Vento dell'Ovest - Capitolo 7
- Capitolo Settimo -
Vento
di Pensieri
La
mattina dell’otto dicembre, l’intera
famiglia Tornatore si recò alla
Basilica di San
Giovanni
in Laterano, così da assistere alla funzione dell’Immacolata.
Mentre la Matrona gelava con lo sguardo chiunque si avvicinasse ai
primi banchi (e quindi al posto d’onore che si era assegnata
da sola),
seguita a ruota da Tiberio, Ortensia e la piccola
Claudia, suo marito si sistemò a
metà
navata, facendo notare che, al banco che aveva adocchiato sua moglie,
non
c’erano
abbastanza posti. Invece, Marcello rimase
direttamente
nelle retrovie, aspettando Gerardo e
Vittoria, con l’intenzione
di essere associato il meno
possibile alla dispotica genitrice.
Quando la liturgia terminò, più di
un’ora e mezza dopo,
una moltitudine di gente si riversò nello slargo
prospiciente
la
basilica, disponendosi intorno al grande albero di Natale,
addobbato per l’occasione, e formando tanti piccoli
capannelli, mentre i bambini della parrocchia venivano richiamati dai
catechisti vicino al presepe. Anche Vittoria si mosse in quella
direzione e, per superare quel gran vociare, fu costretta urlare ai
suoi amici
che
doveva andare a dare una mano, così da velocizzare la
distribuzione dei rametti di
agrifoglio ai bimbi.
Il sole brillava, ma, in quella fredda mattinata, non riusciva a
scaldare molto, pertanto Marcello si abbottonò il cappotto
fino
al mento, cacciando le mani nelle tasche ed esponendosi quanto
più possibile al tepore solare. Poco distante da lui,
c’era
Madama Claudia che stava conversando animatamente con alcune sue
conoscenze, probabilmente vantandosi di essere stata invitata al
concerto augurale di Capodanno dall’assessore
Tinelli in persona; il signor Giancarlo, invece, con una scusa, era
riuscito ad
evitare quel ridicolo mercato di ciarle ipocrite. Tiberio stava dicendo
qualcosa alla moglie, cullando lentamente la bambina tra le braccia, la
quale, per essere onesti, si era comportata molto bene durante la
celebrazione, continuando a dormire perfino durante
l’esecuzione dei
canti.
«Tua
cognata oggi non ha una bella cera»
commentò Gerardo, anche lui al sole,
squadrando da lontano una pallida Ortensia.
«Al momento non
ha più la scusa delle sue crisi per potersi svincolare da
mia madre. A quanto ho capito, non ha più uno psicologo che
la segua: il dottor van der Meer adesso coltiva ed esporta tulipani»
rispose sbrigativamente Marcello.
Questa rivelazione lasciò l’altro parecchio
perplesso.
«Ortensia
lo avrà esasperato» commentò, lanciando
una triste occhiata alla donna.
«Stando
a quello che ha detto Tiberio, è stato esasperato da
più
di una donna» precisò il giovane, provando
solidarietà per l’ex psicologo. «Tanto
è vero che è tornato a casa sua nella campagna
olandese».
«Ora capisco
perché Vittoria non ha voluto aprire uno
studio tutto suo e si limita a collaborare con le volontarie
dell’Umberto I...»
commentò Gerardo, pensieroso. Tuttavia, non aveva fatto
nemmeno in tempo a finire di nominarla, che la
ragazza apparve nuovamente vicino a loro.
«Ragazzi,
scusate, non possiamo ancora andare: oltre all’agrifoglio,
bisogna distribuire anche queste pergamene»
disse, mostrando loro dei foglietti di carta, simili a delle
piccole pergamene. «Sarà
davvero bello quest’anno l’albero di Natale,
decorato anche con i pensierini dei bambini!»
«Non
è già abbastanza addobbato
così?»
domandò Marcello, lanciando un’occhiata di sbieco
all’abete,
carico di palline e angioletti di plastica.
«Marcellino,
come sei polemico!
Non trovi che sia bello che tutti i bambini possano esprimere i loro
desideri
per questo Natale?» gli rispose lei, stizzita; poi si rivolse
all’altro: «Gerardo,
mi riaccompagni tu a casa? Tanto dobbiamo fare un pezzo di strada in
comune».
«Oh,
sì, molto volentieri»
assentì il ragazzo, arrossendo appena. «Nemmeno oggi il car...o
scultore è venuto?»
«No, ha detto
che sarebbe stato tutto il giorno con Paula, a definire meglio la lista
delle opere da presentare»
sbuffò la ragazza, abbattuta. Tuttavia, un secondo
più
tardi, era di nuovo allegra e annunciò, sventolando la mano:
«Datemi
dieci minuti per finire e sarò da voi! Patti chiari e
amicizia
lunga, bei giovani: non azzardatevi ad andarvene senza di me!»
Marcello e Gerardo rimasero ad osservare Vittoria che si allontanava
nuovamente, entrambi perplessi per quel cambiamento d’umore
repentino.
Infatti, solo chi la conosceva bene sapeva che lei odiava attirarsi la
compassione altrui, preferendo farsi vedere sempre con il sorriso sulle
labbra, anche se il suo cuore era tutt’altro che sereno.
In particolare, il biondo, poiché era a conoscenza di cosa
stava
affrontando in quel momento la sua amica, si trovò a
sospirare, affranto, giacché non poteva dire
all’altro come
stavano realmente le cose: sicuramente, anche lui doveva aver
notato, forse influenzato dai pregiudizi che aveva sullo scultore,
che
Bartolomeo la stava trascurando, ma non avrebbe mai potuto immaginare
che quello zotico era arrivato a picchiarla.
Marcello stava quasi per suggerire all’amico
di approfondire con
Vittoria il discorso sul carciofone, quando fu
richiamato da
un urlo stridulo: «Buongiorno,
Marcello!»
Sia
lui che l’altro si voltarono ed
intravidero Maria Luisa farsi largo tra
la gente a suon di gomitate a destra e manca. Il ragazzo si
ricordò di essere davanti ad una chiesa e si trattenne
dall’imprecare sottovoce.
«È
tanto che non ti vedo! Dove eri finito?»
esordì la nuova venuta, mostrando un sorriso smagliante.
Evidentemente, grazie ai postumi dell’ubriacatura aveva
dimenticato ciò che era successo alla sua festa di
compleanno,
quando era stata piantata in asso da Marcello. Oppure, magari, non
volendo rinunciare a lui, era disposta a far finta di niente.
«Non ho molto
tempo per la vita mondana»
la liquidò quello, spiccio.
«Che peccato!
Speravo che venissi l’altra sera,
al
compleanno di Edoardo... Hai ricevuto il suo invito?»
insistette,
però, lei, riservandogli un’occhiata speranzosa.
«Non mi pare.
Ma, forse, l’ho gettato accidentalmente
nel cestino della carta straccia».
Di
fronte ad un’affermazione del genere, la giovane
aprì la
bocca e rimase a fissare Marcello con aria sconcertata, quando Gerardo
si intromise, salutandola affabilmente: «Buongiorno,
Maria Luisa».
«Oh,
ciao, Gerardo. Ci sei anche tu? Non ti avevo proprio visto!»
esclamò la giovane, falsamente sorpresa, voltadosi appena
per poi tornare
immediatamente a rivolgersi all’altro ragazzo: «Io, Teresa e
Domenico stiamo organizzando, per il quindici, una cena di beneficenza in
favore dell’associazione di cui siamo membri. Ti va di
venire?»
«Mi dispiace, ma
non possiamo, perché
saremo a Monaco di Baviera in quei giorni per concludere un affare»
replicò lui, secco.
«Almeno
posso passare a casa tua, nei giorni seguenti, per raccogliere la
donazione?» proseguì Maria Luisa, sbattendo
svenevolmente
le
ciglia e dando prova di non voler mollare l’osso.
Per fortuna, Marcello aveva un buon controllo della mimica facciale,
altrimenti non sarebbe riuscito a celare il suo sempre
più crescente ribrezzo.
«Abbiamo
già deciso che devolveremo la donazione di Natale
all’associazione di Vittoria, dato che opera
sul territorio
regionale. Non abbiamo nulla contro le associazioni internazionali,
come quella che sostieni tu, sia chiaro» spiegò
Gerardo, intromettendosi nel
discorso, «ma preferiamo aiutare chi ci sta vicino.
L’incentivo a creare una rete efficiente di servizi locali
parte dalle piccole cose».
Maria Luisa lo guardò stralunata, come se non avesse capito
una
singola parola di ciò che aveva detto e, molto
probabilmente,
doveva essere proprio così; infatti, dopo un paio di
secondi, si
rivolse nuovamente al biondo, facendo la domanda che doveva
essere il vero motivo per cui lo aveva cercato: «Insomma,
Marcello, non mi dire che non ci sarai nemmeno alla festa di Capodanno
che sto organizzando, personalmente, ad Ostia!»
«Temo
di no» rispose il ragazzo, algido, guardandola torvo. «Gerardo ed io abbiamo
già preso un impegno importante»
proseguì, scandendo molto bene il plurale e non tollerando
la totale
indifferenza della ragazza verso il suo amico; d’altra parte,
era una
questione di educazione a rivolgersi ad entrambi, considerando che il
suo lui la stava gentilmente considerando.
La risposta fu talmente raggelante, che la ragazza rimase a guardarlo
inebetita per qualche secondo, prima di salutarlo, dimenticandosi
ancora una volta dell’altro giovane. Quindi, si
congedò da lui, farfugliando che
doveva raggiungere alcune sue amiche.
«Come rinunciare
ad un Capodanno sulla spiaggia di Ostia a tracannare Bacardi?»
chiese retoricamente Marcello, sprezzante. «Meglio starsene
a letto con l’influenza come ho fatto l’anno
scorso, anche se avevo la febbre a quaranta».
«Addirittura?»
domandò Gerardo, che era palesemente offeso per la
maleducazione che Maria Luisa aveva avuto verso di lui.
«Tu preferiresti
festeggiare con gente che brinda con te,
augurandosi, in realtà, che tu possa fallire quanto prima?»
L’altro, non
sapendo come controbattere, data la veridicità della
considerazione, tacque.
«Mi meraviglio
sul serio di come tu possa volerti dichiarare a
quella lì»
disse il biondo,
indicando con un cenno del capo Maria Luisa, che stava parlando
concitatamente con le sue amiche, forse sfogandosi per il due di picche
che aveva appena ricevuto. «Per
giunta, perdonami la schiettezza, non ti si fila
proprio».
«Lo so. Be’, io...»
cominciò il suo amico, tentennante.
«Comunque,
è vero anche che dici sempre che vuoi dichiararti,
però non lo fai mai».
«Non è il momento adatto per affrontare questa
discussione...»
«È
il momento migliore, invece! Guarda cosa ti stai perdendo!»
esclamò Marcello, costringendo l’altro a voltarsi
per vedere
Vittoria che interloquiva con i bimbi, ammaliandoli con
la sua spontanea vivacità.
«Non mi tentare,
non è corretto che io ronzi intorno ad una ragazza impegnata»
disse Gerardo, che non riusciva, però, a staccare gli occhi
da lei.
«Invece, permettere che
stia con
quel menefreghista del carciofone è correttissimo»
sbottò il biondo, ferocemente sarcastico. Purtroppo, aveva
promesso all’amica di non rivelare
tutta la verità, tuttavia, poteva ribadire
ciò che, poco prima, aveva comunicato
l’espressione della stessa Vittoria.
«Marcello, ti prego...»
gemette l’altro, supplicandolo. «Mi rendi solo
le cose più difficili».
Il
giovane stava per rincarare la dose, quando tornò Vittoria,
questa
volta definitivamente.
«Eccomi
qui! Visto che ho fatto presto?»
fece notare, sorridendo radiosa.
«Di
che
cosa state parlando voi due?»
«Noi... ecco...
vedi...
sai...» balbettò Gerardo, preso alla sprovvista.
«Del
fatto che la temperatura di oggi sia sopra la media
stagionale»
rispose Marcello, guardando il suo amico e assottigliando lo sguardo.
La ragazza
guardò prima l’uno, poi l’altro; infine,
scosse la testa, decidendo di lasciar perdere.
Il giovane alzò le spalle, come a volersi scusare con il suo
amico per la propria défaillance
e Marcello gli rispose alzando gli occhi al cielo.
«Insomma,
si può sapere che avete voi due? Posso saperlo anche io o
è un segreto di Stato?» sbottò la
giovane, che
cominciava ad averne abbastanza di quel muto teatrino.
«La
verità è che... Vittoria, hai
una foglia di agrifoglio tra i capelli!»
esclamò Gerardo, prendendo spunto da quel particolare appena
notato, per portare la conversazione su altro. Alzò la
mano per togliergliela, ma dovette ripensarci subito dopo, dato che
dissimulò
il movimento, limitandosi ad indicarla, come se si fosse
vergognato al solo pensiero di instaurare un contatto con
lei.
«Non
avreste potuto dirlo prima, senza fare tanti misteri?»
domandò, allora, Vittoria, passandosi delicatamente una mano
tra i
ricci
e recuperando l’oggetto
estraneo. La
lasciò cadere in terra e
gli scoccò uno sguardo di apprezzamento.
«Sempre
il solito esagerato! Comunque, grazie per avermelo
fatto notare» gli disse,
dandogli un leggero bacio sulla guancia, per enfatizzare quanto gli
aveva appena detto.
«Grazie. No, scusa... volevo dire... prego...»
farfugliò lui, diventando rosso come un gambero al vapore.
Marcello
seppellì, disperato, il viso nel palmo di una mano, pensando
che, più che correggere i complessi esistenziali del suo
amico, avrebbe
fatto prima a raddrizzare la Torre di Pisa.
***
Beatrice, ogni tanto, alzava la testa dal suo tema su Pascoli, al fine
di controllare
l’enorme orologio del soggiorno, il quale segnava che mancava
un quarto
alle undici. Avrebbe dovuto sbrigarsi, se non voleva fare troppo
tardi, poiché, l’indomani, avrebbe trovato ad
attenderla
una lunga giornata di lavoro.
Erano arrivati in negozio alcuni drappeggi scenografici che
necessitavano di modifiche, mentre i costumi sarebbero stati consegnati
in un
secondo
momento, essendo richiesta, in quel caso, la
collaborazione degli attori: una cosa che, al momento, nessuno di loro
poteva garantire, in quanto erano tutti immersi nelle prove.
La ragazza rilesse l’ultimo paragrafo e, trovandolo
scorrevole, mise un bel punto, chiudendo la biro:
Rossiglioni avrebbe dovuto darle come minimo un bell’otto, se
non
addirittura un nove.
Si alzò e cominciò a raccogliere i suoi libri,
pronta per
andare a letto: esausta com’era, non vedeva l’ora
di
scivolare in un buon sonno ristoratore. Da quando aveva cominciato a
lavorare, aveva molto meno tempo per
studiare, così aveva imparato ad organizzarsi, non
riuscendo,
tuttavia, a finire tutti i compiti prima di una certa ora.
Seguendo questi ritmi, non aveva nemmeno potuto pensare, con la dovuta
accortezza, a come trovare il modo
di andare a vedere la Cappella Sistina con Marcello,
senza farlo sapere a Guido, alla zia Assunta e, soprattutto, a
quella brutta pettegola invidiosa di Anna Laura.
Trovare un alibi, una scusa convincente per poter restare fuori casa,
anche
di sera, sembrava impossibile: suo fratello la veniva a prendere sempre
puntuale, anzi, talvolta persino in anticipo, mettendole fretta per non
arrivare in ritardo a qualche appuntamento galante.
«Cicci, ma sei
sempre a studiare?»
domandò Guido, entrando in quel mentre nel salotto.
Beatrice,
che aveva distinto un’ombra nel corridoio che si avvicinava,
non
diede segni di sorpresa.
«Non
voglio mica
rimanere ignorante come
te, che ti
se’ comprato
il diploma di
geometra»
gli rispose, velenosa.
«Come
vedi, non sto facendo
quel lavoro, quindi non nuocio
a
nessuno» ribatté il giovane.
La ragazza avrebbe voluto
seriamente obiettare ma, prima che
potesse aprire bocca, vide il fratello
avvicinarsi
all’armadietto dei liquori, aprire l’anta
di ciliegio
istoriata e tirare fuori due bicchieri e una bottiglia di vetro opaco,
contenente forse sambuca.
Non era raro che, a sera tarda, il fratello mandasse giù un
sorso di qualche alcolico, quando non usciva ad ubriacarsi con i suoi
rozzi
amici, ma la cosa che insospettì Beatrice furono i due
bicchieri, anziché uno solo. Si stava proprio chiedendo il
perché, quando Guido l’anticipò,
annunciando: «Sta
venendo qui Navarra, ha espressamente chiesto di vederti».
Alla
fanciulla sembrò che il pavimento si fosse messo a tremare,
o
forse erano solo le sue gambe ad essere diventate, improvvisamente,
così malferme. Per non cadere, si aggrappò al
tavolo,
riuscendo a malapena ad esalare un: «Cosa? Ma non
l’era
in Spagna, a sistemare i su’ affari?»
«Ha sbrogliato il grosso delle magagne ed ha lasciato a Cordova un
su’ uomo di fiducia.
Inoltre, ha
detto che non resiste troppo tempo senza vederti»
spiegò
tranquillamente il fratello, richiudendo l’anta e mettendo
bicchieri e bottiglia su un vassoio d’argento.
Lei socchiuse gli occhi, stizzita. Se quel bifolco di Navarra pensava
di conquistarla con quel suo romanticismo da quattro soldi, aveva
proprio fatto male i conti. E se Guido era della stessa
opinione, be’... tanto peggio per lui.
«Io devo andare
a dormire, domani devo aiutare la
Bettina e andare a lavorare»
obiettò Beatrice, lottando contro se stessa per non
agitarsi,
cosa che in quel momento si rivelò particolarmente difficile.
«Oh,
ma non si tratterrà qui per molto tempo. Suvvia, Bea, scommetto che non
è così
male, dovresti seriamente iniziare a prenderci
confidenza»
commentò lui, serafico, come se stessero per ricevere un
caro e premuroso amico di vecchia data.
«Se ne prende
fin troppa, visto che
non
perde mai tempo per mettermi le su’
luride mani addosso!» esclamò
Beatrice, mandando all’aria i suoi propositi di mantenere la
calma.
«Cerca
di esser gentile
con
lui».
«Lo
sarò, se lui farà il gentiluomo con me!»
«Ti prego, Cicci. Così
oltre ad estinguere il debito, magari
riesco
anche ad entrare in affari con
lui».
A Beatrice per poco non caddero le braccia: non contento di quello che
aveva combinato, si voleva anche rovinare definitivamente? Entrare in
affari
con Navarra era un autentico suicidio!
Si
sentiva un po’ come la Signorina Else1,
costretta a cedere alle turpi richieste del signor Dorsday per evitare
la bancarotta della famiglia e salvare il padre dalla depressione; solo
che non trovava giusto drogarsi di benzodiazepine fino a morirne, per
far valere i propri
diritti.
Dopo aver provato la gentilezza ed il rispetto che le dimostrava
Marcello, Conrado, ai suoi occhi, era diventato ancor più
sordido ed immorale.
«Oh,
ma che tu
sta’ scherzando?
Entrare in affari con
il Navarra? Allora è anche
per questo che
hai deciso di vendermi a que’
lestofante?»
Il fratello la guardò stralunato e aprì la bocca
per
ribattere, ma non ce ne fu il tempo, giacché qualcuno - con
molta
maleducazione, considerata l’ora - suonò
insistentemente il
campanello.
«Accidenti,
sveglierà la zia Assunta!» esclamò il
ragazzo, correndo ad aprire.
Beatrice avrebbe voluto scappare lontano, pur di non trovarsi faccia a
faccia con Navarra, ma le gambe le erano diventate di piombo e non
riuscì neanche a compiere un solo, misero passo. Quando
udì la
voce del mostro, arrivato ormai nel salotto, trattenne a stento un
grido.
«Ciao dulzura2, è un
po’ che non ci si vede»
fece lui, non appena entrò nella stanza, sorridendole
languido.
La
fanciulla lo guardò atterrita, stringendo più
forte il
bordo del tavolo. Perché Guido le stava facendo questo? Che
cosa
aveva mai fatto di male per meritare quell’orrenda punizione?
«A
quanto vedo, la niña
è rimasta senza parole. Devo averle fatto proprio una bella
sorpresa!» commentò Navarra, abbandonandosi ad una
risata
cavernosa.
«La Beatrice
è emozionata per il tu’
ritorno improvviso. Ti credevamo in Spagna, non si pensava saresti
tornato così
presto»
spiegò Guido, invitando l’omone ad accomodarsi.
Conrado accettò l’invito, stravaccandosi sul
divano tarlato e osservando Beatrice
con occhi avidi, mentre si lisciava compiaciuto la folta barba nera.
«Ho risolto
tutto in fretta, volevo tornare da te al più presto».
Lei, sentendo quello sguardo lussurioso su di sè, non
rispose,
limitandosi a deglutire, incapace di far scendere il groppo che aveva
in gola: non voleva che quell’animale la guardasse in quel
modo,
non voleva essere oggetto delle sue fantasie perverse. Avrebbe tanto
voluto trovarsi in un altro luogo, quanto più possibile
lontano
da Navarra, mentre a Guido non sembrava minimanente importare il suo
stato d’animo: infatti, stava facendo tutti gli onori di
casa,
adoperandosi per servire al suo ospite il liquore, mentre conversava
animatamente, informandosi su come erano andati gli affari in Spagna.
«Tolomei, vai a
prendermi del ghiaccio».
L’ordine giunse talmente imperioso che il
ragazzo ammutolì immediatamente, fissando
l’energumeno come se
gli avesse chiesto di dissolversi all’istante. Percependo in
quelle parole una possibilità di abbandonare la sala,
Beatrice
mosse qualche passo in direzione della porta.
«No,
non tu, dulzura,
dicevo a lui» aggiunse Conrado, indicando Guido con la mano
in cui teneva il bicchiere. «Non
potrei mai chiamarti per cognome, luz
de mis ojos».
«Vuoi il ghiaccio...
anche se fa freddo?»
obiettò il ragazzo, meravigliato.
«La
sambuca va gustata gelata. Sia d’inverno che
d’estate» fu la boriosa risposta di Navarra.
Borbottando
qualcosa, il giovane si allontanò, lasciando Beatrice con l’uomo, che si
alzò dal divano e cominciò ad
avvicinarsi a lei. Fu allora che il suo sospetto si
concretizzò
in
realtà: a quel troglodita non importava nulla del ghiaccio,
era
solo un vile pretesto per allontanare suo fratello e rimanere solo con
lei.
«Sei
una vera bellezza» le disse, troppo vicino per i suoi gusti,
squadrandola con bramosia.
Lei si ostinò
a tacere, riservandogli uno sguardo di puro disprezzo.
«Non
mi rispondi, fai la timida? Eppure lo so che sotto questa apparenza da
ragazzina, si nasconde una giovenca ribelle da domare».
Se prima Beatrice riteneva che, per la sua amoralità,
Navarra
dovesse marcire in una cella ammuffita e piena di topi, fino alla fine
dei suoi giorni, dopo quel rozzo
apprezzamento, avrebbe solo voluto vederlo sul patibolo del
boia.
«Tu meriti
molto più di questo letamaio, dulzura»
continuò Conrado, perseverando nel suo monologo. «Quando sarai
mia, vivrai come una regina, ma
dovresti anche collaborare un po’, che ne dici?»
La ragazza strinse le labbra talmente forte, che immaginò
fossero sbiancate: avrebbe preferito vivere di stenti tutta la vita,
facendo la sguattera o la mendicante, piuttosto che diventare moglie di
quel buzzurro.
Resosi
probabilmente conto che non voleva cedere, Navarra
scattò in avanti, artigliandola in una presa
d’acciaio.
«Tu stai giocando con me, niña»
le disse, serrandole il viso tra il pollice ed il resto delle dita.
«Lasciami
subito!» esclamò la ragazza, divincolandosi. Fece
per
allontanarsi, ma l’energumeno si parò davanti alla
porta,
sbarrandole il passaggio.
«Ah,
ora parli?»
«No,
perché non ho niente da dirti! Ed ora lasciami
andare!»
La giovane gli voltò le spalle, furibonda, ma lui le
afferrò i capelli, che aveva legato in una coda alta, e li
strattonò, costringendola ad avvicinarsi a lui; lei gemette
per il dolore, ma il nerboruto tirò più forte.
«A me
piace giocare con te,» le
sussurrò in un orecchio, minaccioso, «ma
non devi mai scordare chi è che comanda».
Senza preoccuparsi del fatto che le stava facendo male, Navarra la
inchiodò al muro, bloccandola con la mole del proprio corpo,
mentre con una mano le teneva la bocca chiusa.
«Che tu lo
voglia o no, un giorno sarai mia»
le sibilò, ghignando compiaciuto.
Beatrice chiuse gli occhi, come faceva da piccola quando aveva paura
che qualche mostro saltasse fuori da sotto il letto. Ma, purtroppo,
quello non era un incubo infantile: era la cruda realtà.
L’uomo le si avvicinò ancora di più,
immergendo dapprima
il volto nei capelli di lei, poi strofinandolo sul suo collo. Con sommo
raccapriccio, la fanciulla avvertì la mano libera del suo
aguzzino che si adoperava per sollevarle la gonna.
Navarra, ridendo, non si risparmiò nel percorrerle con
insistenza la
coscia e nemmeno nel palpeggiarla ovunque.
Solo la rabbia, il disprezzo, il disgusto che provava verso
quell’essere
rivoltante le impedirono di farle piangere tutte le lacrime che
avrebbe voluto.
«Cosa
stai facendo?»
domandò Guido, sbalordito, con in mano il contenitore del
ghiaccio, dal quale stava colando acqua sul tappeto.
Conrado si allontanò dalla giovane, consentendole di
sfuggire alla sua presa.
«Nada. Stavamo solo
giocando un po’, a Beatrice è piaciuto
molto» rispose il troglodita, ghignando sardonico.
Umiliata,
la fanciulla corse via dal salotto, con l’intenzione di
mettere più distanza possibile tra lei e Navarra:
l’aveva
sbeffeggiata, trattata come una bambola con cui sollazzarsi, insultata
e fatta passare per sua complice nelle sue porcherie.
Si fermò ai piedi della rampa delle scale, non
più in
grado di trattenere i singhiozzi. Avvertendo una presenza dietro di
lei, si voltò di scatto.
«Cicci,
cosa ti ha
fatto? Stai bene?»
le domandò il fratello incupito, sfiorandole un braccio.
Ma Beatrice si sottrasse rapidamente a quel contatto.
«Non mi toccare! Nemmeno tu
devi toccarmi!»
strillò, come in preda ad una crisi isterica.
Guido sobbalzò, basito da
una simile reazione.
«Ma
Bea...»
«L-Lascia... mi in p-pace!»
singhiozzò la fanciulla, scappando su per le scale.
Una volta che ebbe chiuso la porta del suo piccolo cubicolo, si
buttò sul piccolo letto sgangherato e diede sfogo a
tutta la
sua tristezza, pensando alle dolci parole che le aveva detto il suo
Marcello, a quanto era stato gentile con lei, a quanto fosse ingiusto
che non potesse sperare di avere un ragazzo così tutto per
sé.
Lui era lontano ed ignaro di tutto, mentre lei era sola: sconsolata,
pianse ogni singola lacrima che aveva, finché, stremata, non
crollò, abbandonandosi al sonno.
Il
pomeriggio seguente, la ragazza si presentò al negozio
pallida e
con profonde occhiaie, tanto che la signora Sofia si sentì
in
dovere di chiederle più volte se avesse bisogno di un giorno
di
ferie, così da rimettersi, ma, nonostante Beatrice ne avesse
davvero necessità, rifiutò: passare
un lungo pomeriggio alla mercé di Anna Laura non
corrispondeva
esattamente alla sua idea di riposo.
Inoltre, trascorrendo qualche ora nella merceria, avrebbe avuto anche
l’occasione di distrarsi, evitando di ripensare a
quanto successo con Navarra la sera prima.
Il solo accenno le faceva venire il voltastomaco.
Pregò che Marcello non passasse a vederla proprio quel
pomeriggio, perché, anche se le avrebbe fatto indubbiamente
bene
passare del tempo con lui, non voleva che la vedesse in quello stato
pietoso.
Perfino Alessio e Valentina le chiesero, preoccupati, se stesse bene,
intenerendola non poco. Li rassicurò, cercando di nascondere
quanto fosse effettivamente scossa, invitandoli a proseguire nella
decorazione della vetrina con l’ovatta e i fiocchetti di raso
rossi e
verdi.
Scrollando la testa, come a far uscire di prepotenza quei brutti
ricordi, così tristemente recenti, la fanciulla
cominciò a lavorare, adoperandosi per sistemare tutte le
tavole delle stoffe che vi erano state poggiate, così da
fare un po’ di ordine sul bancone, dopodiché
rimpinguò le scatole dei bottoni, sistemando con cura quelle
nuove, arrivate quella mattina.
«Cara,
metti in evidenza la scatola con le novità, in particolare
quella con i bottoni dorati,» la istruì
gentilmente la sarta, «ne
venderemo molti, sotto Natale. Ah, a proposito di merce in arrivo,
hai visto che
è arrivato il cachemire che avevi
ordinato?»
«Il
cachemire? L’è
arrivato?»
«Sì,
cara».
Che magnifica notizia!
Finalmente, avevano consegnato il materiale che le sarebbe servito per
confezionare un’elegante sciarpa da uomo, ovvero il regalo di
Natale
per Marcello.
Rianimata da quel pensiero, ringraziò la signora Sofia e si
scusò per la sua sbadataggine, correndo subito a vedere se
il colore era
uguale a quello della fotografia del catalogo.
Con mano tremante, aprì lo scatolone di cartone,
scorgendo una busta di plastica, contenente una ventina di
gomitoli di lana grigia mélange. Fu così che
ritrovò davvero un po’ di buon umore, convenendo
che il colore era anche
meglio del previsto.
A quel punto, l’unico problema rimaneva come fare a vederlo e
a
visitare la Cappella Sistina con lui, senza che a casa ne sapessero
niente: ci stava pensando dal pomeriggio precedente, ma lo shock che
aveva provato la sera prima,
nel venir molestata e volgarmente palpeggiata da quello schifoso di
Navarra, l’aveva talmente stordita da farle quasi
dimenticare
l’urgenza di trovare una soluzione al problema.
«Oh,
che bella! Deve essere anche molto morbida e calda».
«Sì,
lo credo anch’io».
«Il tuo
affascinante imprenditore gradirà sicuramente».
«Come fa a
sapere che il regalo è per Marcello?»
«Intuito»
rispose la donna, colpendosi ripetutamente il naso con
l’indice. «Sai,
l’espressione che avevi mentre sceglievi il tipo di lana sul
catalogo,
era così bella che mi hai fatto ricordare di quando io
stessa ho confezionato il primo regalo di Natale per il mio
Renato».
Beatrice sorrise, notando la partecipazione emotiva della signora
Sofia al solo nominare il marito, rievocando aneddoti di
gioventù. Tornò a
guardare la lana ed estrasse dalla confezione un gomitolo, passandoselo
tra le mani,
ma avendo l’accortezza di non rovinare la lana: era davvero
molto morbido
e caldo, l’unica cosa che doveva augurarsi
è
che il suo pensiero piacesse davvero al ragazzo.
«Secondo
me, verrà un regalo da principe!» disse Valentina,
avvicinandosi a Beatrice. «A me
hai fatto un vestito da principessa!» esclamò,
volteggiando su se stessa e gonfiando la gonna dell’abitino
di velluto.
«Marcello
dovrà accettarlo per forza, l’hai fatto per
lui!»
intervenne Alessio, sollevando una nuvola di batuffoli di
ovatta.
«Lo spero»
rispose la ragazza, mettendo via la busta. Ora doveva solo trovare i
ferri adatti.
«Cara,
anche io oggi non ho molta testa: non ti ho detto che dal teatro hanno
mandato i primi abiti! Per ora si tratta solo di rammendi e piccoli
accorgimenti, però ne avremo per diverse ore. Saranno anche
costumi di scena, ma ne hanno davvero una pessima cura!» fece
la
sarta, indignata. «Purtroppo,
nel fine settimana, dovremmo lavorare ben oltre l’orario di
chiusura,
almeno fino alle ventiquattro, per non parlare delle prossime due
domeniche!»
«Non
è un problema, m’aveva già
anticipato questa
eventualità».
«Contando
le ferie natalizie, non abbiamo moltissimi giorni a dicembre. Per
evitare che tutto si accumuli a gennaio, dobbiamo
organizzarci» spiegò la signora Sofia, contando i
giorni sul calendario con l’aiuto di una matita.
«Sì,
son d’accordo»
concordò Beatrice.
Il fatto che avrebbe lavorato fino a tardi un po’ la
preoccupò, poiché avrebbe significato ancora meno
tempo
per studiare; tuttavia, non poté negare che le faceva
piacere
essere costretta a passare dentro casa il minimo tempo necessario e
sotto questo punto di vista, la sua vita era nettamente migliorata.
Peccato che non avesse ancora trovato un modo per riuscire ad uscire
con Marcello, senza che tutta la sua famiglia ne venisse al corrente...
Tutto ad un tratto, la ragazza realizzò che la soluzione era
proprio sotto al suo naso.
«Signora,
potrei chiederle
un favore?»
«Dimmi,
cara» le rispose la sarta, lasciando la conta dei giorni di
lavoro che sarebbero toccati loro.
«Potrei
avere libera la serata del ventuno? La prego, farò
qualsiasi
cosa; se
vuole, posso anche
venire a far la mi’ parte di lavoro dalle
cinque della mattina».
«Hai
un appuntamento con quel bel giovane?»
«Sì...»
rispose Beatrice, affatto sorpresa che la donna avesse indovinato al
primo colpo. Piuttosto, era incerta se raccontare alla signora
Sofia tutta la verità, dato che Guido sarebbe
senz’altro
venuto a chiedere spiegazioni, quando avrebbe saputo che alla sorella
era stato prolungato l’orario di lavoro. Ovviamente, non
perché si
preoccupasse per lei, temendo che si stancasse, ma
perché così non sarebbe più potuto
rincasare alle quattro di mattina, dovendo venirla a riprendere al
negozio a mezzanotte. Sapeva che la sua datrice di lavoro non
l’avrebbe
tradita, ma era sempre meglio andare sul sicuro.
«La mi’ zia non
vuole che
lo veda, quindi abbiamo pochissime
occasioni
per farlo» spiegò lentamente, cercando di
delineare
la questione il più semplicemente possibile.
«Non vuole che
frequenti quel ragazzo così compito?»
domandò la signora, sbalordita.
«No, e
nemmeno il mi’
fratello, se è per questo»
precisò la fanciulla, «ma l’è
una lunga storia».
«Tuo fratello ha proprio un bel coraggio! Tra i due,
perdonami,
ad avere un’aria
poco raccomandabile è lui, non
Marcello» commentò la donna, forse ricordando
l’unica volta che aveva avuto modo di parlare con Guido,
quando
la sorella aveva cominciato a lavorare e lui l’aveva
voluta incontrare per accertarsi che avrebbe
percepito uno stipendio. Certamente, non doveva averle fatto una buona
impressione.
Beatrice si limitò a sospirare.
«Va
bene. Non c’è bisogno che tu venga a lavorare
dalle cinque
di mattina, sarà sufficiente che cominci alle tre, per
staccare alle sette. Io arriverò verso le sei e mezza... Ti
lascerò le chiavi per aprire il negozio».
La fanciulla le sorrise,
riconoscente: non solo la sarta la stava aiutando, ma le
stava anche dimostrando una grandissima fiducia, lasciandole in mano la
sua merceria.
«La ringrazio,
signora».
«E di che, te lo
sei meritato. Finora hai svolto un lavoro eccellente e, anche se non
è molto che lavori per me, ho imparato a conoscerti. Mi
sembri una ragazza responsabile e credo di poter dire lo stesso di quel
giovanotto»
le rispose la donna, con tono materno.
Decisamente rinfrancata, la fanciulla ora aveva bene in mente
quello che avrebbe dovuto fare e, per prima cosa, chiamò i
due bambini.
«Valentina,
Alessio, mi fareste il solito favore?»
«Dobbiamo
portare un altro biglietto a Marcello?» chiese la ragazzina.
«Sì,
piccini».
«Lo
consegneremo in un baleno!» esclamò il fratello.
«Un
attimo che
lo scrivo» disse loro la ragazza, dirigendosi
verso il bancone.
Recuperò velocemente una penna e un foglio e scrisse questo
messaggio per il biondo:
“Carissimo Marcello,
ho trovato il modo per
venire a
visitare la Sistina, senza destare sospetti: la signora Sofia ha
bisogno di me oltre l’orario di chiusura, anche nei giorni
festivi, per svolgere alcuni
lavori di sartoria. Dirò a Guido che, fino alle ferie
natalizie, dovrà
venirmi a prendere poco dopo la mezzanotte. Che ne pensi? Credi che
potremmo tornare al negozio per quell’ora?
Aspetto tue notizie,
Beatrice”.
Appena ebbe finito, lo piegò, e lo consegnò ai
due
bambini
e li
accompagnò in strada, stringendosi le proprie braccia contro
e guardandoli, fiduciosa, mentre correvano
via.
Quando il campanello del
portone suonò, Marcello alzò sorpreso la testa
dalla copia del contratto che avrebbero dovuto firmare durante l’imminente trasferta a
Monaco di Baviera, scambiando un’occhiata
interrogativa
con Gerardo, a sua volta abbastanza meravigliato.
«Aspetti
qualcuno?» gli domandò il biondo, aggrottando la
fronte.
«Io? No, credevo
fosse per te. Non abbiamo appuntamenti per oggi ed il postino
è già passato»
gli rispose l’altro, alzandosi dalla propria postazione.
«Sarà
Carter che si è inventato qualcosa per farci
arrestare» scherzò Marcello, sfruttando
l’attimo di
pausa per stropicciarsi gli occhi affaticati.
«Che
fine orribile che faremmo, se fosse così!»
esclamò l’amico, uscendo in corridoio per andare
ad aprire la porta. «Vado
a vedere, sperando che non siano visite sgradevoli».
Il ragazzo scosse la testa, augurandosi davvero che non fosse nessuno
che avesse a che fare, anche alla lontana, con Lord Edward Carter;
inolte, erano settimane che si arrovellava inutilmente il cervello
sperando di
svelare il mistero dell’offerta.
Eppure, nonostante i suoi numerosi sforzi, Marcello ancora non era
riuscito a farsi una precisa idea di come avesse fatto
l’industriale a
gabbarli così facilmente.
«Ciao
Marcello!» lo salutarono, in coro, due voci di bambini.
Riconoscendole all’istante, il giovane girò di
scatto la testa e
si ritrovò, a poca distanza, due ragazzini che lo guardavano
sorridenti.
«Valentina,
Alessio! Come avete fatto ad entrare nel palazzo?»
domandò loro, stupito.
«Il
portone era aperto e abbiamo chiesto ad una signora
che scendeva le scale, se poteva dirci dove eri»
spiegò la bambina, dando prova di essere molto sveglia. «Avevamo
fretta di vederti!»
«Allora
è vero che li conosci» commentò
Gerardo, lanciando un’occhiata indagatrice al suo amico.
«Sì,
sono loro che mi hanno aiutato a parlare con
Beatrice» gli rivelò, allora, Marcello, con un
piccolo sorriso.
L’amico
assunse un’espressione colpita, poi tornò ad
osservare i
piccoli ospiti, i quali erano rimasti fermi ed infagottati nei loro
cappotti.
«Stamattina
mi avevi accennato ad alcuni piccoli
amici e ammetto che non avevo capito, ma ora mi è tutto
decisamente più chiaro».
Marcello annuì e passò velocemente alle
presentazioni, dopodiché propose: «Bambini,
che ne dite di spostarci di là, in salotto? Staremo
più comodi».
«Sì,
chiedo a Marilena di portarci qualche bignè alla
panna,
che ne pensi?»
suggerì Gerardo, incontrando
subito l’approvazione dei due fratelli.
«Ottima
idea. Alessio, Valentina, venite con me»
disse il biondo, rivolto ai due bambini, conducendoli in salotto: era
una stanza rettangolare con due divani di pelle avorio, disposti uno di
fronte all’altro, e un lungo tavolino di vetro in mezzo. Le
pareti erano coperte da due librerie
massicce, contenenti alcuni faldoni rilegati, mentre le pesanti tende
erano calate, coprendo una probabile finestra; nei due angoli della
parete esterna, c’erano delle piante di mangiafumo, non
perché i
ragazzi fumassero o permettessero ai loro clienti di farlo, ma,
semplicemente, perchè rendevano l’atmosfera
più accogliente
e necessitavano di pochissima cura.
Nel complesso, il salotto era una stanza indubbiamente più
accogliente dell’ufficio vero e proprio.
Marcello,
dopo aver preso i loro cappotti ed averli sistemati
sull’appendiabiti,
sollevò, a turno, Alessio e Valentina, aiutandoli a prendere
comodamente posto sul divano, troppo alto per loro; quindi, si sedette
su quello di fronte e chiese: «Come
mai avevate fretta di vedermi?»
«Abbiamo
un altro biglietto di Beatrice per te!» esclamò la
ragazzina, estraendo il foglietto ripiegato dalla tasca del maglioncino.
«Oh,
vi ringrazio. Siete stati attenti nel venire qui, vero?»
domandò il giovane, avvicinandosi a loro per prenderlo.
«Ovvio!
Mi guardo sempre indietro, gli uomini in nero3
non riusciranno a
prenderci facilmente!» rispose Alessio, pavoneggiandosi.
«Ah,
be’» fece Marcello, riaccomodandosi, mentre
guardava
il biglietto,
cercando di indovinare cosa c’era scritto. Beatrice doveva
avere
qualcosa di urgente da comunicargli, poiché, se da una parte
aveva trovato un canale di comunicazione diretto con lui, al sicuro da
qualsiasi intercettazione non gradita - come sarebbe potuta esserci,
per
esempio, da parte dei parenti di lei - dall’altra, si stava
dimostrando
molto parsimoniosa nell’usarlo, sicuramente per non togliere
troppo
tempo al gioco dei bambini e per non esporli a troppi rischi.
«Che fai, non lo leggi?»
domandò Valentina, sporgendosi un po’ dal divano
ed osservandolo con curiosità.
Il ragazzo voltò la testa verso di loro e li
fissò entrambi, ricordandosi di non essere solo.
«Se
devi rispondere a Beatrice, lo portiamo noi il tuo biglietto. Stai
tranquillo, non sbirciamo!»
Stava appunto per rispondere che era ciò che stava per fare,
quando Gerardo apparve con un vassoio pieno di bignè alla
panna
ed una caraffa di cioccolata fumante.
«La merenda per i nostri piccoli ospiti»
annunciò, poggiando il tutto sul tavolino di vetro. «Marcello, dove
abbiamo le tazze ed i tovaglioli?»
«Nell’armadio
del ripostiglio, la donna delle pulizie sistema tutto là
dentro» rispose distrattamente l’altro, aprendo il
foglio.
Riconobbe immediatamente la grafia della ragazza e lesse attentamente
il messaggio che gli aveva mandato: a quanto pareva, aveva trovato un
modo efficiente per poter visitare insieme la Cappella Sistina.
Di certo, non si poteva dire che quella giovane fosse priva di intuito
e logica.
«Bambini,
in effetti anche io avrei un messaggio per Beatrice... Potreste
consegnarle la mia risposta? Siccome si è fatto buio, vi
accompagneremo fino ad un certo punto, però
poi entrerete nel negozio da soli, va
bene?»
disse il biondo, pensando che, a quell’ora, Guido sarebbe
stato certamente nei paraggi.
«Va
bene!» esclamarono in coro i due fratelli.
«Perfetto»
assentì Marcello e, approfittando del fatto che il suo amico
aveva
trovato le tazze e si era messo a servire Alessio e Valentina, si
diresse nuovamente nello studio, così da recuperare un
foglio, prese
la penna dal taschino e compose velocemente una risposta da far
recapitare alla fanciulla:
“Cara Beatrice,
penso che possa andare
bene. La visita alla Cappella è alle 19,30: per mezzanotte,
dovremmo essere di ritorno.
Spero tu stia bene,
Marcello
P.S. In questi giorni
devo andare
fuori Roma per impegni di lavoro, non credo di riuscire a vederti prima
di domenica 21. Passerò a prenderti io, verso le 18,30”.
Rilesse
attentamente il messaggio e, reputandolo più che
soddisfacente,
lo piegò in quattro. Quindi, tornò nel salotto,
dove i bambini stavano facendo
amicizia con Gerardo.
«Anche
tu hai una principessa, come Marcello?» domandò la
ragazzina, curiosa.
Il ragazzo parve sorpreso
per la domanda, fatta così a bruciapelo: «Ehm,
ancora no».
«Sì
che ce l’ha, solo che è troppo timido per dirle
che le
vuole bene»
rivelò il biondo, mentre si avvicinava a loro.
L’altro
arrossì lievemente.
«I
principi devono essere coraggiosi!» notò la
bambina, scandalizzata.
«Sì!
Devono prendere le loro armi e combattere contro i banditi!»
le fece eco Alessio.
«Io sono un
principe ranocchio»
commentò Gerardo, malinconico. «Sono
un po’ rammollito».
«E allora devi
chiedere alla tua principessa di darti un bacio!»
commentò Valentina, battendo le mani. «Solo
così potrai diventare un vero principe».
Il
ragazzo, se prima era leggermente avvampato, ora stava andando a fuoco.
Evidentemente, doveva essere fuori dalla sua portata
d’immaginazione
figurarsi Vittoria che lo sbaciucchiava a dovere.
«Prima,
però, devi occuparti dei furfanti» notò
il ragazzino.
«Oppure
dei carciofoni. Questi
bambini sono più saggi di te» commentò
Marcello,
approvando il ragionamento di quelle due simpatiche pesti.
«Oh...
non ti ci mettere anche tu!» sbuffò Gerardo, che
non sapeva più come nascondere il suo rossore.
Nel vedere il suo impacciatissimo amico che
veniva smascherato da due bambini delle elementari, il ragazzo rise di
cuore.
«Valentina,
Alessio, noi andiamo un attimo di là a prendere delle cose
da
portare a casa. Voi finite di mangiare con calma, così poi
vi
riaccompagniamo
noi, intesi?»
fece poi, all’indirizzo degli ospiti.
«Fa feve» rispose per entrambi
Alessio, con la bocca piena.
I giovani si recarono nel loro studio per raccogliere i plichi che
avrebbero dovuto portarsi dietro e spegnere le luci, così
da
cominciare ad organizzarsi per la chiusura serale.
In realtà, quell’oggi stavano uscendo dallo studio
un
po’ prima, ma la cosa non era particolarmente grave, dato
che, la
settimana successiva, avrebbero dovuto portare avanti
un’estenuante trattativa: tanto valeva risparmiare le
energie,
per quanto possibile.
Marcello stava proprio pensando a questo, quando
un’esclamazione
di allerta di Gerardo richiamò la sua attenzione: «Oh, no,
c’era della carta copiativa sotto a questi documenti... Ho
imbrattato anche i fogli puliti!»
Il ragazzo si avvicinò all’amico, verificando come
stava realmente la situazione; per
fortuna, però, non erano stati rovinati fogli di grandissima
importanza, né, tantomeno, contratti firmati da terzi.
«Può
capitare, non è nulla di grave»
lo blandì Marcello, sicuro che l’amico si sarebbe
mortificato
oltre il dovuto, per quella disattenzione che sarebbe potuta capitare a
chiunque; infatti, lui chinò subito la testa, in evidente
difficoltà.
Il
biondo stava per aggiungere qualcosa, con tutta l’intenzione
di
risollevare il morale all’amico, quando ebbe
un’improvvisa
illuminazione.
«Gerardo, sei un
genio!»
esclamò, al limite dell’euforia, riflettendo sul fatto che
è proprio nei momenti in cui si pensa a
tutt’altro, che vengono in mente le soluzioni più
brillanti ai problemi
più macchinosi.
«Perché?»
domandò il giovane, sorpreso.
«Mi
hai appena suggerito come ha fatto Carter a sapere quanto avessimo
offerto: la soluzione è la carta copiativa! Sapevo che la
spiegazione sarebbe stata tremendamente stupida!»
Gerardo lo
guardò, non poco perplesso: «Marcello,
ti dispiacerebbe spiegare anche a me?»
«Miller
deve aver messo della carta copiativa sotto la cartellina,»
cominciò a spiegare il ragazzo, «così,
quando ci hai scritto sopra l’offerta, hai permesso che si
trascrivesse
su un foglio sottostante. Poco importava che il foglio originale fosse
stato già sigillato in una busta... Loro potevano sapere
esattamente l’importo scritto, semplicemente rimuovendo il
cartone del
fondo!»
A quella rivelazione, l’altro lo
guardò sgomento.
«Questo
vuol dire che sono stati loro stessi ad informare i responsabili della
Stigliano!»
«Esattamente.
E quelli hanno offerto quella cifra ridicola, solo per farci capire che
sapevano tutto».
«Ora,
però, mi piacerebbe sapere chi c’è
dietro questa
Stigliano. Molto probabilmente qualcuno che
conosciamo» avanzò Gerardo, forse avendo
già una
vaga idea di chi poteva trattarsi.
«Lo
credo anche io» concordò Marcello, pensando che,
purtroppo, la loro formidabile scalata aveva dato fastidio a molti
concorrenti che contavano sul monopolio del settore.
Ormai, il cerchio stava per chiudersi e, quando sarebbe successo, il
giovane aveva il vago presentimento che il risultato non lo avrebbe
lasciato affatto stupito.
***
Per la revisione,
ringrazio Lady
Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la
(nuova)
grafica del titolo è opera mia.
Ringrazio la mia Anto per
aver letto e dato un parere in corso d’opera.
***
[N.d.A]
1. (La) Signorina Else:
è una novella di Arthur Schnitzler, scritta nel 1924. Parla
di
una giovane diciannovenne che, per salvare la sua famiglia dalla
bancarotta e dallo scandalo, si impegna a compiacere un ricco amico di
famiglia senza morale. L’epilogo della vicenda è
molto triste
(Else si suicida ingerendo il valium [una benzodiazepina], piuttosto
che assecondare totalmente il signor von
Dorsday). Ammetto di non aver mai letto l’opera, ma ho
assistito ad uno
spettacolo teatrale che ne è stato tratto, apprezzando,
oltre
alle tematiche, anche l’uso che Schnitzler fa del monologo interiore.
2. dulzura:
dolcezza, in senso vezzeggiativo, in spagnolo.
3. gli uomini in nero:
Alessio
nomina spesso gli uomini in nero, indicando (in maniera inconscia,
essendo un bambino) malfattori senza una definizione precisa. Ricordo
che, negli Anni ’80, era ancora vivo, nella popolazione della
Capitale,
il ricordo delle malefatte della già citata Banda della Magliana.
Inoltre, in quegli anni, molti giovani sono scomparsi in circostanze
misteriose. Basta citare, una per tutti, la sparizione di Emanuela
Orlandi, avvenuta nel 1983. Quindi, non c’è da
meravigliarsi che
i bambini rielaborassero, a proprio modo, le informazioni di cronaca
apprese qua e là.
***
Ed eccoci qui, sempre sugli
stessi schermi, ma con una grafica un po’ rinnovata. Che ne dite,
è meglio?
Per ora il glicine non ha un ruolo specifico nella storia, ma tutto vi
sarà più chiaro più avanti.
Tornando a noi, come avete avuto modo di leggere, questo è
stato
un capitolo abbastanza movimentato, ma, d’altra parte,
essendo
l’ultimo per
quest’anno, bisognava fare un po’ di
fuochi
d’artificio in stile Capodanno, o no? Tuttavia, le parti
migliori
(o
peggiori, dipende dal punto di vista) devono ancora venire, me le
riservo per l’anno nuovo.
A tal proposito, vi dico che il prossimo aggiornamento è
previsto per il 5 Gennaio, pertanto
vi auguro di passare buon Natale e buone feste in generale.
Ringrazio dal più profondo del cuore chi legge, anche
silenziosamente, chi mi
dedica una parte del suo tempo commentando, chi ha messo la storia in
uno
dei suoi elenchi, chi
vorrà unirsi ai commentatori e deciderà di
lasciarmi una recensione sotto l’albero.
Anche se questa è una storia semplice, spero di essere
riuscita a trasmettere tutta la cura e l’attenzione che sto mettendo
nello scriverla.
Come sempre, vi lascio il link al mio blog
e alla pagina
facebook: troverete
su entrambi, nei prossimi giorni, una piccola
anticipazione del capitolo ottavo.
Ancora tanti auguri!
Halley
S. C.
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