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Autore: Melanyholland    31/01/2005    11 recensioni
Per non perdere per sempre la sua Ran, stavolta Shinichi dovrà combattere la battaglia più dura: quella contro se stesso
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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18. Show Must Begin…  

“Sono tornata.”

Annunciò Ai entrando in casa, prima di poggiare la cartella all’ingresso e dirigersi verso il divano. Dietro di lei fece capolino Conan, che al contrario filò dritto davanti alla macchina delle intercettazioni, le sopracciglia inarcate.

“Ciao Ai, e ciao anche a te, Shinichi.” Disse il professor Agasa, per nulla sorpreso di vederlo lì: Conan non era stato per nulla felice di apprendere che, dato che la cimice e la trasmittente erano molto più sofisticati e coprivano un’area maggiore di quelli che usava di solito, non avrebbe potuto seguire le trasmissioni con i suoi occhiali. Non poter tenere d’occhio la situazione minuto per minuto era stato a dir poco frustrante, per lui.

“Novità?” chiese il giovane detective brusco, senza smettere di fissare il macchinario e cercando di decifrare invano i tabulati.  Ai distolse lo sguardo dalla rivista che aveva aperto, in ascolto, cosa che fece sorridere l’anziano dottore: anche se non l’avrebbe mai mostrato, anche lei era ansiosa di conoscere gli sviluppi.

“La trasmittente segnala che il sospettato MIB1 si trova in un luogo a 60km est da qui. La cimice non ha ancora dato risultati, per ora.” Lo informò con tono pomposo.    

“Il sospettato MIB1!?” chiese Conan, alzando un sopracciglio con una strana espressione.

“Gin. Non l’avevi capito?” rispose incredulo il dottore.

Certo che l’avevo capito!” replicò Conan esasperato “Quello che volevo sapere è perché MIB…Oh mio Dio.”

Esclamò infine scuotendo la testa, cosa che lo infastidì non poco.

Men In Black…come il film. Ci calza a pennello…in fondo, sono gli Uomini in Nero.”

“Grazie, Ai-kun.” Disse il professore con un sorriso.

Conan sbuffò e socchiuse gli occhi, mormorando qualcosa che sembrava “Ma guarda con che buffoni mi tocca lavorare”  e il professore lo guardò risentito, un po’ come quando lo criticava per le sue invenzioni.

“Non ti piace Shin-chan? L’idea è stata mia.”

Conan rabbrividì, sbarrando gli occhi: no, non era possibile, quella voce…

Si voltò, ritrovandosi davanti una donna molto attraente, di trentasette anni, con una folta chioma rosso scuro e un sorriso dolcissimo sulle labbra, che lo colse di sorpresa abbracciandolo stretto prima che potesse sottrarvisi.

“MAMMA!?!?”  soffiò, più che pronunciare, dato che lo stava quasi soffocando.

“Ciao piccolo! Ti sono mancata?” disse, staccandosi e baciandolo sulla guancia, lasciandogli un’impronta di rossetto cremisi ben visibile. Lui arrossì, pulendosi col dorso della mano, mentre Ai ghignava un “Che teneri.”

“Che ci fai qui?? E dov’è papà?”

“Serve un motivo per venire a trovare il mio bambino?” notò che aveva ignorato volutamente la seconda domanda.

“Hmph.” Si allontanò da lei con aria seccata, sedendosi sul divano, accanto alla biondina.

“Oh! E questa bambina chi è?” chiese Yukiko Kudo, rivolgendosi a lui.

“Si chiama Ai. Sa di me, ma possiamo fidarci.” Si limitò a spiegarle suo figlio. Inspiegabilmente, la piccola scienziata sorrise quando udì le ultime parole.  

“Piacere, Ai-chan.” Yukiko le strinse la mano con un sorriso “Sarebbe piacevole conoscerci meglio, piccolina. Ho sempre desiderato una figlia femmina, lo sai?”

“Scusa tanto se sono nato maschio.” Brontolò Conan leggermente risentito. Lei gli scompigliò i capelli con affetto prima di rivolgersi di nuovo ad Ai. “Allora che ne dici? Potremmo uscire qualche volta.”

Ai batté più volte le palpebre, scrutandola attentamente, poi scrollò le spalle. “Se le va…”

Yukiko annuì, rivolgendosi di nuovo a suo figlio.

“Agasa mi ha raccontato tutto, hai un piano, vero Shin-chan? Non mi va che corri rischi inutili…” disse, una nota di preoccupazione nella voce. Conan la guardò negli occhi, dello stesso colore dei propri, parlando in tono serio.

“Non preoccuparti, mamma. Sono preparato.” Si limitò a dire, accennando un sorriso rassicurante.

“Dunque hai un piano…di che si tratta?” insisté, lui scosse la testa.

“Meno ne sai, meglio è, credimi.”

“È un po’ la sua filosofia di vita, almeno per quanto riguarda chiunque tranne se stesso.” Commentò Ai, facendo ridere la madre e sbuffare il figlio.

“Ah, Shin-chan…come sta Ran? Ho saputo del trambusto di ieri sera…” chiese la donna con apprensione. Conan distolse lo sguardo da quello di lei. “Sai com’è fatta…è una ragazza forte. Stamattina stava meglio, anche se…non importa. Lasciamo stare.” Aveva parlato con voce molto fioca, chiudendo gli occhi verso la fine.

“Oooh, povera cara…vorrà dire che andrò a parlarle, più tardi.”

“Non è una buona idea.” Rispose Conan in fretta. Se c’era una cosa che aveva imparato nella sua vita di unico figlio dei Kudo, era questa:  Mai lasciare i genitori incustoditi. Era terrorizzato all’idea di quello che avrebbe potuto combinare.  

“Io credo di sì.” Replicò Yukiko, inarcando le sopracciglia e buttandosi dietro le spalle la folta chioma.

“Non puoi farlo!” 

“E chi me lo impedirà? Tu, moccioso?” sorrise maligna, con un’espressione di superiorità davvero simile a quella del figlio quando incastrava un colpevole. Una faccia del tipo: è inutile che insisti, vinco io e tu non puoi farci niente.

Conan sbuffò, socchiudendo gli occhi e incrociando le braccia. Tutti e tre i suoi interlocutori ritennero troppo pericoloso informarlo che in quello stato sembrava realmente un bambino di sette anni imbronciato.

Ciononostante, dietro quella smorfia arrabbiata, la sua mente di detective si era attivata: non riusciva a capire cosa fosse esattamente, ma percepiva che gli fosse sfuggito qualcosa. Non era la prima volta che succedeva, spesso qualche particolare che non ricordava l’aveva tormentato, durante le sue indagini: di frequente si trattava di qualche cosa che magari aveva visto, o sentito o notato di sfuggita e a cui non aveva dato peso, che però poi si rivelava fondamentale per la risoluzione del caso. L’aveva sempre infastidito a non finire, quella sensazione orribile, come di un nodo all’altezza del cervello che non riusciva a sciogliere; e adesso si sentiva proprio così, senza arrivare a capire cosa fosse esattamente la cosa che non quadrava.

Spero almeno che non si tratti di qualcosa che riguarda ieri, contro Gin e Vodka…Uffa perché non ne vengo a capo?? Pensa, Kudo, PENSA…

Si portò senza nemmeno accorgersene le dita alle tempie, cominciando a muoverle in circolo, esortando la mente a lavorare. Tutti e tre lo guardarono sorpresi:

“Qualcosa non va..? Ti gira la testa?” chiese Yukiko, in ansia come qualunque madre del mondo sarebbe stata al suo posto; Ai distolse di nuovo lo sguardo dalla rivista.

“Tutto okay, mamma.” Rispose lui abbassando le mani. “È solo l’attesa…è un po’ snervante.”

“Oohh…hai ragione! Potrei prepararti una bella tazza di camomilla, che ne dici, tesoro?”

“No, mamma, non importa…” cercò di replicare, ma Yukiko era già diretta verso la cucina.

“Faccio in un minuto. Non ti dispiace, vero Agasa? Ai-kun, perché non vieni ad aiutarmi?”

Nessuno ebbe il tempo di rispondere. A dirla tutta, nessuno ebbe il tempo nemmeno di aprire la bocca per rispondere, che sua madre era già in cucina. Ai scrollò le spalle e si alzò.

“Bel tipo tua madre, Kudo.” commentò prima di sparire a sua volta dietro la porta.

Conan sbuffò, ricominciando a pensare a quel dannatissimo nodo da sciogliere. Cosa DIAVOLO era che alla sua mente non stava bene?? Forse aveva a che fare con le informazioni date dalla trasmittente..? 60km a est della casa del professore…non sembrava quello. Comunque, meglio saperne di più, ora che quelle due erano fuori dai piedi.

“Hai controllato cosa c’è a 60km est da qui?” chiese, sperando di vedere un raggio di luce nell’ombra.

“Sì, ho pensato che me l’avresti chiesto. È un albergo, piuttosto lussuoso. Non si è mosso da lì per tutto il giorno.”

Il che è abbastanza strano...possibile che non abbia nulla da fare? Poco probabile, visto il lavoro che fa…

Ma lui aveva attaccato la trasmittente alla suola della scarpa, dove sarebbe stato più difficile vederla. Dunque poteva sempre aver cambiato scarpe, quel giorno. Pregava almeno che, togliendosele, non l’avesse vista.

No...l’avrebbe distrutta…come l’ultima volta…

Sospirò, di nuovo massaggiandosi le tempie. Le insidie che si nascondevano dietro quell’impresa erano molte di più di quelle che aveva visto il giorno prima. Certo, trovare i quartier generali, organizzare retate…una passeggiata, eh? Peccato che le persone contro cui si stava mettendo erano un’Organizzazione internazionale di assassini spietati; e per quanto fosse convinto che una persona che sceglieva la strada della malavita non potesse essere poi così intelligente, doveva ammettere suo malgrado che Gin era maledettamente astuto, oh sì; e lo era anche Vermouth, e chissà quanti altri agenti di quella terribile Organizzazione. Come aveva detto Heiji, si era cacciato in un gran brutto guaio.

Beh, Sherlock Holmes era convinto che fosse più facile prevedere le mosse di un criminale che agisce con metodo e intelligenza piuttosto di uno istintivo e stupido. Ne deduco che dovrei sentirmi avvantaggiato…

Rise, il professore lo guardò inarcando un sopracciglio cespuglioso, confuso; lui si limitò a scuotere la testa in segno di rassicurazione. “E la cimice? Potrei sentire cosa ha captato?”

“È inutile, Shinichi. Non ci sono stati discorsi, o…”

“Lo so; ma voglio ascoltarla lo stesso. Qualsiasi rumore può rivelarsi utile.” Disse in tono saccente, il dottor Agasa sbuffò, cercando la registrazione.

Urgh!

Un dolore lancinante lo colse all’improvviso all’altezza del cuore; si portò le mani al petto, stringendo la stoffa della maglietta, mentre il suo corpo domandava insistente ossigeno che i polmoni, pur lavorando affannosamente, non riuscivano a immettere. Sentiva scosse di dolore convergere tutte contro il cuore, violente, mentre la fronte cominciava a sudare freddo, il corpo che tremava senza che riuscisse a bloccarlo. In pochi secondi, si sentì debolissimo e malato, un sapore acido in bocca che gli faceva venir voglia di dare di stomaco.

“Shinichi!?! SHINICHI, CHE TI SUCCEDE??” Il professore gli venne vicino, pallidissimo in faccia.

Conan aprì la bocca, cercando di dirgli qualcosa, ma le parole vennero sostituite da un grido di sofferenza. Dio, si sentiva quasi…come se stesse…bruciando vivo.

“Shinichi!? AI, YUKIKO, VENITE PRESTO!”

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

Ai si chiuse la porta della cucina alle spalle, mettendosi le mani dietro la schiena e aspettando richieste da parte della madre di Kudo. Lei prese il pentolino dallo scolapiatti e lo riempì d’acqua, mettendo il tutto a bollire sul fornello.

“Dove tenete la camomilla, piccola?”

“Primo sportello da sinistra, terzo scaffale.” Rispose indifferente. Mentre sistemava le tazze sul tavolo, notò che Yukiko aveva davvero un bel fisico, e per avere quasi quarant’anni era davvero molto attraente. Yukiko Kudo era la dimostrazione vivente che a non tutti serviva il suo composto per restare giovani a lungo. La osservò attentamente inclinando la testa di lato. “Lei ha lavorato nel cinema?” chiese, la donna sorrise a trentadue denti, arrossendo.

“Sì! Mi sorprende che tu te lo ricordi. Ho smesso molti anni fa, quando mi sono sposata e ho avuto Shin-chan.”

Ai scrollò le spalle: “Il suo nome da nubile era qualcosa come…Fu…Fuji...”

“Fujimine, sì.” annuì la donna. “Ma come lo sai?”

La piccola scienziata abbassò lo sguardo sul pavimento. Ad Akemi piaceva molto vedere i vecchi film; sosteneva che il cinema era decisamente peggiorato nei tempi moderni, che tutto si giocava più sull’accaparrarsi gli attori famosi piuttosto che sulla storia. Spesso erano state in disaccordo su questo punto, e non era raro che i loro scambi di opinione si…animassero, qualche volta. Ma quando le avevano divise, si era ritrovata a guardare a sua volta quei film, nelle sere in cui si sentiva particolarmente sola, immaginando di stare con lei. Spesso le dava conforto, sapere che probabilmente stavano guardando la stessa pellicola. Era un po’ come se stessero insieme, e non a miglia di distanza.

Uno dei film preferiti da sua sorella era proprio uno la cui protagonista era la signora qui presente. Si intitolava “Amore e Morte a Broadway”, era uno di quei film pieni di sparatorie, in cui la donna del capo criminale si innamorava del poliziotto eroico. Alla fine, insieme riuscivano a sgominare la banda di assassini e si sposavano.

La trama era piuttosto scontata e decisamente troppo smielata per i suoi gusti. Akemi da parte sua l’adorava, e frequentemente si era chiesta se le analogie con la loro situazione c’entrassero qualcosa. Magari sua sorella si sentiva un pochino rincuorata nel vedere che, aiutata da un poliziotto, la ragazza riusciva a liberarsi dalla tirannia dell’organizzazione criminale. Non che lo credesse veramente possibile…ma a volte capiva che doveva essere bello lasciarsi andare nei sogni.

Come stava facendo lei, no?

Ironia della sorte, alla fine era stata lei a credere più di Akemi a quella favola della buonanotte: e adesso, Kudo era il suo poliziotto eroico, e lei la donna che cercava di staccarsi dall’organizzazione criminale. L’unico problema era che dubitava fortemente che potessero vincere e finire sposati.

Anche se, pur volendolo negare a se stessa…un po’ ancora si illudeva.

“Ho visto un suo film.” Si limitò a informarla, reprimendo una fitta al cuore al pensiero che avrebbe potuto chiederle un autografo per sua sorella, se quest’ultima fosse stata ancora viva. Ne sarebbe stata contentissima.  

Yukiko annuì sorridente, mettendo il filtro nell’acqua ormai bollente.

“Piccola, dove sono i tuoi genitori?” domandò la donna con noncuranza, riempiendo le tazze.

“Sono morti.” Rispose cupa. Yukiko la guardò con gli occhi sbarrati, improvvisamente lucidi.

“Mi dispiace, Ai-kun. Ma avrai qualche parente, no? Un fratello…o una sorella…”

“No. Anche mia sorella se n’è andata.” Ai sentì un groppo in gola, difficile da inghiottire. Smise di nuovo di guardarla.

“Oohh, povera cara. Dev’essere stato difficile per te.” La sentì dire tristemente. “Ma…come è successo?”

Ai scrollò le spalle bruscamente. “È pronta la camomilla?” chiese, risoluta a non parlare più dei fatti propri con una mezza estranea, seppure la madre di Kudo.

“Oh, sì. Mi dispiace se sono stata inopportuna.” Si scusò, lei annuì.

“…anche se spero che questa tua difficoltà a parlarne non voglia dire che ti senti in qualche modo responsabile.”

“COSA?” sbarrò gli occhi, guardando incredula la donna, che le sorrise gentilmente.

“Lasciamo stare, andiamo di là.”

“NO, aspetti! Cosa intendeva dire con..?”

“AI! YUKIKO! VENITE PRESTO!”         

La voce terrorizzata del dottor Agasa le interruppe. Entrambe le donne, rimpicciolite o meno, si precipitarono nel salotto, sbarrando gli occhi vedendo lo spettacolo che gli si presentò davanti: il professore, bianco come un lenzuolo, era chino vicino al divano, dove Conan giaceva sdraiato, il pugno all’altezza del petto, gli occhi chiusi e la bocca serrata in una smorfia di dolore. Il viso e il collo erano in fiamme, sudati. Tremava da capo a piedi.

“Ma cosa..?” balbettò Yukiko, le mani sulla bocca.

Ai si avvicinò al divano, apparentemente sempre fredda e risoluta, solo una sfumatura di preoccupazione nei suoi occhi gelidi, la fronte aggrottata in quella che sembrava una profonda concentrazione. Se avesse indossato il camice, sarebbe sembrata davvero un medico che visitava un paziente. Mise due dita sul collo di Conan.

“Da quant’è che sta così?” chiese distaccata.

“Pochissimo, vi ho chiamate subito. Non capisco, stava bene, e ad un tratto, ma che cos’ha?” disse il professore tutto d’un fiato. Ai annuì.

“Signora, vada in bagno, nel cassetto dei medicinali dev’esserci una scatola di Valium. Non sono un medico, ma ho l’impressione che se il cuore continua a battergli in questo modo potrebbe venirgli un infarto. Professore, vada in laboratorio, mi porti la scatola blu che sta sul banco. In fretta.” Aggiunse, quando vide che esitavano. Quando furono scomparsi, guardò l’orologio.

“Esattamente quattro ore e trentasei minuti dalla comparsa dei primi sintomi.” Lanciò un’occhiata a Conan, incapace di parlare, ancora ansimante sul divano. Se il dolore gli aveva lasciato un po’ di spazio per pensare, sapeva quale era la sua domanda. O la sua speranza…illusione…

“Mi dispiace, Kudo. Non è come pensi. Ho paura di…di aver commesso un errore terribile.” La voce divenne fioca nell’ultima parte, ma non sapeva se lui l’avesse udita. Sembrava l’incarnazione del dolore stesso. Si mosse per asciugargli la fronte, ma non fece in tempo: Yukiko era tornata con la confezione di Valium.

“Quante..?”

“Dieci gocce.” Preferì dargli la dose consigliata ai bambini. La donna gliele fece prendere con delicatezza, mentre il professore tornava con la scatola che gli aveva chiesto. Conan non smise di agitarsi, gemendo ad una fitta di dolore particolarmente forte.

“Quanto..?”

“Un quarto d’ora.”

Ai aprì la scatola, scorrendo velocemente i fogli, trovando un punto e cominciando a studiarlo attentamente, la fronte aggrottata. Gli altri due non riuscivano a credere che riuscisse a rimanere così impassibile. Ma lei sapeva benissimo che agitarsi non serviva a un bel niente, doveva mantenere una mente fredda, se voleva ragionare lucidamente.

Continuò a studiare gli appunti, mentre i gemiti di dolore si attenuavano lentamente, fino ad esaurirsi.

“Che cosa..?” chiese Conan con voce flebile, roca, il respiro ancora affannoso, riuscendo ad aprire gli occhi.

“Ti sei sentito male, tesoro, ma ora va tutto bene, sta’ tranquillo.” Rispose Yukiko, asciugandogli il sudore con una salvietta. “Vedo di nuovo i tuoi bellissimi occhi azzurri, Shin-chan.” Aggiunse con un sorriso.

“Ma, perché mi sono sentito male? Ai..?” chiese, un fil di voce, voltando leggermente la testa verso di lei.

“Colpa della capsula che hai ingerito ieri.”

“Vuol dire che…sta per fare effetto?” chiese fiducioso.

“No.” Preferì distruggere subito le sue speranze, evitando di guardarlo negli occhi per non vedere la sua delusione. “Non ne sono sicura, ma ho una teoria: le dosi non erano abbastanza per trasformarti, ma il tuo metabolismo ne è stato comunque danneggiato. A questo punto, c’è una sola soluzione. Procedere con un programma di disintossicazione, in poche parole: non somministrarti nulla per i prossimi mesi.”

“Giusto.” Dissero in coro il professor Agasa e Yukiko. Ai lo guardò  e vide i suoi occhi blu puntati su di lei, anche se le palpebre non erano completamente aperte. Il suo sguardo era intenso.

“Bene.” Commentò Conan “Faremo così. Non ho altra scelta, d’altronde.” Riuscì a sorridere, nonostante il ricordo del dolore appena sopportato fosse ancora vivo nel suo corpo, sempre rivolto a lei. Poi si voltò verso sua madre: “Vorrei riposare un po’, se non vi dispiace. Potete lasciarmi solo?”

Il dottor Agasa e Yukiko annuirono, lasciando la stanza. Ai fece per imitarli, rimasta indietro per raccogliere le carte, ma la voce di Conan, che aveva ripreso un po’ di colore, la bloccò:

“C’è un’altra possibilità, vero?”

Non era una vera domanda, piuttosto una considerazione in forma interrogativa. La piccola scienziata lo guardò: sullo stesso volto prima invaso dalla sofferenza, riuscì a formarsi un’espressione astuta appartenente più a Shinichi che a Conan. Gli occhi blu brillavano e le labbra le sorridevano ancora, in modo scaltro.

“Cosa te lo fa pensare?” ribatté in tono indifferente.

“Chiamala un’intuizione. Avanti, dimmi la verità.”

“D’accordo.” Si arrese con un sospiro. Capì che sarebbe stato inutile insistere: Kudo era testardo come un mulo, quando ci si metteva, sapeva che non avrebbe lasciato correre. Fece comunque un ultimo tentativo:

“Ma ritengo che sia molto meglio optare per la prima possibilità.”

“Sta a me decidere della mia vita, Ai. Non mi va di discutere, sono distrutto, perciò adesso dimmi qual’è l’altra.” Insisté lui, spazientito.   

“Va bene. Procedendo con la prima soluzione…”

“Ancora..! Ho detto che voglio sentire l’altra!” esclamò esasperato. Ai gli scoccò uno sguardo temibile che lo zittì all’istante.

“Procedendo con la prima soluzione, il composto continuerebbe a premere sul tuo metabolismo, cercando di sfociare in quello che è la sua riuscita, ovvero farti crescere. Ma le dosi non sono sufficienti e ciò si tramuterebbe quindi in attacchi come quello di oggi, sempre meno violenti, che si esaurirebbero una volta che il tuo corpo avesse assorbito completamente la capsula.” Spiegò atona, scoccando un’occhiata ai fogli.

“Scusa tanto, ma non avevi previsto che potesse succedere una cosa del genere?” chiese, un po’ brusco.

“L’avevo previsto. E ti avevo avvertito. Ma tu diventi stupido quando si tratta di quella ragazzina.” Replicò, ignorando il suo sbuffo risentito e l’occhiataccia che le aveva riservato sentendola parlare in quel modo di Ran.

“La seconda soluzione è molto più rischiosa. Si tratterebbe di somministrarti adesso uno speciale composto, leggermente diverso da quello di ieri, che dia…come posso fartelo capire…” di nuovo lo sbuffo risentito di lui.

Mi sta trattando come un deficiente o cosa??

“…un imput maggiore al composto, permettendo così di sfociare in quello che è il risultato e finirla una volta per tutte.”

“Cioè tornerei Shinichi?? Ma è magnifico!!” esclamò lui, entusiasta.

“Aspetta a dirlo. È pericoloso. Se sbaglio anche solo di poco la composizione della capsula tu morirai. E io non l’ho mai fatto, non su un essere umano almeno, e non posso fare tentativi, a meno che non mi porti una decina di persone sacrificabili. Dunque…” lasciò a lui il compito di immaginarsi il resto. Conan sospirò.

“Beh, non sarebbe la prima volta che faccio da cavia per composti sperimentali. Anche l’APTX non era mai stata testata su un essere umano, quando me l’hanno fatta inghiottire.” Disse, e ad Ai sembrò che, oltre a parlare con lei, stesse in qualche modo cercando anche di persuadere se stesso.

“Appunto. Non puoi sempre camminare sul filo del rasoio e sperare che ogni volta fili tutto liscio. Rinuncia, Kudo.” affermò decisa, ravviandosi i capelli. “Inoltre” aggiunse “ti ho già detto stamattina che non ho alcuna intenzione di somministrarti composti pericolosi, soprattutto ora che l’Organizzazione è da queste parti. Al punto in cui siamo ora, potremmo morire tutti e due in entrambi i casi, sia che funzionasse o no. Io non voglio che la nostra copertura salti solo perché devi correre dalla tua ragazza, non ho alcuna intenzione di sacrificarmi perché non riuscite a tenere a freno gli ormoni.” Il tono era tagliente, a dispetto della solita neutralità, Conan sembrò accalorarsi.

“Che ne sai tu di me e di Ran? Come ti permetti di parlarmi così??”

“Io vedo le cose dalla giusta prospettiva. Tu sei troppo coinvolto emotivamente per capire che, se continuiamo così, Mouri sarà la causa della nostra rovina. Pensaci.” Replicò fredda, senza battere ciglio alla sua rabbia.

“Al diavolo! Non devo giustificare le mie scelte con te. Sei stata tu a chiedere il mio aiuto, se non ti piacciono i miei metodi sei libera di andartene.” Gridò lui, alzandosi a sedere e ignorando il capogiro che gli costò. Lei lo fissò impassibile, le sopracciglia inarcate.

“Ma se resti qui” riprese “Non azzardarti a dirmi come fare il mio lavoro, e limitati a fare il tuo. Prepara quella capsula, sta a me decidere se prenderla o meno.”

“No.”

La risposta fu secca e immediata. Ai lo fissava imperturbabile, solida come un monolito di pietra, che nonostante i suoi sforzi non era riuscito nemmeno a intaccare.

Conan rimase in silenzio, sdraiandosi e chiudendo gli occhi. Ai osservò il suo petto alzarsi e abbassarsi a ritmo col suo respiro, sempre più regolare e calmo. Pensò che si fosse addormentato e fece per andarsene, ma di nuovo la sua voce interruppe il silenzio, profonda e pacata nonostante i toni infantili, un lieve sussurro, appena percettibile.

“Per favore.”

La stava di nuovo guardando. I suoi occhi blu erano così intensi, così penetranti, puntati nei propri. Poté vedere molte cose in fondo a quell’oceano, tristezza, disperazione, dolore, solitudine, speranza. Verso di lei. Verso la sua risposta. Avrebbe dovuto rifiutare, lo sapeva. Lo avrebbe fatto, almeno così era convinta. Finché lui non pronunciò quell’altra frase.

“Fallo per me, Ai.”

Il monolito non sembrava più così solido, così impenetrabile. Improvvisamente, pensò a tutte le cose che lui aveva fatto per lei, alle volte che aveva rischiato la sua vita per salvarla, a quelle in cui l’aveva tirata su di morale, dandole il sostegno che mai nessuno al mondo le aveva donato dopo la scomparsa di sua sorella. Nella sua mente molte immagini, lei che piangeva disperata abbracciata a Kudo, lei che, indossando il giubbetto di lui, veniva portata sulle sue spalle lontano dalle fiamme, il viso di lui a pochi centimetri dal proprio, mentre le faceva indossare i suoi occhiali per proteggerla, i suoi occhi, ogni volta che la rassicurava, il suo sorriso. Shinichi Kudo, che credeva in lei nonostante tutto, che aveva volutamente dimenticato il suo sporco passato, che l’aveva accolta nella cerchia dei suoi amici più fidati.

Fu così che, senza nemmeno rendersene conto, acconsentì. Conan le sorrise in un modo che le fece scordare l’errore appena commesso, prima di sussurrarle un tenero “grazie” e chiudere di nuovo gli occhi, intenzionato a riposare.

Ai sospirò, poi si diresse in laboratorio.. Prima che la sua mente fosse totalmente assorbita da ragionamenti, calcoli e elementi, si chiese perché Kudo fosse sempre pronto a fidarsi ciecamente di lei e dei suoi composti, nonostante i loro trascorsi. E dire che prima di conoscerlo era convinta che un detective dovesse essere sospettoso per professione.

 

*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Sapeva che perdersi nell’auto-compiacimento spesso portava a fare errori, ma in quel momento trovava davvero difficile non farlo; insomma, il suo piano era davvero geniale, perfetto, uno dei migliori che avesse ordito in tutta la sua carriera. Sorrise, accendendosi una sigaretta: era quasi il momento di agire, l’adrenalina cominciava già a salire e a far fremere il suo corpo, accendendogli dentro una fiamma simile a quella scaturita dal suo accendino d’argento. Era sempre così, prima di un’azione: quella piacevole sensazione allo stomaco, la prospettiva di poter  ancora una volta avere il potere di strappare la vita a qualcuno, l’eccitazione nel premere il grilletto e riuscire quasi a sentire la pallottola che perfora la carne, il sapore del sangue in bocca, le grida della vittima. Ascoltarlo implorare perdono, sapere di essere più potente di lui, superiore. Uccidere guardando negli occhi era il massimo, oh sì. Vederli lentamente svuotarsi dello spirito, del terrore, divenire vitrei, spegnersi completamente. Sapere che l’ultima cosa che permetteva di vedere alle sue vittime era se stesso, l’arma che gli puntava contro senza pietà,  essere certo che non potessero pensare ad altro che alla paura, alla consapevolezza di stare per essere uccisi. Adorava il suo lavoro. Soprattutto ora, che si preparava a schiacciare finalmente quell’insetto fastidioso che aveva osato pensare di poterlo battere al suo stesso gioco. L’avrebbe fatto soffrire molto, di questo era certo; non voleva semplicemente ucciderlo, no, quel bastardo meritava di essere distrutto. Sarebbe stato meraviglioso vederlo implorare il suo perdono, che naturalmente lui non gli avrebbe concesso. Illudere le sue vittime era un’altra cosa che amava.

Spense la sigaretta con la punta della scarpa, estrasse il cellulare e compose il numero;

“Raggiungimi all’hotel di Beika-centre, Vodka. Dobbiamo parlare.”

 Che lo show avesse inizio…

 

 *~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Conan stava quasi per assopirsi, entrando in un sogno che sembrava avere a che fare con dei corvi, quando una voce metallica, roca, lo destò all’improvviso, facendo ricominciare a battere il cuore che era riuscito a calmare. Si issò subito a sedere, sbarrando gli occhi in un misto di sorpresa e attenzione, dirigendo lo sguardo verso i macchinari lasciati incustoditi.

“Raggiungimi all’hotel di Beika-centre, Vodka. Dobbiamo parlare.”

La voce di Gin, ne era certo, nonostante fosse modificata dal congegno; aveva appena chiamato il suo complice, dunque stava probabilmente per prepararsi ad una nuova missione. Sorrise, inarcando le sopracciglia, in un’espressione che apparteneva in modo inconfondibile a Shinichi.

Lo sento, questa è la volta buona che ti arresto, lurido bastardo…non m’importa cosa dovrò fare, ma ti assicuro che avrò il piacere di vedere quella tua brutta faccia dietro le sbarre…

Si aggiustò gli occhiali sul naso, colpendo nervosamente il pavimento col piede, a ritmo. Quanto ci avrebbe messo Vodka a raggiungere l’albergo? Ridacchiò, uno sfogo della tensione: tutto sommato era strano che non fosse già lì, era quasi convinto che fossero cuciti l’uno all’altro per la vita, che mangiassero, dormissero, persino che andassero in bagno insieme; non li aveva mai visti divisi…

Ci sarà poco da ridere quando dovrò affrontarli…uffa, ma quanto ci mette?

Sbuffò, incrociando le braccia dietro la testa e chiudendo gli occhi. Incredibile quanto il tempo fosse relativo: il giorno prima passava così in fretta che non faceva in tempo a guardare l’orologio che l’ora era cambiata, quel giorno era lentissimo.

Aggrottò la fronte: ancora non riusciva a capire cosa fosse la cosa che gli sfuggiva, e adesso aveva anche una strana sensazione di allarme all’altezza dello stomaco. Sentiva di essere nei guai, ma non riusciva davvero a capire il perché: insomma, come aveva detto ad Ai, erano loro che conducevano il gioco, finché  avevano la possibilità di conoscere ogni mossa del nemico. Dunque perché..? E quel nodo alla testa, aveva davvero a che fare con Gin e Vodka?? Insomma, dubitava che si fosse accorto di qualcosa a scoppio ritardato, era passato quasi un giorno intero, e si supponeva che non fosse tardo.

Accidenti…non riesco proprio a ricordarlo…aaaargghhh!!

Scosse la testa, come se sperasse di scrollarsi di dosso quella sensazione. Era certo che gli sarebbe venuto in mente, ma era davvero spiacevole e fastidioso tenerselo lì, in lista di attesa. Anche se ora aveva cose più importanti a cui pensare che a stupide sensazioni astratte: insomma, era un investigatore, pertanto doveva essere razionale, pensare solo ai fatti. Se avesse dovuto affrontare un altro scontro con l’Organizzazione doveva essere preparato e in forma; beh, sulla prima parte ci avrebbe lavorato una volta conosciuti i piani di Gin, sulla seconda…attualmente aveva qualche problemino.

Cosa sarebbe successo avesse avuto un attacco simile a quello appena passato in un momento critico??

Sempre fortunatissimo…proprio OGGI mi doveva capitare…un ragazzo di diciassette anni, ma che dico, un bambino di SETTE anni che teme di avere un infarto…se me lo raccontassero non ci crederei…

Poteva fare della facile ironia quanto voleva, ma il problema era imminente e reale. La possibilità non era da escludere, come non poteva contare a priori sul fatto che Ai riuscisse a studiare la formula giusta; aveva sbagliato già una volta, no? A quanto ne diceva lei, era una follia sperare in un successo. E non era detto che riuscisse a fare la capsula prima che dovesse entrare in azione.

Problemi, problemi, problemi…cominciava ad essere stufo di tutto questo dover pensare a soluzioni alternative.

Aprì gli occhi, scoccando un’occhiata al telefono vicino all’ingresso. Quella era una possibilità, anche se non lo allettava per niente. Lui era Shinichi Kudo, il geniale studente-detective, colui che era stato nominato dalla stampa ‘L’unico salvatore della polizia giapponese’, non un pivellino qualunque. Non aveva mai avuto bisogno di chiederlo, e non aveva alcuna intenzione di farlo adesso, soprattutto a lui. Poteva farcela da solo, restava in gamba nonostante l’handicap, sicuro. Una volta, durante una partita di calcio nella sua vecchia scuola superiore, aveva preso una tremenda storta al piede destro, tanto che ogni volta che calciava il pallone sentiva fitte dolorosissime articolarsi per tutta la gamba; e si era tirato indietro? Si era fatto sostituire da un compagno di squadra? Certo che no, aveva continuato stoicamente, riuscendo perfino a segnare una rete. L’unica nota stonata c’era stata dopo la partita, quando Ran si era offerta di medicargli il piede, divenuto incredibilmente gonfio e rosso; non che gli dispiacesse sentire il tocco delicato delle sue dita mentre gli spalmava la pomata, il modo lieve e dolce come una carezza con cui gli sistemava la fasciatura, quasi senza fargli sentire il minimo dolore. Ma cavoli, in quanto a prediche seccanti, Ran non era seconda a nessuno! Che avesse preso da sua madre? Probabilmente sì. Riusciva ancora a vedere il suo viso accigliato, e nonostante tutto ancora molto bello, e a sentire la sua voce mentre lo accusava di essere, in poche parole, un pallone gonfiato.

 

“Sei un vero idiota, Shinichi, guarda qui come ti sei ridotto per una stupida partita di calcio! Meriteresti di restare così.”

“Non ti ho mai chiesto di venirmi a medicare.” Aveva sbuffato lui.

“Ma è proprio questo il punto! Tu non chiedi mai aiuto a nessuno, nemmeno quando ne hai bisogno, perché sei così pieno di te da credere di potercela fare sempre da solo, e ad ogni modo di poter fare qualcosa sempre meglio di chiunque altro, non è così?” aveva incalzato lei, alzando un po’ la voce.

“Certo che posso farcela da solo! Mi credi un debole??” ricordava di essersi sentito un pochino risentito e ferito.

“È questo il problema; chiedere aiuto non significa essere deboli, anzi, è proprio il contrario! Ci vuole una grande forza interiore per ammettere i propri limiti.” Le guance di lei si erano colorate di rosa più acceso mentre parlava, e Shinichi aveva capito che, una volta tanto in quanto a ragionamenti assennati, Ran l’aveva battuto.

Tuttavia non l’avrebbe ammesso davanti a lei, no?

“E se uno non ha limiti?”

Quella domanda gli era costata una sberla sul già lesionato piede destro.

 

Socchiuse gli occhi seccato, anche se non poté evitare che gli angoli della bocca si stirassero in un sorriso: innamorarsi di una campionessa di karate aveva i suoi svantaggi, purtroppo.

Come vorrei tornare a quei tempi, Ran…quando passare del tempo con te non significava doverti mentire e ingannare…quando ancora non avevi mai sofferto per colpa mia…

Il sorriso si trasformò in malinconico. Lanciò un’altra occhiata sofferente all’apparecchio telefonico: non vedeva altra alternativa, per quanto il suo orgoglio continuasse a urlare di non farlo. Comunque, si disse, almeno lui era un tipo da non gongolare su questo genere di cose. Su molte altre sì…ma su questo proprio no. E in fondo gli aveva già detto che l’avrebbe coinvolto, no?

Il fatto era che non c’era solo l’orgoglio a fermarlo; farlo partecipe significava metterlo nei guai, e per quanto fosse di gran lunga meno protettivo nei suoi confronti che in quelli della sua amica d’infanzia, non voleva che qualcuno morisse per colpa sua, soprattutto un suo amico. Non se lo sarebbe mai perdonato. E non stavano andando contro un gruppo di criminali sprovveduti, ma contro un’organizzazione estremamente pericolosa.

Ma lui è un detective come me...so che non si farebbe problemi a venire qui se glielo chiedessi, è una delle persone più leali che conosco…ma sono io che ho qualche problema a chiamarlo…

Sospirò. Un'altra cosa a cui pensare. Come aveva detto?? Problemi, problemi, problemi…comiciò a chiedersi se non era lui stesso a farsene troppi. Perché diavolo doveva essere sempre così protettivo nei confronti di tutti quelli che gli stavano vicino??

“Ci hai messo troppo tempo.”

La voce metallica di Gin lo riscosse dai suoi pensieri: tutti il suo corpo si mise in allerta, le orecchie tese a captare qualsiasi suono, la fronte aggrottata in una profonda concentrazione, gli occhi seri e attenti.

“Ehm…mi dispiace.”

Udì uno sbuffo seccato, poi di nuovo la voce che odiava di più al mondo.

“Stasera siamo impegnati, Vodka. Hai presente quel complesso di case popolari abbandonate, alla periferia ovest di Beika?”

“Sì…ci si arriva con un paio di ore di macchina, se non sbaglio…”

La conosceva anche Conan; aveva sentito al telegiornale che il progetto per le abitazioni era stato intrapreso dal comune e poi abbandonato per mancanza di fondi, adoperati per altre opere più importanti. Le case, non terminate, non erano adatte ad essere abitate, così erano lasciate lì a deteriorarsi. Il complesso non aveva buona fama, pareva che molti delinquenti usassero le costruzioni come rifugio, per scambi illeciti, e cose così. Insomma, non un luogo dove un genitore porterebbe il figlio, o dove una persona perbene si farebbe vedere.

“Esatto. Dobbiamo incontrare degli uomini venuti dal sud America per acquistare un carico di cocaina, alle undici e mezzo di stasera. Per precauzione, come al solito, saremo lì un po’ prima per controllare che non vogliano rifilarci qualche fregatura.”

“D’accordo. Ci conviene, i capi non sono molto contenti di quello che abbiamo fatto ieri.”

Dentro di sé, Conan rise sguaiatamente, soddisfatto: e così aveva messo nei guai Gin e Vodka. Ottimo.

“Hmph. Comunque, devo occuparmi di un altro affare che ho in sospeso. Vedrai che i capi chiuderanno un occhio sul fallimento di ieri quando l’avrò messo in atto…domani sera, ci occuperemo di quel bastardo che ci ha ostacolati.”

Conan sussultò: stavano parlando di lui. Cosa mai aveva in mente Gin? Cosa sarebbe accaduto l’indomani sera??

“Come?”

“Studieremo bene il piano domani mattina; per ora concentriamoci sullo scambio di stasera.”

Shinichi Kudo sorrise attraverso il viso di Conan Edogawa: dubitava che ci sarebbe stato tempo per loro per tramare ai suoi danni, dopo quella sera; nella sua mente, già si stava articolando una strategia per mettere finalmente in prigione quei due bastardi. Anche se gli sarebbe piaciuto scoprire cosa aveva in mente, stabilì che non era stato un gran danno; in fondo, nel peggiore dei casi, li avrebbe ascoltati l’indomani, e sarebbe stato pronto a qualsiasi attacco.

“D’accordo, Gin.”

“Ora togliti dai piedi, devo occuparmi di una faccenda da solo.”

Il resto della trasmissione non fu molto significativo; Conan si alzò dal divano, trafugando la cassetta con la registrazione della conversazione fra i due e infilandola nella tasca del giubbetto; se Ai Haibara l’avesse ascoltata, di sicuro avrebbe voluto partecipare alla sua controffensiva, e non aveva alcuna voglia di metterla in pericolo. In fondo le aveva detto che, se fosse successo qualcosa, ci avrebbe pensato lui…

E a proposito di registrazioni…mi domando che fine abbia fatto la cassetta che incriminava me…chissà come ha intenzione di usarla Vermouth…

Scrollò le spalle; pensare a problemi che non avevano soluzioni quando molti più immediati incombevano sulla sua testa, minacciosi, era davvero inutile e stupido. Dunque, doveva ignorare il senso di disagio che si era formato alla bocca dello stomaco al pensiero che una sua confessione fosse nelle mani di un’assassina fuori di testa.

Una cosa gli era chiara: sarebbe andato anche lui in quel complesso, per affrontare Gin e Vodka; beh, avrebbe documentato il loro scambio illecito per dare delle prove contro di loro alla polizia, poi li avrebbe addormentati con un ago anestetico in attesa delle volanti, che naturalmente sarebbero state già messe in allerta; infatti, di lì a poco, avrebbe telefonato all’ispettore Megure con la sua voce adulta, raccomandandogli di avvertire solo alcuni uomini fidati e di sistemarsi nelle vicinanze del complesso in modo che fossero subito pronti all’azione. Qualche agente, come Takagi o Chiba, poteva fingersi un malvivente e gironzolare per le case…

Non è male come idea…ma quei due sono miei…sarò io ad assicurarli alla giustizia…

Ora doveva pensare se coinvolgere o no un’altra persona; Heiji Hattori, per l’esattezza. Si chiese se al professore avrebbe dato fastidio se avesse fatto un’interurbana dal suo telefono di casa. Ridacchiò: decisamente sì.

Decise di chiamarlo con il suo cellulare, così avrebbe avuto anche meno possibilità di farsi sentire da Haibara. Guardò l’orologio: le due e mezza; sarebbe stato meglio tornare all’agenzia, quel giorno Ran non aveva allenamenti di karate e sarebbe tornata subito a casa. Afferrò il giubbetto e la cartella e si diresse verso la porta, gli ingranaggi della sua mente che ancora si muovevano laboriosi studiando i particolari del piano.

 

*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

  

Una moltitudine chiassosa di studenti si accalcava verso l’uscita della scuola superiore Teitan, in un’ondata di azzurro che sommergeva  il verde dei parti e il grigio dei marciapiedi. Sonoko e Ran camminavano vicine, la prima parlando incessantemente con la sua voce acuta, la seconda sorridendo e annuendo ogni tanto, per gentilezza, senza davvero prestare attenzione ai discorsi della ragazza dai capelli castani: non aveva molta voglia di ascoltare i gossip del giorno del suo liceo, a esser sincera. Comunque, sapeva che Sonoko ci sarebbe rimasta male se l’avesse costretta a tacere, così sopportava paziente il suo sproloquio: in fondo sapeva essere davvero una buona amica, se ce n’era bisogno, come quando aveva ceduto il posto del cavaliere nero a Shinichi, alla recita, cercando in tutti i modi di portarli a interpretare una scena romantica insieme. Inoltre, anche se non lo dimostrava spesso, Sonoko era davvero una ragazza dolce, sapeva che teneva molto alla loro amicizia, e le voleva bene. Quella mattina stessa aveva voluto conoscere i dettagli del suo appuntamento con Shinichi, e quando aveva scoperto che non si era presentato aveva fatto di tutto per tirarla su di morale, cominciando a insultare in tutti i modi il suo amico d’infanzia, ripetendole in sostanza quanto era stato idiota a fare una cosa del genere a lei e proponendo poi una visita in gelateria subito dopo scuola per affogare i loro dispiaceri nei dolci.

“Ti capisco benissimo, Ran.” aveva sospirato. “Sai quante volte Makoto-kun mi ha promesso di venire a Tokyo per poi disdire pochi giorni prima per andare ad un’ennesima competizione da qualche parte in Giappone?”

Era riuscita perfino a farla sorridere quando aveva suggerito di picchiarli entrambi fino a fagli implorare perdono una volta che si fossero ripresentati lì. Eh sì, Sonoko Suzuki poteva avere tutti i difetti di questo mondo, ma aveva un gran cuore. D’altronde, non si diventava la sua migliore amica per niente…

Sonoko chiuse la bocca di colpo, guardando sorpresa un punto davanti a loro; Ran la fissò perplessa per un momento, battendo le palpebre, seguendo poi la traiettoria del suo sguardo e rimanendo a sua volta stupita: fuori dal cancello, in disparte in un angolo per non farsi travolgere dall’ondata di studenti liceali in uscita, c’era una donna dai folti capelli rosso scuro, con una bellezza da diva del cinema, tanto giovanile che, se avesse indossato la divisa scolastica, sarebbe potuta essere scambiata per una studentessa. Ran spalancò la bocca, in un’espressione di sincera sorpresa. Di tutte le persone…

“Ran! Ehi, da questa parte!” le gridò Yukiko facendole cenno con la mano alzata, non appena la scorse.

Lei accennò un sorriso cordiale, dirigendosi verso il punto che le era stato indicato. Sonoko la seguì, ancora perplessa.

“Ma quella non è..?” domandò incerta.

“Sì, la madre di Shinichi.” Sospirò, chiedendosi cosa mai potesse volere da lei; non che le dispiacesse vederla, insomma, casa Kudo era sempre stata un po’ come la propria, e si era molto affezionata alla madre e al padre di Shinichi, li considerava dei secondi genitori, in un certo senso. Aveva idea che la cosa fosse reciproca, infatti Yukiko la trattava sempre con l’amorevolezza e l’affetto di una madre, e ricordava un discorso che Yusaku le aveva fatto, quando aveva tredici anni, su come liberarsi dei ragazzi che potevano importunarla, o farle corti troppo insistenti.

“Basta colpirli nel punto giusto, se capisci cosa intendo.” Aveva detto serio ma facendole l’occhiolino, e lei aveva riso.

“Posso farlo anche con Shinichi?” aveva chiesto, ancora sorridente.

“Devi farlo soprattutto con Shinichi, Ran.” la risposta l’aveva fatta ridere ancora di più.

Adesso sorrise al ricordo: aveva sempre considerato i Kudo una  famiglia davvero buffa. Tutti e tre insieme avrebbero potuto benissimo essere i protagonisti di una sit-com.

Comunque, la presenza di Yukiko lì non la entusiasmava, non dopo quello che era successo il giorno prima con suo figlio. Aveva paura che volesse parlare di quello e la cosa non le piaceva per niente, anche perché, se Shinichi aveva qualcosa da dire al riguardo, poteva farlo benissimo da sé. Trovava immaturo mandare avanti la mamma, insomma, non stavano mica alle elementari! Una sensazione di rabbia mista a odio si formò dentro di lei mentre si avvicinava all’apparenza tranquilla verso la donna. Gli aveva detto che non voleva parlare con lui attraverso il telefono e Shinichi le aveva mandato una terza persona a parlare in sua vece; un pensiero davvero carino da parte sua. Di lì a poco tempo cosa avrebbe dovuto fare per parlargli? Comunicarlo al suo agente e prendere appuntamento?

Stupido, idiota, egocentrico pallone gonfiato…chi credi di essere per trattarmi così? Pensi davvero che starò qui ad aspettarti buona finché non ti ricorderai che esisto?? Beh, se è così rimarrai amaramente deluso Shinichi…non credere che non riuscirei a dimenticarti…

 perfino a odiarti…

Il cuore protestò dolorosamente, ma la sua voce fu soffocata dalla nube di rabbia che ormai invadeva il suo animo. Non avrebbe mai pensato che Shinichi potesse dimostrarsi così vigliacco; forse era vero che si era innamorata dell’immagine che aveva di lui, non del suo vero io. Magari era stato Shinichi stesso a farle credere di essere migliore, per abbindolarla, in modo che lei cadesse ai suoi piedi proprio come le ammiratrici che gli scrivevano montagne di lettere.

Anche se, ricordando i momenti passati insieme a lui, sembrava un’ipotesi davvero poco credibile. Oh, Shinichi avrebbe dovuto essere candidato all’Oscar, se davvero aveva finto per tutto il tempo, con lei. Perché mai avrebbe potuto immaginare un sorriso che le scaldasse il cuore allo stesso modo, due occhi più sinceri e intensi. No, una parte del suo animo, quello che ancora resisteva alla rabbia, le disse che non era davvero possibile. Ma era veramente difficile starla ad ascoltare, dopo tutto quello che le aveva fatto passare il suo amico d’infanzia. Inoltre quella parte era così irrazionale alle volte, quando le suggeriva che Shinichi potesse non essersene mai andato, in realtà, quando le faceva vedere lui dietro l’espressione dolce e infantile del piccolo Conan, quando le faceva sentire parole che nessuno aveva mai pronunciato.

“Ti amo, Ran.”

E per quanto strano potesse essere, le ricordò pronunciate con la voce di Shinichi, non di Conan. Il che era un’altra prova a favore della tesi che era stata tutta immaginazione. Sì, di quella parte irrazionale e tanto sciocca che ancora la esortava a non abbandonare le speranze, ad aprire gli occhi e vedere, a smetterla di pensare male del suo amico d’infanzia. Quella parte così stupida e insopportabile che adesso la incitava a superare le apparenze, proprio come le aveva insegnato lui, a vedere l’essenza delle cose e non il modo in cui gli altri volevano che le apparissero. Shinichi gliel’aveva detto quando erano andati ad uno spettacolo di magia, alle medie. “Non lasciarti ingannare da quello che lui vuole farti vedere.” Aveva sussurrato, indicando il prestigiatore sul palco. “Vai al di là di questo, guarda con gli occhi della mente, e riuscirai a far saltar fuori tutti i trucchetti. Non è tanto difficile, se ci provi. L’unico motivo per cui una persona va a uno spettacolo di magia è che vuole essere ingannato, lasciato a bocca aperta. Si rifiuta di vedere il trucco per non spezzare la magia. Ma i detective sono diversi, loro non possono permettersi di lasciarsi trarre in inganno, perché scoprire la verità è loro dovere. Ragione di vita, se vogliamo essere drastici. È per questo che ho sempre pensato che i prestigiatori fossero gli antagonisti diretti dei detective: i primi cercano di nascondere la verità con l’apparenza, i secondi svelano la verità andando al di là dell’apparenza. Comunque, Ran, il punto è questo: non lasciarti mai ingannare, guarda tutto con gli occhi della mente, sempre. I sensi possono essere ingannati, ma c’è qualcosa che può essere abbindolato solo con la tua complicità. Nemmeno il prestigiatore migliore del mondo potrebbe convincere quella parte di te, se tu non glielo permettessi come fanno tutti questi tipi. Questa parte è il tuo cuore. Quello conosce sempre la verità, anche se cerchi di zittirlo, di convincerlo. Nessuno può ingannare il tuo cuore.”

Questo l’aveva colpita. Ma i ragionamenti di Shinichi la lasciavano spesso senza fiato, con l’abitudine di insinuarsi di nuovo nella sua mente nei momenti in cui ne aveva bisogno. Come questo ad esempio.

Guardare con gli occhi della mente e ascoltare il cuore…facile a dirsi…ma non altrettanto metterlo in atto…

Era così assorta nei suoi pensieri che sussultò quando si accorse di essere arrivata a pochi centimetri da Yukiko.

“Ciao Ran-chan!” aveva esclamato con voce squillante la donna, abbracciandola, prima di salutare un po’ meno calorosamente anche Sonoko. Notò che molti suoi compagni stavano occhieggiando le forme di Yukiko, facendo poi commenti fra di loro con sorrisetti stampati in faccia. Idioti. Si chiese se potesse mai esistere o fosse mai esistito un uomo al quale il cervello non prendesse il volo dopo aver visto un po’ di curve nei punti giusti.

“Salve! Cosa ci fai qui?? Non dovresti essere in America con Yusaku?”

Il viso di lei si imbronciò: “Ran, quando avrai la mia età, capirai che per quanto tu possa amare un uomo, ci sono dei momenti in cui hai bisogno di mettere miglia di distanza fra te e lui.” sospirò, Ran sorrise: i litigi fra i genitori di Shinichi erano frequenti, non quanto quelli dei propri, certo, o tanto drastici, ma abbastanza per il malcontento di loro figlio. Fortunatamente non erano mai veramente seri.

“Comunque, non parliamo di me, adesso. Sono venuta per te, Ran.”

Ecco…ci siamo…

Sentì un moto di sconforto, ma sorrise ugualmente alla donna, annuendo. “Avevamo pensato di andare in gelateria, se vuole unirsi a noi…” disse Sonoko con un sorriso educato.

Yukiko accettò di buon grado, e tutte e tre si avviarono verso il luogo prestabilito. Si sedettero ad un tavolo, una cameriera piuttosto graziosa prese le loro ordinazioni e, mentre aspettavano di essere servite, Yukiko esordì:

“Ran, tesoro, ho saputo quello che è accaduto ieri. Non sai quanto mi dispiace…”

La ragazza alzò le spalle. Così aveva visto giusto, era di quello che voleva parlare. Purtroppo.

“Non importa. Ehm…te l’ha detto Shinichi, quello che è successo?”

Perché se spera che mandando la mamma risolve tutto è una delle rare volte in cui non ha davvero capito niente…

“No, me l’ha raccontato il professor Agasa. Sai che è un po’ il suo confidente, no?” disse, con un mezzo sorriso. Ran annuì calma, ma dentro di lei di nuovo la rabbia ribolliva.

Ha avuto il tempo per raccontare tutto al professore ma non per farmi almeno una telefonata e darmi spiegazioni…grazie tante Shinichi…

Yukiko sospirò: “Lo so, deve sembrarti un vero idiota in questo momento, ma credimi, non aveva alcuna intenzione di deluderti, o ferirti. Lui ti vuole bene, lo sai.”

“Sì, ma mi da anche troppo per scontata!” sbottò, senza riuscire a trattenersi. Sonoko, accanto a lei, sobbalzò, evitando accuratamente di entrare nel discorso. Ran guardò negli occhi Yukiko e…cos’era quella luce che aveva visto in fondo ai suoi occhi? Sembrava…ma no, non aveva senso…

Guarda con gli occhi della mente…

La luce sparì in fretta, sostituita da qualcosa più attinente al tema: dispiacere. Ran fu rilassata da quel ritorno alla normalità, ma purtroppo sapeva bene che Yukiko Kudo era un’attrice molto in gamba, che avrebbe saputo ingannarla, se voleva. O, come sosteneva Shinichi, se lei gliel’avesse permesso.

“Cara, ascoltami, non è mancato all’appuntamento perché voleva…non è stata colpa sua, almeno questo.” Aggiunse, mordendosi il labbro inferiore. Ran la guardò perplessa: “In che senso ‘almeno questo ’?”

Yukiko sembrava refrattaria ad approfondire l’argomento, e anche piuttosto a disagio, come testimoniava il fatto che avesse cominciato a giocherellare con un tovagliolo, tenendo gli occhi bassi. Però ancora una volta tutto questo le sembrava…fasullo.

…e ascolta il tuo cuore…

“Beh, vedi Ran…Shinichi…sta passando un brutto momento ultimamente. Io sto cominciando a pensare che avrebbe dovuto dirti tutto fin dall’inizio, ma lui è così cocciuto, e così protettivo, lo conosci…insomma…se non ha parlato è per il tuo bene, ma penso che sia tu a dover fare le tue scelte, cioè…”

“Ma di che cosa stai parlando??” chiese, la fronte aggrottata. Era totalmente confusa. Cos’era che doveva dirle, Shinichi? Cosa c’entrava col fatto che era protettivo? O che era mancato all’appuntamento??

“…e credo che staresti molto meglio se sapessi.” Continuò la donna, ignorando la sua domanda.

“Sapere che cosa?!?”

La luce negli occhi di lei era tornata, per un istante fugace, ma fu subito scacciata. Eppure l’aveva vista, ne era certa. Non voleva lasciarsi ingannare. Attraverso la confusione, il cuore le lanciò un messaggio chiaro e preciso, che per ora passò inascoltato, poiché la mente era concentrata nello sforzo di capire le sue parole. Ma l’avrebbe ricordato in seguito, nitidamente. Perché Shinichi aveva avuto ragione, naturalmente.

“Ran, cara…ho qualcosa per te”.

 

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Note dell’Autrice: ciao a tutti! Capitolo piuttosto arduo, lo so, e pieno di flash-back, non ho davvero potuto evitarlo.^^” Tutto mi sembrava un perfetto aggancio per una scena presa dal passato della coppia, prima della “nascita” di Conan. A volte o lo scrivi o ti penti di non averlo fatto ogni volta che rileggi il capitolo, perciò, se l’idea iniziale mia era quella di tagliarne qualcuno (come quello della partita, ad esempio) alla fine ho rinunciato. Spero che non sia divenuto un chap pesante, e che il linguaggio non sia troppo ampolloso. Per quanto riguarda la storia, niente di eccezionale, per ora, lo so, siamo su un ritmo piuttosto lento, ma non vi preoccupate: sto solo disponendo le pedine sulla scacchiera: la vera partita comincerà fra poco! (non chiedetemi come mi escono queste cose: la follia della mia mente è incontrollabile e non ha limiti.- _ -“) Come al solito però, dopo aver faticato tanto per essere soddisfacente per i miei canoni, (vi assicuro, sono davvero esigente e pignola) il capitolo deve superare un ulteriore esame, ovvero: è piaciuto a voi che lo leggete?? Spero proprio di sì, nel frattempo passo a ringraziare nei particolari coloro che, con la loro grande generosità, hanno commentato lo scorso chap. Siete fantastici!

Super Gaia: ciao e grazie per i complimenti! Il tuo innamoramento per la mia storia non può che farmi moltissimo piacere! #^^# Spero che questo capitolo non ti deluda e che continui a seguire la mia ff.

Lili: oh carissima, mi ero per l’appunto chiesta dove fossi finita; ho avuto paura che il capitolo sedici non ti fosse piaciuto, è un vero sollievo sentire che non è così!!^^ Non preoccuparti, comunque, non c’è motivo di vergognarsi! Grazie per i commenti riguardanti entrambi i capitoli, spero che anche quest’ultimo sia all’altezza delle tue aspettative!

Yuki: ti ringrazio moltissimo del commento. Ecco il nuovo chap: piaciuto? Spero proprio di sì, Yuki-chan!^^ Grazie anche degli auguri, buon anno anche a te! ßseppure un po’ in ritardo. ^^ ;

Vichan: ciao! Sono particolarmente contenta del tuo commento. Vuoi sapere il perché? Ho notato che, se recensisco uno scrittore che aveva precedentemente commentato la mia ff, quello smette di recensirmi. È una cosa che un po’ mi fa ridere e un po’ mi lascia perplessa: insomma, non mi sembra di aver detto nulla di offensivo nei miei commenti, anzi! Tu hai screditato questa convenzione. *Thanks*! Beh, tralasciando i miei vagheggiamenti, grazie dei complimenti, sono felice che la storia continui a piacerti e spero di non deludere in alcun modo le tue aspettative e la tua fiducia. Auguri per un bellissimo anno anche a te.

Hoshi: salve! Ti ringrazio moltissimo per l’ennesima recensione, mi farebbe piacere sentire la tua opinione anche su quest’ultimo capitolo.

Sabry1611: Sabry, con le tue recensioni mi fai davvero arrossire! #^^# Non riusciresti nemmeno a immaginare quanto mi faccia piacere sentire che ti stai appassionando così tanto alla mia ff, i tuoi apprezzamenti mi scaldano il cuore! È vero, la storia mi prende davvero molto, anche perché si notano subito le ff scritte tanto per, e risultano puntualmente scadenti. Io preferisco di gran lunga non postare nulla che pubblicare qualcosa che non mi soddisfi pienamente, in cui non ci sia passione, appunto. Il cestino del mio pc conta almeno quattro racconti così! ^^” Devo confessarti anche che sono la prima, mentre scrivo, a immedesimarmi nei personaggi; è un modo per renderli il più reali possibili, almeno secondo me. Sono felice di riuscire a coinvolgerti!^^ Di nuovo grazie del commento, un bacio, spero di risentirti.

APTX4869: ciao! Grazie mille della recensione; eh sì, avevi decisamente intuito qualcosa e penso che questo capitolo ti abbia tolto ogni ragionevole dubbio. Sono contenta che tu abbia colto l’indizio dello strano caldo di Conan, comunque. In quanto a quello che ti suggerisce la tua follia…beh, ti confesso che l’idea non mi era passata nemmeno per l’anticamera del cervello, ma nel momento in cui me l’hai suggerita mi si è creata in mente una scenetta comica niente male sull’argomento. (eh eh eh ßtre secondi di gioia immotivata). Pazienta ancora un po’ e abbi fiducia in me: non ti prometto niente, ma c’è una possibilità che il tuo desiderio di vedere Ran e Shinichi insieme si realizzi in un futuro prossimo…nel frattempo, devo ammettere che hai ragione: niente APTX, niente Conan; dunque w Ai Haibara e i suoi veleni! Baci e a presto.

Mareviola: fai poco la spiritosa, tu! Ti sembrano scherzi da fare a una povera inerme scrittrice in erba? Sei senza cuore!

Ah ah ah, scherzetto. (non farci caso, stanotte non ho dormito e gli effetti si vedono.) Grazie della recensione e a presto.

Ginny85: ciao Ginnuzza! A me Conan e Shinichi piacciono entrambi, sebbene non si direbbe, dato il modo sadico in cui li tratto! ^^; felice che anche lo scorso capitolo ti sia piaciuto, la scena con i detective boys l’ho messa di proposito, per alleggerire un po’ la situazione e i vari drammi psicologici dei personaggi; ho notato che l’innocenza infantile è un toccasana! La scena con le tre piccole pesti mi ha divertito molto, e dire che nell’anime non li posso vedere! Anche perché detective boys = puntata stupida; l’unica che mi è piaciuta è stata quella in cui Conan veniva ferito. ( e si ritorna al sadismo.- _ -“). Vedrai che la storia, che ora è in stasi, tornerà in piena attività, e non solo i detective dovranno darsi da fare! (ma non ti dico altro…) intanto, grazie moltissimo dei complimenti, spero che non dovrai mai pentirti di aver letto questa fic! Un bacione, a risentirci!

Lisa Lawer: certo che lo accetto! ^__^ Mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento, sei molto gentile; beh, le sventure di Shinichi ci sono tutte per colpa mia, lo ammetto, dunque smettila di picchiare il tuo povero computer innocente, ok? Posto che questo non è un invito a colpire me, invece…^^ ; sì, Ai è proprio un bel personaggio, anche perché io ho sempre avuto un debole per i personaggi che non sono completamente buoni e puri. I santarellini sono prevedibili, invece da questi pseudo-cattivi non sai mai che aspettarti! Intrigante, no? A risentirci, spero di non averti fatto penare troppo l’aggiornamento.

Ecco qua. Vediamo un po’ cosa resta da fare: le scene tratte dal manga vengono sempre dagli stessi volumi, che ormai saprete a memoria se leggete sempre questa parte. Se non la leggete non vi interessa, dunque inutile ripetersi. Per quanto riguarda altre note, ci tengo a precisare una questione: avete presente il discorso di Shinichi sui prestigiatori? Quando dice che sono i naturali avversari dei detective?? È una cosa a cui ho pensato una sera in cui mi era particolarmente difficile addormentarmi. In fondo è vero, i maghi cercano di farti credere qualcosa, i detective rivelano la verità. Credo che sia per questo motivo che l’altra ‘creatura’ di Gosho Aoyama, il ladro Kaito Kid, che si contrappone a Conan in vari episodi, sia a sua volta un prestigiatore. (Ce l’avete presente? Quello in tuba e frac col mantello, rigorosamente bianchi, nell’aspetto praticamente uguale a Shinichi? Spero di sì.) Da lì tutto il discorso che la mia strana e buffa mente ha partorito. Vorrei anche ringraziare Quistis5 per aver commentato l’altra mia ff su DC, “A Very Important Gift”. Sono molto felice di essere riuscita a infonderti quelle sensazioni di pace e speranza, e in fondo un po’ te lo dovevo, dopo il modo in cui ti ho fatto deprimere con l’altra fanfic, “In The Darkness of Soul”, non pensi?

Per Laura87...credo che ogni risposta sia superflua, a questo punto, no? ^ _ -

Questo è tutto mi sembra. Se ho dimenticato qualcosa o (peggio) qualcuno, vedrò di rimediare il prima possibile. nel frattempo, scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare, spero di riuscire a fare prima con il prossimo capitolo. Se volete aiutarmi, sapete come fare, giusto? ^ _ -

A presto

-Melany

 

  
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