi saputo che stavi bene me ne sarei
rimasta a casa» mugugna la dea vergine sorseggiando di
malavoglia un bicchiere
di ambrosia.
«Oh,
ma io sono tanto contenta di averti
conosciuta, Artemide! Ho sentito così tanto parlare di te,
ti ammiro tanto!»
Persefone cerca di risollevare il morale sorella-cugina, riuscendo a
strapparle
un sorriso.
«Oh,
gente, dovete sentire Dioniso, sta raccontando
di quella volta che –» Thanatos viene interrotto
dal dio del vino stesso che si
fa avanti ciondolando.
«Stavo
parlando io! Vi ricordate quella volta, al
compleanno di Ade, quando Eros si è presentato con Eos e
Selene e ha cercato di
presentarle a Phobos e Deimos, dicendo che erano troppo soli e gli
mettevano
tristezza?»
Apollo
scoppia a ridere: «E invece di accettare
quei due l’hanno inseguito per tutto il ristorante, dandogli
dello stronzo
perché li aveva definiti tristi. E chi se lo
scorda».
«E
rincorrendosi sono inciampati nella scultura di
ghiaccio, che crollando ha ribaltato il tavolo» aggiunge
Ermes tra i singulti.
«E
Zeus ed Era si sono ritrovati coperti di salsa
rosa e zuppa di miso» finisce Artemide che non riesce a
respirare.
Persefone
li guarda e ride con loro, un calore
sconosciuto le si fa strada nel petto, mentre per la prima volta si
trova circondata
da gente uguale a lei, persone per cui è più di
un’estranea, persone che
cercano di rimediare al tempo perduto raccontandole aneddoti del
passato. E in
parte è ancora tremendamente arrabbiata con sua madre, che
fino a quel momento
l’ha privata della possibilità di avere una
famiglia, ma se dovesse bilanciare
i sentimenti sarebbe più forte la felicità che
prova in quel momento, con il
braccio di Artemide sulle spalle e Apollo che gesticola imitando il
verso di
qualche animale.
È
a casa e ha di nuovo una famiglia ed è tutto
merito di Ade; questa consapevolezza la fa sorridere e Persefone si
rende conto
di volerlo lì, si rende conto che sarebbe tutto ancora
più perfetto se Ade
fosse lì adesso, a ridere con lei.
A
interrompere il momento ci pensa Demetra, che, ripresasi
dallo stato di sconforto iniziale, afferra la figlia per un braccio e
la tira
in piedi per poi prenderle dalle mani il bicchiere di vino.
«Non
posso crederci! Non solo sei scappata di casa,
ma ti sei pure data all’alcool!?»
Persefone
sbatte le ciglia osservando il calice
mentre compie un perfetto arco e si sfracella per terra.
«Lo
sapevo io che l’Averno ti avrebbe rovinata»
continua la dea.
Prende
la figlia per il polso e inizia a
trascinarsela dietro.
«Madre,
cosa stai facendo?»
«Ti
porto a casa, lontana da questa desolazione,
dove arrivano i raggi del sole» esclama Demetra, e la sua
scenata inizia ad
attirare l’attenzione, non solo di coloro che si trovano
sulla terrazza, ma
anche di quegli dei che sono rimasti all’interno.
Persefone
si ferma di colpo e si divincola dalla
presa ferma di sua madre.
«No»
risponde con rabbia.
«Scusa,
come?»
«No»
ripete la ragazza fissando i suoi profondi
occhi verdi in quelli nocciola della madre «Non
tornerò indietro con te. Quella
non è casa mia, è casa tua. E io sono stufa di
seguirti come un cane e di non
poter fare niente. Io resto qui».
Zeus,
Poseidone e Ade osservano la scena dalla
portafinestra che dà sul terrazzo, la bocca di tutti e tre
è spalancata, gli
occhi sono sgranati ed Era, in piedi di fronte a loro, trattiene una
risatina
nel vedere come i suoi fratelli si assomiglino nelle piccole cose pur
essendo
così diversi fisicamente.
«Qui?
Qui nell’Averno? Oh, per piacere! In questo
posto c’è solo morte e buio e nebbia, non fa per
te».
«Sei
tu che vedi solo morte, solo il buio, solo la
nebbia, perché non riesci ad andare oltre la superficie!
C’è molto più calore
qui che in quella che tu chiami casa, con un fuoco acceso e il sole che
entra
dalla finestra!» ora Persefone sta urlando, un leggero
rossore si è diffuso
sulle sue guance e gli occhi brillano di rabbia e passione.
«Quella
è anche casa tua, bambina» risponde Demetra
irata.
«No,
fidati, Madre, quella non è mai stata casa
mia!»
«E
invece questa sì? L’Averno non è casa
tua,
Persefone» ed è così sicura mentre lo
dice che la giovane dea della primavera
sente l’impulso di prenderla a schiaffi ed è una
sensazione del tutto nuova,
perché mai ha sentito così tanta rabbia nei
confronti di sua madre.
Abbassa
gli occhi e infila una mano nella tasca del
vestito, in cui riposa un leggero involto di stoffa rossa.
«Ma
potrebbe esserlo» mormora tra i denti a voce
così bassa che Demetra riesce a malapena a sentirla.
«Come
hai detto? Conosci le mie idee sul borbottio».
«Ho
detto» Persefone solleva il capo e la fissa
nuovamente negli occhi, per poi spostare lo sguardo prima su Thanatos
(e sa che
il cenno di approvazione con cui le risponde non se
l’è immaginato) e poi su
Ade, che la fissa a metà tra l’ammirato e il
preoccupato «Ho detto che potrebbe
esserlo».
«Oh,
smettila di dire scemenze, verrai con me a
costo di trascinarti fuori da qui a forza, Zeus!?»
Nessuno
si aspetta quanto accade dopo, Persefone
estrae dalla tasca del vestito un fagotto di stoffa, così
piccolo che nemmeno
le sporge dalla mano, lo apre e di fronte allo sguardo attonito dei
presenti ne
mostra il contenuto: semi.
Quando
Ade si rende conto di cosa sono è troppo
tardi, non fa in tempo ad urlarle di non farlo che già lei
se li è portati alla
bocca e li ha ingeriti; quando la raggiunge i suoi occhi neri mandano
lampi, la
scuote per le spalle e ringhia: «Persefone, cosa hai
fatto?»
«Cos’è?
Ade, cos’era?» domanda Demetra, preoccupata
nel vedere lo scatto d’ira del fratello, perché il
dio dei morti non si infuria
mai, non si agita mai e non lascia mai che le emozioni prendano il
sopravvento.
«Semi
di melograno» mormora l’uomo a mezza voce
«Presi dal mio giardino».
Non
è solo Demetra a impallidire a quella risposta
e un brusio inquieto di domande concitate e proteste sommesse invade la
terrazza, ognuno sembra impegnato a dire la sua; Ade non sente niente,
i suoi
occhi rimangono fissi in quelli di Persefone, che da parte sua si
rifiuta di
interrompere quel contatto.
«Dove
li hai presi?» e la domanda del dio dei morti
è un sussurro roco, si contiene a fatica e la ragazza lo
nota. Scuote il capo,
rifiutandosi di rispondere.
«Si
può sapere che diamine sta succedendo?» domanda
in quel momento Ecate comparendo dall’interno del palazzo, ha
sedici anni e un
brutto paio di leggins zebrati indosso.
Ade la
ignora, ma non Demetra che le si avventa
contro puntatole un dito dorato a mezzo centimetro dal naso.
«Tu!»
esclama furibonda «Sei stata tu! Mi hai
sempre odiato».
«A
fare cosa? Cioè, non sto negando che mi stai sul
cazzo, ma non ho fatto nulla. A meno che tu non stia chiedendo chi
è stato a
spargere il diserbante sulle tue azalee».
«Ti
avevo detto che non ero stata io!» esclama
Persefone da dietro il dio dei morti.
Demetra
la zittisce con un gesto della mano e i
suoi occhi tornano a posarsi sulla donna di fronte a lei.
«Sei
stata tu a dare a mia figlia i semi di
melograno, non è così!?»
«No»
risponde per lei una voce maschile «Sono stato
io».
Thanatos
si avvicina, gli occhi rossi brillano di
sicurezza e spavalderia, non teme nessuno il dio della morte, e non
risponde a
nessuno, nessuno tranne Ade. Appoggia una mano sulla spalla di Ecate e
fissa lo
sguardo sul Re dell’Averno.
«Sono
entrato nel tuo giardino, ho preso uno dei
frutti del tuo melograno e ho dato a Persefone i semi».
«Quanti?»
ruggisce il dio dei morti.
«Sei».
«Ade,
ti prego. Non prendertela con lui» la giovane
dea della primavera gli afferra la mano con le proprie e lo costringe a
guardarla negli occhi «Gliel’ho chiesto io, sapevo
a cosa andavo incontro, ma è
stata una mia scelta».
L’uomo
si libera debolmente dalla presa e si passa
una mano stanca sul volto; lancia un’occhiata disperata ai
fratelli, che
fortunatamente capiscono al volo, ma ancora prima che possano
intervenire è Era
stessa a prendere l’iniziativa.
«Credo
sia il momento di levarci tutti dalle palle,
anche tu Demetra. Vieni cara, ho del Nirvanil nella tasca della giacca
che
credo potrebbe farti bene».
«Lasciane
un po’ anche a me» si lamenta Ade
disperato.
«Tranquillo,
ti ho lasciato del Nottem sul tavolo».
Persefone
osserva le fiamme crepitare nel camino, sono
verdi e fredde e creano strane sfumature di luce sulle pareti; si trova
nelle
stanze di Ade ed è la prima volta che ci mette piede, ma il
dio era così
furioso prima: l’ha trascinata per tutta la reggia,
l’ha fatta entrare e se ne
è andato sbattendo la porta, dicendo qualcosa a proposito
dello sistemare
Thanatos una volta per tutte. E ora lei aspetta.
Cammina
distrattamente per la stanza, osserva i
dettagli, il mobilio e cerca di incamerare ogni informazione; nota come
sia
tutto ordinato, non ci sono vestiti fuori posto, non ci sono
soprammobili che
stonino, né libri o riviste in giro, il portatile che tante
volte a visto nel
bar è appoggiato su una scrivania, nel centro esatto del
piano. Forse è un po’
ossessivo compulsivo, pensa dentro di sé, mentre si affaccia
alla camera da
letto; vorrebbe entrare, ma si limita a osservare il grande baldacchino
da
lontano.
Quando
Ade ritorna ha la cravatta allentata, la
giacca del completo in mano e l’aria stanca di chi
è appena sopravvissuto a un
litigio con un mentecatto.
«Non
ho ucciso Thanatos» esordisce, mentre
Persefone gli va incontro, pensando che quello sia già un
inizio positivo: niente
vittime accidentali.
«Ade,
io-»
«No,
Ade un corno! Hai idea di cosa hai fatto? E
meno male che sono solo sei semi, pensa se avessi mangiato un intero
frutto!»
lancia la giacca sul divano e si volta verso di lei.
«Mi
hai chiesto tu di restare» mormora Persefone
abbassando lo sguardo e lui si sente un verme, perché,
sì, è vero, è stato lui
a dirle che quella sarebbe potuta essere anche casa sua, ma non
intendeva questo.
«Ma
non pensavo a questo prezzo» risponde
avvicinandosi e accarezzandole il viso.
La dea
della primavera strofina la guancia contro
la mano insolitamente calda dell’uomo e sorride.
«Sono
consapevole di quello che ho fatto. Sei semi,
sei mesi. Ho pensato anche di mangiarne di più, ma sono pur
sempre la dea della
primavera e devo fare la mia parte, anche se – lo sai
– quasi tutto il lavoro
lo fa già Gea, con le stagioni».
«Persefone
sono sei mesi chiusa qui dentro, sei
mesi in cui non potrai allontanarti per più di quarantotto
ore; la tua vita è
legata all’Averno ora, ne fai parte».
La
ragazza lo guarda negli occhi e sorride.
«Anche
tu ne fai parte Ade, e ora ne facciamo parte
insieme: sono sei mesi con te».
Il dio
dei morti vorrebbe trovare la forza di
ribattere, di dirle che è sbagliato e che non è
giusto, ma non riesce a farcela,
perché in quel momento si sente come se il cuore dovesse
saltargli fuori dal
petto per dargli del pollo innamorato, ed è felice,
irrimediabilmente felice:
Persefone ha scelto lui.
La dea
gli appoggia le mani sul torace e lascia che
Ade la stringa contro di sé, poi lo fissa negli occhi e
sorride, sollevandosi
in punta di piedi e baciandolo con delicatezza. Un braccio
dell’uomo risale lungo
la sua schiena accarezzandone la linea sinuosa, fino ad immergersi nei
suoi
capelli, mentre l’altro la stringe in vita sollevandola
appena.
Persefone
socchiude la bocca per dargli libero accesso
e Ade non si fa pregare, le morde il labbro inferiore e continua a
baciarla,
lasciando che sia la sua lingua a scegliere il ritmo.
«Wow»
mormora la ragazza quando il bacio finisce.
I suoi
occhi verdi brillano di desiderio e, quando
gli sorride, Ade si trattiene dal ricominciare a baciarla di nuovo,
magari
questa volta trascinandosela addosso da qualche parte: il divano
dovrebbe
essere comodo.
Come se
gli avesse letto nel pensiero Persefone lo
afferra per la cravatta e, camminando all’indietro, con gli
occhi ancora fissi
nei suoi, inizia a trascinarlo verso la camera da letto.
«Ti
ho già detto» gli sussurra con fare sornione
mentre Ade chiude la porta «Che amo le tue
cravatte?».
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