Natale
Cinque meno Una
Sono mesi che
Mycroft condivide la propria abitazione con sua sorella.
L'essere estremamente silenziosa e riservata di lei la rende una
coinquilina perfetta per lui.
Ciò non significa, comunque, che sia una ragazza tranquilla.
Mycroft l'aveva vista uscire di casa in piena notte per rientrare
all'alba più di una volta. Capitava anche che non rientrasse
affatto. Oppure capitava che uscisse che non sembrava neanche
più lei. Lui non le stava con il fiato sul collo, ma come
faceva
con Sherlock, cercava di osservarla per poterla proteggere a suo modo.
Da cosa esattamente neanche lui lo sapeva.
Sua sorella, a differenza di Sherlock, era per lui un
totale enigma. Mycroft aveva avuto modo di vivere gli anni della
fanciullezza e dell'adolescenza di suo fratello minore e in
virtù di questo poteva permettersi di affermare di
conoscerlo in
buona parte. Con la sorella era tutta un'altra storia. Era certo,
comunque, che non avesse dipendenze da droghe o alcol. Aveva invece
una spiccata inclinazione per le situazioni stimolanti, che nel
linguaggio degli Holmes significa "potenzialmente pericolose".
Sono mesi che la bella Holmes si muove, lieve presenza in punta di
piedi, nella vita dei due fratelli ed è infine arrivato il
Natale.
Natale significa trascorrere del tempo con i genitori. E'
così per ogni famiglia. Perfino per gli Holmes.
Lei non era molto entusiasta. Aveva sempre evitato di
incontrarli, gli Holmes, ma adesso aveva entrambi i fratelli contro e
sarebbe stato difficile sottrarsi a loro. Uno, forse, sarebbe riuscita
ad imbrogliarlo, ma entrambi... Era fuori perfino dalla sua portata.
Iniziò a chiedersi cosa sarebbero stati capaci di fare tutti
e tre insieme.
A casa di Mycroft, la
giovane donna era chiusa in bagno da ore.
Si era concessa un
lunghissimo bagno
rilassante che le era servito soprattutto a calarsi nella parte. Una
parte molto più semplice di quella della figlia
ritrovata.
Sherlock lavorava
all'ennesimo caso
insieme al fedele compagno di avventure, John Watson. Poi, un giorno,
aveva chiesto la partecipazione di sua sorella.
Uscita dalla vasca aveva
messo a
riscaldare la piastra per capelli ed era andata a recuperare
ciò che le occorreva.
Sull'uomo che teneva
impegnato
Sherlock Holmes pendeva un'accusa di omicidio e violenza sessuale a
danno di alcune giovani donne. Si trattava di una tipologia molto
particolare di persone. Erano, infatti, tutte appartenenti al mondo
dark, goth ed emo. Scotland Yard non era riuscita a trovare prove
concrete che potessero incastrare definitivamente l'uomo, ma
Sherlock Holmes aveva un'idea.
Rientrata in bagno ci si
era chiusa di nuovo e quando ne era uscita, per poco a Mycroft non era
preso un colpo.
I capelli lisci
mettevano in risalto
i lineamenti spigolosi della ragazza e il nero risultava accentuato dal
nuovo look. Abituato a vederli senza un filo di trucco, Mycroft rimase
accecato dagli occhi di sua sorella. Pozze di luce in tutta
quell'oscurità.
Grazie alle giuste
conoscenze, negli
anni aveva imparato più per esigenza che per mestiere l'arte
del trasformismo ed era diventata una maga
del make-up pur preferendo evitarlo nella vita di tutti i giorni: non
truccarsi aiutava a renderla irriconoscibile quando invece lo faceva.
Davanti allo specchio si era riempita le palpebre di nero, sfumando ad
arte con diverse tonalità di grigio. Aveva abbondato con la
matita, sulla palpebra a ridosso delle ciglia, - allungando entrambe le
estremità dell'occhio - nell'interno e
anche sotto, vicino alle ciglia inferiori. Dove non era arrivato il
mascara, erano
arrivate le ciglia finte. Un fondotinta cadaverico rendeva la sua pelle
molto pallida. Pallide anche le labbra, sapientemente schiarite con i
giusti prodotti. Jeans neri come fossero una seconda pelle, strappati
dalla coscia alla caviglia orizzontalmente in più punti,
infilati in pesanti anfibi. Una maglietta utile appena a coprirle i
seni, larga a dispetto dei jeans, colma di piccole croci gotiche.
Un'enorme felpa dotata di un enorme cappuccio serviva a nasconderle
braccia ossute e polsi con eloquenti cicatrici, riprodotte alla
perfezione sulla pelle immacolata.
Un'espressione che stava in una zona imprecisa tra depressione,
sconforto, malessere, malvagità, ribellione e solitudine
rendeva
l'opera completa.
«Chi sei questa volta?», aveva domandato l'uomo.
«L'esca».
Poi era uscita. Si era
lasciata
apparentemente adescare dall'uomo, adescandolo lei in
realtà.
Aveva lasciato che la situazione arrivasse al limite e infine aveva
tirato fuori un'arma e una piccola videocamera che aveva usato per
immortalare il tutto. Al resto avevano
pensato Sherlock e John prima, l'Ispettore Lestrade dopo.
Nonostante Mycroft si fosse proposto
di finanziarle
qualsiasi spesa natalizia, sua sorella non aveva voluto saperne di
mettere piede in un negozio di abbigliamento a qualche giorno dal
Natale.
Mycroft era l'ultima persona che potesse permettersi di biasimarla per
questo.
Non era la paura di essere travolta dalla gente impegnata negli
acquisti dell'ultimo minuto, però, a trattenere la giovane
Holmes.
Mancavano di fatto due giorni alla Vigilia quando, di ritorno da Baker
Street, aveva voluto mostrare un maglione a Mycroft. Non un maglione
qualunque. Disse che era perfetto per lei, ma Mycroft sapeva
perfettamente che non era vero. Conosceva piuttosto bene il guardaroba
di sua sorella, vivendoci insieme, e non aveva mai visto niente di
simile saltare fuori dall'armadio. Non impiegò molto a
capire
che sua sorella intendeva depistare qualcuno. Di nuovo.
«L'ho
trovato», aveva spiegato
quando Mycroft le aveva chiesto come fosse entrata in possesso di quel
capo d'abbigliamento di discutibile eleganza.
Lo stile era inconfondibile e la taglia rivelava abbastanza chiaramente
chi fosse il proprietario dell'indumento. John Watson. Era un tipico,
voluminoso, geometrico maglione natalizio appartenente a John Watson.
Appartenuto a John Watson.
Non è che Sherlock e John glielo avessero lasciato prendere.
Semplicemente non sapevano che lei l'aveva preso.
Fu con quel maglione che si
presentò a casa Holmes la mattina della Vigilia. E con la
miglior non-espressione di sempre.
Durante il viaggio in auto con Mycroft si limitò a guardare
oltre il finestrino.
Suo fratello non seppe dire se fosse arrabbiata perché lui e
Sherlock l'avevano incastrata. Guardandola non riuscì a
ricavare la benché minima informazione su di lei e in quel
momento comprese perfettamente il perché della scelta del
maglione non suo: non
sarebbe stata lei in quell'incontro. In realtà Mycroft
ancora
non aveva capito chi lei fosse veramente. Sembrava che
tanto i fratelli Holmes fossero bravi a leggere, quanto lei lo era a
vestirsi di fogli vuoti.
Se Mycroft e Sherlock l'avessero vista per la prima volta quel giorno,
con indosso quel maglione, senza conoscere assolutamente nulla di lei,
avrebbero tratto conclusioni completamente errate sul suo conto. E
questo era esattamente il gioco che aveva tenuto in vita la gemella
Holmes negli anni.
I coniugi Holmes erano sulla porta d'ingresso, incapaci di restare ad
aspettare dentro casa, impazienti di rivedere un insieme di
combinazioni genetiche meglio definito con il nome di "figlia". La cosa
buffa è che nessuno dei due avrebbe dovuto domandarsi da chi
avesse ereditato cosa. Se avevano osservato bene Sherlock avevano in
mano tutte le risposte che gli occorrevano.
Quando lei scese dall'auto l'impassibilità regnava sovrana
sul suo volto.
«Loro sono...», tentò Mycroft.
Lo fulminò con lo
sguardo. Uno sguardo di
ghiaccio. Come un iceberg che, inesorabile, colpirà la tua
nave
e la affonderà. Senza cattiveria, ma semplicemente
perché
è così che va quando un'imbarcazione si avvicina
ad un enorme blocco di ghiaccio galleggiante.
«Niente convenevoli»,
disse e fu come se
avesse detto "Inutile che ci presentiamo, voi sapete chi sono, io so
chi siete. Non fingiamo che questo incontro sia voluto da tutti e
assolutamente perfetto, perché non è
così".
Sherlock, arrivato per conto suo, non intervenne verbalmente, ma
l'accompagnò all'interno e le fece fare il giro della casa.
Mycroft approfittò per parlare ai genitori del carattere
della
ragazza e li avvertì di non aspettarsi una grande
interlocutrice.
Come a testimoniare quanto aveva appena detto il maggiore degli Holmes,
Sherlock e sua sorella non ebbero bisogno di parole: ogni stanza
dichiarava da sé la propria funzione, senza che qualcuno
sprecasse fiato per dire inutili ovvietà.
Alla fine si installarono tutti in cucina, piccola ed intima.
Alla giovane donna bastò un rapido sguardo per capire
l'essenziale dei coniugi, di quelle due persone che l'avevano messa al
mondo e poi data via apparentemente senza alcuna motivazione. La
signora Holmes era evidentemente la colonna portante di quella
famiglia, quella che prendeva e portava avanti le decisioni, quella che
si era preoccupata dell'istruzione dei figli, quella che aveva il
quoziente intelletivo più elevato. Quella dalla quale aveva
ereditato il colore degli occhi. Il signor Holmes era un uomo
tranquillo, uno che per una vita intera aveva affiancato, assecondato,
confortato e accomodato una moglie e dei figli dalle incredibili
potenzialità. Sembrava essere l'unico normale là
dentro,
per quanto normale possa essere un uomo che sceglie di vivere insieme
ad
una moglie così, riuscendoci. Le ricordò il
Dottor Watson: normale
se paragonato a Sherlock, ma completamente fuori dal comune se
paragonato alla
maggioranza delle persone là fuori.
Il pranzo venne consumato per lo più in silenzio.
Lei lo trovò ottimo, ma non si complimentò
affatto. Si
era accomodata accanto a Sherlock e di fronte a Mycroft, consapevole
del fatto che ogni sguardo da parte dei signori Holmes sarebbe stato
una coltellata al cuore data la somiglianza tra lei e Sherlock. I due,
a differenza dei figli,
sembravano essere inclini ai sentimentalismi. O forse era colpa
dell'età: nessun sentimentalista avrebbe dato in pasto al
mondo
la propria figlia neonata separandola, tra le altre cose, dal proprio
gemello.
La maschera impassibile ancora perfettamente dipinta sul volto della
ragazza. Non una grinza.
Nessuno osò chiamarla per nome, anche se i signori Holmes
sapevano come si chiamava. Le avevano dato loro quel nome che lei
teneva segreto al mondo intero, ma non avevano idea di come si fosse
fatta chiamare in tutti quegli anni di assenza.
Anche Mycroft lo ricordava eppure mai lo aveva pronunciato ad alta
voce, né in presenza né in assenza della ragazza.
Sherlock ne era completamente all'oscuro.
Il signor Holmes la guardava con pacata curiosità,
aspettandosi forse che prima o poi lei avrebbe parlato.
Lei provò per lui un po' di quello strano interesse che
Sherlock aveva
nutrito nei confronti di John Watson quando lo aveva conosciuto. Si
domandò quante persone esistessero come il signor Holmes e
il
Dottor Watson.
La signora Holmes, invece, si teneva occupata con i piatti: aveva
voluto per forza lavarli in quel preciso momento.
Tutta quella emotività rivelò ai fratelli Holmes,
i due maschi, un lato di lei che non conoscevano.
«Ma
dove ho messo il centrotavola?», domandò
probabilmente
più a se stessa che ai presenti, o forse più per
riempire
la cucina di un suono che non fosse quello di acqua e stoviglie.
Neanche due secondi da quel punto
interrogativo. «Il
ripiano a destra».
I gemelli. In sincrono.
Un sorrisetto soddisfatto sulle
labbra di Mycroft.
Un'occhiataccia di lei, in risposta.
Lo stupore della donna a colmare ogni spazio della stanza.
Dalla sedia occupata dal signor Holmes proveniva una calma quasi
disarmante, come se fosse abituato ormai a queste cose.
La signora Holmes recuperò il suo centrotavola, lo
sistemò
esattamente dove voleva che stesse e prese di nuovo posto a tavola.
«Perché
sei sparita?».
Diretta. Fredda. Implacabile. Non era il giusto approccio.
Silenzio.
«Ti
abbiamo osservata costantemente
quando vivevi in Finlandia, perché non avremmo mai voluto
arrivare a tanto», continuò la signora Holmes. La
sua voce
era ancora dura, come se fosse arrabbiata. Non esattamente per qualcosa
o con qualcuno
in particolare, semplicemente arrabbiata.
«La
piccola Annukka ha
scoperto di essere stata adottata. Alla piccola Annukka non piacciono
le bugie. La piccola Annukka è una bambina sveglia e scappa
di
casa. La piccola Annukka è morta», risponde la
gemella di
Sherlock parlando in terza persona della versione finlandese di se
stessa. Nessuna particolare inclinazione nella voce. Lo sguardo in un
punto oltre Mycroft, sulla parete.
Silenzio.
La giovane donna non intendeva
aggiungere altro a quelle
parole. Sentiva gli occhi di Sherlock addosso come una lama sottile in
attesa di bucare la pelle dell'avversario, assetata di sangue. Aveva
gli occhi di Mycroft
puntati nei propri, erano di una limpidezza straordinaria. La stessa
limpidezza che l'aveva convinta ad ascoltarlo la prima volta che
l'aveva incontrato.
«Sarebbe
più corretto dire che
Annukka ha smesso di esistere per far spazio ad altri». Era
stato
proprio Mycroft a parlare.
Sua sorella annuì solo con una smorfia delle labbra piene. «Te lo concedo», rispose.
In quel momento, la signora Holmes
capì che
Mycroft riusciva in qualche modo a farsi strada tra le mille barriere
che sua sorella innalzava.
«A
chi?», intervenne Sherlock. Il suo bisogno di conoscere
predominava su ogni altra cosa.
Lei continuò a guardare Mycroft negli occhi.
Lui non si mosse.
I presenti capirono che in un modo tutto loro quei due stavano parlando.
Mycroft annuì come se sua sorella gli avesse posto una
domanda che nessuno tranne lui aveva potuto sentire.
Avevano in effetti appena sigillato un patto: se necessario lui
l'avrebbe portata via da lì immediatamente.
«Annukka
è stata molte altre persone», disse infine, «La recita più
bizzarra è stata quando ha impersonato due gemelli, il
giovane
Sherwood e la giovane Sherilyn». Rise a quel punto. E di
gusto anche. L'assonanza
con il nome del suo gemello era evidente, e comico era quanto nessuno
si fosse mai accorto di nulla sebbene molti in quella stanza
sostenessero di averla cercata per tanto tempo. La disarmante
verità era che la donna aveva
lasciato piccoli indizi che solo chi la stava davvero cercando avrebbe
potuto cogliere. Il fatto che nessuno avesse unito i fili era la chiara
testimonianza che chiunque avesse provato a mettersi sulle sue tracce
non si era mai impegnato abbastanza oppure non sapeva esattamente chi
stava cercando. Sherlock era impietrito,
immobile mentre viaggiava nel proprio palazzo mentale: se il caso di
quei gemelli era in
qualche modo arrivato a lui, se una qualunque delle molteplici
trasformazioni di sua sorella era in qualche modo arrivata fino a lui,
doveva averne memoria.
I due gemelli erano
orfani, come la maggior parte dei suoi alter ego, e scomparsi,
come tutti i suoi alter ego.
A dirla tutta non rivelò niente a parte le molteplici
identità che aveva assunto negli anni per sparire, non
lasciare
tracce, evitare di essere trovata da persone diverse dai fratelli
Holmes, evitare di essere ammazzata.
Fu Mycroft a raccontare ai genitori come aveva fatto a scovare la
giusta pista e come lei gli era
sempre sfuggita fin quando non aveva deciso di presentarsi
spontaneamente da lui.
Ciò che i tre fratelli volevano sapere, a quel punto, era
perché i coniugi Holmes avessero deciso di sbarazzarsi di
lei.
Era una storia, quella, che affondava radici in eventi accaduti molto
prima della nascita di Mycroft.
L'unica ragione per cui la signora Holmes non
era pienamente
convinta di dover tacere era un evento accaduto anni addietro, in
quello stesso periodo dell'anno. Eppure qualcosa le bloccava la lingua,
le
serrava le labbra e le impediva di liberarsi di quel segreto.
Fu suo marito a parlare. «Magnussen»,
disse.
Quattro paia di occhi chiari lo fissarono istantaneamente.
Non c'era persona in quella stanza che non conoscesse quel nome.
L'uomo spiegò che quando aveva conosciuto quella che sarebbe
poi
stata sua moglie, lei era stata promessa ad un tale che di cognome
faceva Magnussen. Erano altri tempi e se anche il marito aveva quasi il
doppio degli anni della sposa non importava a nessuno. Il signor
Holmes, però, non si era lasciato intimidire e aveva infine
conquistato la futura signora Holmes che tutto era tranne una persona
avvezza al
rispetto delle regole, specie se assurde. I due, non senza la
benedizione dei genitori di
lei, si innamorarono. La promessa fu sciolta e la futura signora Holmes
libera di sposare l'uomo che amava. Magnussen, però, non
digerì mai l'affronto e giurò eterno odio alla
coppia. Il
desiderio di vendetta non lo abbandonò mai. Anche lui si
sposò non molto tempo dopo e sua moglie gli diede un figlio
che
chiamarono Charles Augustus Magnussen. I coniugi Holmes non avevano
ancora avuto Mycroft quando Magnussen fece in modo che loro sapessero
del nuovo nato e fu in quell'occasione che l'uomo promise a se stesso e
agli sposini che nel caso in cui il loro matrimonio avesse generato una
bambina, quella avrebbe sposato suo figlio Charles Augustus ad ogni
costo.
Mentre raccontava, il signor Holmes guardava esclusivamente sua moglie.
Sul volto di entrambi erano ben visibili l'angoscia e l'orrore di quei
momenti di tanto tempo prima.
La signora Holmes era sempre stata una donna dal carattere forte e
deciso, così quella minaccia non l'aveva scoraggiata e non
aveva
messo in crisi l'amore che nutriva per suo marito. Quando
scoprì
di essere incinta lo annunciò con gioia a quest'ultimo.
Sapeva del
rischio che correvano, ma non avrebbe permesso ad un uomo
così
meschino quale era Magnussen di condizionare la sua esistenza.
Magnussen era un giornalista e questo gli forniva le chiavi d'accesso a
moltissime informazioni, compresa la gravidanza della signora Holmes.
Venuto a conoscenza che si trattava di un bambino, sembrò
sparire nel nulla. E invece era lì ad osservare, come uno
squalo, paziente,
in attesa della preda, di un suo errore.
Gli Holmes ne ebbero la prova quando ricevettero le congratulazioni per
il nuovo nato da parte dell'intera famiglia Magnussen.
La seconda volta che la signora Holmes rimase incinta, aveva
già
in mente di fare in modo che la notizia non raggiungesse quell'essere
spregevole. Non lo disse ad anima viva, quando la pancia
cominciò a vedersi si tenne lontana dai luoghi pubblici e si
affidò alle cure di
persone estremamente fidate. Andò tutto bene. La signora
Holmes
scoprì di essere in attesa di due gemelli e quando seppe che
si
trattavano di un maschio e di una femmina, fece tutto quanto era in suo
potere per tenere nascoste quelle informazioni. Ci riuscì.
Partorì assistita dalle persone che lei stessa si era scelta
e
tornò a casa con i bambini. La mente della signora Holmes
lavorava, instancabile, ad una soluzione che le permettesse di tenere
quella bambina per sempre senza che Magnussen ne venisse a conoscenza o
potesse ricattarla e attuare la propria vendetta.
Sembrava una missione impossibile da compiere, ma la signora Holmes non
era una semplice donna e vedeva oltre alle cose, sapeva scegliere le
mosse vincenti.
La quiete però, purtroppo, durò molto poco.
Magnussen venne infine comunque a sapere dei gemelli e, cosa ancor
più drammatica per gli Holmes, seppe che uno dei due era una
femmina, così rinnovò quanto aveva detto anni
addietro.
In verità Magnussen non aveva mai avuto la certezza che uno
dei
due fosse una bambina prima che gli Holmes lo confermassero. Aveva
però basato le proprie deduzioni su un semplice
ragionamento: se
fossero stati entrambi maschi, perché fare tutto in gran
segreto?
Magnussen non era solo un giornalista. Era una delle persone
più intelligenti che i coniugi avessero mai incontrato.
I coniugi Holmes non avevano dubbi che Magnussen fosse assolutamente
deciso a portare avanti quella sua assurda, insensata, vendetta.
Incapaci di tollerare una simile situazione, dovettero
prendere una decisione drastica che avrebbe cambiato la vita di tutta
la famiglia. Il loro primo pensiero andò a Mycroft che era
grande e intelligente abbastanza da essere consapevole di avere una
sorella
oltre che un fratello e in virtù di questo ricordo avrebbe
fatto
domande prima o poi, avrebbe cercato di capire. Lasciarono quindi
credere a lui e a chiunque fosse interessato all'argomento che la
bambina era gravemente malata, questo grazie alla
complicità di intimi amici; diedero invece in adozione la
gemella di Sherlock, mandandola in
Finlandia e
procurandole tutta la documentazione necessaria a distruggere il suo
breve passato e a crearle un presente ed un futuro completamente nuovi.
Per quando Magnussen fosse astuto ed influente non aveva occhi in ogni
dove e
non aveva certo a che fare con degli sprovveduti. Alla famiglia che
decise di
adottarla
venne raccontato che la bambina era stata abbandonata in ospedale dalla
giovanissima donna che l'aveva generata.
L'impossibilità di muoversi liberamente, costrinse i coniugi
Holmes a stare alla larga dalla loro bambina e così era
stato
facile perderne definitivamente le tracce una volta che lei aveva
deciso di allontanarsi in un momento del tutto inaspettato.
«La
bambina gravemente malata alla fine morì e Magnussen non
riuscì
mai a scoprire la verità o comunque non riuscì
mai a dimostrare
concretamente che quella storia non era del tutto vera», terminò la signora Holmes
che aveva infine trovato il coraggio di intervenire.
La giovane Holmes era una statua
bellissima nella sua
immobilità. Stava rivivendo mentalmente i momenti trascorsi
a
diretto contatto con Charles Augustus Magnussen e si chiedeva quanto
quest'ultimo conoscesse di tutta quella faccenda. Sentì il
panico assalirla.
Sherlock seppe di aver ucciso non solo qualcuno che minacciava la
tranquillità del suo amico John Watson, ma anche il figlio
di
chi aveva tormentato la sua famiglia.
Mycroft ci aveva messo un secondo a capire quale rischio tutti avessero
corso, non dimentico della storia di un terzo Holmes che Magnussen
figlio aveva cercato di diffondere per il solo gusto di minacciarlo e
fargli capire con chi avesse a che fare. Si convinse che
entrambi i Magnussen erano arrivati infine a conoscere la
verità
e che se Sherlock non avesse ucciso Charles Augustus, lui prima o poi
sarebbe arrivato alla gemella di Sherlock prima di tutti.
Non aveva idea che era stata proprio sua sorella a gettarsi in pasto a
quell'uomo.
Mycroft osservava adesso i suoi genitori con una strana luce negli
occhi. Qualcosa di molto simile al disappunto, ma meglio identificabile
con il nome di rabbia, albergava in lui. Menzogne e segreti
inimmaginabili gli avevano impedito di arrivare al nocciolo della
questione e questo lo infastidiva.
L'uomo aveva un autocontrollo non indifferente e questo faceva di lui
una persona insopportabile ma anche una pentola a pressione pronta a
scoppiare in qualunque momento.
Il momento era arrivato.
Mycroft saltò in piedi senza preavviso e l'assoluto silenzio
di
tutte le parole che non disse esplose in un pugno sul tavolo di quella
cucina.
Sua madre sobbalzò.
Sua sorella fissò gli occhi nei suoi.
Suo fratello rimase immerso nei propri pensieri.
Suo padre gli rivolse uno sguardo sereno, come a volegli dire che
comunque lui la pensasse era così che stavano le cose e
ormai
non ci si poteva fare più nulla. Senza contare che il peggio
era
passato dal momento che i Magnussen erano morti.
Le conseguenze di quella separazione, però, erano tutte
lì e bruciavano come benzina su ferite aperte.
N.d.A.
Non so se e quanto tutta questa faccenda sia credibile,
perciò ora più che mai mi aspetto il vostro
parere.
Il punto è che nel preciso istante in cui mi sono chiesta
cosa
possa aver portato i coniugi Holmes a separarsi dalla propria figlia,
ma di nessuno dei due maschi mi sono detta che non poteva essere nulla
di banale o facilmente spiegabile. E quando mi sono interrogata
riguardo al movente mi è subito venuto in mente Magnussen.
Negli
episodi della terza stagione abbiamo avuto modo di conoscere piuttosto
bene il personaggio di Charles Augustus e abbiamo appurato che la sua
non è semplice cattiveria. E' un'ossessione, una malsana
inclinazione a raccogliere segreti per poi tormentare le persone.
Allora mi sono detta che questo Charles Augustus avrà pur
avuto
un padre... e da qui la storia come l'avete appena letta.
Rinnovo il mio bisogno di conoscere il vostro pensiero in merito e mi
auguro che tutto sommato questo racconto non sia un disastro.
Vi ringrazio infinitamente per essere arrivati fin qui con la lettura e
a maggior ragione vi ringrazio se deciderete di recensire.
A presto.
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