Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Halley Silver Comet    15/12/2014    9 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Vento dell'Ovest - Capitolo 7



- Capitolo Settimo -
Vento di Pensieri




L
a mattina dell’otto dicembre, lintera famiglia Tornatore si recò alla Basilica di San Giovanni in Laterano, così da assistere alla funzione dellImmacolata. Mentre la Matrona gelava con lo sguardo chiunque si avvicinasse ai primi banchi (e quindi al posto d’onore che si era assegnata da sola), seguita a ruota da Tiberio, Ortensia e la piccola Claudia, suo marito si sistemò a metà navata, facendo notare che, al banco che aveva adocchiato sua moglie, non cerano abbastanza posti. Invece, Marcello rimase direttamente nelle retrovie, aspettando Gerardo e Vittoria, con lintenzione di essere associato il meno possibile alla dispotica genitrice.
Quando la liturgia terminò, più di un’ora e mezza dopo, una moltitudine di gente si riversò nello slargo prospiciente la basilica, disponendosi intorno al grande albero di Natale, addobbato per l’occasione, e formando tanti piccoli capannelli, mentre i bambini della parrocchia venivano richiamati dai catechisti vicino al presepe. Anche Vittoria si mosse in quella direzione e, per superare quel gran vociare, fu costretta urlare ai suoi amici che doveva andare a dare una mano, così da velocizzare la distribuzione dei rametti di agrifoglio ai bimbi.
Il sole brillava, ma, in quella fredda mattinata, non riusciva a scaldare molto, pertanto Marcello si abbottonò il cappotto fino al mento, cacciando le mani nelle tasche ed esponendosi quanto più possibile al tepore solare. Poco distante da lui, c’era Madama Claudia che stava conversando animatamente con alcune sue conoscenze, probabilmente vantandosi di essere stata invitata al concerto augurale di Capodanno
dall’assessore Tinelli in persona; il signor Giancarlo, invece, con una scusa, era riuscito ad evitare quel ridicolo mercato di ciarle ipocrite. Tiberio stava dicendo qualcosa alla moglie, cullando lentamente la bambina tra le braccia, la quale, per essere onesti, si era comportata molto bene durante la celebrazione, continuando a dormire perfino durante l’esecuzione dei canti.
«Tua cognata oggi non ha una bella cera» commentò Gerardo, anche lui al sole, squadrando da lontano una pallida Ortensia.
«Al momento non ha più la scusa delle sue crisi per potersi svincolare da mia madre. A quanto ho capito, non ha più uno psicologo che la segua: il dottor van der Meer adesso coltiva ed esporta tulipani» rispose sbrigativamente Marcello.
Questa rivelazione lasciò l’altro parecchio perplesso.
«Ortensia lo avrà esasperato» commentò, lanciando una triste occhiata alla donna.
«Stando a quello che ha detto Tiberio, è stato esasperato da più di una donna» precisò il giovane, provando solidarietà per l’ex psicologo. «Tanto è vero che è tornato a casa sua nella campagna olandese».
«Ora capisco perché Vittoria non ha voluto aprire uno studio tutto suo e si limita a collaborare con le volontarie dell’Umberto I...» commentò Gerardo, pensieroso. Tuttavia, non aveva fatto nemmeno in tempo a finire di nominarla, che la ragazza apparve nuovamente vicino a loro.
«Ragazzi, scusate, non possiamo ancora andare: oltre all’agrifoglio, bisogna distribuire anche queste pergamene» disse, mostrando loro dei foglietti di carta, simili a delle piccole pergamene. «Sarà davvero bello quest’anno l’albero di Natale, decorato anche con i pensierini dei bambini!»
«Non è già abbastanza addobbato così?» domandò Marcello, lanciando un’occhiata di sbieco all’abete, carico di palline e angioletti di plastica.
«
Marcellino, come sei polemico! Non trovi che sia bello che tutti i bambini possano esprimere i loro desideri per questo Natale?» gli rispose lei, stizzita; poi si rivolse all’altro: «Gerardo, mi riaccompagni tu a casa? Tanto dobbiamo fare un pezzo di strada in comune».
«Oh, sì, molto volentieri» assentì il ragazzo, arrossendo appena. «Nemmeno oggi il car...o scultore è venuto?»
«No, ha detto che sarebbe stato tutto il giorno con Paula, a definire meglio la lista delle opere da presentare» sbuffò la ragazza, abbattuta. Tuttavia, un secondo più tardi, era di nuovo allegra e annunciò, sventolando la mano: «Datemi dieci minuti per finire e sarò da voi! Patti chiari e amicizia lunga, bei giovani: non azzardatevi ad andarvene senza di me!»
Marcello e Gerardo rimasero ad osservare Vittoria che si allontanava nuovamente, entrambi perplessi per quel cambiamento d’umore repentino. Infatti, solo chi la conosceva bene sapeva che lei odiava attirarsi la compassione altrui, preferendo farsi vedere sempre con il sorriso sulle labbra, anche se il suo cuore era tutt’altro che sereno.
In particolare, il biondo, poiché era a conoscenza di cosa stava affrontando in quel momento la sua amica, si trovò a sospirare, affranto, giacché non poteva dire all’altro come stavano realmente le cose: sicuramente, anche lui doveva aver notato, forse influenzato dai pregiudizi che aveva sullo scultore, che
Bartolomeo la stava trascurando, ma non avrebbe mai potuto immaginare che quello zotico era arrivato a picchiarla.
Marcello stava quasi per suggerire all
amico di approfondire con Vittoria il discorso sul carciofone, quando fu richiamato da un urlo stridulo: «Buongiorno, Marcello!»
Sia lui che l’altro si voltarono ed intravidero Maria Luisa farsi largo tra la gente a suon di gomitate a destra e manca. Il ragazzo si ricordò di essere davanti ad una chiesa e si trattenne dall’imprecare sottovoce.
«È tanto che non ti vedo! Dove eri finito?» esordì la nuova venuta, mostrando un sorriso smagliante. Evidentemente, grazie ai postumi dell’ubriacatura aveva dimenticato ciò che era successo alla sua festa di compleanno, quando era stata piantata in asso da Marcello. Oppure, magari, non volendo rinunciare a lui, era disposta a far finta di niente.
«Non ho molto tempo per la vita mondana» la liquidò quello, spiccio.
«Che peccato! Speravo che venissi l’altra sera, al compleanno di Edoardo... Hai ricevuto il suo invito?» insistette, però, lei, riservandogli un’occhiata speranzosa.
«Non mi pare. Ma, forse, l’ho gettato accidentalmente nel cestino della carta straccia».
Di fronte ad un’affermazione del genere, la giovane aprì la bocca e rimase a fissare Marcello con aria sconcertata, quando Gerardo si intromise, salutandola affabilmente: «Buongiorno, Maria Luisa».
«Oh, ciao, Gerardo. Ci sei anche tu? Non ti avevo proprio visto!» esclamò la giovane, falsamente sorpresa, voltadosi appena per poi tornare immediatamente a rivolgersi all’altro ragazzo: «Io, Teresa e Domenico stiamo organizzando, per il quindici, una cena di beneficenza in favore dell’associazione di cui siamo membri. Ti va di venire?»
«Mi dispiace, ma non possiamo, perché saremo a Monaco di Baviera in quei giorni per concludere un affare» replicò lui, secco.
«Almeno posso passare a casa tua, nei giorni seguenti, per raccogliere la donazione?» proseguì Maria Luisa, sbattendo svenevolmente le ciglia e dando prova di non voler mollare l’osso.
Per fortuna, Marcello aveva un buon controllo della mimica facciale, altrimenti non sarebbe riuscito a celare il suo sempre più crescente ribrezzo.
«Abbiamo già deciso che devolveremo la donazione di Natale all’associazione di Vittoria, dato che opera sul territorio regionale. Non abbiamo nulla contro le associazioni internazionali, come quella che sostieni tu, sia chiaro» spiegò Gerardo, intromettendosi nel discorso, «ma preferiamo aiutare chi ci sta vicino. L’incentivo a creare una rete efficiente di servizi locali parte dalle piccole cose».
Maria Luisa lo guardò stralunata, come se non avesse capito una singola parola di ciò che aveva detto e, molto probabilmente, doveva essere proprio così; infatti, dopo un paio di secondi, si rivolse nuovamente al biondo, facendo la domanda che doveva essere il vero motivo per cui lo aveva cercato:
«Insomma, Marcello, non mi dire che non ci sarai nemmeno alla festa di Capodanno che sto organizzando, personalmente, ad Ostia!»
«Temo di no» rispose il ragazzo, algido, guardandola torvo. «Gerardo ed io abbiamo già preso un impegno importante» proseguì, scandendo molto bene il plurale e non tollerando la totale indifferenza della ragazza verso il suo amico; d’altra parte, era una questione di educazione a rivolgersi ad entrambi, considerando che il suo lui la stava gentilmente considerando.
La risposta fu talmente raggelante, che la ragazza rimase a guardarlo inebetita per qualche secondo, prima di salutarlo, dimenticandosi ancora una volta dell’altro giovane. Quindi, si congedò da lui, farfugliando che doveva raggiungere alcune sue amiche.
«Come rinunciare ad un Capodanno sulla spiaggia di Ostia a tracannare Bacardi?» chiese retoricamente Marcello, sprezzante. «Meglio starsene a letto con l’influenza come ho fatto l’anno scorso, anche se avevo la febbre a quaranta».
«Addirittura?» domandò Gerardo, che era palesemente offeso per la maleducazione che Maria Luisa aveva avuto verso di lui.
«Tu preferiresti festeggiare con gente che brinda con te, augurandosi, in realtà, che tu possa fallire quanto prima?»
L’altro, non sapendo come controbattere, data la veridicità della considerazione, tacque.
«Mi meraviglio sul serio di come tu possa volerti dichiarare a quella lì» disse il biondo, indicando con un cenno del capo Maria Luisa, che stava parlando concitatamente con le sue amiche, forse sfogandosi per il due di picche che aveva appena ricevuto. «Per giunta, perdonami la schiettezza, non ti si fila proprio».
«Lo so. Be’, io...» cominciò il suo amico, tentennante.
«Comunque, è vero anche che dici sempre che vuoi dichiararti, però non lo fai mai».
«Non è il momento adatto per affrontare questa discussione...»
«È il momento migliore, invece! Guarda cosa ti stai perdendo!» esclamò Marcello, costringendo l’altro a voltarsi per vedere Vittoria che interloquiva con i bimbi, ammaliandoli con la sua spontanea vivacità.
«Non mi tentare, non è corretto che io ronzi intorno ad una ragazza impegnata» disse Gerardo, che non riusciva, però, a staccare gli occhi da lei.
«Invece, permettere che stia con quel menefreghista del carciofone è correttissimo» sbottò il biondo, ferocemente sarcastico. Purtroppo, aveva promesso all’amica di non rivelare tutta la verità, tuttavia, poteva ribadire ciò che, poco prima, aveva comunicato l’espressione della stessa Vittoria.
«Marcello, ti prego...
» gemette l’altro, supplicandolo. «Mi rendi solo le cose più difficili».
Il giovane stava per rincarare la dose, quando tornò Vittoria, questa volta definitivamente.
«Eccomi qui! Visto che ho fatto presto?» fece notare, sorridendo radiosa. «Di che cosa state parlando voi due?»
«Noi... ecco... vedi... sai...» balbettò Gerardo, preso alla sprovvista.
«Del fatto che la temperatura di oggi sia sopra la media stagionale» rispose Marcello, guardando il suo amico e assottigliando lo sguardo.
La ragazza guardò prima l’uno, poi l’altro; infine, scosse la testa, decidendo di lasciar perdere.
Il giovane alzò le spalle, come a volersi scusare con il suo amico per la propria défaillance e Marcello gli rispose alzando gli occhi al cielo.
«Insomma, si può sapere che avete voi due? Posso saperlo anche io o è un segreto di Stato?» sbottò la giovane, che cominciava ad averne abbastanza di quel muto teatrino.
«La verità è che... Vittoria, hai una foglia di agrifoglio tra i capelli!» esclamò Gerardo, prendendo spunto da quel particolare appena notato, per portare la conversazione su altro. Alzò la mano per togliergliela, ma dovette ripensarci subito dopo, dato che dissimulò il movimento, limitandosi ad indicarla, come se si fosse vergognato al solo pensiero di instaurare un contatto con lei.
«Non avreste potuto dirlo prima, senza fare tanti misteri?» domandò, allora, Vittoria, passandosi delicatamente una mano tra i ricci e recuperando loggetto estraneo. La lasciò cadere in terra e gli scoccò uno sguardo di apprezzamento.
«
Sempre il solito esagerato! Comunque, grazie per avermelo fatto notare» gli disse, dandogli un leggero bacio sulla guancia, per enfatizzare quanto gli aveva appena detto.
«Grazie. No, scusa... volevo dire... prego...» farfugliò lui, diventando rosso come un gambero al vapore.
Marcello seppellì, disperato, il viso nel palmo di una mano, pensando che, più che correggere i complessi esistenziali del suo amico, avrebbe fatto prima a raddrizzare la Torre di Pisa.
***

Beatrice, ogni tanto, alzava la testa dal suo tema su Pascoli, al fine di controllare l’enorme orologio del soggiorno, il quale segnava che mancava un quarto alle undici. Avrebbe dovuto sbrigarsi, se non voleva fare troppo tardi, poiché, l’indomani, avrebbe trovato ad attenderla una lunga giornata di lavoro.
Erano arrivati in negozio alcuni drappeggi scenografici che necessitavano di modifiche, mentre i costumi sarebbero stati consegnati in un secondo momento, essendo richiesta, in quel caso, la collaborazione degli attori: una cosa che, al momento, nessuno di loro poteva garantire, in quanto erano tutti immersi nelle prove.
La ragazza rilesse l’ultimo paragrafo e, trovandolo scorrevole, mise un bel punto, chiudendo la biro: Rossiglioni avrebbe dovuto darle come minimo un bell’otto, se non addirittura un nove.
Si alzò e cominciò a raccogliere i suoi libri, pronta per andare a letto: esausta com’era, non vedeva l’ora di scivolare in un buon sonno ristoratore. Da quando aveva cominciato a lavorare, aveva molto meno tempo per studiare, così aveva imparato ad organizzarsi, non riuscendo, tuttavia, a finire tutti i compiti prima di una certa ora.
Seguendo questi ritmi, non aveva nemmeno potuto pensare, con la dovuta accortezza, a come trovare il modo di andare a vedere la Cappella Sistina con Marcello, senza farlo sapere a Guido, alla zia Assunta e, soprattutto, a quella brutta pettegola invidiosa di Anna Laura.
Trovare un alibi, una scusa convincente per poter restare fuori casa, anche di sera, sembrava impossibile: suo fratello la veniva a prendere sempre puntuale, anzi, talvolta persino in anticipo, mettendole fretta per non arrivare in ritardo a qualche appuntamento galante.
«Cicci, ma sei sempre a studiare?» domandò Guido, entrando in quel mentre nel salotto. Beatrice, che aveva distinto un’ombra nel corridoio che si avvicinava, non diede segni di sorpresa.
«Non voglio mica rimanere ignorante come te, che ti se’ comprato il diploma di geometra» gli rispose, velenosa.
«
Come vedi, non sto facendo quel lavoro, quindi non nuocio a nessuno» ribatté il giovane.
La ragazza avrebbe voluto seriamente obiettare ma, prima che potesse aprire bocca, vide il fratello avvicinarsi all’armadietto dei liquori, aprire l’anta di ciliegio istoriata e tirare fuori due bicchieri e una bottiglia di vetro opaco, contenente forse sambuca.
Non era raro che, a sera tarda, il fratello mandasse giù un sorso di qualche alcolico, quando non usciva ad ubriacarsi con i suoi rozzi amici, ma la cosa che insospettì Beatrice furono i due bicchieri, anziché uno solo. Si stava proprio chiedendo il perché, quando Guido l’anticipò, annunciando:
«Sta venendo qui Navarra, ha espressamente chiesto di vederti».
Alla fanciulla sembrò che il pavimento si fosse messo a tremare, o forse erano solo le sue gambe ad essere diventate, improvvisamente, così malferme. Per non cadere, si aggrappò al tavolo, riuscendo a malapena ad esalare un: «Cosa? Ma non l’era in Spagna, a sistemare i su’ affari?»
«Ha sbrogliato il grosso delle magagne ed ha lasciato a Cordova un su’ uomo di fiducia
. Inoltre, ha detto che non resiste troppo tempo senza vederti» spiegò tranquillamente il fratello, richiudendo l’anta e mettendo bicchieri e bottiglia su un vassoio d’argento.
Lei socchiuse gli occhi, stizzita. Se quel bifolco di Navarra pensava di conquistarla con quel suo romanticismo da quattro soldi, aveva proprio fatto male i conti. E se Guido era della stessa opinione, be’... tanto peggio per lui.
«Io devo andare a dormire, domani devo aiutare la Bettina e andare a lavorare» obiettò Beatrice, lottando contro se stessa per non agitarsi, cosa che in quel momento si rivelò particolarmente difficile.
«Oh, ma non si tratterrà qui per molto tempo. Suvvia, Bea, scommetto che non è così male, dovresti seriamente iniziare a prenderci confidenza» commentò lui, serafico, come se stessero per ricevere un caro e premuroso amico di vecchia data.
«Se ne prende fin troppa, visto che non perde mai tempo per mettermi le su’ luride mani addosso!» esclamò Beatrice, mandando all’aria i suoi propositi di mantenere la calma.
«Cerca di esser gentile con lui».
«Lo sarò, se lui farà il gentiluomo con me!»
«Ti prego, Cicci. Così oltre ad estinguere il debito, magari riesco anche ad entrare in affari con lui».
A Beatrice per poco non caddero le braccia: non contento di quello che aveva combinato, si voleva anche rovinare definitivamente? Entrare in affari con Navarra era un autentico suicidio!
Si sentiva un po’ come la Signorina Else1, costretta a cedere alle turpi richieste del signor Dorsday per evitare la bancarotta della famiglia e salvare il padre dalla depressione; solo che non trovava giusto drogarsi di benzodiazepine fino a morirne, per far valere i propri diritti.
Dopo aver provato la gentilezza ed il rispetto che le dimostrava Marcello, Conrado, ai suoi occhi, era diventato ancor più sordido ed immorale.
«Oh, ma che tu sta’ scherzando? Entrare in affari con il Navarra? Allora è anche per questo che hai deciso di vendermi a que’ lestofante?»
Il fratello la guardò stralunato e aprì la bocca per ribattere, ma non ce ne fu il tempo, giacché qualcuno - con molta maleducazione, considerata l’ora - suonò insistentemente il campanello.
«
Accidenti, sveglierà la zia Assunta!» esclamò il ragazzo, correndo ad aprire.
Beatrice avrebbe voluto scappare lontano, pur di non trovarsi faccia a faccia con Navarra, ma le gambe le erano diventate di piombo e non riuscì neanche a compiere un solo, misero passo. Quando udì la voce del mostro, arrivato ormai nel salotto, trattenne a stento un grido.
«Ciao dulzura2, è un po’ che non ci si vede» fece lui, non appena entrò nella stanza, sorridendole languido.
La fanciulla lo guardò atterrita, stringendo più forte il bordo del tavolo. Perché Guido le stava facendo questo? Che cosa aveva mai fatto di male per meritare quell’orrenda punizione?
«A quanto vedo, la niña è rimasta senza parole. Devo averle fatto proprio una bella sorpresa!» commentò Navarra, abbandonandosi ad una risata cavernosa.
«La Beatrice è emozionata per il tu’ ritorno improvviso. Ti credevamo in Spagna, non si pensava saresti tornato così presto» spiegò Guido, invitando l’omone ad accomodarsi.
Conrado accettò l’invito, stravaccandosi sul divano tarlato e osservando Beatrice con occhi avidi, mentre si lisciava compiaciuto la folta barba nera.
«Ho risolto tutto in fretta, volevo tornare da te al più presto».
Lei, sentendo quello sguardo lussurioso su di sè, non rispose, limitandosi a deglutire, incapace di far scendere il groppo che aveva in gola: non voleva che quell’animale la guardasse in quel modo, non voleva essere oggetto delle sue fantasie perverse. Avrebbe tanto voluto trovarsi in un altro luogo, quanto più possibile lontano da Navarra, mentre a Guido non sembrava minimanente importare il suo stato d’animo: infatti, stava facendo tutti gli onori di casa, adoperandosi per servire al suo ospite il liquore, mentre conversava animatamente, informandosi su come erano andati gli affari in Spagna.
«Tolomei, vai a prendermi del ghiaccio».
L’ordine giunse talmente imperioso che il ragazzo ammutolì immediatamente, fissando l’energumeno come se gli avesse chiesto di dissolversi all’istante. Percependo in quelle parole una possibilità di abbandonare la sala, Beatrice mosse qualche passo in direzione della porta.
«No, non tu, dulzura, dicevo a lui» aggiunse Conrado, indicando Guido con la mano in cui teneva il bicchiere. «Non potrei mai chiamarti per cognome, luz de mis ojos».
«Vuoi il ghiaccio... anche se fa freddo?
» obiettò il ragazzo, meravigliato.
«La sambuca va gustata gelata. Sia d’inverno che d’estate» fu la boriosa risposta di Navarra.
Borbottando qualcosa, il giovane si allontanò, lasciando Beatrice con luomo, che si alzò dal divano e cominciò ad avvicinarsi a lei. Fu allora che il suo sospetto si concretizzò in realtà: a quel troglodita non importava nulla del ghiaccio, era solo un vile pretesto per allontanare suo fratello e rimanere solo con lei.
«
Sei una vera bellezza» le disse, troppo vicino per i suoi gusti, squadrandola con bramosia.
Lei si ostinò a tacere, riservandogli uno sguardo di puro disprezzo.
«
Non mi rispondi, fai la timida? Eppure lo so che sotto questa apparenza da ragazzina, si nasconde una giovenca ribelle da domare».
Se prima Beatrice riteneva che, per la sua amoralità, Navarra dovesse marcire in una cella ammuffita e piena di topi, fino alla fine dei suoi giorni, dopo quel rozzo apprezzamento, avrebbe solo voluto vederlo sul patibolo del boia. 

«Tu meriti molto più di questo letamaio, dulzura» continuò Conrado, perseverando nel suo monologo. «Quando sarai mia, vivrai come una regina, ma dovresti anche collaborare un po’, che ne dici?»
La ragazza strinse le labbra talmente forte, che immaginò fossero sbiancate: avrebbe preferito vivere di stenti tutta la vita, facendo la sguattera o la mendicante, piuttosto che diventare moglie di quel buzzurro.
Resosi probabilmente conto che non voleva cedere, Navarra scattò in avanti, artigliandola in una presa d’acciaio.
«Tu stai giocando con me, niña
» le disse, serrandole il viso tra il pollice ed il resto delle dita.
«
Lasciami subito!» esclamò la ragazza, divincolandosi. Fece per allontanarsi, ma l’energumeno si parò davanti alla porta, sbarrandole il passaggio.
«Ah, ora parli?»
«No, perché non ho niente da dirti! Ed ora lasciami andare!»
La giovane gli voltò le spalle, furibonda, ma lui le afferrò i capelli, che aveva legato in una coda alta, e li strattonò, costringendola ad avvicinarsi a lui; lei gemette per il dolore, ma il nerboruto tirò più forte.
«A me piace giocare con te,» le sussurrò in un orecchio, minaccioso, «ma non devi mai scordare chi è che comanda».
Senza preoccuparsi del fatto che le stava facendo male, Navarra la inchiodò al muro, bloccandola con la mole del proprio corpo, mentre con una mano le teneva la bocca chiusa.
«Che tu lo voglia o no, un giorno sarai mia» le sibilò, ghignando compiaciuto.
Beatrice chiuse gli occhi, come faceva da piccola quando aveva paura che qualche mostro saltasse fuori da sotto il letto. Ma, purtroppo, quello non era un incubo infantile: era la cruda realtà.
L’uomo le si avvicinò ancora di più, immergendo dapprima il volto nei capelli di lei, poi strofinandolo sul suo collo. Con sommo raccapriccio, la fanciulla avvertì la mano libera del suo aguzzino che si adoperava per sollevarle la gonna. Navarra, ridendo, non si risparmiò nel percorrerle con insistenza la coscia e nemmeno nel palpeggiarla ovunque.
Solo la rabbia, il disprezzo, il disgusto che provava verso quell’essere rivoltante le impedirono di farle piangere tutte le lacrime che avrebbe voluto.
«Cosa stai facendo?
» domandò Guido, sbalordito, con in mano il contenitore del ghiaccio, dal quale stava colando acqua sul tappeto.
Conrado si allontanò dalla giovane, consentendole di sfuggire alla sua presa.
«Nada. Stavamo solo giocando un po’, a Beatrice è piaciuto molto» rispose il troglodita, ghignando sardonico.
Umiliata, la fanciulla corse via dal salotto, con l’intenzione di mettere più distanza possibile tra lei e Navarra: l’aveva sbeffeggiata, trattata come una bambola con cui sollazzarsi, insultata e fatta passare per sua complice nelle sue porcherie.
Si fermò ai piedi della rampa delle scale, non più in grado di trattenere i singhiozzi. Avvertendo una presenza dietro di lei, si voltò di scatto.
«Cicci, cosa ti ha fatto? Stai bene?
» le domandò il fratello incupito, sfiorandole un braccio.
Ma Beatrice si sottrasse rapidamente a quel contatto.
«Non mi toccare! Nemmeno tu devi toccarmi!» strillò, come in preda ad una crisi isterica.
Guido sobba
lzò, basito da una simile reazione.
«Ma Bea...»
«
L-Lascia... mi in p-pace!» singhiozzò la fanciulla, scappando su per le scale.
Una volta che ebbe chiuso la porta del suo piccolo cubicolo, si buttò sul piccolo letto sgangherato e diede sfogo a tutta la sua tristezza, pensando alle dolci parole che le aveva detto il suo Marcello, a quanto era stato gentile con lei, a quanto fosse ingiusto che non potesse sperare di avere un ragazzo così tutto per sé.
Lui era lontano ed ignaro di tutto, mentre lei era sola: sconsolata, pianse ogni singola lacrima che aveva, finché, stremata, non crollò, abbandonandosi al sonno.
 
Il pomeriggio seguente, la ragazza si presentò al negozio pallida e con profonde occhiaie, tanto che la signora Sofia si sentì in dovere di chiederle più volte se avesse bisogno di un giorno di ferie, così da rimettersi, ma, nonostante Beatrice ne avesse davvero necessità, rifiutò: passare un lungo pomeriggio alla mercé di Anna Laura non corrispondeva esattamente alla sua idea di riposo.
Inoltre, trascorrendo qualche ora nella merceria, avrebbe avuto anche l’occasione di distrarsi, evitando di ripensare a quanto successo con Navarra la sera prima.
Il solo accenno le faceva venire il voltastomaco.
Pregò che Marcello non passasse a vederla proprio quel pomeriggio, perché, anche se le avrebbe fatto indubbiamente bene passare del tempo con lui, non voleva che la vedesse in quello stato pietoso.
Perfino Alessio e Valentina le chiesero, preoccupati, se stesse bene, intenerendola non poco. Li rassicurò, cercando di nascondere quanto fosse effettivamente scossa, invitandoli a proseguire nella decorazione della vetrina con l’ovatta e i fiocchetti di raso rossi e verdi. 
Scrollando la testa, come a far uscire di prepotenza quei brutti ricordi, così tristemente recenti, la fanciulla cominciò a lavorare, adoperandosi per sistemare tutte le tavole delle stoffe che vi erano state poggiate, così da fare un po’ di ordine sul bancone, dopodiché rimpinguò le scatole dei bottoni, sistemando con cura quelle nuove, arrivate quella mattina. 

«Cara, metti in evidenza la scatola con le novità, in particolare quella con i bottoni dorati,» la istruì gentilmente la sarta, «ne venderemo molti, sotto Natale. Ah, a proposito di merce in arrivo, hai visto che è arrivato il cachemire che avevi ordinato?»
«
Il cachemire? L’è arrivato?»
«Sì, cara».
Che magnifica notizia! Finalmente, avevano consegnato il materiale che le sarebbe servito per confezionare un’elegante sciarpa da uomo, ovvero il regalo di Natale per Marcello.
Rianimata da quel pensiero, ringraziò la signora Sofia e si scusò per la sua sbadataggine, correndo subito a vedere se il colore era uguale a quello della fotografia del catalogo.
Con mano tremante, aprì lo scatolone di cartone, scorgendo una busta di plastica, contenente una ventina di gomitoli di lana grigia mélange. Fu così che ritrovò davvero un po’ di buon umore, convenendo che il colore era anche meglio del previsto.
A quel punto, l’unico problema rimaneva come fare a vederlo e a visitare la Cappella Sistina con lui, senza che a casa ne sapessero niente: ci stava pensando dal pomeriggio precedente, ma lo shock che aveva provato la sera prima, nel venir molestata e volgarmente palpeggiata da quello schifoso di Navarra, l’aveva talmente stordita da farle quasi dimenticare l’urgenza di trovare una soluzione al problema.
«
Oh, che bella! Deve essere anche molto morbida e calda».
«Sì, lo credo anch’io».
«Il tuo affascinante imprenditore gradirà sicuramente».
«Come fa a sapere che il regalo è per Marcello?»
«Intuito» rispose la donna, colpendosi ripetutamente il naso con l’indice. «Sai, l’espressione che avevi mentre sceglievi il tipo di lana sul catalogo, era così bella che mi hai fatto ricordare di quando io stessa ho confezionato il primo regalo di Natale per il mio Renato».
Beatrice sorrise, notando la partecipazione emotiva della signora Sofia al solo nominare il marito, rievocando aneddoti di gioventù.
Tornò a guardare la lana ed estrasse dalla confezione un gomitolo, passandoselo tra le mani, ma avendo l’accortezza di non rovinare la lana: era davvero molto morbido e caldo, l’unica cosa che doveva augurarsi è che il suo pensiero piacesse davvero al ragazzo.
«
Secondo me, verrà un regalo da principe!» disse Valentina, avvicinandosi a Beatrice. «A me hai fatto un vestito da principessa!» esclamò, volteggiando su se stessa e gonfiando la gonna dell’abitino di velluto.
«Marcello dovrà accettarlo per forza, l’hai fatto per lui!» intervenne Alessio, sollevando una nuvola di batuffoli di ovatta. 
«Lo spero» rispose la ragazza, mettendo via la busta. Ora doveva solo trovare i ferri adatti.
«Cara, anche io oggi non ho molta testa: non ti ho detto che dal teatro hanno mandato i primi abiti! Per ora si tratta solo di rammendi e piccoli accorgimenti, però ne avremo per diverse ore. Saranno anche costumi di scena, ma ne hanno davvero una pessima cura!» fece la sarta, indignata. «Purtroppo, nel fine settimana, dovremmo lavorare ben oltre l’orario di chiusura, almeno fino alle ventiquattro, per non parlare delle prossime due domeniche!»
«
Non è un problema, m’aveva già anticipato questa eventualità».
«Contando le ferie natalizie, non abbiamo moltissimi giorni a dicembre. Per evitare che tutto si accumuli a gennaio, dobbiamo organizzarci» spiegò la signora Sofia, contando i giorni sul calendario con l’aiuto di una matita.
«Sì, son d’accordo» concordò Beatrice.
Il fatto che avrebbe lavorato fino a tardi un po’ la preoccupò, poiché avrebbe significato ancora meno tempo per studiare; tuttavia, non poté negare che le faceva piacere essere costretta a passare dentro casa il minimo tempo necessario e sotto questo punto di vista, la sua vita era nettamente migliorata. Peccato che non avesse ancora trovato un modo per riuscire ad uscire con Marcello, senza che tutta la sua famiglia ne venisse al corrente...
Tutto ad un tratto, la ragazza realizzò che la soluzione era proprio sotto al suo naso.
«Signora, potrei chiederle un favore?»
«
Dimmi, cara» le rispose la sarta, lasciando la conta dei giorni di lavoro che sarebbero toccati loro.
«
Potrei avere libera la serata del ventuno? La prego, farò qualsiasi cosa; se vuole, posso anche venire a far la mi’ parte di lavoro dalle cinque della mattina».
«
Hai un appuntamento con quel bel giovane?»
«Sì...» rispose Beatrice, affatto sorpresa che la donna avesse indovinato al primo colpo. Piuttosto, era incerta se raccontare alla signora Sofia tutta la verità, dato che Guido sarebbe senz’altro venuto a chiedere spiegazioni, quando avrebbe saputo che alla sorella era stato prolungato l’orario di lavoro. Ovviamente, non perché si preoccupasse per lei, temendo che si stancasse, ma perché così non sarebbe più potuto rincasare alle quattro di mattina, dovendo venirla a riprendere al negozio a mezzanotte. Sapeva che la sua datrice di lavoro non l’avrebbe tradita, ma era sempre meglio andare sul sicuro.
«La mi’ zia non vuole che lo veda, quindi abbiamo pochissime occasioni per farlo» spiegò lentamente, cercando di delineare la questione il più semplicemente possibile.
«Non vuole che frequenti quel ragazzo così compito?» domandò la signora, sbalordita.
«No, e nemmeno il mi’ fratello, se è per questo» precisò la fanciulla, «ma l’è una lunga storia».
«Tuo fratello ha proprio un bel coraggio! Tra i due, perdonami,
ad avere unaria poco raccomandabile è lui, non Marcello» commentò la donna, forse ricordando l’unica volta che aveva avuto modo di parlare con Guido, quando la sorella aveva cominciato a lavorare e lui laveva voluta incontrare per accertarsi che avrebbe percepito uno stipendio. Certamente, non doveva averle fatto una buona impressione.
Beatrice si limitò a sospirare.
«
Va bene. Non c’è bisogno che tu venga a lavorare dalle cinque di mattina, sarà sufficiente che cominci alle tre, per staccare alle sette. Io arriverò verso le sei e mezza... Ti lascerò le chiavi per aprire il negozio».
La fanciulla le sorrise, riconoscente: non solo la sarta la stava aiutando, ma le stava anche dimostrando una grandissima fiducia, lasciandole in mano la sua merceria.
«La ringrazio, signora
».
«E di che, te lo sei meritato. Finora hai svolto un lavoro eccellente e, anche se non è molto che lavori per me, ho imparato a conoscerti. Mi sembri una ragazza responsabile e credo di poter dire lo stesso di quel giovanotto» le rispose la donna, con tono materno.
Decisamente rinfrancata, la fanciulla ora aveva bene in mente quello che avrebbe dovuto fare e, per prima cosa, chiamò i due bambini.
«Valentina, Alessio, mi fareste il solito favore?»
«Dobbiamo portare un altro biglietto a Marcello?» chiese la ragazzina.
«Sì, piccini».
«Lo consegneremo in un baleno!» esclamò il fratello.
«Un attimo che lo scrivo» disse loro la ragazza, dirigendosi verso il bancone.
Recuperò velocemente una penna e un foglio e scrisse questo messaggio per il biondo:
Carissimo Marcello,
ho trovato il modo per venire a visitare la Sistina, senza destare sospetti: la signora Sofia ha bisogno di me oltre l’orario di chiusura, anche nei giorni festivi, per svolgere alcuni lavori di sartoria. Dirò a Guido che, fino alle ferie natalizie, dovrà venirmi a prendere poco dopo la mezzanotte. Che ne pensi? Credi che potremmo tornare al negozio per quell’ora?
Aspetto tue notizie,
Beatrice
”.
Appena ebbe finito, lo piegò, e lo consegnò ai due bambini e li accompagnò in strada, stringendosi le proprie braccia contro e guardandoli, fiduciosa, mentre correvano via.

Quando il campanello del portone suonò, Marcello alzò sorpreso la testa dalla copia del contratto che avrebbero dovuto firmare durante limminente trasferta a Monaco di Baviera, scambiando un’occhiata interrogativa con Gerardo, a sua volta abbastanza meravigliato.
«
Aspetti qualcuno?» gli domandò il biondo, aggrottando la fronte.
«Io? No, credevo fosse per te. Non abbiamo appuntamenti per oggi ed il postino è già passato» gli rispose l’altro, alzandosi dalla propria postazione.
«Sarà Carter che si è inventato qualcosa per farci arrestare» scherzò Marcello, sfruttando l’attimo di pausa per stropicciarsi gli occhi affaticati.
«Che fine orribile che faremmo, se fosse così!» esclamò l’amico, uscendo in corridoio per andare ad aprire la porta. «Vado a vedere, sperando che non siano visite sgradevoli».
Il ragazzo scosse la testa, augurandosi davvero che non fosse nessuno che avesse a che fare, anche alla lontana, con Lord Edward Carter; inolte, erano settimane che si arrovellava inutilmente il cervello sperando di svelare il mistero dell’offerta.
Eppure, nonostante i suoi numerosi sforzi, Marcello ancora non era riuscito a farsi una precisa idea di come avesse fatto l’industriale a gabbarli così facilmente.
«Ciao Marcello!» lo salutarono, in coro, due voci di bambini.
Riconoscendole all’istante, il giovane girò di scatto la testa e si ritrovò, a poca distanza, due ragazzini che lo guardavano sorridenti.
«Valentina, Alessio! Come avete fatto ad entrare nel palazzo?» domandò loro, stupito.
«Il portone era aperto e abbiamo chiesto ad una signora che scendeva le scale, se poteva dirci dove eri» spiegò la bambina, dando prova di essere molto sveglia. «Avevamo fretta di vederti!»
«Allora è vero che li conosci» commentò Gerardo, lanciando un’occhiata indagatrice al suo amico.
«Sì, sono loro che mi hanno aiutato a parlare con Beatrice» gli rivelò, allora, Marcello, con un piccolo sorriso.
L’amico assunse un’espressione colpita, poi tornò ad osservare i piccoli ospiti, i quali erano rimasti fermi ed infagottati nei loro cappotti.
«Stamattina mi avevi accennato ad alcuni piccoli amici e ammetto che non avevo capito, ma ora mi è tutto decisamente più chiaro».
Marcello annuì e passò velocemente alle presentazioni, dopodiché propose: «
Bambini, che ne dite di spostarci di là, in salotto? Staremo più comodi».
«Sì, chiedo a Marilena di portarci qualche bignè alla panna, che ne pensi?» suggerì Gerardo, incontrando subito l’approvazione dei due fratelli.
«Ottima idea. Alessio, Valentina, venite con me» disse il biondo, rivolto ai due bambini, conducendoli in salotto: era una stanza rettangolare con due divani di pelle avorio, disposti uno di fronte all’altro, e un lungo tavolino di vetro in mezzo. Le pareti erano coperte da due librerie massicce, contenenti alcuni faldoni rilegati, mentre le pesanti tende erano calate, coprendo una probabile finestra; nei due angoli della parete esterna, c’erano delle piante di mangiafumo, non perché i ragazzi fumassero o permettessero ai loro clienti di farlo, ma, semplicemente, perchè rendevano latmosfera più accogliente e necessitavano di pochissima cura.
Nel complesso, il salotto era una stanza indubbiamente più accogliente dell’ufficio vero e proprio.
Marcello, dopo aver preso i loro cappotti ed averli sistemati sull’appendiabiti, sollevò, a turno, Alessio e Valentina, aiutandoli a prendere comodamente posto sul divano, troppo alto per loro; quindi, si sedette su quello di fronte e chiese: «Come mai avevate fretta di vedermi?»
«Abbiamo un altro biglietto di Beatrice per te!» esclamò la ragazzina, estraendo il foglietto ripiegato dalla tasca del maglioncino.
«
Oh, vi ringrazio. Siete stati attenti nel venire qui, vero?» domandò il giovane, avvicinandosi a loro per prenderlo.
«
Ovvio! Mi guardo sempre indietro, gli uomini in nero3 non riusciranno a prenderci facilmente!» rispose Alessio, pavoneggiandosi.
«Ah, be’» fece Marcello, riaccomodandosi, mentre guardava il biglietto, cercando di indovinare cosa c’era scritto. Beatrice doveva avere qualcosa di urgente da comunicargli, poiché, se da una parte aveva trovato un canale di comunicazione diretto con lui, al sicuro da qualsiasi intercettazione non gradita - come sarebbe potuta esserci, per esempio, da parte dei parenti di lei - dall’altra, si stava dimostrando molto parsimoniosa nell’usarlo, sicuramente per non togliere troppo tempo al gioco dei bambini e per non esporli a troppi rischi.
«Che fai, non lo leggi?
» domandò Valentina, sporgendosi un po’ dal divano ed osservandolo con curiosità.
Il ragazzo voltò la testa verso di loro e li fissò entrambi, ricordandosi di non essere solo.
«Se devi rispondere a Beatrice, lo portiamo noi il tuo biglietto. Stai tranquillo, non sbirciamo!»
Stava appunto per rispondere che era ciò che stava per fare, quando Gerardo apparve con un vassoio pieno di bignè alla panna ed una caraffa di cioccolata fumante.
«La merenda per i nostri piccoli ospiti» annunciò, poggiando il tutto sul tavolino di vetro. «Marcello, dove abbiamo le tazze ed i tovaglioli?»
«Nell’armadio del ripostiglio, la donna delle pulizie sistema tutto là dentro» rispose distrattamente l’altro, aprendo il foglio. Riconobbe immediatamente la grafia della ragazza e lesse attentamente il messaggio che gli aveva mandato: a quanto pareva, aveva trovato un modo efficiente per poter visitare insieme la Cappella Sistina.
Di certo, non si poteva dire che quella giovane fosse priva di intuito e logica.
«Bambini, in effetti anche io avrei un messaggio per Beatrice... Potreste consegnarle la mia risposta? Siccome si è fatto buio, vi accompagneremo fino ad un certo punto, però poi entrerete nel negozio da soli, va bene?» disse il biondo, pensando che, a quell’ora, Guido sarebbe stato certamente nei paraggi.
«
Va bene!» esclamarono in coro i due fratelli.
«
Perfetto» assentì Marcello e, approfittando del fatto che il suo amico aveva trovato le tazze e si era messo a servire Alessio e Valentina, si diresse nuovamente nello studio, così da recuperare un foglio, prese la penna dal taschino e compose velocemente una risposta da far recapitare alla fanciulla:
“Cara Beatrice,
penso che possa andare bene. La visita alla Cappella è alle 19,30: per mezzanotte, dovremmo essere di ritorno.
Spero tu stia bene,
Marcello
P.S. In questi giorni devo andare fuori Roma per impegni di lavoro, non credo di riuscire a vederti prima di domenica 21. Passerò a prenderti io, verso le 18,30”.
Rilesse attentamente il messaggio e, reputandolo più che soddisfacente, lo piegò in quattro. Quindi, tornò nel salotto, dove i bambini stavano facendo amicizia con Gerardo.
«
Anche tu hai una principessa, come Marcello?» domandò la ragazzina, curiosa.
Il ragazzo parve sorpreso per la domanda, fatta così a bruciapelo: «Ehm, ancora no».
«Sì che ce l’ha, solo che è troppo timido per dirle che le vuole bene» rivelò il biondo, mentre si avvicinava a loro. L’altro arrossì lievemente.
«I principi devono essere coraggiosi!» notò la bambina, scandalizzata.
«Sì! Devono prendere le loro armi e combattere contro i banditi!» le fece eco Alessio.
«Io sono un principe ranocchio» commentò Gerardo, malinconico. «Sono un po’ rammollito».
«E allora devi chiedere alla tua principessa di darti un bacio!» commentò Valentina, battendo le mani. «Solo così potrai diventare un vero principe».
Il ragazzo, se prima era leggermente avvampato, ora stava andando a fuoco. Evidentemente, doveva essere fuori dalla sua portata d’immaginazione figurarsi Vittoria che lo sbaciucchiava a dovere.
«Prima, però, devi occuparti dei furfanti» notò il ragazzino.
«Oppure dei carciofoni. Questi bambini sono più saggi di te» commentò Marcello, approvando il ragionamento di quelle due simpatiche pesti.
«Oh... non ti ci mettere anche tu!» sbuffò Gerardo, che non sapeva più come nascondere il suo rossore.
Nel vedere il suo impacciatissimo amico che veniva smascherato da due bambini delle elementari, il ragazzo rise di cuore.
«Valentina, Alessio, noi andiamo un attimo di là a prendere delle cose da portare a casa. Voi finite di mangiare con calma, così poi vi riaccompagniamo noi, intesi?» fece poi, all’indirizzo degli ospiti.
«Fa feve» rispose per entrambi Alessio, con la bocca piena.
I giovani si recarono nel loro studio per raccogliere i plichi che avrebbero dovuto portarsi dietro e spegnere le luci, così da cominciare ad organizzarsi per la chiusura serale.
In realtà, quell’oggi stavano uscendo dallo studio un po’ prima, ma la cosa non era particolarmente grave, dato che, la settimana successiva, avrebbero dovuto portare avanti un’estenuante trattativa: tanto valeva risparmiare le energie, per quanto possibile.
Marcello stava proprio pensando a questo, quando un’esclamazione di allerta di Gerardo richiamò la sua attenzione: 
«Oh, no, c’era della carta copiativa sotto a questi documenti... Ho imbrattato anche i fogli puliti!»
Il ragazzo si avvicinò all’amico, verificando come stava realmente la situazione; per fortuna, però, non erano stati rovinati fogli di grandissima importanza, né, tantomeno, contratti firmati da terzi.
«Può capitare, non è nulla di grave» lo blandì Marcello, sicuro che l’amico si sarebbe mortificato oltre il dovuto, per quella disattenzione che sarebbe potuta capitare a chiunque; infatti, lui chinò subito la testa, in evidente difficoltà.
Il biondo stava per aggiungere qualcosa, con tutta l’intenzione di risollevare il morale all’amico, quando ebbe un’improvvisa illuminazione. 
«Gerardo, sei un genio!
» esclamò, al limite dell’euforia, riflettendo sul fatto che è proprio nei momenti in cui si pensa a tutt’altro, che vengono in mente le soluzioni più brillanti ai problemi più macchinosi.
«Perché?» domandò il giovane, sorpreso.
«
Mi hai appena suggerito come ha fatto Carter a sapere quanto avessimo offerto: la soluzione è la carta copiativa! Sapevo che la spiegazione sarebbe stata tremendamente stupida!»
Gerardo lo guardò, non poco perplesso: «Marcello, ti dispiacerebbe spiegare anche a me?»
«Miller deve aver messo della carta copiativa sotto la cartellina,» cominciò a spiegare il ragazzo, «così, quando ci hai scritto sopra l’offerta, hai permesso che si trascrivesse su un foglio sottostante. Poco importava che il foglio originale fosse stato già sigillato in una busta... Loro potevano sapere esattamente l’importo scritto, semplicemente rimuovendo il cartone del fondo!»
A quella rivelazione, l’altro lo guardò sgomento.
«
Questo vuol dire che sono stati loro stessi ad informare i responsabili della Stigliano!»
«Esattamente. E quelli hanno offerto quella cifra ridicola, solo per farci capire che sapevano tutto».
«Ora, però, mi piacerebbe sapere chi c’è dietro questa Stigliano. Molto probabilmente qualcuno che conosciamo» avanzò Gerardo, forse avendo già una vaga idea di chi poteva trattarsi.
«Lo credo anche io» concordò Marcello, pensando che, purtroppo, la loro formidabile scalata aveva dato fastidio a molti concorrenti che contavano sul monopolio del settore.
Ormai, il cerchio stava per chiudersi e, quando sarebbe successo, il giovane aveva il vago presentimento che il risultato non lo avrebbe lasciato affatto stupito.








***
Per la revisione, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la (nuova) grafica del titolo è opera mia.
Ringrazio la mia Anto per aver letto e dato un parere in corso d’opera.
***

[N.d.A]
1. (La) Signorina Else: è una novella di Arthur Schnitzler, scritta nel 1924. Parla di una giovane diciannovenne che, per salvare la sua famiglia dalla bancarotta e dallo scandalo, si impegna a compiacere un ricco amico di famiglia senza morale. L’epilogo della vicenda è molto triste (Else si suicida ingerendo il valium [una benzodiazepina], piuttosto che assecondare totalmente il signor von Dorsday). Ammetto di non aver mai letto l’opera, ma ho assistito ad uno spettacolo teatrale che ne è stato tratto, apprezzando, oltre alle tematiche, anche l’uso che Schnitzler fa del monologo interiore.
2. dulzura: dolcezza, in senso vezzeggiativo, in spagnolo.
3. gli uomini in nero: Alessio nomina spesso gli uomini in nero, indicando (in maniera inconscia, essendo un bambino) malfattori senza una definizione precisa. Ricordo che, negli Anni ’80, era ancora vivo, nella popolazione della Capitale, il ricordo delle malefatte della già citata Banda della Magliana. Inoltre, in quegli anni, molti giovani sono scomparsi in circostanze misteriose. Basta citare, una per tutti, la sparizione di Emanuela Orlandi, avvenuta nel 1983. Quindi, non c’è da meravigliarsi che i bambini rielaborassero, a proprio modo, le informazioni di cronaca apprese qua e là.

***
Ed eccoci qui, sempre sugli stessi schermi, ma con una grafica un po rinnovata. Che ne dite, è meglio?
Per ora il glicine non ha un ruolo specifico nella storia, ma tutto vi sarà più chiaro più avanti.
Tornando a noi, come avete avuto modo di leggere, questo è stato un capitolo abbastanza movimentato, ma, d’altra parte, essendo l’ultimo per quest’anno, bisognava fare un po’ di fuochi d’artificio in stile Capodanno, o no? Tuttavia, le parti migliori (o peggiori, dipende dal punto di vista) devono ancora venire, me le riservo per l’anno nuovo.
A tal proposito, vi dico che il prossimo aggiornamento è previsto per il 5 Gennaio, pertanto vi auguro di passare buon Natale e buone feste in generale.
Ringrazio dal più profondo del cuore chi legge, anche silenziosamente, chi mi dedica una parte del suo tempo commentando, chi ha messo la storia in uno dei suoi elenchi, chi vorrà unirsi ai commentatori e deciderà di lasciarmi una recensione sotto l’albero.
Anche se questa è una storia semplice, spero di essere riuscita a trasmettere tutta la cura e l
attenzione che sto mettendo nello scriverla.
Come sempre, vi lascio il link al mio blog e alla pagina facebook: troverete su entrambi, nei prossimi giorni, una piccola anticipazione del capitolo ottavo.
Ancora tanti auguri!
Halley S. C.
  
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Halley Silver Comet