Una chiamata da Josh,
e il mondo mi crolla praticamente addosso.
“Ha avuto un
incidente, non so come sia potuto succedere.” dice con la
voce tremolante.
No.
Non è
possibile, non adesso.
Sono senza parole, e
non riesco a respirare.
“E’
al Vancouver General Ospital, io sto andando. Dì a Ginny che
ovviamente Ollie è con me.”
Non riesco a dire
nulla.
Sbatto il cellulare
sul tavolo.
Ginny mi osserva
“J sei sicura di star bene?” mi chiede visibilmente
preoccupata.
“Ha…
- ha avuto un incidente.”
Lana si alza
irruentemente dalla sedia e s’inginocchia di fronte a me.
“Chi? Chi
avuto un incidente? Jennifer parlami. Josh? E’
Josh?”
“No”
riesco solo a dire.
Mi alzo dalla sedia,
le ginocchia stanno per cedermi.
Sto male, ho voglia di
piangere, urlare, prendere qualcosa, qualsiasi cosa e spaccarla. Ma non
posso, devo essere forte e devo stare con lui.
Mi avvio verso la mia
stanza, mi vesto con le prime cose che trovo. E prendo una sua maglia
che ha lasciato il giorno del nostro appuntamento. Ha il suo profumo.
Torno in cucina e
trovo Lana, Ginny e Emilie che mi guardano senza capire cosa io stia
facendo.
“Devo andare
al VC General Hospital” dico, con una voce apatica. Senza far
trasparire alcuna emozione, perché so che se lo facessi
piangerei, solo questo.
“Jen, cosa
è successo?” mi rimprovera Emilie alzando un
po’ il tono di voce.
“Non ce la
faccio a parlare, adesso. Portatemi lì e basta.”
Durante il tragitto,
in macchina c’è un silenzio assordante.
L’attesa mi sta uccidendo. Tengo stretta a me la sua
maglietta, solo per sentirne l’odore. Il suo. Devo sapere
come sta, devo vederlo.
“Colin”
dico, senza aggiungere altro, mentre stiamo per arrivare
all’ospedale.
“Cosa
Jen?” mi chiede Emilie.
“E’
Colin, ad aver avuto l’incidente” rispondo.
Nessuno dice nulla.
Lana mi poggia una
mano sulla spalla, per confortarmi.
Emilie guidando non
può fare nulla, ma so che mi è vicino con il
cuore.
Ginny mi prende la
mano, e me la stringe. Quasi per farmi forza.
Arrivata mi fiondo
subito alla reception per sapere qualcosa, qualsiasi cosa, mentre le
ragazze mi aspettano più in lontananza.
“Salve, uhm,
sono Jennifer Morrison, avete ricoverato il mio….avete
ricoverato un uomo sulla trentina per un incidente stradale.
O’Donoghue. Vorrei sapere se sta bene.” dico
velocemente, quasi mangiandomi le parole.
Ho l’ansia.
Tanta ansia.
“Lei
è la fidanzata?” mi chiede l’infermiera.
Diavolo no, non lo
sono. Ma ho bisogno di vederlo. Perché diamine esige questa
regola secondo cui possano entrare solo i familiari?
“No…ma,
la sua famiglia abita in Irlanda. E l’unica famiglia che ha
qui sono i-siamo noi.”
“Capisco. Si
accomodi nella sala d’attesa, appena sapremo qualcosa la
chiamerò.”
“Sì,
ma…voglio sapere se sta bene. Sta bene vero? Si
riprenderà?” chiedo con voce tremolante. Ricaccio
dentro le lacrime che so che tra poco cominceranno a scendere a fiumi.
“Non lo so,
signorina.”
Afflitta, mi entro
nella sala d’aspetto intenta a sedermi, e trovo Josh con in
braccio il piccolo Ollie. Per un attimo ci guardiamo senza dire nulla,
poi trovo il coraggio di parlare.
“Sai nulla?
Ti hanno detto qualcosa?”
Ginny intanto entra di
corsa ad abbracciare Josh, visibilmente preoccupato.
“Non so
molto. Un attimo prima stavamo parlando al cellulare e un attimo dopo
ho saputo dell’incidente. Mi hanno solo detto che ha battuto
la testa, e si è fatto male alla gamba.”
“La solita,
vero?” chiedo accennando un sorriso.
“La solita.
Sarà la seconda volta” mi risponde Josh accennando
quasi un sorrido.
“La
terza” puntualizzo.
Non voglio che mi
scappino le lacrime che ormai trattengo da più di
un’ora.
Mi siedo in una delle
piccole e scomode sedie della sala d’aspetto e le mie amiche
si siedono accanto a me per darmi un minimo di conforto, senza dire
nulla. Conforto che non avrò mai se non saprò che
diavolo gli è successo.
Dopo un’ora
e mezza, un medico sulla cinquantina – che non mi
è sembrato proprio un medico (sarò impazzita)
– mi chiama.
Sembra sollevato.
Quindi la mia ansia inizia a scemare.
“Signorina
Morrison, stiamo facendo un’eccezione a parlarne con qualcuno
che non è un familiare. Deve sapere solamente che il signor.
O’Donoghue sta bene. Dovrà tenere il gesso per 15
giorni, poiché è solo una frattura lieve, anche
se abbiamo visto che la sua gamba ha subito già varie
fratture.”
“Sì,
ehm, è caduto durante una scena sul set.”
“Capisco. La
gamba è da tenere sotto controllo. Così come la
testa, pare l’abbia sbattuta molto forte.” dice con
tono comprensivo.
“Posso
vederlo? La prego.”
“La stanza
è la 516. Sta dormendo, ma per me va bene.
Solo…non lo faccia alzare o sforzare.”
Senza dare alcuna
risposta al medico corro verso la sua stanza. Me ne frego di tutto e
tutti, dimentico anche di avvisarli. Ho solo bisogno di stringerlo a
me.
Entro con furia nella
stanza e lo trovo disteso, che dorme - e russa. E tutta la mia ansia, e
le mie proccupazioni scompaiono, per dare spazio a un sollievo mai
sentito.
Mi avvicino con
cautela, attenta a non fare rumore. Non vorrei svegliarlo.
Tesoro mio.
E’ bello
anche con la testa fasciata e dei graffi sul viso.
Gli accarezzo
dolcemente la guancia e mi chino su di lui lasciandogli un bacio casto
in fronte.
Bacio che
avrà sentito, dato che accenna un sorriso e mugola.
“Mmmhhh”
Ecco, lo sapevo.
Menomale che dovevo lasciarlo riposare.
Non apre gli occhi.
Non so se sia un buon
segno o no.
Mi siedo sulla
poltrona accanto al suo letto e lo guardo. Traccio il profilo perfetto
del suo viso, ha le gote rosse, la barba incolta, e un piccolo graffio
sulla punta del naso.
Passo più
di un’ora, lì, in silenzio.
L’unica cosa
che sento è il suo respiro. Ogni 15 minuti prendo la sua
mano e tasto il polso per sentire i battiti.
Quella sensazione di
sollievo che prima mi aveva pervaso adesso si è trasformata
in preoccupazione.
Perché
diamine non si sveglia?
Josh e Ginny sono
passati per chiedermi se mi andava di mangiare qualcosa. Oppure se mi
andava di tornare a casa, o andare a casa di Colin per prendergli dei
vestiti di ricambio.
Ma non ho voglia di
mangiare. Ne’ tantomeno di andare a casa mia come se nulla
fosse successo. E figuriamoci di andare a casa di Colin, con il suo
profumo e le sue cose.
Non quando sono
emotivamente instabile come adesso.
Ho dato loro la chiave
di casa mia per portarmi qualcosa di ricambio.
E ho chiesto alle
infermiere una coperta per poter restare a dormire. Non me ne vado fin
quando non si sveglia – probabilmente non me ne
andrò neanche dopo.
Un’ora, due,
tre.
Le 3.30 e non si
sveglia.
Non riesco a dormire.
4.30.
Ancora nulla.
In un momento di
debolezza ripenso al momento in cui in incontrai i suoi occhi per la
prima volta.
Il momento in cui mi
mancò il respiro per la prima volta.
Il momento in cui
capì che qualcosa nella mia vita stava per cambiare, che la
monotonia stava andando via, facendo spazio ad una spensieratezza
portata solo da questo irlandese, che ha stravolto tutti miei piani.
E che mi ha fatto
sentire….viva.
Luglio
2011.
Cammino
in giro per set, cercando di combinare qualcosa. Sono i primi giorni di
registrazione delle puntate della seconda stagione.
Abbiamo
tempo di girovagare a vuoto solo perché Adam e Eddy stanno
ancora organizzando un po’ di cose.
Intenta
a scrivere un messaggio sbatto contro qualcuno, e avendo i tacchi perdo
l’equilibrio, Sento di stare per cadere e istintivamente
chiudo gli occhi quasi per attutire meglio la caduta.
Ma
– ormai pronta a farmi male un piede - sento due mani forti
sui miei fianchi.
Apro
gli occhi incredula, e mi ritrovo di fronte un ragazzo, sulla 30ina,
che mi guarda divertito, con gli occhi spalancati.
Dio,
quegli occhi.
Mi
mordo il labbro.
“Stai
bene?” mi chiede tenendomi ancora per i fianchi. Io? Bene?
Con te che mi guardi così? Non lo so.
Ehi,
no. Fermi tutti. Io sto con Sebastian. Io amo Sebastian. Non posso
perdermi in due occhi azzurri di un uomo sconosciuto.
“Io..ehm..sì,
sto benissimo. Scusa, anzi. Sono parecchio maldestra.” dico,
imbarazzata.
“T-tranquilla.”
Mi dice, staccando impacciato le mani dai miei fianchi “Io
sono Colin, piacere.” Mi dice tendendo la mano verso di me e
sorridendomi.
Colin.
Mh. Bel nome.
Jennifer
smettila e concentrati.
“Io
sono Jennifer, piacere mio.” dico, porgendogli la mano in
segno di saluto.
“Ehm,
dovrei parlare con Adam e Eddy, è il mio primo giorno oggi,
cioè…no non è il mio primo giorno ma
dovrei discutere con loro sulla storyline del mio
personaggio” dice prontamente.
“Sì,
sono qui in giro, magari ti aiuto a cercarli, tanto non ho nulla da
fare” gli dico sorridendo.
Passiamo
del tempo a parlare del più e del meno.
E
io passo il tempo a perdermi nei suoi occhi azzurri quasi quanto il
mare, che quando sono posati su di me, riescono a farmi sentire diversa.
Mentre sono
concentrata a pensare al nostro primo incontro, lo vedo muoversi sul
letto.
Finalmente.
Gira la testa verso di
me, apre gli occhi lentamente, prima uno, e poi l’altro e mi
guarda.
D’istinto mi
alzo dalla poltrona lasciando cadere a terra la coperta, la sua
maglietta che tenevo vicino a me ed il cellulare e lo abbraccio, lo
stringo a me, respiro il suo profumo.
“Ooh, stai
bene. Grazie al cielo.” dico con voce strozzata.
Lo bacio sulla guancia
per poi lasciargli piccoli baci sul collo.
“Dolcezza,
questi baci mi fanno impazzire… ma mi fai male, mi stai
strozzando.”
Ecco, io come al
solito esagero. Brava Jen. Fagli ancora più male.
“Oddio,
scusa..io..” dico, allontanandomi da lui per la paura di
fargli ancora più male.
“Scherzavo.
Più o meno.”
Accenno un sorriso, mi
siedo sulla poltrona accanto al suo letto, e avvicino il mio viso al
suo.
Continuo a perdermi in
quegli occhi, più azzurri del solito, più vivi.
“Non
fissarmi così, è inquietante.”
“Invece ti
fisso eccome. Ho rischiato di perderti. Guardarti è il
minimo che io possa fare.” Dico, mentre lui sorride
soddisfatto come un bambino che ha trovato il suo giocattolo preferito
sotto l’albero, il giorno di Natale.
“Come stai?
Eh?” gli chiedo.
“Io...bene...più
o meno. Oh, guarda mi sono rotto di nuovo la gamba.” dice
ironicamente.
“L’avevo
notato.” accenno un sorriso, perché mi fa
tenerezza “dormi, sarai stanco” continuo.
“Tu..piuttosto,
sono le…” si ferma per controllare il cellulare
“…5 del mattino, che diavolo ci fai qui?”
“Mi sono
accucciata sulla poltrona e ho aspettato che ti svegliassi.”
“C-cosa?”
mi chiede quasi stupito.
Non ha ancora capito
che, nonostante io lo respinga in quel senso, per lui provo qualcosa di
forte; e che di certo non l’avrei lasciato da solo qui.
Come potrei lasciarti
da solo?
Davvero credi che io
ne sia capace? Credi che non voglia amarti? Credi che non vorrei starti
vicino giorno e notte?
“Sono
rimasta qui. Non c’è nient’altro da
dire”
Mi guarda ancora,
quasi con compassione, poi fa per alzarsi.
Maledetto irlandese,
se s’ammazza è colpa mia.
“Stai fermo
lì o giuro che ti spezzo l’altra gamba”
Credo di parlare
un’altra lingua non comprensibile a lui dato che si mette
seduto e continua a guardarmi senza dire nulla, senza alcuna
espressione maliziosa sul viso.
Mi guarda, e basta. Mi
manca il respiro.
Semplicemente
perché non vorrei mi guardasse quasi trapassandomi con lo
sguardo.
“Jen..”
“Non dire
nulla, per favore.”
Sospira sconfitto e
prova a stendersi di nuovo sul letto.
Gli cingo le spalle
per aiutarlo a stendersi con cautela, data la fasciatura in testa.
Peccato che i nostri volti si ritrovano vicini. Fin troppo.
Con un dito mi
accarezza la guancia, per scendere sulle labbra e tracciarne il
contorno.
Non provo neanche a
ribellarmi, sarebbe stupido farlo.
“Jennifer..”
Troppo vicino, sento
il suo fiato sulle mie labbra.
E senza pensarci due
volte mi avvento sulle sue, con foga.
Sono così
morbide.
E’ come se
non lo baciassi da un’eternità. Ma ne avevo un
incessante bisogno.
Non provo ad
approfondire il bacio. Lo faccio sia per me che per lui.
Mi sollevo
barcollante, incredula, forse scossa, ma soddisfatta di quello che
è appena successo.
“Vado a
prendermi un caffè. Ne ho decisamente bisogno.”
Lui prova a parlare,
ma non faccio in tempo a farlo finire, che sono già fuori
dalla stanza.
Ho bisogno di prendere
aria.
Non dovevo farlo.
Proprio no.
Io. Lui. No.
Vado al bar
dell’ospedale sperando che almeno una tazza di
caffè possa svegliarmi e nel contempo rinfrescarmi le idee.
Ripensare a come
affronteremo tutto questo casino.
Non
l’incidente, ma proprio il casino che
c’è tra me e lui, questo sentimento che non se ne
vuole andare.
Un sentimento che
invece di scemare, diventa più forte di giorno in giorno.
E insieme a quel
sentimento cresce la paura.
La paura di stare male.
Non di avere il cuore
spezzato. Ma lacerato, consumato, devastato.
Perché
è come se lui mi fosse entrato dentro, e questa cosa mi
inquieta.
Ritorno alla
realtà un po’ frastornata dai troppi pensieri,
torno nella sua stanza. Trovo i dottori che lo visitano.
Una specializzanda
bionda mi chiede di uscire, ma lui protesta.
“Non fa
nulla. La voglio con me. Anche perché qualsiasi cosa mi
diciate non riuscirò a ricordarla, quindi ho bisogno di lei
comunque” dice, girandosi verso di me e sorridendomi
innocentemente.
Ricambio il sorriso e
mi accingo a sedermi di nuovo sulla poltroncina accanto a lui.
Appena dopo aver
finito di visitarlo, una specializzanda – l’altra,
quella bruna – inizia a dirmi cosa fare dopo averlo riportato
a casa.
“Signorina,
terremo il suo fidanzato per un’altra notte, per accettarci
che non abbia lesioni interne o quant’altro. Domani mattina
potrà riportarlo a casa. Come le avranno detto
dovrà tenere il gesso per almeno 15 giorni, e
dovrà stare a riposo per almeno 25 giorni. Quindi niente
lavoro, mi dispiace. Può uscire, se si sentirà
abbastanza forte da farlo. Ma in quanto al lavoro, è in base
alle ore. Quante sarebbero?”
“14”
le rispondo repentinamente.
La ragazza mi guarda
atterrita, quasi. Eppure, il dottori dovrebbero fare almeno 17 ore al
giorno, o almeno così ho imparato dal set di House.
“Quindi 15
giorni con il gesso, niente sforzi. E riguardo alla testa, potrebbe
avere le vertigini per qualche giorno, quindi sarebbe meglio
aiutarlo.” continua il medico.
Andati via i medici,
ci guardiamo per un po’.
Non dicendo nulla, ma
dicendoci tutto solo con due sguardi.
“Fidanzato”
dice solo questo.
Non dico nulla per
controbattere e guardo altrove; perché per adesso,
incontrare il suo sguardo sarebbe troppo devastante.
Mi torturo le mani per
la troppa tensione.
Ho bisogno di
respirare, di urlare.
“Non puoi
rimanere da solo a casa tua.” sbotto dal nulla.
Mi guarda non sapendo
cosa dire.
Dopo un po’
però prende la parola.
“Cosa dovrei
fare quindi? Chiamare Helen?”
“Io..non lo
so. Cioè sì. A parte quello. Sai che io ci sono,
posso aiutarti, per qualsiasi cosa chiama e -”
“Lo
so.” risponde “dammi la mano”
“Eh?
Perché? Devo avere paura?” chiedo trattenendo a
malapena una risata.
“Sta’
zitta e dammi la mano” mi risponde.
Riluttante avvicino la
mia mano al suo letto, e lui la prende. Ne accarezza il palmo, poi i
polpastrelli, e infine il dorso e le nocche, su cui lascia un bacio
casto. Senza alcuna apparente motivazione.
“Perché?”
gli chiedo.
“Perché
cosa?”
“Perché
stai facendo questo.”
“Perché
mi piacciono le tue mani. Generalmente su di me, ma mi piacciono di per
sé.”
“Idiota”
rispondo, e ritiro la mano.
“Scherzavo.
Volevo solo essere un gentiluomo…e volevo
ringraziarti.”
“Per cosa
precisamente?”
“Per essere
qui, con me.”
“Se non ci
fossi io, ci sarebbe tua moglie. Quella che a quanto pare non hai la
forza di chiamare.”
Dopo altri minuti di
assordante silenzio, decide di raccontarmi quello che sta succedendo.
Quello che succede da
prima che lui si avvicinasse a me a San Diego.
A quanto pare Helen ha
visto le foto che ci hanno scattato sul set della prima puntata. E non
ne è stata molto contenta, insomma, non le do torto.
Riguardando quelle foto, capisco perché siamo arrivati fin
qui.
Capisco che questo
sentimento non è nato adesso, ma si è prolungato
e sviluppato nel tempo.
Ed è saldo.
Dentro di me e dentro
di lui.
Talmente saldo che, a
quanto pare, alla risposta della moglie ‘tieni Jennifer
lontana’ lui se ne sarebbe fregato. Anzi, pare si sia
avvicinato ancora di più a me.
L’unica
domanda che mi pongo è se lui si sia avvinato a me per
ripicca o per un sentimento vero e proprio.
Ma questa è
una domanda che gli porrò quando sarà un minimo
più lucido.
Martedì 17
agosto.
Durante questi giorni,
tutti i ragazzi del cast sono passati a trovarlo.
Ho dovuto supplicarlo
per non alzarsi dal letto. E’ un tale testardo.
Passati i controlli di
routine necessari per la dimissione, adesso dovrei aiutarlo a preparare
le sue cose per tornare a casa.
In due giorni
l’ho aiutato a vestirsi, lavarsi – almeno il viso,
dato che ha deciso di fare la doccia a casa sua perché
‘le docce degli ospedali sono scomode’
Ha battuto forte la
testa, si vede.
E’
buffissimo vederlo camminare con le stampelle. Non per le stampelle in
sé, ma perché non riesce per nulla, e deve sempre
aggrapparsi a me.
E diciamo che mi sento
parecchio importante. Mi sento un sostegno, qualcosa a cui aggrapparsi
nei momenti di difficoltà, letteralmente.
Durante il tragitto
tra l’ospedale e casa sua, non proferisce parola.
Nulla di nulla.
Si limita a guardare
la strada e a sospirare. Non ha ancora chiesto nulla in proposito alla
macchina.
Arrivati quasi davanti
a casa mia decide, stranamente, di dire qualcosa.
“Jen, so che
non puoi stare da me perché hai Ava, e perché
trasferire il tuo armadio sarebbe un’impresa degna di un
esperto nel settore…” dice, e nel frattempo rido
“quindi pensavo…se non disturbo..potri venire da
te per qualche giorno? Il tempo di riprendermi, poi non ti
disturberò più.”
“Puoi
rimanere per tutti i 25 giorni. Non mi faccio problemi.
L’importante è che durante la notte non mi dai
calci con quel gesso.” dico, tutto d’un fiato.
Sorride soddisfatto
senza rispondere alla mia provocazione.
Arrivati a casa mia,
lo aiuto a scendere di nuovo dalla macchina, ed attraversare il
vialetto.
Per fortuna
nell’androne c’è un ascensore o non
saprei come farlo salire.
Entrati in casa, ava
ci accoglie saltellando ed esultando.
Lui come un bambino le
va incontro.
“Ciao
piccolina, ma da quanto non ti vedo? Eh?” dice, provando ad
abbassarsi, ma ovviamente non ce la fa, e ci rimane male.
Mi fa tenerezza.
Lo avvicino al divano
e gli impongo di sedersi, prima che io ci rimetta davvero la schiena.
“Vuoi
qualcosa da mangiare?”
“Non ho
molta…fame” risponde con un sorriso sghembo.
Dio quanto
è odioso quando fa così.
“Ti hanno
dato la protezione per quel gesso in modo che tu possa lavarti quindi
alzati e vai a farti una doccia, prima che ti prenda a calci in
culo.”
“Non riesco
a stare in piedi da solo” dice, con torno un po’
esasperato.
“Oohh, e va
bene, ma toccami e giuro che ti spezzo un mano.”
Non lo
farò, non gliela spezzerò, anzi.
Dio Jen, ma che vai a
pensare.
Entrati in bagno lo
aiuto a spogliarsi con cautela, avendo paura di fargli male.
Mi spoglio
anch’io, imponendogli di voltarsi, anche se mi ha
già vista nuda più volte, e mi vedrà
nuda di nuovo.
Entrati nella doccia,
mi avvicino a lui senza guardarlo o sfiorarlo. Ma so che non ce la fa a
lavarsi da solo o a stare in piedi, è troppo debole.
“Girati!”
gli dico.
“Cos’è,
stiamo ribaltando i ruoli?”
Non posso fare a meno
di ridere nonostante sia una battuta squallida.
Rido perché
è vivo, ed è vicino a me, sano e
salvo….e nudo.
Prendo il bagnoschiuma
e dopo averne versato un po’ sulla mia spugna – che
a quanto pare adesso è diventata anche sua –
inizio a strofinargli piano la schiena.
“Attenta, le
spalle mi fanno un po’ male.”
“Mi
dispiace, non volevo.”
“Lo
so.” mi dice in tono rassicurante.
Adesso però
capisco che è lui a dover essere rassicurato.
Perché
nonostante le battute, gli sguardi maliziosi, lo vedo buttato
giù.
Quindi lo abbraccio,
forte, per rassicurarlo. Per fargli capire che ci sono per lui, sempre.
Nonostante tutto.
Lo stringo a me, e mi
alzo sulle punte per baciargli la nuca.
Sento il battito del
suo cuore accelerare notevolmente, ma non voglio dire nulla che possa
destabilizzare l’equilibrio che si è creato tra
noi in questo istante.
Voglio buttare via
tutte quelle lacrime che ho trattenuto per tre giorni consecutivi,
voglio stargli vicino, e piangere. Perché avrei potuto
perderlo, e questo avrebbe potuto distruggermi. Ma lui è
qui, di fronte a me, e anche se ridotto male, è vivo e
vegeto.
“Jen..”
“Sta’
zitto. Non rovinare questo momento.”
NOTE
AUTRICE.
Salve
amici. Dopo tanto tempo sono riuscita ad aggiornare! E' stato peggio di
un parto. Mamma mia. çç
Scusate
tantissimo per il ritardo, davvero, ma tra la scuola e i problemi in
famiglia non avevo possibilità di concentrarmi e scrivere un
capitolo decente.
Anche
questo capitolo non mi piace pienamente, forse perché fatto
un po' di fretta. Non so. Credo di aver risolto la cosa un po' troppo
frettolosamente. Mh.
Ma
sta a voi giudicare. Quindi lasciatemi una recensione per farmi sapere
cosa ne pensate. :)
Sto
postando alle 00.10 del 24/12/14, quindi BUONE FESTE A TUTTI! **
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