That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Habarcat - I.016
- Estate a Sherton Manor (1)
Sirius
Black
Herrengton Hill, Highlands - mer. 23/24 giugno 1971
Nei
giorni successivi il solstizio, mio fratello ed io ci accorgemmo
rapidamente che gli Sherton erano quanto di più lontano
dalla
famiglia Black potesse esistere sulla faccia della terra: se Alshain ci
aveva conquistato già da tempo con il suo modo di fare
avventuroso e affascinante, sua moglie si dimostrò da subito
la
persona più dolce e gentile che potessimo immaginare,
l’incarnazione stessa del concetto di madre. Era bella,
regale,
una vera principessa Slytherin, trasudava nobiltà ed
eleganza da
qualunque gesto, riusciva a rendere speciale anche un vestito semplice,
adatto alla quotidianità della sua casa, e appariva
magnificente
e meravigliosa anche quando non si ricopriva di gioielli: riusciva a
farci sentire al cospetto di una dea, senza averne anche
l’altezzosità e la crudeltà,
qualità che ero
abituato ad associare alle streghe Slytherins, almeno basandomi
sull’esempio delle donne di casa Black. Deidra era originaria
dell’Irlanda settentrionale e faceva parte
dell’antichissima famiglia purosangue dei Llywelyn: era
coetanea
di Alshain, si erano conosciuti a Hogwarts, dove entrambi erano stati
nella casa di Salazar. Alta e sinuosa, con i lunghi capelli rossi,
leggermente mossi, che le incorniciavano un viso delicato, perfetto
come porcellana, punteggiato da timide efelidi, aveva gli occhi
più verdi degli smeraldi di Alshain, lunghe ciglia castane
che
li ombreggiavano, le labbra rosse e turgide, che nascondevano un
sorriso perfetto; aveva la freschezza di una ragazzina, come se in
quella famiglia avessero fatto tutti un patto con qualche forza della
natura affinché il tempo passasse per loro più
lentamente. Anche con i figli l’esperienza fu da subito
positiva.
Rigel Sherton, tredici anni da compiere in autunno, secondo anno appena
concluso a Hogwarts, nuovo cercatore della squadra di Quidditch di
Serpeverde, alto già fino al mento di suo padre, occhi
azzurri,
capelli neri tagliati al collo, quindi corti rispetto ai canoni
familiari, era fisicamente la copia perfetta di Alshain alla sua
età. Ci trattò esattamente come mi aspettavo dopo
quel
primo fugace incontro invernale: non solo da amici, ma da fratelli. Era
il ragazzo più vitale che avessimo mai conosciuto,
brillante,
appassionato di sport e di musica, ci confidò di essere
persino
in procinto di debuttare con il suo gruppo musicale, a Hosmedge, non
appena avesse trovato il locale adatto. Mirzam ridendo disse che suo
fratello era la copia, in tutto e per tutto, del loro vecchio, pronto a
sfruttare qualsiasi talento scoprisse di avere solo per far turbinare i
cuori delle ragazzine della scuola. Rigel non negò, anzi ci
invitò a unirci a lui al nostro ingresso nella mitica
scuola.
Dovevo ammettere che l’idea di entrare a Hogwarts, nei mesi
precedenti, da un lato mi aveva dato speranza, perché era
piacevole la prospettiva di una fuga da casa lunga almeno sette anni,
d’altra parte mi aveva provocato spesso ansia e
preoccupazione:
immaginavo una specie di carcere, almeno da quello che si deduceva
dalle descrizioni di mia madre, ma ora, stando a Herrengton, quello
spettro sembrava essersi disperso nella tenue luce dei mattini
scozzesi. Addirittura non vedevo l’ora di andarci: non mi ero
mai
reso conto dei vantaggi che conseguivano dall’essere un
Black,
solo stando a Herrengton capii che non era solo una circostanza
nefasta, come mi appariva dal loculo che era la mia camera, ma che la
mia famiglia, in fondo, era una delle più rispettate e il
nostro
uno degli ingressi più attesi a Hogwarts in generale e a
Serpeverde in particolare.
Passammo quei primi giorni per lo più a Cape Ham, una
magnifica
radura che si apriva sul mare, a imparare l’arte del volo,
usando
i manici che di certo non mancavano in quella casa e assistendo alle
performance di quei ragazzi che a caccia del boccino erano delle vere e
proprie forze della natura. Non avevano ancora la classe e il fascino
del loro padre, e a inventare storie non erano altrettanto bravi, ma
rimediavano facilmente raccontandoci molte avventure che avevano come
scenario abituale i sotterranei di Serpeverde e come trama i divertenti
dispetti che gli slytherins mettevano in atto contro i griffindors.
Avevo rapidamente imparato a stare sulla scopa senza tanti problemi,
sostenuto dallo sguardo compiaciuto del nostro mentore, oltre che dai
fischi d’incitamento dei ragazzi: mio fratello
dimostrò da
subito una particolare propensione alla caccia al boccino e Rigel ne
era davvero entusiasta, perché sapeva che nel giro di pochi
anni
Serpeverde avrebbe avuto bisogno proprio di allevare un cercatore
nuovo, ed era il caso di scoprire un talento fin da subito. Io non
rivelai doti particolari, ma vista la mia pigrizia, non mi vedevo
impegnato in estenuanti allenamenti alle prime luci
dell’alba,
per cui non mi rammaricai più di tanto nel rendermi conto
che,
forse, nel mio rapporto col Quidditch, sarei rimasto soprattutto un
appassionato tifoso. E comunque era ancora tutto da dimostrare:
personalmente mi sentivo portato per fare il cacciatore, o meglio
ancora, il battitore, sghignazzai al pensiero di quanti avversari avrei
potuto “legalmente” atterrare. Il nostro battesimo
della
scopa era stato deciso già il secondo giorno dopo il
solstizio:
eravamo partiti tutti insieme, Alshain, i suoi tre figli, mio fratello
ed io, per una scampagnata di due giorni fino a Cape Ham. Meissa
camminava sempre dieci passi davanti a noi, ma a volte tornava indietro
per parlare con Mirzam, ignorando totalmente Rigel e noi Black. Mi
sembrava che la sua voce fosse più squillante di quanto
ricordassi e, soprattutto, suscitava in me un senso di gioia e
serenità solo a sentirla, ed anche conciata come una piccola
selvaggia, manteneva la grazia con cui vestiva quei begli abiti con cui
l’avevo conosciuta l’inverno precedente in
Inghilterra.
Vederla muoversi tra quei boschi dimostrava quanto fosse la perfetta
figlia di Sherton: era una specie di amazzone in miniatura, capace di
farci fare una figura miserrima, vista la velocità con cui
si
muoveva tra gli ostacoli, la resistenza alla fatica, la
rapidità
con cui trovava le radici e le foglie richieste da suo padre. Mi
consolai pensando che quello, in fondo, era il suo mondo, non il mio, e
che aveva nel sangue, dalla nascita, tutto quello che io avevo appena
iniziato a conoscere. Con questi pensieri rassegnati stavo rientrando
alla base con solo la metà delle piante richieste da
Alshain,
sudato e afflitto, al termine della prima giornata di viaggio, quando
sentii una mano sulla mia spalla: era lei, si era avvicinata silenziosa
come un fantasma e quasi, dallo spavento, feci cadere tutto.
“Non sei male, Black, la
pianta di mola
è difficile da trovare sui crinali esposti a questi venti,
ma
hai avuto fortuna, a volte serve più quella che
l’esperienza, possiamo fare uno scambio?”
La guardai stupito, non credevo, in virtù della nostra
vecchia
scommessa, che mi potesse proporre uno scambio così
vantaggioso:
mi offriva tre delle piante che mi servivano in cambio di una sola
pianta di mola. Feci un cenno d’assenso con il capo, e
atteggiai
la bocca a una smorfia che voleva essere un sorriso, senza riuscirci.
Fatto lo scambio, cercai di essere gentile e ringraziarla, ma lei mi
aveva già lasciato indietro, impegnata a scovare tra i
cespugli
l’ultima radice che le serviva per completare la raccolta.
Quella
sera mangiammo la selvaggina che Mirzam e mio fratello erano riusciti a
catturare, un paio d lepri di Mirzam e una piccola quaglia di Reg: per
i nostri standard era un vero miracolo, perché prima di
allora,
avevamo avuto difficoltà persino a catturare Sebast, il
vecchio
gatto pigro di nostra madre. Alshain aveva montato la tenda, che
stavolta aveva due ingressi e due zone non comunicanti, una per noi
ragazzi e una per sua figlia, lui invece dormì con Mir
intorno
al fuoco, dopo essere rimasto per ore a parlare con lui fitto fitto
sotto le stelle. Fu durante quella cena che iniziammo a parlare di
Quidditch e del Puddlemere United, la nostra squadra del cuore, in
particolare, con enorme soddisfazione di Alshain, che vi aveva giocato
per anni; Alshain e Mirzam, a distanza di venti anni, erano stati
entrambi cercatori per la squadra di Serpeverde, riportando la
conquista di due coppe della casa a testa. E ora Rigel era avviato
sulla stessa strada.
“Credo di aver visto una foto
di nostro padre,
che festeggiava la vittoria con lei, signore, lui aveva in mano la
scopa e lei teneva la coppa.”.
“Ah sì, ho capito
di quale foto parli,
era la prima coppa che ho vinto da cercatore, avevo appena sedici anni
e Orion diciotto, finiva gli studi quell’anno. È
stato un
bel modo per festeggiare una fine e un inizio. L’anno
successivo
diventai capitano della squadra di Serpeverde e riportammo una seconda
vittoria, l’ultimo anno invece, non ho combinato
granché,
avevo impegni più importanti.”.
La voce gli morì in un sorriso enigmatico, guardò
Mir e
vidi un’espressione che non dimenticherò mai
più,
Mirzam sorrise e lo guardò a sua volta, complice, anche
Meissa e
Rigel sorridevano: in quella casa c’era un clima di
cospirazione
tra padre e figli che noi nemmeno immaginavamo potesse esistere,
né riuscivamo a capire che cosa ci fosse da ridere a perdere
una
coppa di Quidditch. Dovevamo avere proprio la faccia da idioti se
Mirzam si sentì in dovere di darci spiegazioni.
“Dovete sapere che nostro
padre giocava a
Quiddicht per un unico motivo, mettersi in mostra e far strage di cuori
tra le ragazze d Hogwarts – iniziò con tono
chiaramente
canzonatorio - ma come spesso accade a quelli come lui, a forza d
sfarfalleggiare, è incappato nei verdi occhi di nostra
madre, e
a quel punto ha completamente perso ogni cognizione del mondo, oltre
naturalmente alla coppa di Quidditch”.
Alshain sorrise, solo allora mi resi conto che Mirzam doveva essere
nato pochi mesi dopo che Alshain e Deidra erano usciti da Hogwarts, e
sentii la mia faccia diventare porpora, avendo finalmente capito la
portata di quei sottintesi.
“E’ vero, dopo aver
incrociato gli occhi
di mia moglie, la mia vita è cambiata radicalmente e auguro
a
tutti voi di vivere un giorno un momento come quello. Tutto quello che
vi turba e vi spinge a fare cose assurde sparisce dalla vostra mente e
nel vostro orizzonte c’è solo la persona che vi
accende
l’anima. L’unico pensiero che vi tiene in vita
è
trovare la strada per ottenere il suo cuore.”
Quella notte, nella tenda della radura, non riuscii a prendere sonno,
immaginavo come dovesse essere provare un sentimento come quello,
talmente forte da cambiare persino il tuo carattere, spingerti lontano
da quello che sempre era stato importante per te, portarti contro la
tua famiglia, per raggiungere un sogno di felicità. Dentro
di me
sentii che avrei voluto tutto questo un giorno anche per me,
perché non potevo sopportare l’idea di una vita
segnata
solo dalla convenienza e dal denaro, come avveniva nella mia famiglia,
dove c’era tutto quello che apparentemente era importante, ma
dove non esisteva amore, in nessuna forma. Rimasi stupito nel rendermi
conto che in quei pochi giorni avevo sentito parlare del vero amore
molto più che in tutta la mia vita: mi chiesi una volta di
più come quell’uomo potesse essere amico di mio
padre,
perché evidentemente impostavano le proprie esistenze
secondo
principi e valori diametralmente opposti. Il giorno seguente, mi
svegliai con difficoltà, e rimasi un po’ indietro,
meditabondo; Reg stava già chiacchierando con Rigel,
guardandolo
con occhi estasiati, sembrava che quei due si capissero al volo, e
passandogli vicino sentii che il giovane Sherton gli stava promettendo
di dargli lezioni di volo quanto prima. Meissa era ancora in disparte,
ed io ero già pronto ad approfittare del momento di quasi
solitudine per avvicinare e parlare con Alshain, quando Mirzam, fino a
quel momento sparito nel nulla,ricomparve con un gufo reale sulla
spalla e un biglietto per suo padre. Alshain lo lesse e i suoi occhi
non tradirono emozioni, poi ci guardò tutti e con uno dei
suoi
soliti sorrisi invitanti ci propose un cambio di piano.
“Ragazzi vi va di partire per
il Devonshire, o preferite la prima lezione di volo?”
Ci guardammo, non sapevo cosa scegliere, ed anche mio fratello era
evidentemente in conflitto: con Alshain qualsiasi scelta portava a
un’avventura, sapevamo già che ci saremmo
divertiti a Cape
Ham, ma probabilmente, se ci proponeva quel viaggio, anche quella
scelta doveva avere in sé qualcosa d’interessante.
Ancora
preda dell’indecisione, mi accorsi che Meissa si era incupita
un
poco, sembrava l’unica a sapere già come sarebbe
andata a
finire.
“Indecisi eh? Allora per
questa volta Meissa
andrai da sola, Mirzam tu l’accompagnerai a casa, noi quattro
invece andremo a volare un po’. Ci vediamo stasera, e,
Meissa,
ricordati di ascoltare tua madre, e non dar confidenza a nessuno, siamo
intesi?”.
“Si padre.”
Si avvicinò e lo baciò, un po’ triste
per la
repentina conclusione della sua avventura con noi, ma già
proiettata nel suo nuovo impegno. Ero incuriosito, non avendo idea di
cosa Meissa e sua madre sarebbero andate a fare nel Devonshire,
così non mi resi subito conto che la ragazzina si era
avvicinata
a me e Reg, se non quando, a sorpresa, ci prese per mano. Chiusi gli
occhi, per respirare il buon profumo di rose che emanava senza farmi
distrarre dal suo sguardo, sentii la sua mano calda e vibrante tra le
mie dita, lei avvicinò il suo viso alle nostre facce, a
turno,
dicendo soltanto, in un soffio.
“Guarda in alto”.
Aprii gli occhi e alzai il viso verso il cielo, vidi che stava facendo
scendere una cascata di fiori variopinti sulle nostre facce, in un
turbine di petali e raggi solari. Mi voltai di nuovo verso di lei,
sorrideva nel sole, mi parve che ci fossero persino più
fiori
variopinti nei suoi occhi verdi. Mi sentii al tempo stesso felice e
perduto. Non capivo nulla, né di me stesso né del
mondo
attorno a me. Quando poco dopo la vidi smaterializzarsi tra gli alberi
insieme a suo fratello, sentii una strana stretta allo stomaco,
insopportabile. In quel momento il Quidditch mi apparve una delle cose
più stupide della terra.
***
Meissa
Sherton
Herrengton Hill, Highlands - giov. 8 luglio 1971
“Sei solo una ragazzina
stupida e capricciosa!”
“E tu sei un idiota! Ti
odio!”
Io e Rigel ci stavamo rincorrendo attorno al tavolo della sala grande,
voleva afferrarmi e riprendersi la vecchia sciarpa di Serpeverde di
nostro padre che mi aveva dato a Natale, sostenendo che me
l’avesse data solo in prestito, quando tutti sapevano che me
l’aveva regalata.
“Me l’hai regalata,
R-E-G-A-L-A-T-A!”
“E cosa te ne faresti su nella
torre di Corvonero!?”
Mi fermai di colpo, lo fissai con odio e lo caricai, prendendolo di
sorpresa e atterrandolo, gli ero sopra e mi ritrovai a tempestarlo di
pugni senza forza, era evidente che non gli stavo facendo male, ma mio
fratello mi guardava come se stesse vivendo un sogno, qualcosa
d’irreale, d’impossibile: forse aveva capito che su
quel
punto non era una buona idea farmi arrabbiare. Ma non era paura o
rimorso quello che gli leggevo negli occhi, era solo una cosa:
pietà. E questo mi faceva crescere ancora di più
la
rabbia in corpo. In quel momento i fratelli Black entrarono per la
colazione, io mi sollevai da Rigel e rossa in viso cercai di recuperare
un minimo di contegno, mentre mio fratello si risistemava la camicia e
si pettinava i capelli con le dita. Notai lo sguardo a metà
tra
l’incuriosito e l’ironico negli occhi del maggiore
dei
Black e lo fulminai a mia volta con uno sguardo truce che voleva
semplicemente significare “FATTI
I CAVOLI TUOI, SCIOCCO DAMERINO INGLESE!”.
In quel momento non m’importava che fosse il ragazzino
più
bello che avessi mai visto nella mia vita. Mia madre e Mirzam entrarono
subito dopo, la scena che si presentò loro in sala sembrava
tranquilla, nulla lasciava intuire il caos che si era creato pochi
istanti prima del loro arrivo, a parte la sciarpa di nostro padre che,
nella concitazione finale, era stata gettata da Rigel in alto
perché non la prendessi e ora svolazzava appesa su una coda
di
serpe che ornava un candelabro. Ma era evidente dai loro visi tirati
che ci avevano sentito, sicuramente le nostre urla erano risuonate in
buona parte della torre. Mia madre si sedette al suo posto,
semplicemente bellissima e austera, in un elegante abito turchese,
leggero e ampio, che ne nascondeva le forme morbide e arrotondate dalla
gravidanza, i capelli raccolti in uno chignon fermato da dei nastri con
delle perle. Mio fratello Mirzam l’aiutò ad
accomodarsi,
come faceva sempre mio padre quando era a casa, poi si sedette al suo
posto, subito seguito da Rigel e dai fratelli Black, tutti alla
sinistra del posto vuoto di mio padre, io mi misi alla sinistra di mia
madre, all’altro capo del tavolo. Gli elfi ci servirono la
colazione mentre nella sala non volava una mosca, avevamo il permesso
di parlare solo dopo che i nostri genitori ci avessero dato il buon
giorno, ma quella mattina mia madre sembrava presa in
tutt’altri
pensieri e sembrava non vederci neanche, alla fine ci diede il buon
giorno per abitudine, senza curarsi effettivamente di noi. Poco dopo
Hermes, il gufo reale di nostro padre, bussò alla nostra
finestra, Mirzam si alzò per recuperare la lettera e la
porse a
nostra madre, che con una certa impazienza celata dai suoi modi sobri e
aristocratici, si dedicò alla lettura: era evidente che le
notizie non erano quelle che si aspettava e che si augurava, il suo
viso fu attraversato da un velo di preoccupazione, celato a stento. Si
pulì le labbra con delicatezza, fece dardeggiare i suoi
occhi su
tutti noi, ci rivolse la parola, chiedendo ai fratelli Black se
avessero dormito bene e poi volgendosi a Mirzam lo invitò a
portare i nostri ospiti a Cape Ham, dove c’era una
meravigliosa
radura perfetta per gli allenamenti di Quidditch. Quindi, rimasti soli,
si dedicò a me e a Rigel, con occhi che di colpo avevano
perso
tutta l’amorevolezza che di solito riversava su di noi.
“Siete indegni di sedere alla
mia presenza,
siete due ingrati. Per tutto il giorno resterete in camera vostra a
riflettere su quello che significa essere fratelli in questa
casa”.
“Scusa, madre”
Rigel mostrò il suo miglior faccino da bravo ragazzo, quando
faceva così nostra madre non riusciva a negargli nulla, io e
Mirzam eravamo convinti che fosse il suo preferito tra noi,
così
come io ero la preferita di mio padre, anche se non si poteva dire che
i nostri genitori tramutassero quelle preferenze in ingiustizie.
“Stavolta non ve la caverete
con poco, ci
avete messo in imbarazzo di fronte ai figli di Walburga Black,
vergognatevi! E ora sparite dalla mia vista”.
Me ne andai avvilita in camera mia, al terzo piano della torre, mi
tuffai sul letto e mi misi a giocare con i capelli: stavolta
l’avevamo fatta grossa. Non osavo immaginare che punizione i
miei
ci avrebbero dato, difficilmente venivamo puniti, ma quando capitava
era tremendo, perché non venivamo picchiati, certo,
né
offesi o umiliati, ma il senso di delusione nei loro sguardi, il gelo
nella voce, la privazione di gesti calorosi, di baci e abbracci, era
qualcosa di più doloroso degli schiaffi. Non sapevo cosa
stesse
capitando a Rigel, ma io non fui convocata per il pranzo e nemmeno per
la cena, Kreya mi portò semplicemente del porridge e della
frutta, non mi fu permesso di tenere i candelabri accesi e, di fatto,
fui costretta a smettere di fare qualsiasi cosa al calare del sole e
finii con l’andare a letto prestissimo. Quello che
più mi
turbava era non sapere se mio padre fosse tornato, mi mancava
terribilmente e avevo la brutta sensazione che i suoi viaggi a Londra,
stranamente frequenti dopo il matrimonio di Bella e Rod, non avessero
nulla a che vedere con la casa, ma con qualcosa che turbava anche la
mamma. Non riuscivo a dormire, stavo con l’orecchio teso per
percepire i passi di mio padre sulle scale, ma ormai era evidente che
anche per quella sera non sarebbe tornato; mi alzai dal letto e mi misi
alla finestra, a osservare la luna che si avviava alla sua totale
pienezza. Di colpo sentii dei passi dietro la mia porta,
l’uscio
che si apriva lentamente e una figura alta che si affacciava nella
penombra.
“Padre?”
“Allora sei ancora
sveglia…”
“Mir?”
Mio fratello prese la bacchetta dalla cintola e invocò un
silenzioso INCENDIO rivolgendosi al candelabro sul mio scrittoio, si
mosse fino a sedersi sul divanetto che troneggiava nella parte della
stanza destinata allo studio e ai giochi.
“Vieni qua!”
Mi scostai dalla finestra e raggiunsi Mirzam sul divano, sapevo che
sarebbe arrivata la ramanzina anche da lui, sapevo che dovevamo tutti
impegnarci a non far arrabbiare o turbare la mamma, e che quando
papà non c’era, mio fratello doveva prendere anche
quel
tipo di decisioni al suo posto, così che non dovesse
prenderle
lei.
“Domani ti sveglierai
all’alba e
passerai tutto il giorno nelle cucine ad aiutare i domestici, inoltre
non verrai all’isola di Fair con noi il giorno della partita.
E
niente dischi fino ad agosto.”
Disse tutto questo guardandosi le mani, poi alzò il viso e
mi
fulminò con i suoi occhi tanto chiari da sembrare due laghi
in
pieno inverno.
“Ora vai a dormire, e rifletti
bene su quello
che hai fatto questa mattina, sull’umiliazione che ha provato
nostra madre per colpa tua e di quell’altro disgraziato. Sai
quanto sono pomposi e odiosi i signori Black, pensa come ci prenderanno
in giro quando i figli racconteranno di questa vostra bella
esibizione!”
“Mir, io... ”
“Non so che farmene delle tue
scuse, ragazzina
e comunque non è con me che devi scusarti, ma con nostra
madre e
nostro padre. Sembra quasi che non teniate per niente alla nostra
famiglia, sempre a comportarvi da stupidi bambocci viziati.”
Si era alzato e si era affacciato alla finestra, se era difficile
vedere arrabbiati i miei, vedere arrabbiato e deluso Mirzam era anche
peggio. Chinai il capo e non riuscii a trattenere le lacrime.
“Vuoi che la punizione duri
più a lungo Meissa?”
Negai con la testa.
“Allora risparmiami le tue
lacrime, sono
inutili, bisogna pensare prima di agire… inoltre sono da
deboli,
e tu sei una Sherton, anche se a volte non ti comporti come tale,
quindi guai a te se ti mostri debole con chicchessia, persino con me
che sono tuo fratello!”
Mi asciugai le lacrime e lo guardai: quanto era gelido! Non sembrava
nemmeno lui.
“A domani Meissa.”
“Mir?”
“Non cercare di impietosirmi,
le punizioni le ha decise papà, io sono solo il
portavoce.”
“No, non è per
quello, io… Mir,
perché papà non è ancora tornato? Che
cosa sta
succedendo?”
“Aveva numerosi impegni,
dovrà stare via diversi giorni ancora.”
“E tu non dovresti essere con
lui? Di solito lo segui sempre quando va a controllare la
casa.”
“Non è andato a
Londra per la casa.”
“E per cosa, allora?”
Tornò da me senza rivolgermi nemmeno uno sguardo, si
chinò a prendere un bicchiere e si versò
dell’acqua
dalla caraffa che Kreya mi aveva portato poco prima che Mirzam
entrasse, chiedendomi con un cenno del capo se ne volessi un bicchiere
anch’io.
“Un affare urgente al
ministero, non so nulla di più.”
“E perché avrebbe
mentito alla mamma?”
“Ora che aspetta il bambino,
è meglio che stia tranquilla, no?”
“Mentendo la fa stare
tranquilla? Credi che lei non abbia capito che era una bugia?”
Sorrise senza convinzione.
“Se vuoi la mia opinione, non
credo che abbia
mentito alla mamma, lei è l’unica persona cui lui
dice
sempre tutta la verità.”
“Non è
così, ultimamente lui ci
tiene nascosto qualcosa, quando torna da Londra è sempre
triste
e nervoso.”
“Uhm… e cosa ci
nasconderebbe di preciso, sentiamo?”
“Non lo so, ma sono certa che
c’entrano i Malfoy.”
“Non so se sei peggio tu o
Rigel, con questa
fissazione per i Malfoy. Basta Mey, papà è andato
a una
serie di stupide riunioni del ministero e del Wizengamot, probabilmente
vorrà anche arringare il consiglio nella speranza di far
destituire, una volta per tutte, quello sporco mezzosangue di
Dumbledore da preside di Hogwarts, e gli risponderanno picche. Al
termine di queste giornate così divertenti, si
annoierà a
morte con i Black e i loro discorsi di nobiltà ed etichetta.
A
questo punto, dopo aver passato una serata terrificante con loro, son
più che convinto che si sbronzerà con il whisky
babbano
che Orion tiene in casa apposta per lui, ricordando i bei tempi andati.
Tutto qua. Credo che un programma simile sia più che
sufficiente
per farlo sentire depresso e nervoso, tenuto soprattutto conto che a
nostro padre non piace stare lontano dalla mamma per più di
un
secondo. E che al ritorno deve anche vedere le facce di due mocciosi
che lo fanno vergognare di fronte al suo migliore amico, che di certo
non eccelle nell’arte di educare i figli. Ti basta? A letto
ora!”.
Attese finché non m’infilai a letto poi mi diede
un bacio
sulla fronte, spense la luce e scivolò via, nel tenue
chiarore
del corridoio. Io sospirai, pronta ad affrontare una lunga notte
insonne. Qualsiasi cosa dicesse, anche se mio fratello non mentiva mai,
ero più che convinta che il nervosismo e le assenze di mio
padre
dipendessero da Abraxas Malfoy e dal misterioso uomo vestito di nero
che mi aveva preso per mano.
***
Sirius
Black
Herrengton Hill, Highlands - giov. 15 luglio 1971
Quel
pomeriggio, con Mirzam che aveva raggiunto Alshain a Londra e costretti
a giocare nel maniero, a causa della pioggia, me ne stavo nella nostra
camera con Rigel intento a spiegare gli schemi di Quidditch di
Serpeverde a mio fratello. Era diverso tempo che non mi annoiavo
così tanto, l’ambiente chiuso mi provocava un
forte mal di
testa, quindi li salutai e me ne andai nel patio, a nuotare un
po’, sicuro che mi sarei rilassato e sarei di nuovo stato
meglio.
Di solito non perdevo mai tempo a specchiarmi, conoscevo la mia faccia
e ne ero abbastanza soddisfatto, ma quel giorno indugiai a guardare
l’immagine che l’acqua mi rispediva indietro: ero
già un po’ diverso dal momento della partenza, ero
sicuramente più magro e un po’ meno pallido, e
stavo
perdendo l’aria bambinesca da bambolotto che mia madre si
vantava
avessi ancora. Sicuramente non sarebbe stata contenta al nostro
ritorno, era chiaro che stavamo crescendo, anche i miei capelli si
erano un po’allungati, mi arrivavano quasi alla base del
collo,
mori e leggermente mossi, di solito, ma l’umidità
di
quell’ambiente me li arricciava in modo più
evidente.
Chiusi gli occhi e per un attimo immaginai di vedermi riflesso con i
tatuaggi degli Sherton sul corpo: anche se ancora non avevo avuto modo
di fare domande, sarebbe stato un onore portarli, non sarei
più
stato un bambino, non sarei più stato solo il figlio di mia
madre, ma sarei stato me stesso. Mi tuffai, e lasciai che tutti i
pensieri sparissero nel morbido cullare di quell’acqua dal
profumo di rose. Avevo sempre pensato che non fosse molto mascolina,
un’attività come quella, ma stando accanto agli
Sherton
aveva aperto gli occhi su molte cose, darsi alcuni piaceri non
significava essere deboli femminucce, come sosteneva mio padre,
l’essere forti, l’essere maschi si dimostrava in
modi meno
superficiali, più concreti, ed io avrei dimostrato a me
stesso e
agli altri quello che valevo davvero. Con i fatti, non con le parole.
Uscii dall’acqua e mi misi l’accappatoio addosso,
entrai in
camera e mi vestii mentre gli altri ancora parlavano di Quidditch.
“Sai Sirius, ti starebbero
davvero bene un
paio dei nostri tatuaggi, non sei messo male per essere un
inglese!”
Rigel mi strizzava l’occhio, sorridente, mi resi conto solo
allora che mi ero spogliato in presenza di estranei, io che mi
vergognavo perfino con mio fratello, e capii che forse non era solo una
mia impressione, quei giorni a Herrengton mi stavano davvero
trasformando. Arrossii un po’ ma gli sorrisi a mia volta.
Appena
rivestito, li salutai dicendo che sarei andato a fare un giro nel
chiostro. Quando arrivai alla scalinata che portava agli appartamenti
degli Sherton, sentii la voce d Deidra uscire dalla sala in cui
mangiavamo tutti insieme fin dal primo giorno, perciò salii
un
ramo di scale e l’andai a salutare. Stava sistemando alcune
copertine acquistate per il neonato, seduta su una poltrona vicino al
caminetto, i capelli legati in una treccia, appoggiata sulla spalla
destra, aveva un abito verde, stretto appena sotto il seno, e largo
sotto, come avevo visto portare a tante donne nel suo stato. Meissa
controllava Wezen che gattonava felice, seduta sulla poltrona di fronte
a sua madre: aveva un vestito rosso senza maniche, legato ai fianchi
con una cinta di seta bianca, i capelli sciolti e lunghi fino a
metà schiena. Mi appoggiai allo stipite della porta e le
salutai, Deidra m’invitò a entrare.
“Vuoi del tè,
Sir?”
“Sì grazie, signora
Sherton.”
Entrai, mi piaceva quel quadretto familiare, così inusuale
per
me, mi chiesi se la nostra vita al 12 di Grimmauld Place sarebbe stata
diversa se avessimo avuto una sorella, che magari avrebbe addolcito un
po’ nostra madre. Poi pensai alle mie cugine e capii che
probabilmente una sorella non avrebbe cambiato nulla, nel nostro sangue
c’era una specie di veleno che ammorbava tutto. Senza
accorgermene dovevo avere fatto una faccia pensierosa perché
Deidra si alzò, mi mise un braccio attorno alle spalle e mi
accarezzò i capelli, mentre Kreya mi saltellava attorno
servendomi il tè.
“Perché tu e Meissa
non giocate un
po’? Herrengton può essere divertente anche se non
si
può andare all’avventura per i boschi, ci sono
stanze
segrete e passaggi misteriosi, in questo castello pieno di storia. E'
diventata la principale residenza degli Sherton dopo
l’investitura di Salazar, le leggende dicono che
c’è
nascosto addirittura un tesoro. Magari, se siete fortunati, sarete
proprio voi due a trovarlo... ”
Aveva un’espressione amorevole e piena d’interesse
nei miei
confronti, io annuii, e vidi che anche a Meissa non dispiaceva
l’idea. Si alzò e mi venne incontro, investendomi
con il
suo delicato profumo di fiori, mi prese per mano e mi
trascinò
via, senza una parola, mentre Deidra tornava a occuparsi dei corredini.
Scendemmo le scale e arrivammo nel chiostro, da lì potevamo
raggiungere qualsiasi punto del maniero, il posto ideale per definire
il nostro piano d’attacco: c’era un’aria
decisamente
più fredda del solito e la pioggia continuava a scendere
copiosa, ma stranamente mi sentivo accaldato come se avessi corso fino
a quel momento. Prendemmo l’ala destra del portico, quella in
cui
non ero andato mai fino a quel momento, e da dove spesso di notte avevo
visto comparire la figura inconfondibile di Sherton, intabarrata in una
magnifica veste nera e argento, di ritorno da chissà dove,
quando mi affacciavo dalla finestra per ammirare la luna di Herrengton,
in attesa di prendere sonno.
“Dove andiamo Mei?”
“Non sei mai stato nella Sala
dei Trofei, giusto?”
“No, che
cos’è?”
Già immaginavo una stanza in cui Alshain aveva raccolto
tutti i
premi conquistati durante le sue stagioni di Quidditch a Serpeverde e,
in seguito, quando per circa dodici anni era stato un giocatore
professionista nella squadra del Puddlemore United.
“E’ la sala in cui
sono raccolti i
cimeli che mio padre sta recuperando in giro per il mondo, che
testimoniano il nostro passato, di solito sta via mesi interi a
cercarli anche in regioni lontane.”
Ero incuriosito, Sherton ci aveva raccontato d’innumerevoli
meraviglie, ma dei cimeli di famiglia, che potevano avere circa mille
anni di storia, non ci aveva ancora raccontato nulla. Entrammo in una
sala dal soffitto altissimo, sostenuto da costoloni di pietra che si
ramificavano in alto come le fronde di un albero e
s’intrecciavano come ricami. Ero sconvolto dalla bellezza e
dalla
forza di quelle colonne, sembravamo formiche che camminavano tra alberi
giganteschi. Tutto intorno a noi c’erano armature, spade,
elmi,
scudi, su cui erano impressi serpenti dagli occhi di smeraldo. Alle
pareti c’erano arazzi con scene di guerre e di caccia,
ritratti
di antenati, quadri di ogni epoca e di valore inestimabile.
“Durante le antiche guerre la
nostra famiglia
è stata razziata di tutto e ora, per la prima volta dopo
secoli,
mio padre si sta impegnando a recuperare quanto più
possibile.”
Come ci fu spiegato da Sloughorn la notte del solstizio, la famiglia
Sherton era antichissima e da sempre onorata in tutta la Scozia per il
potere e il coraggio. Intorno all’anno 1000, poi, il
giovanissimo
Hifrig Sherton diede ospitalità e salvò Salazar
Serpeverde, diventandone un valido assistente: il grande maestro lo
insignì del titolo di prediletto ed elevò
Herrengton a
“santuario” della propria ideologia magica. Da
allora tutti
i suoi discendenti, les Bien-Aimès, erano sempre entrati
nella
casa di Serpeverde a Hogwarts, accumulando sempre più potere
e
prestigio, generazione dopo generazione. Ma nella guerra tra i maghi
del Nord, iniziata nel 1251, gli Sherton subirono duri e devastanti
attacchi, durante i quali i rami cadetti furono distrutti, e di quella
famiglia forte e numerosa, in tutta la Scozia, rimase un solo nucleo:
quello originario, quello di Herrengton.
“Mi sa che tuo padre ha una
marea di soldi! Il mio li spreca solo in sciocchezze!”
Pensai sconsolato a quello che mi aspettava una volta tornato a Londra,
a quelle visite a Nocturne Alley, a quegli squallidi oggettucoli orridi
e pericolosi, le uniche cose che gli interessavano, oltre ai suoi
affari.
“Per quel poco che lo conosco,
Orion è
la persona meravigliosa di cui mi parla sempre mio
padre…”
“Forse era così
quando andavano a
scuola, ma ora è cambiato, gli interessano solo gli
affari”.
Mi chiedevo cosa sapesse Mey di mio padre che io non conoscevo,
ricordai lo sguardo carico d’affetto che Orion le aveva
riservato
alla fine del banchetto, a Habarcat, di ritorno dalla passeggiata in
giardino. Rimasi sovrappensiero, poi, dopo aver superato quella
galleria piena di meraviglie, ci fermammo davanti a una pesante porta
di quercia, che si aprì al solo tocco delle sue mani.
“Come hai fatto?”
“Sono le rune, fanno si che
tutte le
protezioni della tenuta mi riconoscano come una Sherton e mi lascino
passare”.
“È a questo che
servono?”
“Sì anche, ma non
solo.”
Entrammo, la stanza era molto più intima e raccolta,
c’erano un caminetto acceso e un tappeto persiano, un paio di
poltrone e una teca che conteneva lo scudo del primo discepolo di
Salazar, fatto con una rara lega di argento e scaglie di drago, legate
dagli elfi in una magica combinazione. E tutto intorno teche con
ampolle, e libri antichi e arazzi, e quadri di antenati, e le foto
della sua magnifica famiglia.
“Questa è una delle
stanze private di
mio padre, qui tiene tutto ciò che conta per lui.”
Mi guardai attorno: quell’uomo era proprio diverso da mio
padre,
non c’erano oggetti preziosi messi lì solo per far
mucchio, tutto quello che si trovava là dentro era un
oggetto
prezioso per il suo valore simbolico, più che per il valore
materiale. Scorsi i titoli dei libri, una ricca raccolta di testi di
erbologia e pozioni, rimasi in parte sorpreso, perché avevo
sempre pensato che quell’uomo fosse interessato soprattutto
alle
arti oscure, come papà. Mi guardai attorno e vidi oggetti
strani, mai visti prima, di cui non immaginavo assolutamente
l’utilità, Mey mi gettò
un’occhiata allarmata
quando mi avvicinai a uno di essi, perciò mi ritrassi
subito,
non volevo di certo metterla nei guai. Mi avvicinai a lei e le presi le
mani, stranamente mi lasciò fare, anche se mi guardava con
occhi
indagatori: erano fredde e pallide, le rune sembravano strani anelli di
seta arabescata che portava con grazia su tutte le dita. Mi chiedevo
dove le donne avessero gli altri tatuaggi, dopo aver visto i corpi di
suo padre e dei suoi fratelli semi nudi, non potevo credere che anche a
loro fossero imposti negli stessi posti.
“Ti ha fatto male?”
“Non molto, ero
preparata”.
“Come ti sei
preparata?”
“Non posso dirtelo,
è un segreto.”
Si allontanò, prese una scatola dal ripiano sopra il
caminetto e si sedette sul tappeto.
“Ti va di giocare a scacchi
magici con me?”
Non era il gioco che più mi entusiasmava, e lei lo sapeva,
in
genere rimediavo solo figure meschine, ma pur di stare da solo con lei,
avrei fatto anche il pagliaccio, così mi tolsi il maglione
che
ancora avevo addosso e lo appoggiai sulla poltrona, rimanendo in
camicia poi mi sedetti di fronte a lei. Notai che sul tappeto erano
sistemati anche dei cuscini: dalla posizione di questi ultimi sembrava
che il compagno di giochi di Mey fosse un adulto, d’altra
parte
in quella casa erano tutti straordinariamente alti, a parte io e mio
fratello; per un attimo mi resi conto di essere stupidamente geloso di
chi poteva godere della compagnia di Meissa, e questo pensiero mi
dipinse la faccia di porpora, oltre ad arrestarmi il respiro. Mi
convinsi che la cosa migliore fosse andarmene, ma non riuscivo a
trovare una scusa che non mi rendesse ulteriormente ridicolo.
“Ci giochi con tuo padre
qui?“.
Cercai di fare l’indifferente, ma c’era una nota
d’impazienza nella mia voce e il rossore che mi saliva dal
collo
verso le orecchie sembrava inarrestabile.
“Sì, mi sta
insegnando da qualche mese”.
Un po’ sollevato dalla risposta, le porsi uno dei sacchettini
che Rigel mi aveva regalato.
“Sono davvero belli questi
pezzi… ma ti
avviso, io non sono un granché a scacchi, per farmi
perdonare
preventivamente della mia inutilità, ti va una tutti gusti
più uno?”
“Grazie“
Mi parve che Meissa arrossisse un pochino, mentre cercava di scegliere
quella col colore meno disgustoso; io sistemavo i pezzi sulla
scacchiera, esaminando i volti dei vari elementi, preso dalla bellezza
dei dettagli dei visi, delle vesti, delle barbe e dei capelli: ero
convinto che il re nero fosse stato intagliato sulle fattezze di
Alshain Sherton, tanto era attraente. Mey si accomodò meglio
sui
cuscini, dall’altra parte della scacchiera, mi osservava con
attenzione ed io cercai di fingere indifferenza, ma sembrava proprio
che lei stesse approfittando dell’occasione per studiarmi a
fondo. Sapevo che non l’avrei scampata, mi ero comportato
malissimo con lei a Habarcat e al matrimonio di mia cugina, ignorandola
completamente, e in quei giorni lì a Herrengton, lei mi
stava
ripagando con la stessa moneta.
“Volevo chiederti scusa per
come mi sono comportato con te… voglio
dire…”
“Penso che tu abbia fatto la
cosa giusta,
Sirius, non credo sia il caso di far pubblicità alla nostra
amicizia.”
“Che cosa vuoi dire? Ti
vergogni di essere mia amica?”
Ero sconcertato.
“Voglio dire che con tutte le
megere pettegole
che c’erano a quelle feste, un sorriso o due risate avrebbero
causato troppe chiacchiere… mi ricordo cosa mi hai detto
alla
festa di Regulus, che idee ha in testa tua madre…”
Mi fissò con quei meravigliosi occhi, e pensai che avrei
dovuto
davvero baciarla davanti a tutti, così che fosse chiaro che
ero
più che disponibile a diventare una pedina nei giochi dei
miei
genitori… magari così avrebbero deciso di
cambiare
programmi…
“Mio padre ci ha detto che a
undici anni, di
solito, qui al Nord, si decide il futuro dei figli… avevo
paura
a chiederti cosa avevano deciso per te…”
I nostri sguardi s’incrociarono, e rimasi con il respiro a
metà.
“Beh, se ti avessero
incastrato, Black, a quest’ora lo sapresti anche tu, non
credi?”
Mi guardò perfida e sprezzante, ed io peggiorai
ulteriormente il mio colorito violaceo.
“Non volevo dire
questo… a chi ti hanno promessa?”
“Perché me lo
chiedi?”
Diventai di fuoco e abbassai lo sguardo, ma per fortuna lei ora
guardava il caminetto e non si accorse di nulla, io rimasi in silenzio.
“A nessuno, mio padre ha
deciso di rimandare tutto a dopo il mio smistamento a
Hogwarts…”
Allora avevo ancora speranze... Iniziammo a giocare, con poco
entusiasmo, io ero sempre molto indeciso nelle mosse.
“Ti piace stare qui?”
“Sì, qui
c’è sempre qualcosa da fare, e i tuoi sono
magnifici”.
La guardai, sostenendo con coraggio il suo sguardo indagatore, mentre
declamavo il mio entusiasmo per Herrengton.
“Anche noi tra alcune
settimane ci trasferiremo a Londra.”
Rivolse l’attenzione alla scacchiera, muovendo pigra un
pedone,
sembrava triste, ed io potevo capirla benissimo, Londra era una
prigione per chi aveva conosciuto la vera libertà.
“Per tua madre e il
bambino?”
“Sì,
c’è il rischio che il
bambino nasca prima del tempo, è ancora presto, vero, ma
è già successo con me e Mirzam, e stavolta lei ha
quasi
quarant’anni. E visto com’è stato
difficile
l’anno scorso con Wezen, sarebbe bene che ci trovassimo il
più vicino possibile al San Mungo.”
“Sì, è
giusto”
Ora aveva tutto un senso, Sherton amava quei luoghi più di
se
stesso, ma di sicuro l’amore per Deidra andava molto al di
là, e non poteva fare qualcosa che la mettesse in pericolo o
comunque in condizioni di disagio per una sua semplice passione.
“Sirius?”
Cercai di riprendermi, non ero affatto in me e lei di nuovo mi
osservava attenta, dimentica quasi degli scacchi, che per me erano
invece l’unica scusa rimastami per non doverla guardare.
“Tu cosa sai di
Hogwarts?”.
Questa era una domanda facile, capace di distogliermi dal baratro
dell’imbarazzo in cui ero ormai scivolato definitivamente,
perciò mi ripresi un pò, cercando di recuperare
il mio
miglior tono canzonatorio, quello che avevo esercitato a lungo con mio
fratello, ma senza grandi risultati stavolta.
“Mmm, vediamo, è un
posto dove si
studia, si fa amicizia con altri maghi e si gioca a Quidditch, i tuoi
fratelli non ti hanno spiegato niente?”
“A me interessano quelle cose
che loro non mi racconterebbero.”
“Eheheh, già, bella
risposta, è
quello che piacerebbe sapere anche a me. Ora vuoi deciderti a muovere
quella torre?”
Riprendemmo a giocare, ma Meissa era ancora distratta, perse dei
pedoni, poi di nuovo tornò alla carica, a me del gioco non
importava nulla, ma cercavo di resistere, così da poter
stare
con lei ancora un po’. La sua mente era lontana, visto che
ormai
guardava assorta il caminetto, senza più curarsi di altro,
quasi
riuscisse a vedere tra le fiamme qualcosa a me invisibile. Era
enigmatica come suo padre, forse tra i suoi figli era quella che per
carattere gli assomigliava di più.
“A me interessa sapere se
esiste un modo per
essere smistati in una casa invece che in un’altra.”
Il discorso era interessante, per un attimo smisi di pensare agli occhi
di Meissa e mi concentrai sulle sue teorie.
“Credi che sia possibile farsi
smistare a piacere?”
“Non lo so, magari un sistema
c’è, basta trovarlo. Tu se potessi scegliere, dove
vorresti essere smistato?”
Riflettei un attimo, l’idea di finire in un posto in cui non
ci
fosse Rigel Sherton non mi sembrava molto allettante, in quel momento,
perciò non ebbi molte esitazioni.
“I miei sono tutti di
Serpeverde, non credo
sia possibile cambiare il proprio destino, credo sia come il sangue che
hai nelle vene, non puoi sceglierlo... poi spero davvero di finire
nella casa di tuo fratello, è un ragazzo davvero
simpatico!”
“Mmm, sì, a volte
….”
Capii di aver fatto una gaffe, dopo la zuffa cui avevamo assistito io e
Regulus, i due fratelli Sherton erano stati confinati in punizione in
camera per due giorni. Tornai a parlare delle Case.
“E tu ? Dove vorresti essere
smistata? Serpe verde immagino!”
“Già, ma la mia
famiglia è la prova che non sempre basta il
sangue.”
Sorrise triste.
“Io non vorrei deludere mio
padre.”
“Credo che tuo padre non
condizioni a queste cose l’amore che prova per i suoi
figli”.
“Me l’ha detto anche
lui spesso, e
proprio per questo vorrei dargli qualcosa di così
importante.”
Se avessi potuto scegliere la famiglia in cui nascere, avrei scelto la
tua: non lo dissi ad alta voce ma lo pensai, lo pensavo da settimane e
questo mi rendeva doloroso il passare dei giorni, perché mi
aspettava un ritorno a casa insopportabile, ora che conoscevo un altro
modo di vivere. Mi guardò sorridente come se avesse intuito
e al
solito, persi la cognizione d quello che stavo facendo, così
in
tre mosse m diede scacco. Rise divertita, ed io mi resi conto che Reg
non era affatto uno scemo se perdeva la testa per lei: io senza
accorgermene, ero a buon punto nella fase di cottura, non
c’era
notte in cui non sognavo i suoi fiori che mi scendevano sul viso, il
sole e i suoi magnifici occhi. Respirai a fondo, mi sembrava di essere
in apnea da ore, le orecchie quasi mi ronzavano. Nella mia vita avevo
già perso molte partite e in seguito ne persi ancora e
ancora,
ma quella fu la prima su cui riflettei davvero a lungo, in seguito, e
che ricordai per anni. Non capii mai come avessi fatto a non vedere in
quale trappola Meissa mi stesse mettendo, benché sembrasse
non
occuparsi affatto della partita. Mi sentii giocato come un pollo e
l’ammirai, per la capacità di tessere trame anche
mentre
pensava a cose così importanti: io, al contrario, non
riuscivo a
portare a termine un progetto, nemmeno se m’impegnavo solo su
quello. Era proprio una slytherin, nessun dubbio.
“Accidenti, sei proprio una
strega!pretendo la rivincita una di queste sere sappilo!”
Meissa rise ancora liberamente, ed io fui sollevato nel vedere la sua
preoccupazione, che in fondo era un po’ anche la mia,
allontanarsi dal suo viso. Meissa mi aveva fatto riflettere, io davo
per scontato che sarei finito a Serpeverde, perché tutti i
Black
finivano lì, ma se fosse accaduto qualcosa di strano? Se le
mie
difficoltà con mio padre non fossero che un sintomo del
fatto
che non ero come tutti gli altri? Che avrebbe detto mio padre se non
fossi entrato a Serpeverde? Era possibile?
“Sir?”
Mi ridestai dai miei pensieri opprimenti, la paura di mio padre e delle
sue reazioni scomposte era ancora bella vivida in me, quindi Herrengton
non mi aveva ancora plasmato del tutto.
“Hai mai visto i
babbani?”
M’incupii. Mey stava risistemando i pezzi nella scatola, mi
dava le spalle mentre trafficava intorno al caminetto.
“Sicuro, qualche volta,
uscendo a Londra con i miei.”
“Voglio dire, hai mai avuto a
che fare con loro?”
“Scherzi? A mia madre verrebbe
un colpo, fosse per lei, finirebbero tutti al rogo.”
“Che ne dici di vederli da
vicino? Tanto a scuola ci sono anche i loro figli, lo sai no?”
“Certo che lo so, ma non mi
pare che qui in giro ci siano dei babbani.”
Ero guardingo, dopo l’esperienza a scacchi
m’aspettavo che
mi tendesse una qualche trappola senza che me ne rendessi conto.
“Qui no, ma dove devo andare
domani sì, che ne dici di venire con me?”
“Io?”
“Vedi qualcun altro qui,
Black?”
Sembrava impaziente di strapparmi un sì, ma volevo capirci
qualcosa d più, l’argomento babbani era un campo
minato
per la mia famiglia, e avevo sentito Alshain ordinare a sua figlia,
esplicitamente, di non dare confidenza agli estranei, non sarebbe stato
un gran risultato farmi coinvolgere in qualcosa con i babbani,
soprattutto col rischio di vedere mia madre venirne a conoscenza.
"Mi spieghi qualcosa di più o
è un segreto?"
"Mi terresti compagnia in un parco
giochi, mentre
mia madre fa visita a una sua vecchia amica. Pensi si possa
fare?”
Celava a stento l’impazienza ed anche un po’
d’irritazione, in quei giorni mi ero accorto che aveva un bel
caratterino, riusciva sempre a ottenere ciò che voleva,
rigirandosi i fratelli e suo padre a piacimento.
“Io e te da soli in mezzo ai
babbani?”
“Ma no, sciocco,
c’è anche
un’amica di mia madre, si occuperà lei della
nostra
sicurezza!”
“Devo solo tenerti
compagnia?”
“Sì.”
Ormai tamburellava impaziente le dita sulla mensola del caminetto,
decisamente scocciata per il mio scarso entusiasmo e la mia
indecisione. Non ci vedevo nulla d'irragionevole, di sicuro, se mia
madre l’avesse saputo, non ci avrebbe trovato nulla da
ridire,
anzi, forse se non l’avessi fatto, mi avrebbe dato del
villano,
visto che gli Sherton mi stavano dando ospitalità da quasi
un
mese senza volere nulla in cambio. Sicuramente, appena fossi stato
lontano da Meissa, mi sarei reso conto che quello era il mio modo di
pensare, non quello di mia madre, ma al momento feci finta di nulla e
accettai.
“Allora va bene, magari ci
portiamo gli
scacchi o le biglie per passare il tempo, ok? O
c’è
qualcos’altro che possiamo fare?"
“Vedremo domani, intanto
grazie.”
Mi sorrise, finalmente allegra.
“Ora è meglio se
torno indietro…”
“Ti senti proprio a disagio
qui!”
Mey mi guardava trionfante e beffarda, o almeno era questa
l’impressione che avevo, io al contrario mi sentivo piccolo
piccolo.
“Beh, sai
com’è, l’hai
detto tu, questa è una delle stanze private di tuo padre,
poi
vorrei tornare da mio fratello prima che inizi a cercarmi e scopra che
sono qui, credo abbia una mezza cotta per te e non
vorrei…”
Mi morsi la lingua, avevo fatto una gaffe spaventosa, avevo appena
rivelato un segreto di mio fratello proprio all’unica persona
che
non doveva saperlo. Meissa sorrise.
“Non ti preoccupare, tuo
fratello ha smesso di
pensare a me da quando Rigel e Mirzam hanno iniziato a insegnargli a
giocare a Quidditch.”
“Tu che ne sai? Non vi siete
mai parlati, in questi giorni, mi pare…”
La guardai incredulo e sospettoso, ero convinto che si stesse facendo
beffe di me, ma lei continuava, come se nulla fosse, a risistemare i
cuscini e ogni tanto mi guardava di sottecchi.
“Vi ho
osservato…”
“Vuoi dire che ci
spii?”
“No, vi osservo, quando si
hanno due fratelli, basta poco per capire certe cose, sai?”
Mi si avvicinò, sparandomi addosso quei penetranti occhi
verdi,
facendomi sentire inerme; cercai di reagire, fingendomi baldanzoso e
polemico ma tremando in cuor mio.
“Non ti credo!”
Meissa rise di nuovo e a me venne di nuovo caldo, era meglio uscire di
lì, mi sentivo come un topo nelle zampe giocose di un
bellissimo
ed enigmatico gatto.
“Devo andare davvero, vieni
via anche tu?”
“Sì”
Attraversammo di nuovo la galleria, salimmo le scale e raggiungemmo il
chiostro, in silenzio, io ancora turbato da quello sguardo indagatore,
Mey persa in pensieri tutti suoi; risalimmo il porticato di destra e
arrivammo ai piedi della scalinata, era il momento di salutarsi.
“Ci vediamo più
tardi, a cena. Grazie della partita!”
Le presi la mano e le diedi un bacio, come avevo visto fare a mio padre
e ad Alshain, attesi che salisse da sua madre e me ne andai,
raggiungendo di corsa la mia stanza. Aprii la porta e richiudendola mi
appoggiai ad essa, mentre ancora Rigel e Regulus ragionavano sugli
schemi. Se davvero ci osservava e capiva, ed ero certo che non mentiva
su questo, di sicuro adesso stava ridendo di me, e di quanto ero debole
di fronte ai suoi giochi. Decisi che era necessaria una buona scusa per
non restare solo con lei il giorno dopo in quel parco. Ma in cuor mio
ero determinato a non lasciarmi sfuggire la possibilità di
passare ancora qualche ora da solo con lei.
***
Sirius
Black
Spinner's End, località ignota - ven.
16 luglio 1971
Quella notte non dormii. Quando scendemmo a cena, trovai Alshain appena
tornato con Mirzam da Londra: aveva ancora il suo mantello nero sopra
una tunica tradizionale nero-argento, i capelli legati in una coda
bassa, guanti e stivali di pelle finissima. Stava davanti al caminetto
con sua figlia sulle ginocchia e l’aiutava a scartare un
regalo
che le aveva appena portato, un grazioso ciondolo d’argento
che
subito lei si mise al collo. A noi ragazzi aveva portato un
po’
di leccornie di Dulcitus e gli inviti per assistere alla partita del
Puddlemere United, che giocavano nell’isola di Fair una
decina di
giorni più tardi contro una locale squadra scozzese: le urla
e i
fischi di entusiasmo miei e di Reg durarono oltre un’ora e a
letto passammo un tempo interminabile a commentare e sognare come
sarebbe andata. Poco prima di salire in camera a cambiarsi per la cena,
Alshain mi diede il permesso di andare con Deidra il giorno dopo,
avremmo usato la metro polvere fino al caminetto della signora Shener,
una maganò che viveva tra i babbani e che avrebbe finto di
essere la nostra tata per quella giornata. Il mattino dopo Kreya mi
fece trovare un paio di “jeans”, una maglietta a
righe con
le mezze manichette, un paio di scarpe “da tennis”
e
Alshain mi impose un incantesimo ai capelli, così che
sembrassero più corti; Meissa era vestita quasi come me,
jeans
blu e maglietta rosa a tinta unita, scarpe da ginnastica e i capelli
parzialmente legati in una treccia. La signora Sherton vestiva invece
un classico abito color malva, ampio, da strega, sotto un mantello nero
con ricami d’argento: al contrario di noi, non sarebbe uscita
per
strada.
“Ecco qua, siete pronti. Mi
raccomando: non date confidenza a nessuno e non fate magie.”
Sherton ci abbracciò, da com’era vestito capii
subito che
con Mirzam, Rigel e Regulus sarebbero andati ad allenarsi a Quidditch a
Cape Ham, e per un attimo provai un senso d’invidia per mio
fratello, ma non ebbi il tempo di ripensarci, perché Alshain
prese il sacchetto della metro polvere e ce la porse, noi ne prendemmo
a turno un pizzico dicendo la destinazione prescelta.
All’arrivo
mi trovai in una stanza microscopica, piena di oggetti stranissimi, con
un odore nauseabondo. Di fronte a me c’erano due donne: una
buffa
signora di mezza età, vestita di grigio, un cappellino tondo
con
dei fiori appiccicati sopra e una strana borsetta da cui uscivano un
paio di ferri lunghi e stretti, l’altra, sciatta, con la
pelle
giallastra, i lunghi capelli neri, unti, attaccati alla faccia, il naso
aquilino e la voce gracchiante. Quest’ultima, Eileen Prince,
ci
diede nervosamente la mano, impaziente di andarsene via camino con la
signora Sherton, lontano da lì. La signora Shener ci fece
subito
segno di seguirla: Mey mi prese per mano e ci avviammo fuori dalla
casa, attraversammo un rachitico giardinetto, uscimmo da un cancelletto
e ci ritrovammo sulla strada principale. Camminammo per qualche metro,
attraversammo un ponte su un fiume sonnolento e ci volgemmo in
direzione di una macchia di alberi che si vedeva qualche decina di
metri più in là, alla destra del ponte. Tutto
intorno a
noi c’erano casette a due piani, piccole e malconce, come
quella
da cui eravamo appena usciti, con un minuscolo giardino che dava sula
strada, tutte con buffi tendaggi ricamati alle finestre, quasi tutte
con un gatto spelacchiato che ronfava sul gradino davanti alla porta.
Sullo sfondo, l’unica cosa che emergeva da quella marea di
case
tutte uguali, era una costruzione a forma di torre, piuttosto alta e
tozza, sembrava abbandonata al suo destino da anni. Quando arrivammo al
parco, la signora Shener si mise seduta su una panchina e
tirò
fuori il suo lavoro a maglia, Meissa che sapeva già cosa ci
aspettava, tirò fuori dal paniere della tata una coperta, e
la
stese a terra, così che potessimo sederci.
“Come si chiama questo
posto?”
“La via in cui siamo apparsi
si chiama
Spinner’s End, il resto… non lo so, so solo che
è
un classico quartiere operaio babbano.”
“Operaio?”
“E’ un quartiere di
gente che qui dorme
soltanto, un tempo lavorava in quella torre grande
laggiù…”
Vidi la sinistra torre grassoccia che incombeva sulla cittadina. Che
significava? Cosa ci facevano i babbani là dentro?
“Mi sembra un posto triste.
Vieni sempre qui quando parti con tua madre?”
“No, andiamo anche a Doire, il
villaggio in
cui è nata, nell’Irlanda del Nord, un paio di
volte siamo
state a Godric Hollow, il villaggio natale di Grifondoro. E un
po’ qua e là.”
La cosa si faceva sempre più complessa e
m’incuriosiva. I miei non mi portavano mai da nessuna parte.
“Perché fate tutti
questi viaggi?”
“Mio padre cerca i
segni…”
“I segni?”
“Mio padre dice che ci sono
dei segni utili a
capire il nostro tempo, che questo è un momento importante,
in
cui possono cambiare tante cose. Io devo crescere ancora per imparare a
riconoscerli, ma mio padre ha detto che quando sarà il
momento
me li spiegherà…”
La guardai perplesso, ogni domanda ne generava almeno altre venti,
avere a che fare con Sherton era entusiasmante, ma per certi versi
anche esasperante, non c’erano mai risposte nette.
“Se passi così il
tuo tempo quando venite qua, non ti annoi?”
Ero attonito e di nuovo mi ritrovai a invidiare mio fratello che in
quel momento stava svolazzando sui boschi di Herrengton libero e felice.
“Sì, per questo ti
ho chiesto di venire
oggi con me, da sola sarei impazzita, almeno ho qualcuno con cui
parlare e giocare…”
Si era sdraiata sulla coperta, a guardare il cielo, io stavo ancora
seduto, felice in cuor mio che avesse chiesto proprio a me di farle
compagnia, poi mi sdrai anch’io, sicuramente ci sarebbe stato
qualcosa di positivo in quella giornata, prima o poi, ma in quel
momento non potevo che considerare strana quella situazione. Osservai
due nuvole panciute, mi accorsi che inclinando la testa di venti gradi
una assumeva il profilo del tondeggiante professor Sloughorn.
“Guarda quelle nuvole, come si
rincorrono!
Forse una delle due si farà ingannare dal vento e
rimarrà
intrappolata in Scozia…”
“Mio padre ti ha
già raccontato la storia della nuvola
allora…”
Mi stava puntando addosso quei suoi occhi che mi facevano sprofondare,
così continuai a fissare il cielo, mentre una brezza leggera
ci
accarezzava appena la faccia: per un attimo tutto quello che avevo
intorno smise di esistere, mi sentivo leggero come quella nuvola,
libero di vagare dove volessi, mi sembrava di avere in quel momento
tutto quello che mi era necessario per vivere.
“Sì, ma non so se
l’ho capita,
cioè, l’ho capita, ma non so perché ce
l’ha
raccontata…”
“Perché siamo come
la nuvola,
così sicuri della nostra superiorità, che
cerchiamo
sempre qualcuno alla nostra altezza, ma così, spesso, ci
isoliamo dalle persone sincere e ci mettiamo nelle mani di chi magari
vuol solo farci del male…”
La guardai confuso, quel discorso non aveva senso.
“Sicura che sia questo il
significato?
Perché allora è strano che ci racconti quella
storia,
visto che lui crede strenuamente che siamo superiori agli
altri.”
“Non è strano, lui
ci invita a non
esagerare nella fiducia verso chi ci sta attorno e si dichiara come
noi, perché potrebbero mentire…”
“I maghi
pericolosi…”
Con un brivido mi tornò in mente la cupa apparizione di
Abraxas
Malfoy la notte del solstizio, ogni volta che pensavo a qualcuno di
temibile mi tornava in mente quell’uomo.
“Hai già esplorato
questo luogo?”
Meissa si sollevò a sedere e con le sue dita affusolate
indicò in direzione del ponte.
“Laggiù
c’è il fiume,
potremmo andarci quando c’è meno sole, anche se
non
c’è molto da vedere, di là invece ci
sono delle
siepi, dei sentieri tra gli alberi, la mattina è ok, ma di
pomeriggio, spesso, ci sono ragazzi e ragazze, che si strusciano e si
baciano.”
Fece una smorfia disgustata, e continuò a guardare in quella
direzione, io chiusi gli occhi e cercai d immaginarmi la scena, non
riuscivo a metterla a fuoco completamente, ma mi risvegliava una certa
curiosità. Non avevo una gran confidenza con le ragazze, di
fatto l’unica ragazzina, a parte le mie cugine, che conoscevo
un
po’ di più era proprio Mey, sentivo il viso in
fiamme ogni
volta che pensavo a lei o mi accorgevo che mi osservava, e non potevo
immaginarmi mentre la baciavo senza provare un senso di totale
smarrimento e desiderio. Se non lo facevo era solo perché le
avevo dato la mia parola che non ci avrei provato mia più.
“Sono quelli i babbani a cui
non dobbiamo dare
confidenza? Credo abbiano di meglio da fare che curarsi di
noi…”
“Ci sono anche alcuni bambini,
spesso giocano
qui, su quelle altalene scrostate, poi ne ho visti
due…”
Si interruppe di colpo e arrossì un poco.
“Due come?”
“Nulla, non giocano come gli
altri, si nascondono tra le siepi e parlottano…”
“Si strusciano pure
loro?”
Risi, le immagini che mi venivano in mente in quel momento erano
davvero ridicole. Riaprii gli occhi e la guardai, era assorta e
lontana. Stava sempre seduta con le gambe incrociate, il corpo
leggermente proteso in avanti, stranamente per lei, che stava sempre
composta, aveva un profilo perfetto, la treccia che le nasceva dalle
tempie scendeva fino a metà schiena, mentre il resto dei
capelli, sciolti, danzavano mossi dalla brezza e le solleticavano il
viso…. Gli occhi avevano lo stesso taglio di quelli di
Alshian,
erano allungati, non tondi come quelli dei suoi fratelli,
l’incarnato era quello della madre, con le stesse timide
efelidi… mi accorsi da quello scorcio che aveva delle ciglia
lunghe e ricurve, sembrava davvero una bambola, e quelle
labbra…
sembravano delle ciliegie pronte per essere assaggiate. Mi sollevai di
colpo anch’io, mi sentivo lo stomaco sottosopra come se fossi
su
un mare agitato, mentre lei, ignara di tutto, continuava a parlare.
“No, sono piccoli, piccoli
come noi,
lui… ha l’aria di saperla lunga, lei ha i capelli
rossi
come mia madre, è graziosa e non perde una parola di quello
che
lui le dice.”
“Potremmo andare a scoprire
cosa combinano.”
Mi accesi all’idea d’aver trovato qualcosa
d’interessante da fare e che mi distraesse dal pensiero delle
ciliegie.
“Non credo sia il caso,
Sirius.”
“Dai. Gli diciamo che vogliamo
giocare, se
hanno qualcosa da nascondere ci diranno di no, perché non ci
vorranno tra i piedi, altrimenti vedremo come giocano i
babbani.”
“Magari oggi nemmeno
vengono.”
Meissa sembrava quasi che lo sperasse, non era convinta,
così
capii che come me, anche lei aveva paura, a mettersi contro le
raccomandazioni dei suoi genitori, forse era meglio desistere.
“Vuoi giocare a scacchi
intanto?”
“Mio padre non me
l’ha lasciati portare,
dice che sono diversi da quelli che usano loro, possiamo usare solo le
biglie…”
“Uffa, ma perché
tua madre ti porta
qui? Con tutto quello che c’è a
Herrengton!”
“Devo vedere quanto i babbani
siano inferiori a noi…”
La guardai stupito.
“Ma la storia della nuvola
allora? Ho capito,
al contrario di tuo padre, tua madre ha le stesse idee dei
miei…”
“… Ti sbagli,
Sirius, mio padre
è ancora più fissato di lei, tutti gli anni fa
fuoco e
fiamme al consiglio per chiedere che Dumbledore, il preside di
Hogwarts, sia sollevato, così che si metta fine alla
presenza di
babbani e mezzosangue in quella scuola di magia.”
Sospirai.
“Sì, riconosco lo
stampo, mio padre la pensa allo stesso modo…"
“E tu?”
“Io cosa?
“La pensi pure tu
così?”
“Non lo so, Meissa, non ci ho
mai pensato...
però se un uomo come tuo padre la pensa in quel modo, forse
è una posizione che ha una sua logica.”
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, consapevoli di parlare di
cose che non comprendevamo appieno e che condividevamo più
per
abitudine che per convinzione.
“Diciamo alla Shener che ci
spostiamo in
quell’ombra laggiù. Possiamo pure vedere se ci
sono
animali, cercare le tracce…”
“Sir, non t arrendi
mai!”
“Sono sotto di tre piante
ancora, ricordi?”
Mi guardavo intorno sperando di trovare qualcosa di notevole da
osservare, mentre Mey aveva già trovato l’oggetto
delle
sue attenzioni: rimase, infatti, seduta immobile a osservarmi,
beffarda, mentre mi agitavo in giro per nulla. La Shener ci diede un
cenno di assenso, c’inoltrammo nei viottoli erbosi: ci
impiegai
poco a capire che quel parco non nascondeva nulla d entusiasmante,
quindi iniziai a cercare un posto adatto a giocare a biglie.
“Guarda Mey!”
Mi ero immerso in un altro anfratto, Meissa si voltò
interrogativa ed io mi misi un dito sulle labbra per dirle di stare
zitta: ci abbassammo tra i cespugli.
“Sono i due che mi
dicevi?”
Tornai a sbirciare tra il fogliame, rimettendo a fuoco due ragazzini
seduti sull’erba che parlottavano animatamente: non mi
sembravano
molto entusiasmanti ma potevamo mettere in atto il piano che le avevo
proposto, eravamo lontani dalla Shener, nessuno ne avrebbe mai saputo
nulla…
“Dai Mey, andiamo a chiedergli
di giocare con noi!”
“No, meglio di no, Sir, sono
babbani!”
La guardai deluso, aveva un’espressione strana, allarmata,
sembrava più spaventata di prima all’idea di
parlare a
quei due ragazzini. Iniziavo a perdere la pazienza, era necessario
trovare qualcosa da fare, o la giornata sarebbe stata un incubo: presi
la coperta e la sistemai a terra, ai piedi di Meissa e mi sdraiai sopra.
“Che fai?”
“L’unica cosa che si
può fare qui, riposarmi e chiacchierare con te!”
“Sei proprio pigro,
Black!”
Sorrisi. Meissa si staccò dalla siepe e si sedette vicino a
me,
spiluccava fiori e foglie dalla siepe, come in trance,
all’inizio
non mi resi conto, ma poi capii.
“Smettila Mei, lo sai che ci
sono dei babbani qui vicino!”
“Shhhh…”
Prese un fiore rosso tra le dita e me lo appoggiò sulla
faccia,
lo sentii zampettare e con un tremito volare via: era diventata una
farfalla dai colori tenui dell’arcobaleno, con due bolli ai
lati,
color verde smeraldo.
“Sei davvero brava. Io al
massimo riesco a far esplodere le cose quando mi
arrabbio…”
Meissa mi sorrise e si sdraiò sul plaid accanto a me, a
osservare le nuvole che si rincorrevano sopra le nostre teste. Sentivo
il calore del suo braccio e della sua gamba sinistra a contatto del mio
braccio e della mia gamba destra, e il suo profumo di fiori che
s’irradiava tutto attorno a me… Scivolai in un
torpore
leggero, mentre pensavo che la felicità in fondo fosse solo
questo: un calore e un profumo che ti arricchiscono la vita e ti
portano via dall’infelicità.
All’improvviso sentii
delle urla e mi ridestai, ci avvicinammo alla siepe e guardammo in
direzione del trambusto: c’erano i due ragazzini di prima ma
era
arrivata anche un’altra bambina, sembrava più
grande,
cavallina e legnosa. Lui doveva averle fatto qualcosa, un dispetto
odioso, la ragazzina più grande aveva gridato spaventata e
poi
gli aveva urlato contro parole incomprensibili da dove ci trovavamo,
allora anche la più piccola gli aveva messo il broncio ed
era
scappata, lasciandolo da solo, lì, con
l’espressione
tipica di chi ha appena rotto il giocattolo più bello che ha.
“Che cosa pensi sia
successo?”
“Credo non apprezzi essere
disturbato quando
sta con quella ragazzina, e l’altra deve averlo fatto
arrabbiare… ma non ho idea di cosa possa averle fatto,
stavamo
dormicchiando, m pare…”
“Io non stavo
dormicchiando!”
Mey era rossa di vergogna e di stizza, con i pugnetti chiusi stretti ai
fianchi, mi guardava ostile, con aria vagamente minacciosa, nei suoi
occhi verdi c’era tutta la determinazione tipica della sua
famiglia, io le risposi con tutta la mia capacità
canzonatoria e
stavolta mi riuscì appieno. Non mi ero mai sentito
così
libero e felice e ora avevo preso una sfrontatezza che mi era usuale
solo con Regulus.
“Ti ho addirittura sentito
russacchiare!”
“Quello eri tu, non
io!”
“Ma sentitela come rigira la
frittata!
“IO NON RUSSACCHIO!”
“Ok ok… me lo
sarò sognato.
Chiedere alla Shener se ci porta a fare un giretto in questa
città? Magari mangiamo qualcosa... inizio a essere un
po’
affamato.”
Mey prese il plaid e ancora offesa si diresse dalla nostra tata con
aria imbronciata, tutta impettita, lasciandomi indietro. Mentre cercavo
invano di tenere il suo passo, vidi all’improvviso uscire da
una
siepe il ragazzino, da solo: con quell’aria cupa, non
sembrava
molto socievole, e visto così da vicino, con quel vestito
scuro
e informe, la sua figura sgraziata lo faceva assomigliare a un
ragnetto. Magro allo spasimo, il naso un po’ grosso, i
capelli
lisci e neri, i vestiti troppo grandi per lui, aveva un cipiglio
arrabbiato e assomigliava alla donna della casa, ne aveva la stessa
aria austera. Immaginai che fosse suo figlio. Andando contro le
raccomandazioni degli adulti, mi avvicinai per parlargli, ma come gli
fui vicino quello mi sibilò.
“TOGLITI DAI PIEDI,
IDIOTA!”
Con una spinta rabbiosa mi costrinse a farmi da parte, lasciandomi
indietro. Rimasi inebetito, mai nessuno mi aveva trattato in quel modo,
nemmeno mio fratello, cui pure avevo dato spesso dei validi motivi. Lo
guardai allontanarsi e quando mi accorsi che davanti al ragazzo, a
pochi metri, c’era un pezzo d legno che avrei potuto usare
per
vendicarmi, provai a concentrarmi un po’.
“Sir, andiamo, tra poco
inizierà a piovere!”
Meissa mi distolse dai miei propositi, m’incamminai con lei e
la
tata verso l’uscita del parco: la prima cosa che notai fu
che,
ovunque guardassi, c’era una malsana aria di trascuratezza,
che
faceva sembrare ben curata persino Grimmauld Place. Le casette a due
piani con giardino e gatto spelacchiato sullo zerbino sembravano
ripetersi e moltiplicarsi all’infinito, creando un serpente
di
mattoni rossicci che si ergeva seguendo la curva sinuosa del fiume. Di
verde ce n’era pochissimo, dalle case uscivano odori molesti
che
solo con molta fantasia potevano essere collegati all’idea d
piatti commestibili; c’era un rumore di fondo caotico su cui
spesso si levavano suoni grida e lamenti: era la prima volta che
m’immergevo in un quartiere babbano e avevo il tempo
d’attraversarlo e studiarlo un po’, e quello che
percepivo
era un’atmosfera di decadenza e disperazione. Quando uscimmo
da
quelle vie anguste e c’immettemmo in una strada
più
grande, vedemmo numerose auto, con i loro gas di scarico puzzolenti,
negozi dalle vetrine illuminate anche di giorno, persone vestite tutte
uguali, con lunghi spolverini color cammello e ombrelli neri attaccati
al braccio e una valigetta nell’altra mano. La signora Shener
si
affacciò sulla strada, levò il braccio e dopo
poco
un’auto si fermò, ci fece salire, la tata diede un
indirizzo all’autista: vidi la città scorrere al
di
là del finestrino, la pioggia rendeva le cose e le persone
infinitamente tristi e disperate. In quei volti, vacui e senza anima,
capii per quale motivo i babbani erano inferiori, e come fosse stata
un’usurpazione costringerci alla clandestinità
mentre loro
che avevano il resto del mondo, non riuscivano a superare la loro
condizione d’inferiorità pur avendo tante risorse
per
evolversi. Ci fermammo di fronte un negozio, con i tavolini
all’aperto e una tenda che riparava da pioggia e sole, ci
sedemmo
e dopo poco arrivò un giovane brufoloso, vestito di bianco e
nero, che prese l’ordine per il pranzo e dopo poco
tornò
con bistecca, patatine fritte e insalata, una caraffa di acqua e della
birra leggera. Ormai avevo bollato quel posto come insignificante e
noioso e la giornata come una vera perdita di tempo, ero impaziente di
tornare a casa, anche ascoltare mio fratello e Rigel discutere degli
schemi di gioco sarebbe stato meglio.
“Per quante ore dovremo stare
ancora qua?”
“Partirete verso le
17.”
“Ma sta piovendo! Non possiamo
stare nel parco: dove passeremo tutto il resto del tempo?”
La prospettiva di altre quattro ore lì mi faceva impazzire e
la
mia disperazione forse trapelò troppo, perché Mey
mi
guardò come se l’avessi appena tradita, in fondo
mi
lamentavo platealmente di dover onorare un impegno preso con lei.
“Ho una sorpresa per voi due,
qualcosa che non
avete mai visto, ma che è molto apprezzato dai vostri
coetanei
babbani.”
“Ah sì, buoni
quelli! Ho incontrato un
tizio nel parco, mi ha insultato e mi ha dato una spallata
e…”
“E stavi anche per vendicarti
con quel bastone, giusto?”
Mey candidamente stava rivelando il mio segreto, sotto gli occhi
atterriti della Shener. Le rivolsi un’occhiataccia, era
palese
che volesse tradirmi per la mia mancanza di tatto, m chiedevo cosa
sarebbe successo.
“Tu come lo sai,
Meissa?”
La Shener era ancora più preoccupata, rendendosi conto che
era coinvolta pure la figlia di Sherton.
“Ho visto tutto, infatti
l’ho chiamato per evitare che si mettesse nei guai.”
La Shener era piuttosto indispettita della nostra mancanza di
responsabilità e di ubbidienza, ma ci promise di non dire
nulla
ai nostri genitori, a patto che d’ora in poi ci fossimo
comportati bene.
“Andiamo a vedere un film al
cinema, mi raccomando di non fare altri danni.”
“Cos’è un
film?”
“Ora lo
vedrete…”
*
Passammo le successive due ore in una sala, al buio, piena di
poltroncine, di odore di tabacco e sudore raffermo e con qualche
sparuto gruppetto di ragazzini rumorosi, raccolti in
“piccionaia”: la storia parlava di un pilota che
acquistava
un catorcio e riusciva a vincere anche le gare più
difficili.
Praticamente patetico!
“Allora ragazzi, come vi
è sembrato?”
“Si divertono con poco i
babbani!”
Cercavo di fare l’indifferente e anche
l’indispettito, per
mascherare la gioia del tempo passato al buio, a respirare
l’odore di Mey e godere della sua vicinanza… a
circa
metà del film avevo sentito nel buio la sua mano cercare la
mia
sul bracciolo, l’avevo lasciata fare, facendole capire che
non
ero più arrabbiato con lei. Quando la luce era tornata nella
sala, le nostre mani erano ancora intrecciate e lei mi aveva guardato
con un senso di gratitudine e un leggero rossore sul viso, ci separammo
in tempo per non essere visti dalla tata e per il resto del pomeriggio
facemmo gli indifferenti, davanti alla coppetta di gelato al cioccolato
e fragola che la tata ci offrì di ritorno al fiume, in
attesa di
tornare a Herrengton. Affrontai il resto del pomeriggio sospeso tra le
nuvole, non mi davano più fastidio il caos e la
meschinità di quei luoghi, non trovai più tanto
orribile
la casa della maganò quando ci ritornammo da lei per usare
il
suo caminetto. Quando mi ritrovai d fronte ad Alshain, nel suo salotto,
non ero ancora pienamente in me. Mio fratello e Rigel stavano giocando
a scacchi magici stesi sulla pelle d’orso, mentre fuori
pioveva a
dirotto, Alshain poco prima del nostro arrivo doveva essere allo
scrittoio accanto al caminetto, come indicavano ancora i rotoli d
pergamena e la piuma appoggiati là sopra. Odorava di sale,
il
che m fece capire che mi ero perso non il Quidditch ma una bella
giornata alla spiaggia.
“Com’è
andata la giornata?”
Sherton ci diede appena il tempo di salire a lavarci e cambiarci poi
pretese un resoconto dettagliato imponendo che non fosse servita la
cena finché non avesse saputo tutto: io ero famelico, dopo
aver
sputato quella parvenza di pranzo nel tovagliolo e aver consumato il
gelato ormai da un pezzo, quindi affrontai la decisione rassegnato, ma
anche spaventato perché temevo che avesse saputo del mio
tentativo di aggredire un ragazzo babbano, o della storia del cinema.
Invece era interessato solo a conoscere le nostre impressioni e notai
che uscì compiaciuto, quindi ordinò che fosse
servita la
cena, particolarmente ricca e abbondante e si congedò da noi
piuttosto presto, apparentemente perché impegnato con la
corrispondenza o per parlare in privato con sua moglie. Mey mi
salutò e andò di sopra, lasciando i signori
Sherton
seduti davanti al caminetto, Mirzam prese il sacchetto della metro
polvere e dopo averci salutati se ne andò, forse dalla sua
Sile
che ancora non avevamo mai visto, Rigel, Reg ed io infine scendemmo nel
chiostro, dove li lasciai ai loro schemi di Quidditch e mi avviai alla
mia consueta nuotata serale nel patio. Dopo alcune settimane, quel rito
non era più un semplice gioco da bambini, era diventato
un’esigenza fisica: mi piaceva stremarmi, vedere quanto
resistevo
alla fatica e m’imponevo di resistere sempre un po’
di
più. Era uno dei metodi che potevo usare per dimostrare a
mio
padre quanto ero diverso da quello che pensava, non ero un rammollito,
non ero…
“Sirius!”
Avevo appena finito di percorrere quella vasca per la terza volta,
quando trovai Alshain Sherton al bordo che mi aspettava, in piedi,
vestito con pantaloni neri e una camicia color antracite, di taglio
babbano, i capelli lasciati sciolti, con stivali nascosti sotto il
tessuto dei pantaloni che aveva indossato per la cena.
“Signore…”
Ero stupito di trovarlo lì, sembrava impegnato quando
c’eravamo congedati e soprattutto non aveva dato
l’idea di
volermi parlare ancora per quella sera. L’atmosfera fredda mi
fece capire che forse non era una visita piacevole quella che mi stava
facendo. Uscii dall’acqua, rimasi in piedi di fronte a lui
che mi
squadrava con uno sguardo leggermente alterato, mi porse
l’asciugamano e attese che mi dessi un’asciugata,
aspettandomi di fronte alla finestra, ad ammirare la luna che era
tornata a farsi strada tra le nuvole: da lì poteva osservare
anche il chiostro, i bracieri ne delineavano la forma, espandendo
giochi d luci e ombre da sotto le volte d pietra. Si voltò
di
nuovo verso d me, che ormai quasi asciutto aspettavo d capire cosa
stesse succedendo. Sembrava davvero arrabbiato.
“Che cosa vi avevo detto
stamani prima della partenza, Sirius?”
Non feci nemmeno in tempo a rispondere.
“Mi pare di avervi
raccomandato di non dare confidenza a nessuno!”
“Ma
signore…”
“Nessun ma,
Sirius…”
“Io non
ho…”
Alshain mi squadrò, guardandomi poi dritto negli occhi, e
costringendomi al silenzio e ad abbassare lo sguardo, nei suoi occhi
pareva danzare lo stesso rossore dei bracieri.
“Sei solo un ragazzino, Sirius
Black, non hai
disciplina e dimostri di non avere idea di cosa potresti fare anche
senza volerlo… non dovevi rivolgergli nemmeno la
parola…”
“Ma
signore…!”
“Tu non puoi sapere come
reagisce un babbano,
nemmeno se fai un gesto innocuo e gentile. Nn puoi fidarti d loro, sono
malevoli, sono crudeli e disonesti!”
“Ma era un
ragazzino!”
“Ce l’hanno nel
sangue, Sirius… e
mi pare che tu l’abbia visto da te, o sbaglio? Non ti
contesto di
aver pensato alla vendetta, l’errore è stato
metterti
nelle condizioni di subire un’offesa da lui….
Immagino che
a casa, quando ti arrabbi o sei triste, ti capiti d fare qualcosa anche
senza volerlo: lo sai da te che non sei capace di governare queste
capacità…. Cosa sarebbe successo se Mey non t
avesse
chiamato? Se avessi perso il controllo di quel pezzo d legno, chi
l’avrebbe governato? Chi avrebbe posto un limite alla tua
rabbia?
Una maganò?”
Era tornato a guardarmi indagatore, ora non sembrava tanto adirato
quanto sconvolto proprio come me: iniziavo a capire, a rendermi conto
di quanto ero arrivato vicino a una tragedia, a quanto avessi messo in
pericolo lui e la sua famiglia, che così gentilmente m
avevano
ospitato in quelle settimane. E per cosa? Per togliermi una
curiosità su un babbano? Ero ammutolito: era molto diverso
dal
modo di mio padre di rimproverarmi e umiliarmi, lui si limitava a
punirmi, Sherton aveva la capacità d farmi rendere conto di
come
una leggerezza potesse trasformarsi in una catastrofe non solo per me,
ma per quanti amavo.
“Mi dispiace, non mi son reso
conto… io….”
“Meriteresti di non venire con
noi alla
partita del Puddlemere United, ma sarebbe palese a tutti che sei in
castigo, invece questa è una questione tra te e me,
perché mi hai molto deluso Sirius. Passerai almeno
un’ora
al giorno con me nei sotterranei o dove
t’indicherò, so
che ti piace dormire al mattino, quindi scenderai all’alba,
ti
assicuro che diventerai più responsabile!”
M diede d nuovo le spalle, continuando a giochicchiare con il pollice
sull’anello all’anulare.
“Signore?”
“Non sono ammesse repliche
alle mie decisioni in questa casa, Sirius.”
“No, io… Volevo
scusarmi…”
Alshain mi guardò, non era più adirato ma non
c’era
ombra della benevolenza che di solito mi dimostrava, e questo m
ferì più di tutto: se perdevo
l’appoggio e la stima
di quell’uomo, ero finito, e mi maledii ancora d
più per
la mia dabbenaggine.
“È il caso che tu
vada a dormire ora. Ci sono domande?”
“Sulla punizione?”
“Su quello che è
successo oggi, sulla
punizione, su quello che vuoi. Penso avrai domande su
Spinner’s
End…”
“Non ho trovato molto
interessante la giornata a dire il vero…”
“E allora perché
volevi parlare a quel ragazzino?”
“Perché era strano,
c’era qualcosa di strano in lui…”
Stava per aggiungere qualcosa ma poi ci ripensò, si
voltò
e andò di nuovo verso le finestre che circondavano il patio,
guardando le stelle, nel cielo finalmente libero da nubi.
“Hai visto qualcosa di strano
in particolare o è solo una tua sensazione?”
“No, non ho visto nulla, stavo
sdraiato con Mey fino a poco prima…”
“Cosa hai detto?”
Mi squadrò interdetto ed io divenni di nuovo porpora.
“Io e Mey eravamo sul plaid e
guardavamo le
nuvole, stavamo parlando della favola che ci ha raccontato la prima
sera qui…”
Alshain si lasciò sfuggire un sorriso sotto i baffi, era la
prima volta che sorrideva da quando era apparso nel patio, mentre io
ero preda della confusione più totale, con le guance in
fiamme,
le parole che mi uscivano balbettando e gli occhi che non riuscivano a
sostenere il suo sguardo.
“Ah sì, la
nuvola… Capisco… Era bello il film?”
Ero sicuro che il peggio dovesse ancora venire, mi chiedevo come
sapesse tutte quelle cose, le mie azioni, i miei pensieri, anche quelli
più segreti, se, come temevo, fosse stata Mey a raccontargli
tutto. Ero infuriato con me stesso, di nuovo quella ragazzina mi aveva
giocato, ed io che non avevo occhi che per lei, che stupido!
“Nn è stata Mey a
dirmi del tuo scontro
con quel ragazzo, sapevo già che sarebbe successo prima che
partiste.”
Sorrideva, stavolta bonariamente, come tutte le volte in cui m
raccontava qualcosa ed io cadevo vittima del suo fascino e della mia
infinita curiosità.
“So leggere gli indizi, per
questo so dove
cercare i cimeli del passato della mia famiglia, o sapevo che ti avrei
trovato sul bordo del precipizio il mattino dopo il tuo arrivo, o che
avresti voluto picchiare il figlio d Eileen Prince fin dalla prima
volta che v foste incontrati, oltre a tante altre
cose…”
Diventai rosso porpora. Chissà cosa racchiudeva quel
“tante altre cose” ... Di nuovo non’ombra
cupa gli
attraversò il volto.
“Da quando sei qui, ti chiedi
se
c’è un motivo preciso per cui vi ho invitato, ci
abbiamo
girato attorno parlando, varie volte: Walburga non è stata
mai
entusiasta d questa storia, vista la mia cattiva nomea, ma tuo padre ha
voluto me come vostro padrino, tuo e di tuo fratello, quado siete
nati…”
Non potevo crederci, era la cosa più meravigliosa che avessi
scoperto nella mia vita. Ne ero felice, dopo la giornata noiosa,
l’incontro col babbano, la ramanzina di Sherton e il suo
sguardo
duro, scoprire che era non solo un amico ma il mio padrino mi ridava
fiducia nel futuro. Mi fiondai su di lui per abbracciarlo, m era
mancato davvero tanto, anche se in fondo era passato pochissimo da
quando c'eravamo congedati dopo cena.
“Non lo sapevi…
dovevo
immaginarlo… questo significa che ho precise
responsabilità verso di voi, e ho promesso, quando eravate
piccoli, che nel tempo che mi resta da vivere vi avrei insegnato tutto
quello che so, tutto quello che a scuola non insegnano più,
come
se foste due dei miei figli.”
“La magia oscura degli
Sherton?”
“No Sirius, non si tratta di
magia
oscura… o meglio, non solo… sentirai molte cose
sulla mia
famiglia e su di me crescendo, lo so, ma non tutto quello che sentirai
corrisponde al vero, anzi… tu sei una delle poche persone
cui ho
dato e darò modo d conoscermi per quello che davvero sono,
solo
tu e pochi altri conosceranno la verità.”
Sorrisi, era un grande onore, e sapevo che su questo non mi avrebbe di
certo mentito.
“Perché mio padre
ha dovuto delegare te
per insegnarci? E’ davvero così poco potente come
mago, da
dover…”
“Non dire sciocchezze Sir, voi
Black siete tra
i maghi più puri e potenti, è solo
che… tuo padre
ha, come dire, perso di vista la strada che porta diritto al cuore dei
suoi figli: è come un fiume, ricco di acqua ma…
c’è una roccia che gli impedisce di fluire come
dovrebbe… io vi aiuterò a togliere quella roccia,
perché voglio bene a tutti e tre.”
Si avvicinò, mi scompigliò i capelli e fece per
congedarsi.
“Personalmente non credo che
mio padre si meriti un amico come te…”
“Personalmente non credo che
tu conosca
davvero tuo padre e ora vai a dormire, è il caso che tu ti
riposi, domattina ti aspetto presto nei sotterranei,
ricordatelo!”
Me ne tornai in camera, mi rivestii e mi sdrai sul letto, Regulus era
già nel mondo dei sogni, sembrava una bambola di cui vedevo
a
malapena i riccioli neri e morbidi disfatti sul cuscino. Osservai la
luna e m resi conto di quanto quella giornata fosse stata lunga e
pregnante per la mia vita. Sherton era il nostro padrino, aveva assunto
fin dalla nostra nascita l’impegno di prendersi cura di noi,
niente e nessuno ci avrebbe mai diviso: ero felice, come mai, eppure,
continuava a risuonarmi sinistra la frase ”nel tempo che mi
resta”. Da giorni ormai ero convinto che sapesse ben
più
di qualcosa sul futuro di tutti noi. E dall’aria cupa che gli
avevo visto in alcune circostanze, avevo il sospetto che nel futuro non
ci fosse solo gioia e serenità. Mi addormentai con un dolore
sordo nello stomaco, la voglia d piangere e la terribile consapevolezza
che, quando aveva cercato di confortarmi, mi avesse mentito.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Valeria
Scheda
Immagine: non
ho ancora ritrovato la fonte di questa immagine
|