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18. Show Must Begin…
“Sono tornata.”
Annunciò Ai
entrando in casa, prima di poggiare la cartella all’ingresso e dirigersi verso
il divano. Dietro di lei fece capolino Conan, che al contrario filò dritto
davanti alla macchina delle intercettazioni, le sopracciglia inarcate.
“Ciao Ai, e ciao
anche a te, Shinichi.” Disse il professor Agasa, per nulla sorpreso di vederlo
lì: Conan non era stato per nulla felice di apprendere che, dato che la cimice e
la trasmittente erano molto più sofisticati e coprivano un’area maggiore di
quelli che usava di solito, non avrebbe potuto seguire le trasmissioni con i
suoi occhiali. Non poter tenere d’occhio la situazione minuto per minuto era
stato a dir poco frustrante, per lui.
“Novità?” chiese
il giovane detective brusco, senza smettere di fissare il macchinario e cercando
di decifrare invano i tabulati. Ai distolse lo sguardo dalla rivista che aveva
aperto, in ascolto, cosa che fece sorridere l’anziano dottore: anche se non
l’avrebbe mai mostrato, anche lei era ansiosa di conoscere gli sviluppi.
“La trasmittente
segnala che il sospettato MIB1 si trova in un luogo a 60km est da qui. La cimice
non ha ancora dato risultati, per ora.” Lo informò con tono pomposo.
“Il sospettato
MIB1!?” chiese Conan, alzando un sopracciglio con una strana espressione.
“Gin. Non l’avevi
capito?” rispose incredulo il dottore.
“Certo che
l’avevo capito!” replicò Conan esasperato “Quello che volevo sapere è perché
MIB…Oh mio Dio.”
Esclamò infine
scuotendo la testa, cosa che lo infastidì non poco.
“Men In
Black…come il film. Ci calza a pennello…in fondo, sono gli Uomini in
Nero.”
“Grazie, Ai-kun.”
Disse il professore con un sorriso.
Conan sbuffò e
socchiuse gli occhi, mormorando qualcosa che sembrava “Ma guarda con che
buffoni mi tocca lavorare” e il professore lo guardò risentito, un po’ come
quando lo criticava per le sue invenzioni.
“Non ti piace
Shin-chan? L’idea è stata mia.”
Conan rabbrividì,
sbarrando gli occhi: no, non era possibile, quella voce…
Si voltò,
ritrovandosi davanti una donna molto attraente, di trentasette anni, con una
folta chioma rosso scuro e un sorriso dolcissimo sulle labbra, che lo colse di
sorpresa abbracciandolo stretto prima che potesse sottrarvisi.
“MAMMA!?!?”
soffiò, più che pronunciare, dato che lo stava quasi soffocando.
“Ciao piccolo! Ti
sono mancata?” disse, staccandosi e baciandolo sulla guancia, lasciandogli
un’impronta di rossetto cremisi ben visibile. Lui arrossì, pulendosi col dorso
della mano, mentre Ai ghignava un “Che teneri.”
“Che ci fai qui??
E dov’è papà?”
“Serve un motivo
per venire a trovare il mio bambino?” notò che aveva ignorato volutamente la
seconda domanda.
“Hmph.” Si
allontanò da lei con aria seccata, sedendosi sul divano, accanto alla biondina.
“Oh! E questa
bambina chi è?” chiese Yukiko Kudo, rivolgendosi a lui.
“Si chiama Ai. Sa
di me, ma possiamo fidarci.” Si limitò a spiegarle suo figlio. Inspiegabilmente,
la piccola scienziata sorrise quando udì le ultime parole.
“Piacere, Ai-chan.”
Yukiko le strinse la mano con un sorriso “Sarebbe piacevole conoscerci meglio,
piccolina. Ho sempre desiderato una figlia femmina, lo sai?”
“Scusa tanto se
sono nato maschio.” Brontolò Conan leggermente risentito. Lei gli scompigliò i
capelli con affetto prima di rivolgersi di nuovo ad Ai. “Allora che ne dici?
Potremmo uscire qualche volta.”
Ai batté più
volte le palpebre, scrutandola attentamente, poi scrollò le spalle. “Se le va…”
Yukiko annuì,
rivolgendosi di nuovo a suo figlio.
“Agasa mi ha
raccontato tutto, hai un piano, vero Shin-chan? Non mi va che corri rischi
inutili…” disse, una nota di preoccupazione nella voce. Conan la guardò negli
occhi, dello stesso colore dei propri, parlando in tono serio.
“Non
preoccuparti, mamma. Sono preparato.” Si limitò a dire, accennando un sorriso
rassicurante.
“Dunque hai un
piano…di che si tratta?” insisté, lui scosse la testa.
“Meno ne sai,
meglio è, credimi.”
“È un po’ la sua
filosofia di vita, almeno per quanto riguarda chiunque tranne se stesso.”
Commentò Ai, facendo ridere la madre e sbuffare il figlio.
“Ah, Shin-chan…come
sta Ran? Ho saputo del trambusto di ieri sera…” chiese la donna con apprensione.
Conan distolse lo sguardo da quello di lei. “Sai com’è fatta…è una ragazza
forte. Stamattina stava meglio, anche se…non importa. Lasciamo stare.” Aveva
parlato con voce molto fioca, chiudendo gli occhi verso la fine.
“Oooh, povera
cara…vorrà dire che andrò a parlarle, più tardi.”
“Non è una buona
idea.” Rispose Conan in fretta. Se c’era una cosa che aveva imparato nella sua
vita di unico figlio dei Kudo, era questa: Mai lasciare i genitori
incustoditi. Era terrorizzato all’idea di quello che avrebbe potuto
combinare.
“Io credo di sì.”
Replicò Yukiko, inarcando le sopracciglia e buttandosi dietro le spalle la folta
chioma.
“Non puoi
farlo!”
“E chi me lo
impedirà? Tu, moccioso?” sorrise maligna, con un’espressione di superiorità
davvero simile a quella del figlio quando incastrava un colpevole. Una faccia
del tipo: è inutile che insisti, vinco io e tu non puoi
farci niente.
Conan sbuffò,
socchiudendo gli occhi e incrociando le braccia. Tutti e tre i suoi
interlocutori ritennero troppo pericoloso informarlo che in quello stato
sembrava realmente un bambino di sette anni imbronciato.
Ciononostante,
dietro quella smorfia arrabbiata, la sua mente di detective si era attivata: non
riusciva a capire cosa fosse esattamente, ma percepiva che gli fosse
sfuggito qualcosa. Non era la prima volta che succedeva, spesso qualche
particolare che non ricordava l’aveva tormentato, durante le sue indagini: di
frequente si trattava di qualche cosa che magari aveva visto, o sentito o notato
di sfuggita e a cui non aveva dato peso, che però poi si rivelava fondamentale
per la risoluzione del caso. L’aveva sempre infastidito a non finire, quella
sensazione orribile, come di un nodo all’altezza del cervello che non riusciva a
sciogliere; e adesso si sentiva proprio così, senza arrivare a capire cosa fosse
esattamente la cosa che non quadrava.
Spero almeno
che non si tratti di qualcosa che riguarda ieri, contro Gin e Vodka…Uffa perché
non ne vengo a capo?? Pensa, Kudo, PENSA…
Si portò senza
nemmeno accorgersene le dita alle tempie, cominciando a muoverle in circolo,
esortando la mente a lavorare. Tutti e tre lo guardarono sorpresi:
“Qualcosa non va..?
Ti gira la testa?” chiese Yukiko, in ansia come qualunque madre del mondo
sarebbe stata al suo posto; Ai distolse di nuovo lo sguardo dalla rivista.
“Tutto okay,
mamma.” Rispose lui abbassando le mani. “È solo l’attesa…è un po’ snervante.”
“Oohh…hai
ragione! Potrei prepararti una bella tazza di camomilla, che ne dici, tesoro?”
“No, mamma, non
importa…” cercò di replicare, ma Yukiko era già diretta verso la cucina.
“Faccio in un
minuto. Non ti dispiace, vero Agasa? Ai-kun, perché non vieni ad aiutarmi?”
Nessuno ebbe il
tempo di rispondere. A dirla tutta, nessuno ebbe il tempo nemmeno di aprire la
bocca per rispondere, che sua madre era già in cucina. Ai scrollò le
spalle e si alzò.
“Bel tipo tua
madre, Kudo.” commentò prima di sparire a sua volta dietro la porta.
Conan sbuffò,
ricominciando a pensare a quel dannatissimo nodo da sciogliere. Cosa DIAVOLO era
che alla sua mente non stava bene?? Forse aveva a che fare con le informazioni
date dalla trasmittente..? 60km a est della casa del professore…non sembrava
quello. Comunque, meglio saperne di più, ora che quelle due erano fuori dai
piedi.
“Hai controllato
cosa c’è a 60km est da qui?” chiese, sperando di vedere un raggio di luce
nell’ombra.
“Sì, ho pensato
che me l’avresti chiesto. È un albergo, piuttosto lussuoso. Non si è mosso da lì
per tutto il giorno.”
Il che è
abbastanza strano...possibile che non abbia nulla da fare? Poco probabile, visto
il lavoro che fa…
Ma lui aveva
attaccato la trasmittente alla suola della scarpa, dove sarebbe stato più
difficile vederla. Dunque poteva sempre aver cambiato scarpe, quel giorno.
Pregava almeno che, togliendosele, non l’avesse vista.
No...l’avrebbe
distrutta…come l’ultima volta…
Sospirò, di nuovo
massaggiandosi le tempie. Le insidie che si nascondevano dietro quell’impresa
erano molte di più di quelle che aveva visto il giorno prima. Certo, trovare i
quartier generali, organizzare retate…una passeggiata, eh? Peccato che le
persone contro cui si stava mettendo erano un’Organizzazione internazionale di
assassini spietati; e per quanto fosse convinto che una persona che sceglieva la
strada della malavita non potesse essere poi così intelligente, doveva
ammettere suo malgrado che Gin era maledettamente astuto, oh sì; e lo era anche
Vermouth, e chissà quanti altri agenti di quella terribile Organizzazione. Come
aveva detto Heiji, si era cacciato in un gran brutto guaio.
Beh, Sherlock
Holmes era convinto che fosse più facile prevedere le mosse di un criminale che
agisce con metodo e intelligenza piuttosto di uno istintivo e stupido. Ne deduco
che dovrei sentirmi avvantaggiato…
Rise, il
professore lo guardò inarcando un sopracciglio cespuglioso, confuso; lui si
limitò a scuotere la testa in segno di rassicurazione. “E la cimice? Potrei
sentire cosa ha captato?”
“È inutile,
Shinichi. Non ci sono stati discorsi, o…”
“Lo so; ma voglio
ascoltarla lo stesso. Qualsiasi rumore può rivelarsi utile.” Disse in tono
saccente, il dottor Agasa sbuffò, cercando la registrazione.
“Urgh!”
Un dolore
lancinante lo colse all’improvviso all’altezza del cuore; si portò le mani al
petto, stringendo la stoffa della maglietta, mentre il suo corpo domandava
insistente ossigeno che i polmoni, pur lavorando affannosamente, non riuscivano
a immettere. Sentiva scosse di dolore convergere tutte contro il cuore,
violente, mentre la fronte cominciava a sudare freddo, il corpo che tremava
senza che riuscisse a bloccarlo. In pochi secondi, si sentì debolissimo e
malato, un sapore acido in bocca che gli faceva venir voglia di dare di stomaco.
“Shinichi!?!
SHINICHI, CHE TI SUCCEDE??” Il professore gli venne vicino, pallidissimo in
faccia.
Conan aprì la
bocca, cercando di dirgli qualcosa, ma le parole vennero sostituite da un grido
di sofferenza. Dio, si sentiva quasi…come se stesse…bruciando
vivo.
“Shinichi!? AI,
YUKIKO, VENITE PRESTO!”
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Ai si chiuse la
porta della cucina alle spalle, mettendosi le mani dietro la schiena e
aspettando richieste da parte della madre di Kudo. Lei prese il pentolino dallo
scolapiatti e lo riempì d’acqua, mettendo il tutto a bollire sul fornello.
“Dove tenete la
camomilla, piccola?”
“Primo sportello
da sinistra, terzo scaffale.” Rispose indifferente. Mentre sistemava le tazze
sul tavolo, notò che Yukiko aveva davvero un bel fisico, e per avere quasi
quarant’anni era davvero molto attraente. Yukiko Kudo era la dimostrazione
vivente che a non tutti serviva il suo composto per restare giovani a lungo. La
osservò attentamente inclinando la testa di lato. “Lei ha lavorato nel cinema?”
chiese, la donna sorrise a trentadue denti, arrossendo.
“Sì! Mi sorprende
che tu te lo ricordi. Ho smesso molti anni fa, quando mi sono sposata e ho avuto
Shin-chan.”
Ai scrollò le
spalle: “Il suo nome da nubile era qualcosa come…Fu…Fuji...”
“Fujimine, sì.”
annuì la donna. “Ma come lo sai?”
La piccola
scienziata abbassò lo sguardo sul pavimento. Ad Akemi piaceva molto vedere i
vecchi film; sosteneva che il cinema era decisamente peggiorato nei tempi
moderni, che tutto si giocava più sull’accaparrarsi gli attori famosi piuttosto
che sulla storia. Spesso erano state in disaccordo su questo punto, e non era
raro che i loro scambi di opinione si…animassero, qualche volta. Ma
quando le avevano divise, si era ritrovata a guardare a sua volta quei film,
nelle sere in cui si sentiva particolarmente sola, immaginando di stare con lei.
Spesso le dava conforto, sapere che probabilmente stavano guardando la stessa
pellicola. Era un po’ come se stessero insieme, e non a miglia di distanza.
Uno dei film
preferiti da sua sorella era proprio uno la cui protagonista era la signora qui
presente. Si intitolava “Amore e Morte a Broadway”, era uno di quei film pieni
di sparatorie, in cui la donna del capo criminale si innamorava del poliziotto
eroico. Alla fine, insieme riuscivano a sgominare la banda di assassini e si
sposavano.
La trama era
piuttosto scontata e decisamente troppo smielata per i suoi gusti. Akemi da
parte sua l’adorava, e frequentemente si era chiesta se le analogie con la loro
situazione c’entrassero qualcosa. Magari sua sorella si sentiva un pochino
rincuorata nel vedere che, aiutata da un poliziotto, la ragazza riusciva a
liberarsi dalla tirannia dell’organizzazione criminale. Non che lo credesse
veramente possibile…ma a volte capiva che doveva essere bello lasciarsi andare
nei sogni.
Come stava
facendo lei, no?
Ironia della
sorte, alla fine era stata lei a credere più di Akemi a quella favola della
buonanotte: e adesso, Kudo era il suo poliziotto eroico, e lei la donna che
cercava di staccarsi dall’organizzazione criminale. L’unico problema era che
dubitava fortemente che potessero vincere e finire sposati.
Anche se, pur
volendolo negare a se stessa…un po’ ancora si illudeva.
“Ho visto un suo
film.” Si limitò a informarla, reprimendo una fitta al cuore al pensiero che
avrebbe potuto chiederle un autografo per sua sorella, se quest’ultima fosse
stata ancora viva. Ne sarebbe stata contentissima.
Yukiko annuì
sorridente, mettendo il filtro nell’acqua ormai bollente.
“Piccola, dove
sono i tuoi genitori?” domandò la donna con noncuranza, riempiendo le tazze.
“Sono morti.”
Rispose cupa. Yukiko la guardò con gli occhi sbarrati, improvvisamente lucidi.
“Mi dispiace,
Ai-kun. Ma avrai qualche parente, no? Un fratello…o una sorella…”
“No. Anche mia
sorella se n’è andata.” Ai sentì un groppo in gola, difficile da inghiottire.
Smise di nuovo di guardarla.
“Oohh, povera
cara. Dev’essere stato difficile per te.” La sentì dire tristemente. “Ma…come è
successo?”
Ai scrollò le
spalle bruscamente. “È pronta la camomilla?” chiese, risoluta a non parlare più
dei fatti propri con una mezza estranea, seppure la madre di Kudo.
“Oh, sì. Mi
dispiace se sono stata inopportuna.” Si scusò, lei annuì.
“…anche se spero
che questa tua difficoltà a parlarne non voglia dire che ti senti in qualche
modo responsabile.”
“COSA?” sbarrò
gli occhi, guardando incredula la donna, che le sorrise gentilmente.
“Lasciamo stare,
andiamo di là.”
“NO, aspetti!
Cosa intendeva dire con..?”
“AI! YUKIKO!
VENITE PRESTO!”
La voce
terrorizzata del dottor Agasa le interruppe. Entrambe le donne, rimpicciolite o
meno, si precipitarono nel salotto, sbarrando gli occhi vedendo lo spettacolo
che gli si presentò davanti: il professore, bianco come un lenzuolo, era chino
vicino al divano, dove Conan giaceva sdraiato, il pugno all’altezza del petto,
gli occhi chiusi e la bocca serrata in una smorfia di dolore. Il viso e il collo
erano in fiamme, sudati. Tremava da capo a piedi.
“Ma cosa..?”
balbettò Yukiko, le mani sulla bocca.
Ai si avvicinò al
divano, apparentemente sempre fredda e risoluta, solo una sfumatura di
preoccupazione nei suoi occhi gelidi, la fronte aggrottata in quella che
sembrava una profonda concentrazione. Se avesse indossato il camice, sarebbe
sembrata davvero un medico che visitava un paziente. Mise due dita sul collo di
Conan.
“Da quant’è che
sta così?” chiese distaccata.
“Pochissimo, vi
ho chiamate subito. Non capisco, stava bene, e ad un tratto, ma che cos’ha?”
disse il professore tutto d’un fiato. Ai annuì.
“Signora, vada in
bagno, nel cassetto dei medicinali dev’esserci una scatola di Valium. Non sono
un medico, ma ho l’impressione che se il cuore continua a battergli in questo
modo potrebbe venirgli un infarto. Professore, vada in laboratorio, mi porti la
scatola blu che sta sul banco. In fretta.” Aggiunse, quando vide che esitavano.
Quando furono scomparsi, guardò l’orologio.
“Esattamente
quattro ore e trentasei minuti dalla comparsa dei primi sintomi.” Lanciò
un’occhiata a Conan, incapace di parlare, ancora ansimante sul divano. Se il
dolore gli aveva lasciato un po’ di spazio per pensare, sapeva quale era la sua
domanda. O la sua speranza…illusione…
“Mi dispiace,
Kudo. Non è come pensi. Ho paura di…di aver commesso un errore terribile.” La
voce divenne fioca nell’ultima parte, ma non sapeva se lui l’avesse udita.
Sembrava l’incarnazione del dolore stesso. Si mosse per asciugargli la fronte,
ma non fece in tempo: Yukiko era tornata con la confezione di Valium.
“Quante..?”
“Dieci gocce.”
Preferì dargli la dose consigliata ai bambini. La donna gliele fece prendere con
delicatezza, mentre il professore tornava con la scatola che gli aveva chiesto.
Conan non smise di agitarsi, gemendo ad una fitta di dolore particolarmente
forte.
“Quanto..?”
“Un quarto
d’ora.”
Ai aprì la
scatola, scorrendo velocemente i fogli, trovando un punto e cominciando a
studiarlo attentamente, la fronte aggrottata. Gli altri due non riuscivano a
credere che riuscisse a rimanere così impassibile. Ma lei sapeva benissimo che
agitarsi non serviva a un bel niente, doveva mantenere una mente fredda, se
voleva ragionare lucidamente.
Continuò a
studiare gli appunti, mentre i gemiti di dolore si attenuavano lentamente, fino
ad esaurirsi.
“Che cosa..?”
chiese Conan con voce flebile, roca, il respiro ancora affannoso, riuscendo ad
aprire gli occhi.
“Ti sei sentito
male, tesoro, ma ora va tutto bene, sta’ tranquillo.” Rispose Yukiko,
asciugandogli il sudore con una salvietta. “Vedo di nuovo i tuoi bellissimi
occhi azzurri, Shin-chan.” Aggiunse con un sorriso.
“Ma, perché mi
sono sentito male? Ai..?” chiese, un fil di voce, voltando leggermente la testa
verso di lei.
“Colpa della
capsula che hai ingerito ieri.”
“Vuol dire
che…sta per fare effetto?” chiese fiducioso.
“No.” Preferì
distruggere subito le sue speranze, evitando di guardarlo negli occhi per non
vedere la sua delusione. “Non ne sono sicura, ma ho una teoria: le dosi non
erano abbastanza per trasformarti, ma il tuo metabolismo ne è stato comunque
danneggiato. A questo punto, c’è una sola soluzione. Procedere con un programma
di disintossicazione, in poche parole: non somministrarti nulla per i prossimi
mesi.”
“Giusto.” Dissero
in coro il professor Agasa e Yukiko. Ai lo guardò e vide i suoi occhi blu
puntati su di lei, anche se le palpebre non erano completamente aperte. Il suo
sguardo era intenso.
“Bene.” Commentò
Conan “Faremo così. Non ho altra scelta, d’altronde.” Riuscì a sorridere,
nonostante il ricordo del dolore appena sopportato fosse ancora vivo nel suo
corpo, sempre rivolto a lei. Poi si voltò verso sua madre: “Vorrei riposare un
po’, se non vi dispiace. Potete lasciarmi solo?”
Il dottor Agasa e
Yukiko annuirono, lasciando la stanza. Ai fece per imitarli, rimasta indietro
per raccogliere le carte, ma la voce di Conan, che aveva ripreso un po’ di
colore, la bloccò:
“C’è un’altra
possibilità, vero?”
Non era una vera
domanda, piuttosto una considerazione in forma interrogativa. La piccola
scienziata lo guardò: sullo stesso volto prima invaso dalla sofferenza, riuscì a
formarsi un’espressione astuta appartenente più a Shinichi che a Conan. Gli
occhi blu brillavano e le labbra le sorridevano ancora, in modo scaltro.
“Cosa te lo fa
pensare?” ribatté in tono indifferente.
“Chiamala
un’intuizione. Avanti, dimmi la verità.”
“D’accordo.” Si
arrese con un sospiro. Capì che sarebbe stato inutile insistere: Kudo era
testardo come un mulo, quando ci si metteva, sapeva che non avrebbe lasciato
correre. Fece comunque un ultimo tentativo:
“Ma ritengo che
sia molto meglio optare per la prima possibilità.”
“Sta a me
decidere della mia vita, Ai. Non mi va di discutere, sono distrutto, perciò
adesso dimmi qual’è l’altra.” Insisté lui, spazientito.
“Va bene.
Procedendo con la prima soluzione…”
“Ancora..! Ho
detto che voglio sentire l’altra!” esclamò esasperato. Ai gli scoccò uno sguardo
temibile che lo zittì all’istante.
“Procedendo con
la prima soluzione, il composto continuerebbe a premere sul tuo metabolismo,
cercando di sfociare in quello che è la sua riuscita, ovvero farti crescere. Ma
le dosi non sono sufficienti e ciò si tramuterebbe quindi in attacchi come
quello di oggi, sempre meno violenti, che si esaurirebbero una volta che il tuo
corpo avesse assorbito completamente la capsula.” Spiegò atona, scoccando
un’occhiata ai fogli.
“Scusa tanto, ma
non avevi previsto che potesse succedere una cosa del genere?” chiese, un po’
brusco.
“L’avevo
previsto. E ti avevo avvertito. Ma tu diventi stupido quando si tratta di quella
ragazzina.” Replicò, ignorando il suo sbuffo risentito e l’occhiataccia che le
aveva riservato sentendola parlare in quel modo di Ran.
“La seconda
soluzione è molto più rischiosa. Si tratterebbe di somministrarti adesso uno
speciale composto, leggermente diverso da quello di ieri, che dia…come posso
fartelo capire…” di nuovo lo sbuffo risentito di lui.
Mi sta
trattando come un deficiente o cosa??
“…un imput
maggiore al composto, permettendo così di sfociare in quello che è il risultato
e finirla una volta per tutte.”
“Cioè tornerei
Shinichi?? Ma è magnifico!!” esclamò lui, entusiasta.
“Aspetta a dirlo.
È pericoloso. Se sbaglio anche solo di poco la composizione della capsula tu
morirai. E io non l’ho mai fatto, non su un essere umano almeno, e non posso
fare tentativi, a meno che non mi porti una decina di persone sacrificabili.
Dunque…” lasciò a lui il compito di immaginarsi il resto. Conan sospirò.
“Beh, non sarebbe
la prima volta che faccio da cavia per composti sperimentali. Anche l’APTX non
era mai stata testata su un essere umano, quando me l’hanno fatta inghiottire.”
Disse, e ad Ai sembrò che, oltre a parlare con lei, stesse in qualche modo
cercando anche di persuadere se stesso.
“Appunto. Non
puoi sempre camminare sul filo del rasoio e sperare che ogni volta fili tutto
liscio. Rinuncia, Kudo.” affermò decisa, ravviandosi i capelli. “Inoltre”
aggiunse “ti ho già detto stamattina che non ho alcuna intenzione di
somministrarti composti pericolosi, soprattutto ora che l’Organizzazione è da
queste parti. Al punto in cui siamo ora, potremmo morire tutti e due in entrambi
i casi, sia che funzionasse o no. Io non voglio che la nostra copertura salti
solo perché devi correre dalla tua ragazza, non ho alcuna intenzione di
sacrificarmi perché non riuscite a tenere a freno gli ormoni.” Il tono era
tagliente, a dispetto della solita neutralità, Conan sembrò accalorarsi.
“Che ne sai tu di
me e di Ran? Come ti permetti di parlarmi così??”
“Io vedo le cose
dalla giusta prospettiva. Tu sei troppo coinvolto emotivamente per capire che,
se continuiamo così, Mouri sarà la causa della nostra rovina. Pensaci.” Replicò
fredda, senza battere ciglio alla sua rabbia.
“Al diavolo! Non
devo giustificare le mie scelte con te. Sei stata tu a chiedere il mio aiuto, se
non ti piacciono i miei metodi sei libera di andartene.” Gridò lui, alzandosi a
sedere e ignorando il capogiro che gli costò. Lei lo fissò impassibile, le
sopracciglia inarcate.
“Ma se resti qui”
riprese “Non azzardarti a dirmi come fare il mio lavoro, e limitati a fare il
tuo. Prepara quella capsula, sta a me decidere se prenderla o meno.”
“No.”
La risposta fu
secca e immediata. Ai lo fissava imperturbabile, solida come un monolito di
pietra, che nonostante i suoi sforzi non era riuscito nemmeno a intaccare.
Conan rimase in
silenzio, sdraiandosi e chiudendo gli occhi. Ai osservò il suo petto alzarsi e
abbassarsi a ritmo col suo respiro, sempre più regolare e calmo. Pensò che si
fosse addormentato e fece per andarsene, ma di nuovo la sua voce interruppe il
silenzio, profonda e pacata nonostante i toni infantili, un lieve sussurro,
appena percettibile.
“Per favore.”
La stava di nuovo
guardando. I suoi occhi blu erano così intensi, così penetranti, puntati nei
propri. Poté vedere molte cose in fondo a quell’oceano, tristezza, disperazione,
dolore, solitudine, speranza. Verso di lei. Verso la sua risposta. Avrebbe
dovuto rifiutare, lo sapeva. Lo avrebbe fatto, almeno così era convinta. Finché
lui non pronunciò quell’altra frase.
“Fallo per me,
Ai.”
Il monolito non
sembrava più così solido, così impenetrabile. Improvvisamente, pensò a tutte le
cose che lui aveva fatto per lei, alle volte che aveva rischiato la sua vita per
salvarla, a quelle in cui l’aveva tirata su di morale, dandole il sostegno che
mai nessuno al mondo le aveva donato dopo la scomparsa di sua sorella. Nella sua
mente molte immagini, lei che piangeva disperata abbracciata a Kudo, lei che,
indossando il giubbetto di lui, veniva portata sulle sue spalle lontano dalle
fiamme, il viso di lui a pochi centimetri dal proprio, mentre le faceva
indossare i suoi occhiali per proteggerla, i suoi occhi, ogni volta che la
rassicurava, il suo sorriso. Shinichi Kudo, che credeva in lei nonostante tutto,
che aveva volutamente dimenticato il suo sporco passato, che l’aveva accolta
nella cerchia dei suoi amici più fidati.
Fu così che,
senza nemmeno rendersene conto, acconsentì. Conan le sorrise in un modo che le
fece scordare l’errore appena commesso, prima di sussurrarle un tenero “grazie”
e chiudere di nuovo gli occhi, intenzionato a riposare.
Ai sospirò, poi
si diresse in laboratorio.. Prima che la sua mente fosse totalmente assorbita da
ragionamenti, calcoli e elementi, si chiese perché Kudo fosse sempre pronto a
fidarsi ciecamente di lei e dei suoi composti, nonostante i loro trascorsi. E
dire che prima di conoscerlo era convinta che un detective dovesse essere
sospettoso per professione.
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Sapeva che
perdersi nell’auto-compiacimento spesso portava a fare errori, ma in quel
momento trovava davvero difficile non farlo; insomma, il suo piano era davvero
geniale, perfetto, uno dei migliori che avesse ordito in tutta la sua
carriera. Sorrise, accendendosi una sigaretta: era quasi il momento di agire,
l’adrenalina cominciava già a salire e a far fremere il suo corpo, accendendogli
dentro una fiamma simile a quella scaturita dal suo accendino d’argento. Era
sempre così, prima di un’azione: quella piacevole sensazione allo stomaco, la
prospettiva di poter ancora una volta avere il potere di strappare la
vita a qualcuno, l’eccitazione nel premere il grilletto e riuscire quasi a
sentire la pallottola che perfora la carne, il sapore del sangue in bocca, le
grida della vittima. Ascoltarlo implorare perdono, sapere di essere più potente
di lui, superiore. Uccidere guardando negli occhi era il massimo, oh sì. Vederli
lentamente svuotarsi dello spirito, del terrore, divenire vitrei, spegnersi
completamente. Sapere che l’ultima cosa che permetteva di vedere alle sue
vittime era se stesso, l’arma che gli puntava contro senza pietà, essere certo
che non potessero pensare ad altro che alla paura, alla consapevolezza di stare
per essere uccisi. Adorava il suo lavoro. Soprattutto ora, che si preparava a
schiacciare finalmente quell’insetto fastidioso che aveva osato pensare di
poterlo battere al suo stesso gioco. L’avrebbe fatto soffrire molto, di questo
era certo; non voleva semplicemente ucciderlo, no, quel bastardo meritava di
essere distrutto. Sarebbe stato meraviglioso vederlo implorare il suo
perdono, che naturalmente lui non gli avrebbe concesso. Illudere le sue vittime
era un’altra cosa che amava.
Spense la
sigaretta con la punta della scarpa, estrasse il cellulare e compose il numero;
“Raggiungimi
all’hotel di Beika-centre, Vodka. Dobbiamo parlare.”
Che
lo show avesse inizio…
*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~
Conan stava quasi
per assopirsi, entrando in un sogno che sembrava avere a che fare con dei corvi,
quando una voce metallica, roca, lo destò all’improvviso, facendo ricominciare a
battere il cuore che era riuscito a calmare. Si issò subito a sedere, sbarrando
gli occhi in un misto di sorpresa e attenzione, dirigendo lo sguardo verso i
macchinari lasciati incustoditi.
“Raggiungimi
all’hotel di Beika-centre, Vodka. Dobbiamo parlare.”
La voce di Gin,
ne era certo, nonostante fosse modificata dal congegno; aveva appena chiamato il
suo complice, dunque stava probabilmente per prepararsi ad una nuova missione.
Sorrise, inarcando le sopracciglia, in un’espressione che apparteneva in modo
inconfondibile a Shinichi.
Lo sento,
questa è la volta buona che ti arresto, lurido bastardo…non m’importa cosa dovrò
fare, ma ti assicuro che avrò il piacere di vedere quella tua brutta faccia
dietro le sbarre…
Si aggiustò gli
occhiali sul naso, colpendo nervosamente il pavimento col piede, a ritmo. Quanto
ci avrebbe messo Vodka a raggiungere l’albergo? Ridacchiò, uno sfogo della
tensione: tutto sommato era strano che non fosse già lì, era quasi convinto che
fossero cuciti l’uno all’altro per la vita, che mangiassero, dormissero, persino
che andassero in bagno insieme; non li aveva mai visti divisi…
Ci sarà poco
da ridere quando dovrò affrontarli…uffa, ma quanto ci mette?
Sbuffò,
incrociando le braccia dietro la testa e chiudendo gli occhi. Incredibile quanto
il tempo fosse relativo: il giorno prima passava così in fretta che non faceva
in tempo a guardare l’orologio che l’ora era cambiata, quel giorno era
lentissimo.
Aggrottò la
fronte: ancora non riusciva a capire cosa fosse la cosa che gli sfuggiva, e
adesso aveva anche una strana sensazione di allarme all’altezza dello stomaco.
Sentiva di essere nei guai, ma non riusciva davvero a capire il perché: insomma,
come aveva detto ad Ai, erano loro che conducevano il gioco, finché avevano la
possibilità di conoscere ogni mossa del nemico. Dunque perché..? E quel nodo
alla testa, aveva davvero a che fare con Gin e Vodka?? Insomma, dubitava che si
fosse accorto di qualcosa a scoppio ritardato, era passato quasi un giorno
intero, e si supponeva che non fosse tardo.
Accidenti…non
riesco proprio a ricordarlo…aaaargghhh!!
Scosse la testa,
come se sperasse di scrollarsi di dosso quella sensazione. Era certo che gli
sarebbe venuto in mente, ma era davvero spiacevole e fastidioso tenerselo lì, in
lista di attesa. Anche se ora aveva cose più importanti a cui pensare che a
stupide sensazioni astratte: insomma, era un investigatore, pertanto doveva
essere razionale, pensare solo ai fatti. Se avesse dovuto affrontare un altro
scontro con l’Organizzazione doveva essere preparato e in forma; beh, sulla
prima parte ci avrebbe lavorato una volta conosciuti i piani di Gin, sulla
seconda…attualmente aveva qualche problemino.
Cosa sarebbe
successo avesse avuto un attacco simile a quello appena passato in un momento
critico??
Sempre
fortunatissimo…proprio OGGI mi doveva capitare…un ragazzo di diciassette anni,
ma che dico, un bambino di SETTE anni che teme di avere un infarto…se me lo
raccontassero non ci crederei…
Poteva fare della
facile ironia quanto voleva, ma il problema era imminente e reale. La
possibilità non era da escludere, come non poteva contare a priori sul fatto che
Ai riuscisse a studiare la formula giusta; aveva sbagliato già una volta, no? A
quanto ne diceva lei, era una follia sperare in un successo. E non era detto che
riuscisse a fare la capsula prima che dovesse entrare in azione.
Problemi,
problemi, problemi…cominciava ad essere stufo di tutto questo dover pensare a
soluzioni alternative.
Aprì gli occhi,
scoccando un’occhiata al telefono vicino all’ingresso. Quella era una
possibilità, anche se non lo allettava per niente. Lui era Shinichi Kudo, il
geniale studente-detective, colui che era stato nominato dalla stampa ‘L’unico
salvatore della polizia giapponese’, non un pivellino qualunque. Non aveva mai
avuto bisogno di chiederlo, e non aveva alcuna intenzione di farlo adesso,
soprattutto a lui. Poteva farcela da solo, restava in gamba nonostante
l’handicap, sicuro. Una volta, durante una partita di calcio nella sua vecchia
scuola superiore, aveva preso una tremenda storta al piede destro, tanto che
ogni volta che calciava il pallone sentiva fitte dolorosissime articolarsi per
tutta la gamba; e si era tirato indietro? Si era fatto sostituire da un compagno
di squadra? Certo che no, aveva continuato stoicamente, riuscendo perfino a
segnare una rete. L’unica nota stonata c’era stata dopo la partita, quando Ran
si era offerta di medicargli il piede, divenuto incredibilmente gonfio e rosso;
non che gli dispiacesse sentire il tocco delicato delle sue dita mentre gli
spalmava la pomata, il modo lieve e dolce come una carezza con cui gli sistemava
la fasciatura, quasi senza fargli sentire il minimo dolore. Ma cavoli, in quanto
a prediche seccanti, Ran non era seconda a nessuno! Che avesse preso da sua
madre? Probabilmente sì. Riusciva ancora a vedere il suo viso accigliato, e
nonostante tutto ancora molto bello, e a sentire la sua voce mentre lo accusava
di essere, in poche parole, un pallone gonfiato.
“Sei un vero
idiota, Shinichi, guarda qui come ti sei ridotto per una stupida partita di
calcio! Meriteresti di restare così.”
“Non ti ho mai
chiesto di venirmi a medicare.” Aveva sbuffato lui.
“Ma è proprio
questo il punto! Tu non chiedi mai aiuto a nessuno, nemmeno quando ne hai
bisogno, perché sei così pieno di te da credere di potercela fare sempre da
solo, e ad ogni modo di poter fare qualcosa sempre meglio di chiunque altro, non
è così?” aveva incalzato lei, alzando un po’ la voce.
“Certo che posso
farcela da solo! Mi credi un debole??” ricordava di essersi sentito un pochino
risentito e ferito.
“È questo il
problema; chiedere aiuto non significa essere deboli, anzi, è proprio il
contrario! Ci vuole una grande forza interiore per ammettere i propri limiti.”
Le guance di lei si erano colorate di rosa più acceso mentre parlava, e Shinichi
aveva capito che, una volta tanto in quanto a ragionamenti assennati, Ran
l’aveva battuto.
Tuttavia non
l’avrebbe ammesso davanti a lei, no?
“E se uno non ha
limiti?”
Quella domanda
gli era costata una sberla sul già lesionato piede destro.
Socchiuse gli
occhi seccato, anche se non poté evitare che gli angoli della bocca si
stirassero in un sorriso: innamorarsi di una campionessa di karate aveva i suoi
svantaggi, purtroppo.
Come vorrei
tornare a quei tempi, Ran…quando passare del tempo con te non significava
doverti mentire e ingannare…quando ancora non avevi mai sofferto per colpa mia…
Il sorriso si
trasformò in malinconico. Lanciò un’altra occhiata sofferente all’apparecchio
telefonico: non vedeva altra alternativa, per quanto il suo orgoglio continuasse
a urlare di non farlo. Comunque, si disse, almeno lui era un tipo da non
gongolare su questo genere di cose. Su molte altre sì…ma su questo proprio no. E
in fondo gli aveva già detto che l’avrebbe coinvolto, no?
Il fatto era che
non c’era solo l’orgoglio a fermarlo; farlo partecipe significava metterlo nei
guai, e per quanto fosse di gran lunga meno protettivo nei suoi confronti che in
quelli della sua amica d’infanzia, non voleva che qualcuno morisse per colpa
sua, soprattutto un suo amico. Non se lo sarebbe mai perdonato. E non stavano
andando contro un gruppo di criminali sprovveduti, ma contro un’organizzazione
estremamente pericolosa.
Ma lui è un
detective come me...so che non si farebbe problemi a venire qui se glielo
chiedessi, è una delle persone più leali che conosco…ma sono io che ho qualche
problema a chiamarlo…
Sospirò. Un'altra
cosa a cui pensare. Come aveva detto?? Problemi, problemi, problemi…comiciò a
chiedersi se non era lui stesso a farsene troppi. Perché diavolo doveva essere
sempre così protettivo nei confronti di tutti quelli che gli stavano vicino??
“Ci hai messo
troppo tempo.”
La voce metallica
di Gin lo riscosse dai suoi pensieri: tutti il suo corpo si mise in allerta, le
orecchie tese a captare qualsiasi suono, la fronte aggrottata in una profonda
concentrazione, gli occhi seri e attenti.
“Ehm…mi
dispiace.”
Udì uno sbuffo
seccato, poi di nuovo la voce che odiava di più al mondo.
“Stasera siamo
impegnati, Vodka. Hai presente quel complesso di case popolari abbandonate, alla
periferia ovest di Beika?”
“Sì…ci si
arriva con un paio di ore di macchina, se non sbaglio…”
La conosceva
anche Conan; aveva sentito al telegiornale che il progetto per le abitazioni era
stato intrapreso dal comune e poi abbandonato per mancanza di fondi, adoperati
per altre opere più importanti. Le case, non terminate, non erano adatte ad
essere abitate, così erano lasciate lì a deteriorarsi. Il complesso non aveva
buona fama, pareva che molti delinquenti usassero le costruzioni come rifugio,
per scambi illeciti, e cose così. Insomma, non un luogo dove un genitore
porterebbe il figlio, o dove una persona perbene si farebbe vedere.
“Esatto.
Dobbiamo incontrare degli uomini venuti dal sud America per acquistare un carico
di cocaina, alle undici e mezzo di stasera. Per precauzione, come al solito,
saremo lì un po’ prima per controllare che non vogliano rifilarci qualche
fregatura.”
“D’accordo. Ci
conviene, i capi non sono molto contenti di quello che abbiamo fatto ieri.”
Dentro di sé,
Conan rise sguaiatamente, soddisfatto: e così aveva messo nei guai Gin e Vodka.
Ottimo.
“Hmph.
Comunque, devo occuparmi di un altro affare che ho in sospeso. Vedrai che i capi
chiuderanno un occhio sul fallimento di ieri quando l’avrò messo in atto…domani
sera, ci occuperemo di quel bastardo che ci ha ostacolati.”
Conan sussultò:
stavano parlando di lui. Cosa mai aveva in mente Gin? Cosa sarebbe accaduto
l’indomani sera??
“Come?”
“Studieremo
bene il piano domani mattina; per ora concentriamoci sullo scambio di stasera.”
Shinichi Kudo
sorrise attraverso il viso di Conan Edogawa: dubitava che ci sarebbe stato tempo
per loro per tramare ai suoi danni, dopo quella sera; nella sua mente, già si
stava articolando una strategia per mettere finalmente in prigione quei due
bastardi. Anche se gli sarebbe piaciuto scoprire cosa aveva in mente, stabilì
che non era stato un gran danno; in fondo, nel peggiore dei casi, li avrebbe
ascoltati l’indomani, e sarebbe stato pronto a qualsiasi attacco.
“D’accordo,
Gin.”
“Ora togliti
dai piedi, devo occuparmi di una faccenda da solo.”
Il resto della
trasmissione non fu molto significativo; Conan si alzò dal divano, trafugando la
cassetta con la registrazione della conversazione fra i due e infilandola nella
tasca del giubbetto; se Ai Haibara l’avesse ascoltata, di sicuro avrebbe voluto
partecipare alla sua controffensiva, e non aveva alcuna voglia di metterla in
pericolo. In fondo le aveva detto che, se fosse successo qualcosa, ci avrebbe
pensato lui…
E a proposito
di registrazioni…mi domando che fine abbia fatto la cassetta che incriminava
me…chissà come ha intenzione di usarla Vermouth…
Scrollò le
spalle; pensare a problemi che non avevano soluzioni quando molti più immediati
incombevano sulla sua testa, minacciosi, era davvero inutile e stupido. Dunque,
doveva ignorare il senso di disagio che si era formato alla bocca dello stomaco
al pensiero che una sua confessione fosse nelle mani di un’assassina fuori di
testa.
Una cosa gli era
chiara: sarebbe andato anche lui in quel complesso, per affrontare Gin e Vodka;
beh, avrebbe documentato il loro scambio illecito per dare delle prove contro di
loro alla polizia, poi li avrebbe addormentati con un ago anestetico in attesa
delle volanti, che naturalmente sarebbero state già messe in allerta; infatti,
di lì a poco, avrebbe telefonato all’ispettore Megure con la sua voce adulta,
raccomandandogli di avvertire solo alcuni uomini fidati e di sistemarsi nelle
vicinanze del complesso in modo che fossero subito pronti all’azione. Qualche
agente, come Takagi o Chiba, poteva fingersi un malvivente e gironzolare per le
case…
Non è male
come idea…ma quei due sono miei…sarò io ad assicurarli alla giustizia…
Ora doveva
pensare se coinvolgere o no un’altra persona; Heiji Hattori, per l’esattezza. Si
chiese se al professore avrebbe dato fastidio se avesse fatto un’interurbana dal
suo telefono di casa. Ridacchiò: decisamente sì.
Decise di
chiamarlo con il suo cellulare, così avrebbe avuto anche meno possibilità di
farsi sentire da Haibara. Guardò l’orologio: le due e mezza; sarebbe stato
meglio tornare all’agenzia, quel giorno Ran non aveva allenamenti di karate e
sarebbe tornata subito a casa. Afferrò il giubbetto e la cartella e si diresse
verso la porta, gli ingranaggi della sua mente che ancora si muovevano laboriosi
studiando i particolari del piano.
*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~
Una moltitudine
chiassosa di studenti si accalcava verso l’uscita della scuola superiore Teitan,
in un’ondata di azzurro che sommergeva il verde dei parti e il grigio dei
marciapiedi. Sonoko e Ran camminavano vicine, la prima parlando incessantemente
con la sua voce acuta, la seconda sorridendo e annuendo ogni tanto, per
gentilezza, senza davvero prestare attenzione ai discorsi della ragazza dai
capelli castani: non aveva molta voglia di ascoltare i gossip del giorno del suo
liceo, a esser sincera. Comunque, sapeva che Sonoko ci sarebbe rimasta male se
l’avesse costretta a tacere, così sopportava paziente il suo sproloquio: in
fondo sapeva essere davvero una buona amica, se ce n’era bisogno, come quando
aveva ceduto il posto del cavaliere nero a Shinichi, alla recita, cercando in
tutti i modi di portarli a interpretare una scena romantica insieme. Inoltre,
anche se non lo dimostrava spesso, Sonoko era davvero una ragazza dolce, sapeva
che teneva molto alla loro amicizia, e le voleva bene. Quella mattina stessa
aveva voluto conoscere i dettagli del suo appuntamento con Shinichi, e quando
aveva scoperto che non si era presentato aveva fatto di tutto per tirarla su di
morale, cominciando a insultare in tutti i modi il suo amico d’infanzia,
ripetendole in sostanza quanto era stato idiota a fare una cosa del genere a lei
e proponendo poi una visita in gelateria subito dopo scuola per affogare i loro
dispiaceri nei dolci.
“Ti capisco
benissimo, Ran.” aveva sospirato. “Sai quante volte Makoto-kun mi ha promesso di
venire a Tokyo per poi disdire pochi giorni prima per andare ad un’ennesima
competizione da qualche parte in Giappone?”
Era riuscita
perfino a farla sorridere quando aveva suggerito di picchiarli entrambi fino a
fagli implorare perdono una volta che si fossero ripresentati lì. Eh sì, Sonoko
Suzuki poteva avere tutti i difetti di questo mondo, ma aveva un gran cuore.
D’altronde, non si diventava la sua migliore amica per niente…
Sonoko chiuse la
bocca di colpo, guardando sorpresa un punto davanti a loro; Ran la fissò
perplessa per un momento, battendo le palpebre, seguendo poi la traiettoria del
suo sguardo e rimanendo a sua volta stupita: fuori dal cancello, in disparte in
un angolo per non farsi travolgere dall’ondata di studenti liceali in uscita,
c’era una donna dai folti capelli rosso scuro, con una bellezza da diva del
cinema, tanto giovanile che, se avesse indossato la divisa scolastica, sarebbe
potuta essere scambiata per una studentessa. Ran spalancò la bocca, in
un’espressione di sincera sorpresa. Di tutte le persone…
“Ran! Ehi, da
questa parte!” le gridò Yukiko facendole cenno con la mano alzata, non appena la
scorse.
Lei accennò un
sorriso cordiale, dirigendosi verso il punto che le era stato indicato. Sonoko
la seguì, ancora perplessa.
“Ma quella non
è..?” domandò incerta.
“Sì, la madre di
Shinichi.” Sospirò, chiedendosi cosa mai potesse volere da lei; non che le
dispiacesse vederla, insomma, casa Kudo era sempre stata un po’ come la propria,
e si era molto affezionata alla madre e al padre di Shinichi, li considerava dei
secondi genitori, in un certo senso. Aveva idea che la cosa fosse reciproca,
infatti Yukiko la trattava sempre con l’amorevolezza e l’affetto di una madre, e
ricordava un discorso che Yusaku le aveva fatto, quando aveva tredici anni, su
come liberarsi dei ragazzi che potevano importunarla, o farle corti troppo
insistenti.
“Basta colpirli
nel punto giusto, se capisci cosa intendo.” Aveva detto serio ma
facendole l’occhiolino, e lei aveva riso.
“Posso farlo
anche con Shinichi?” aveva chiesto, ancora sorridente.
“Devi farlo
soprattutto con Shinichi, Ran.” la risposta l’aveva fatta ridere ancora di
più.
Adesso sorrise al
ricordo: aveva sempre considerato i Kudo una famiglia davvero buffa. Tutti e
tre insieme avrebbero potuto benissimo essere i protagonisti di una sit-com.
Comunque, la
presenza di Yukiko lì non la entusiasmava, non dopo quello che era successo il
giorno prima con suo figlio. Aveva paura che volesse parlare di quello e la cosa
non le piaceva per niente, anche perché, se Shinichi aveva qualcosa da dire al
riguardo, poteva farlo benissimo da sé. Trovava immaturo mandare avanti la
mamma, insomma, non stavano mica alle elementari! Una sensazione di rabbia mista
a odio si formò dentro di lei mentre si avvicinava all’apparenza tranquilla
verso la donna. Gli aveva detto che non voleva parlare con lui attraverso il
telefono e Shinichi le aveva mandato una terza persona a parlare in sua vece; un
pensiero davvero carino da parte sua. Di lì a poco tempo cosa avrebbe dovuto
fare per parlargli? Comunicarlo al suo agente e prendere appuntamento?
Stupido,
idiota, egocentrico pallone gonfiato…chi credi di essere per trattarmi così?
Pensi davvero che starò qui ad aspettarti buona finché non ti ricorderai che
esisto?? Beh, se è così rimarrai amaramente deluso Shinichi…non credere che non
riuscirei a dimenticarti…
perfino a
odiarti…
Il cuore protestò
dolorosamente, ma la sua voce fu soffocata dalla nube di rabbia che ormai
invadeva il suo animo. Non avrebbe mai pensato che Shinichi potesse dimostrarsi
così vigliacco; forse era vero che si era innamorata dell’immagine che aveva di
lui, non del suo vero io. Magari era stato Shinichi stesso a farle credere di
essere migliore, per abbindolarla, in modo che lei cadesse ai suoi piedi proprio
come le ammiratrici che gli scrivevano montagne di lettere.
Anche se,
ricordando i momenti passati insieme a lui, sembrava un’ipotesi davvero poco
credibile. Oh, Shinichi avrebbe dovuto essere candidato all’Oscar, se davvero
aveva finto per tutto il tempo, con lei. Perché mai avrebbe potuto immaginare un
sorriso che le scaldasse il cuore allo stesso modo, due occhi più sinceri e
intensi. No, una parte del suo animo, quello che ancora resisteva alla rabbia,
le disse che non era davvero possibile. Ma era veramente difficile starla ad
ascoltare, dopo tutto quello che le aveva fatto passare il suo amico d’infanzia.
Inoltre quella parte era così irrazionale alle volte, quando le suggeriva che
Shinichi potesse non essersene mai andato, in realtà, quando le faceva vedere
lui dietro l’espressione dolce e infantile del piccolo Conan, quando le faceva
sentire parole che nessuno aveva mai pronunciato.
“Ti amo, Ran.”
E per quanto
strano potesse essere, le ricordò pronunciate con la voce di Shinichi, non di
Conan. Il che era un’altra prova a favore della tesi che era stata tutta
immaginazione. Sì, di quella parte irrazionale e tanto sciocca che ancora la
esortava a non abbandonare le speranze, ad aprire gli occhi e vedere, a
smetterla di pensare male del suo amico d’infanzia. Quella parte così stupida e
insopportabile che adesso la incitava a superare le apparenze, proprio come le
aveva insegnato lui, a vedere l’essenza delle cose e non il modo in cui gli
altri volevano che le apparissero. Shinichi gliel’aveva detto quando erano
andati ad uno spettacolo di magia, alle medie. “Non lasciarti ingannare da
quello che lui vuole farti vedere.” Aveva sussurrato, indicando il prestigiatore
sul palco. “Vai al di là di questo, guarda con gli occhi della mente, e
riuscirai a far saltar fuori tutti i trucchetti. Non è tanto difficile, se ci
provi. L’unico motivo per cui una persona va a uno spettacolo di magia è che
vuole essere ingannato, lasciato a bocca aperta. Si rifiuta di vedere il
trucco per non spezzare la magia. Ma i detective sono diversi, loro non possono
permettersi di lasciarsi trarre in inganno, perché scoprire la verità è loro
dovere. Ragione di vita, se vogliamo essere drastici. È per questo che ho sempre
pensato che i prestigiatori fossero gli antagonisti diretti dei detective: i
primi cercano di nascondere la verità con l’apparenza, i secondi svelano la
verità andando al di là dell’apparenza. Comunque, Ran, il punto è questo: non
lasciarti mai ingannare, guarda tutto con gli occhi della mente, sempre. I sensi
possono essere ingannati, ma c’è qualcosa che può essere abbindolato solo con la
tua complicità. Nemmeno il prestigiatore migliore del mondo potrebbe convincere
quella parte di te, se tu non glielo permettessi come fanno tutti questi tipi.
Questa parte è il tuo cuore. Quello conosce sempre la verità, anche se cerchi di
zittirlo, di convincerlo. Nessuno può ingannare il tuo cuore.”
Questo l’aveva
colpita. Ma i ragionamenti di Shinichi la lasciavano spesso senza fiato, con
l’abitudine di insinuarsi di nuovo nella sua mente nei momenti in cui ne aveva
bisogno. Come questo ad esempio.
Guardare con
gli occhi della mente e ascoltare il cuore…facile a dirsi…ma non altrettanto
metterlo in atto…
Era così assorta
nei suoi pensieri che sussultò quando si accorse di essere arrivata a pochi
centimetri da Yukiko.
“Ciao Ran-chan!”
aveva esclamato con voce squillante la donna, abbracciandola, prima di salutare
un po’ meno calorosamente anche Sonoko. Notò che molti suoi compagni stavano
occhieggiando le forme di Yukiko, facendo poi commenti fra di loro con
sorrisetti stampati in faccia. Idioti. Si chiese se potesse mai esistere o fosse
mai esistito un uomo al quale il cervello non prendesse il volo dopo aver visto
un po’ di curve nei punti giusti.
“Salve! Cosa ci
fai qui?? Non dovresti essere in America con Yusaku?”
Il viso di lei si
imbronciò: “Ran, quando avrai la mia età, capirai che per quanto tu possa amare
un uomo, ci sono dei momenti in cui hai bisogno di mettere miglia di distanza
fra te e lui.” sospirò, Ran sorrise: i litigi fra i genitori di Shinichi erano
frequenti, non quanto quelli dei propri, certo, o tanto drastici, ma abbastanza
per il malcontento di loro figlio. Fortunatamente non erano mai veramente seri.
“Comunque, non
parliamo di me, adesso. Sono venuta per te, Ran.”
Ecco…ci siamo…
Sentì un moto di
sconforto, ma sorrise ugualmente alla donna, annuendo. “Avevamo pensato di
andare in gelateria, se vuole unirsi a noi…” disse Sonoko con un sorriso
educato.
Yukiko accettò di
buon grado, e tutte e tre si avviarono verso il luogo prestabilito. Si sedettero
ad un tavolo, una cameriera piuttosto graziosa prese le loro ordinazioni e,
mentre aspettavano di essere servite, Yukiko esordì:
“Ran, tesoro, ho
saputo quello che è accaduto ieri. Non sai quanto mi dispiace…”
La ragazza alzò
le spalle. Così aveva visto giusto, era di quello che voleva parlare. Purtroppo.
“Non importa.
Ehm…te l’ha detto Shinichi, quello che è successo?”
Perché se
spera che mandando la mamma risolve tutto è una delle rare volte in cui non ha
davvero capito niente…
“No, me l’ha
raccontato il professor Agasa. Sai che è un po’ il suo confidente, no?” disse,
con un mezzo sorriso. Ran annuì calma, ma dentro di lei di nuovo la rabbia
ribolliva.
Ha avuto il
tempo per raccontare tutto al professore ma non per farmi almeno una telefonata
e darmi spiegazioni…grazie tante Shinichi…
Yukiko sospirò:
“Lo so, deve sembrarti un vero idiota in questo momento, ma credimi, non aveva
alcuna intenzione di deluderti, o ferirti. Lui ti vuole bene, lo sai.”
“Sì, ma mi da
anche troppo per scontata!” sbottò, senza riuscire a trattenersi. Sonoko,
accanto a lei, sobbalzò, evitando accuratamente di entrare nel discorso. Ran
guardò negli occhi Yukiko e…cos’era quella luce che aveva visto in fondo ai suoi
occhi? Sembrava…ma no, non aveva senso…
Guarda con gli
occhi della mente…
La luce sparì in
fretta, sostituita da qualcosa più attinente al tema: dispiacere. Ran fu
rilassata da quel ritorno alla normalità, ma purtroppo sapeva bene che Yukiko
Kudo era un’attrice molto in gamba, che avrebbe saputo ingannarla, se voleva. O,
come sosteneva Shinichi, se lei gliel’avesse permesso.
“Cara, ascoltami,
non è mancato all’appuntamento perché voleva…non è stata colpa sua, almeno
questo.” Aggiunse, mordendosi il labbro inferiore. Ran la guardò perplessa:
“In che senso ‘almeno questo ’?”
Yukiko sembrava
refrattaria ad approfondire l’argomento, e anche piuttosto a disagio, come
testimoniava il fatto che avesse cominciato a giocherellare con un tovagliolo,
tenendo gli occhi bassi. Però ancora una volta tutto questo le sembrava…fasullo.
…e ascolta il
tuo cuore…
“Beh, vedi
Ran…Shinichi…sta passando un brutto momento ultimamente. Io sto cominciando a
pensare che avrebbe dovuto dirti tutto fin dall’inizio, ma lui è così cocciuto,
e così protettivo, lo conosci…insomma…se non ha parlato è per il tuo bene, ma
penso che sia tu a dover fare le tue scelte, cioè…”
“Ma di che cosa
stai parlando??” chiese, la fronte aggrottata. Era totalmente confusa. Cos’era
che doveva dirle, Shinichi? Cosa c’entrava col fatto che era protettivo? O che
era mancato all’appuntamento??
“…e credo che
staresti molto meglio se sapessi.” Continuò la donna, ignorando la sua domanda.
“Sapere che
cosa?!?”
La luce negli
occhi di lei era tornata, per un istante fugace, ma fu subito scacciata. Eppure
l’aveva vista, ne era certa. Non voleva lasciarsi ingannare. Attraverso la
confusione, il cuore le lanciò un messaggio chiaro e preciso, che per ora passò
inascoltato, poiché la mente era concentrata nello sforzo di capire le sue
parole. Ma l’avrebbe ricordato in seguito, nitidamente. Perché Shinichi aveva
avuto ragione, naturalmente.
“Ran, cara…ho
qualcosa per te”.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Note dell’Autrice:
ciao a tutti! Capitolo piuttosto arduo, lo so, e
pieno di flash-back, non ho davvero potuto evitarlo.^^” Tutto mi sembrava un
perfetto aggancio per una scena presa dal passato della coppia, prima della
“nascita” di Conan. A volte o lo scrivi o ti penti di non averlo fatto ogni
volta che rileggi il capitolo, perciò, se l’idea iniziale mia era quella di
tagliarne qualcuno (come quello della partita, ad esempio) alla fine ho
rinunciato. Spero che non sia divenuto un chap pesante, e che il linguaggio non
sia troppo ampolloso. Per quanto riguarda la storia, niente di eccezionale, per
ora, lo so, siamo su un ritmo piuttosto lento, ma non vi preoccupate: sto solo
disponendo le pedine sulla scacchiera: la vera partita comincerà fra poco! (non
chiedetemi come mi escono queste cose: la follia della mia mente è
incontrollabile e non ha limiti.- _ -“) Come al solito però, dopo aver faticato
tanto per essere soddisfacente per i miei canoni, (vi assicuro, sono davvero
esigente e pignola) il capitolo deve superare un ulteriore esame, ovvero: è
piaciuto a voi che lo leggete?? Spero proprio di sì, nel frattempo passo a
ringraziare nei particolari coloro che, con la loro grande generosità, hanno
commentato lo scorso chap. Siete fantastici!
Super Gaia:
ciao e grazie per i complimenti! Il tuo innamoramento per la mia
storia non può che farmi moltissimo piacere! #^^# Spero che questo capitolo non
ti deluda e che continui a seguire la mia ff.
Lili: oh
carissima, mi ero per l’appunto chiesta dove fossi finita; ho avuto paura che il
capitolo sedici non ti fosse piaciuto, è un vero sollievo sentire che non è
così!!^^ Non preoccuparti, comunque, non c’è motivo di vergognarsi! Grazie per i
commenti riguardanti entrambi i capitoli, spero che anche quest’ultimo sia
all’altezza delle tue aspettative!
Yuki: ti
ringrazio moltissimo del commento. Ecco il nuovo chap: piaciuto? Spero proprio
di sì, Yuki-chan!^^ Grazie anche degli auguri, buon anno anche a te!
ßseppure
un po’ in ritardo. ^^ ;
Vichan:
ciao! Sono particolarmente contenta del tuo commento. Vuoi sapere il perché? Ho
notato che, se recensisco uno scrittore che aveva precedentemente commentato la
mia ff, quello smette di recensirmi. È una cosa che un po’ mi fa ridere e un po’
mi lascia perplessa: insomma, non mi sembra di aver detto nulla di offensivo nei
miei commenti, anzi! Tu hai screditato questa convenzione. *Thanks*! Beh,
tralasciando i miei vagheggiamenti, grazie dei complimenti, sono felice che la
storia continui a piacerti e spero di non deludere in alcun modo le tue
aspettative e la tua fiducia. Auguri per un bellissimo anno anche a te.
Hoshi:
salve! Ti ringrazio moltissimo per l’ennesima recensione, mi farebbe piacere
sentire la tua opinione anche su quest’ultimo capitolo.
Sabry1611: Sabry, con le tue
recensioni mi fai davvero arrossire! #^^# Non riusciresti nemmeno a immaginare
quanto mi faccia piacere sentire che ti stai appassionando così tanto alla mia
ff, i tuoi apprezzamenti mi scaldano il cuore! È vero, la storia mi prende
davvero molto, anche perché si notano subito le ff scritte tanto per, e
risultano puntualmente scadenti. Io preferisco di gran lunga non postare nulla
che pubblicare qualcosa che non mi soddisfi pienamente, in cui non ci sia
passione, appunto. Il cestino del mio pc conta almeno quattro racconti così! ^^”
Devo confessarti anche che sono la prima, mentre scrivo, a immedesimarmi nei
personaggi; è un modo per renderli il più reali possibili, almeno secondo me.
Sono felice di riuscire a coinvolgerti!^^ Di nuovo grazie del commento, un
bacio, spero di risentirti.
APTX4869:
ciao! Grazie mille della recensione; eh sì, avevi decisamente intuito qualcosa e
penso che questo capitolo ti abbia tolto ogni ragionevole dubbio. Sono contenta
che tu abbia colto l’indizio dello strano caldo di Conan, comunque. In quanto a
quello che ti suggerisce la tua follia…beh, ti confesso che l’idea non mi era
passata nemmeno per l’anticamera del cervello, ma nel momento in cui me l’hai
suggerita mi si è creata in mente una scenetta comica niente male
sull’argomento. (eh eh eh
ßtre secondi di gioia immotivata).
Pazienta ancora un po’ e abbi fiducia in me: non ti prometto niente, ma c’è una
possibilità che il tuo desiderio di vedere Ran e Shinichi insieme si realizzi in
un futuro prossimo…nel frattempo, devo ammettere che hai ragione: niente APTX,
niente Conan; dunque w Ai Haibara e i suoi veleni! Baci e a presto.
Mareviola:
fai poco la spiritosa, tu! Ti sembrano scherzi da fare a una
povera inerme scrittrice in erba? Sei senza cuore!
Ah ah ah,
scherzetto. (non farci caso, stanotte non ho dormito e gli effetti si vedono.)
Grazie della recensione e a presto.
Ginny85:
ciao Ginnuzza! A me Conan e Shinichi piacciono entrambi, sebbene non si direbbe,
dato il modo sadico in cui li tratto! ^^; felice che anche lo scorso capitolo ti
sia piaciuto, la scena con i detective boys l’ho messa di proposito, per
alleggerire un po’ la situazione e i vari drammi psicologici dei personaggi; ho
notato che l’innocenza infantile è un toccasana! La scena con le tre piccole
pesti mi ha divertito molto, e dire che nell’anime non li posso vedere! Anche
perché detective boys = puntata stupida; l’unica che mi è piaciuta è stata
quella in cui Conan veniva ferito. ( e si ritorna al sadismo.- _ -“). Vedrai che
la storia, che ora è in stasi, tornerà in piena attività, e non solo i detective
dovranno darsi da fare! (ma non ti dico altro…) intanto, grazie moltissimo dei
complimenti, spero che non dovrai mai pentirti di aver letto questa fic! Un
bacione, a risentirci!
Lisa Lawer: certo che lo
accetto! ^__^ Mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento, sei molto
gentile; beh, le sventure di Shinichi ci sono tutte per colpa mia, lo ammetto,
dunque smettila di picchiare il tuo povero computer innocente, ok? Posto che
questo non è un invito a colpire me, invece…^^ ; sì, Ai è proprio
un bel personaggio, anche perché io ho sempre avuto un debole per i personaggi
che non sono completamente buoni e puri. I santarellini sono prevedibili, invece
da questi pseudo-cattivi non sai mai che aspettarti! Intrigante, no? A
risentirci, spero di non averti fatto penare troppo l’aggiornamento.
Ecco qua. Vediamo
un po’ cosa resta da fare: le scene tratte dal manga vengono sempre dagli stessi
volumi, che ormai saprete a memoria se leggete sempre questa parte. Se non la
leggete non vi interessa, dunque inutile ripetersi. Per quanto riguarda altre
note, ci tengo a precisare una questione: avete presente il discorso di Shinichi
sui prestigiatori? Quando dice che sono i naturali avversari dei detective?? È
una cosa a cui ho pensato una sera in cui mi era particolarmente difficile
addormentarmi. In fondo è vero, i maghi cercano di farti credere qualcosa, i
detective rivelano la verità. Credo che sia per questo motivo che l’altra
‘creatura’ di Gosho Aoyama, il ladro Kaito Kid, che si contrappone a Conan in
vari episodi, sia a sua volta un prestigiatore. (Ce l’avete presente? Quello in
tuba e frac col mantello, rigorosamente bianchi, nell’aspetto praticamente
uguale a Shinichi? Spero di sì.) Da lì tutto il discorso che la mia strana e
buffa mente ha partorito. Vorrei anche ringraziare
Quistis5 per aver commentato l’altra mia
ff su DC, “A Very Important Gift”. Sono molto felice di essere riuscita a
infonderti quelle sensazioni di pace e speranza, e in fondo un po’ te lo dovevo,
dopo il modo in cui ti ho fatto deprimere con l’altra fanfic, “In The
Darkness of Soul”, non pensi?
Per
Laura87...credo che ogni risposta sia superflua, a questo punto, no?
^ _ -
Questo è tutto mi
sembra. Se ho dimenticato qualcosa o (peggio) qualcuno, vedrò di rimediare il
prima possibile. nel frattempo, scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare,
spero di riuscire a fare prima con il prossimo capitolo. Se volete aiutarmi,
sapete come fare, giusto? ^ _ -
A presto
-Melany
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