Il servizio
fotografico
Per essere novembre, il tempo non era affatto male, così
Susan aveva deciso di portare Grace e Mae a fare una passeggiata. Duff era
rimasto a casa con Buckley e le sue occhiatine indiscrete. Non aveva mai amato
i cani di piccola taglia e quel coso sembrava fissarlo tutto il tempo, come se
si aspettasse qualcosa. Ogni tanto lo accarezzava, ma in quel momento non aveva
tempo né voglia, preso com’era dal postino maledetto che aveva portato come al
solito cattive notizie.
Nello specifico, era arrivato un pacco per sua moglie da
New York e lui, curioso come un gatto, non aveva saputo resistere e lo aveva
aperto: Susan si stagliava in tutta la sua infinita e svestita bellezza su uno
sfondo color salmone. Le sue tette grandi catalizzavano decisamente
l’attenzione.
Inutile specificare che la cosa non gli piaceva, non gli
piaceva affatto.
«Duff» lo chiamò proprio Susan, tornando a casa in quel
momento. «Che ci fai lì seduto sul pavimento?»
Duff alzò lo sguardo truce sulla moglie, passando in
rassegna le lunghe gambe fasciate in un paio di collant che in quel momento gli
sembravano fin troppo trasparenti.
«Non dovresti stare più coperta tu? È novembre, e non siamo
a Los Angeles!» berciò offeso, mentre da lontano gli giungeva la voce delle sue
figlie che parlavano con Buckley.
«Ma si può sapere che ti prende?» sbuffò Susan, cominciando
a perdere la pazienza.
«Queste!» si lamentò a gran voce, sventolando i provini del
servizio fotografico all’altezza dell’ombelico di sua moglie. Per quanto avesse
le braccia lunghe, era sempre seduto per terra e Susan aveva fatto colpo su di
lui anche grazie all’altezza.
«Oh, è arrivato il mio pacco?» s’interessò lei, per poi
farsi truce in un battito di ciglia. «Perché ti fai i fatti miei, McKagan? Hai
paura che abbia un altro?»
«Non voglio che i fotografi ti guardino le tette!»
«Ma se mi sfoggi sui red carpet come se fossi un
gioiellino» gli rinfacciò acida, tralasciando il fatto che il lavoro di una
modella fosse proprio quello di essere sfoggiata come un gioiellino.
«Perché lo sei!» s’infervorò, arrossendo poi come un
adolescente sotto lo sguardo tagliente della bionda, e continuò in un
borbottio. «Però sei il mio, mica di tutti.»
«Il fotografo era una donna» gli rispose freddamente,
voltandogli le spalle per nascondere un sorriso compiaciuto: aveva sposato un
idiota, ma era un idiota adorabile.
«Non mi interessa!»
Duff incrociò le braccia, mentre Buckley tornava in cucina
e abbaiava in un apparente sostegno morale. Il biondo annuì con soddisfazione,
salvo inarcare un sopracciglio quando il batuffolo peloso si mise ad annusare
una delle foto sparse sul pavimento.
«Anche tu, maledetto coso!» esclamò infuriato, mentre Susan
sospirava e scuoteva il capo con infinita pazienza. «Smettila di guardare le
tette di mia moglie!»
Buckley fuggì in salotto e a Duff giunse solo l’eco delle
lamentele di Grace e Mae, che non capivano perché il loro papà si lamentasse
sempre.
Da quel che aveva capito, non l’aveva combinata giusta
nemmeno quella volta.