L’amanuense
Occhiali sul naso – storto – e penna alla mano, Duff stava
scartabellando come al solito per i suoi esami dell’università. Aveva scoperto
quanto gli piacesse studiare e le sue figlie spesso lo guardavano terrorizzate
dall’idea che un giorno potesse capitare anche a loro di trovarsi imprigionate
sui libri. Grace era fortunata, perché alle elementari i compiti duravano fin
troppo poco per una bambina intelligente come lei, ma Mae aveva quel disgusto
negli occhi che ricordava a Duff quello di sua moglie quando lo beccava a fare
certi errori di punteggiatura.
«Susan?» chiamò a tal proposito, mordicchiando il tappo
della biro con fare pensieroso.
«Dimmi, tesoro.»
Fantastico, lo aveva
chiamato “tesoro”. Dedusse che il suo buonumore l’avrebbe portata a essere più
gentile nei confronti dell’ultimo saggio che stava tentando – non senza
difficoltà lessicali – di scrivere, e che non lo avrebbe preso a pugni a ogni
minima svista.
Dopotutto, aveva piantato la scuola abbastanza presto da
avere il diritto di essere ignorante. E per scrivere canzoni non serviva una
laurea: lui sapeva leggere la propria lingua.
«Mi aiuteresti con questa fr…?»
«Michael» ruggì sua moglie con disgusto, puntando il
foglio con un dito.
«Ma che cosa ho fatto?» si lagnò in risposta, infossando il
capo nelle spalle e mettendo il broncio.
«Fammi il piacere, McKagan, di ricordarmi che non ho
sposato una gallina» sbraitò Susan.
Gli sfilò gli occhiali dal naso, indossandoli, e fece una
smorfia a causa dell’effetto delle lenti. Sembrava volesse assicurarsi che
funzionassero. Li guardò come se potessero capirla, e non era difficile leggere
la sua espressione in quel momento: diceva “perché diavolo non fate vedere a
mio marito che scrive con i piedi?”
«Al massimo sono un gallo» replicò sornione, beccandosi uno
scappellotto.
«Io non lo leggo questo affare» chiarì la bionda, girando
sui tacchi per tornare da dove era venuta. «Non ho nessuna intenzione di
imparare la tua nuova frontiera del geroglifico.»
Lo lasciò lì, bofonchiando qualcosa a proposito di galli e
di tacchini, o forse ancora di capponi. Duff sperò di aver capito male, anche
perché se fosse stato un cappone avrebbe dovuto cominciare a chiedersi da dove
venissero le sue figlie – che apparvero in soggiorno proprio in quel momento.
«Che c’è da urlare, papà?» chiese Mae ingenuamente,
mostrando se stessa e il baffo di pennarello viola che le sfregiava la guancia
paffuta. Dietro di lei, Grace aveva un’espressione un po’ scocciata, che
ricordava a Duff la stessa di Susan pochi istanti prima.
«La mamma non è contenta dei miei compiti» spiegò con fare
imbarazzato, grattandosi la nuca mentre la figlia minore gli si avvicinava.
Prese il foglio su cui stava scrivendo il saggio e se lo
rigirò tra le mani, tentando di capirci qualcosa con i suoi rudimenti
dell’inglese: da qualche giorno aveva insistito affinché Grace le insegnasse a
leggere e scrivere prima della scuola.
«Anch’io sto diventando brava, papà!» disse entusiasta, per
poi voltarsi verso la maggiore che aveva già il sopracciglio inarcato, sputata
a Susan. «Hai visto, Grace? Anche papà vuole imparare a scrivere!»