4. Pressure Point
Se
dovessi seguire soltanto la mia impazienza, leggerei, anzi no,
divorerei il messaggio con così tanta foga che poi dovrei
rileggerlo per comprenderne davvero il senso. Quindi mi distraggo
fissando lo sguardo sulla prima parola, un semplice
“Hi”. Il guaio della parola scritta, semplicemente
scritta e non descritta, è che non facilmente le si
può attribuire il tono più adatto. Dietro a quel
saluto potrebbe esserci una punta di entusiasmo, solo
cordialità, un pizzico di distaccata educazione o
un’educata dichiarazione di guerra. Potrebbe esserci
qualunque cosa e non scoprirò cosa esattamente se non mi
deciderò a leggerne il seguito. Non so cosa mi prenda a
volte, se sia quel sesto senso di cui tanti parlano, quella specie di
presentimento, oppure soltanto la mia fervida fantasia, ma sta di fatto
che in certe situazioni mi capita di avvertire qualcosa di diverso.
Ricevo tonnellate… beh no, non tonnellate, ma decine
sì, quindi ricevo decine di messaggi e perché
proprio oggi e proprio con questo qui io stia provando questa strana
sensazione resta un mistero. Non mi piace tanto avere a che fare con
cose su cui ragionare è praticamente inutile,
perciò tutto ciò che devo fare adesso
è evitare di fissarmi su questa cosa e andare avanti nella
lettura come ho fatto fino a poco fa e come continuerò a
fare dopo.
Mi stiracchio per bene e inizio a leggere. Dai termini che utilizza,
termini che sembrano essere stati scelti con cura forse per farmi una
buona impressione, – un’accuratezza che io
personalmente riserverei ad uno scritto destinato a qualcuno che
ritengo importante, sia esso un personaggio di rilievo o anche il mio
migliore amico o una persona che mi piace – credo che sia un
inglese. O comunque suppongo che l’inglese e non
l’americano sia la lingua che usa per dialogare con me.
C’è una certa raffinatezza nel testo,
completamente privo di neologismi e di quel tanto detestato slang
approdato anche nella mia terra d’origine e applicato di
conseguenza alla mia lingua madre. Parla al maschile, il che conferma
le mie ipotesi formulate sulla base del nickname, e non mi
dà l’idea di essere un ragazzino sotto i
vent’anni d’età. Il saluto
all’incipit si è rivelato decisamente cordiale:
sebbene il testo sia completamente privo di emoticon riesco a intuirne
il tono. È una persona avvezza alla scrittura e quasi
sicuramente anche alla lettura. Di certo ha letto più di una
volta il Canone visto come commenta e conferma le mie deduzioni che
sembra lo abbiano colpito molto, così dice. Mi sento un
po’ in imbarazzo. Non è la prima volta che mi
imbatto in lettori che scrivono bene e conoscono altrettanto bene le
storie scritte da Conan Doyle, ma il modo di fare di questo ragazzo o
uomo che sia ha un che di pericolosamente affascinante. È
uno che sa vendersi e vuole conquistare la mia simpatia, forse la mia
fiducia. Dopo aver manifestato una certa cordialità si
esibisce in una prima dose di complimenti al mio
“lavoro”; poi mette in mostra le sue conoscenze in
merito agli argomenti di discussione, senza scostarsi dalle mie
deduzioni ma confermandole ulteriormente apportando dettagli che avevo
tralasciato nei miei articoli dandoli di fatto per scontati; e infine
ecco la seconda pillola di complimenti, mai esagerati, per nulla
sdolcinati, semplicemente sinceri ma non privi di un certo trasporto.
Non mi stupirei se nella prossima conversazione mi rivelasse di essere
uno scrittore. Sì, perché ci sarà
sicuramente un prosieguo visto che è lui ad augurarselo con
una certa faccia tosta che lo rende ancora più intrigante.
Uno dei miei punti deboli, il mio punto critico come lo chiamerebbe
Charles Augustus Magnussen, è il coinvolgimento emotivo che
le parole, se inanellate ad arte una dietro l’altra, sanno
scatenare in me. Perdo la testa per una persona che sa usare le parole.
Decido di rileggere il messaggio prima di rispondere: mi piace dare la
giusta rilevanza a ciò che mi viene detto. Ho
così modo di notare che non è nuovo nel mio blog
– oppure se lo è deve esserselo spulciato per bene
– perché ha tirato in ballo una cosa che ho
scritto più di un mese fa, ne sono abbastanza
sicura… Ma tanto per averne la certezza, vado a controllare.
Siccome ho paura che per un bug o chissà quale altra
disgrazia tutto il blog salti, tengo tutti gli articoli in un file
apposito sul pc. In questo modo è semplice risalire
all’argomento che mi serve. Apro il file, clicco su Cerca,
inserisco un paio di parole chiave e… Bingo! Eccolo qui,
davanti ai miei occhi, con data e tutto. L’ho scritto e
pubblicato un mese e una settimana fa, giorno più, giorno
meno.
Resto per qualche minuto a fissare lo schermo prima di iniziare a
rispondere al messaggio. Mantengo un tono gentile ma non troppo
espansivo. Ringrazio ed esprimo la mia contentezza
nell’interagire con lettori che non si limitano alle versioni
televisive ma approfondiscono direttamente alla fonte. Poi concludo.
“Scrivimi pure quando vuoi, è piacevole leggerti.
Un abbraccio”.
Il fatto che non si sia firmato nel messaggio, come molti altri lettori
invece fanno, non fa che incuriosirmi. Perciò è
meglio che mi dedichi agli altri messaggi in sospeso e poi volga
l’attenzione altrove, magari alla dispensa…
Qualcosa mi dice che mi toccherà uscire di nuovo per fare la
spesa.
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