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Autore: Terre_del_Nord    20/12/2008    23 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Habarcat - I.016 - Estate a Sherton Manor (1)

I.016


Sirius Black
Herrengton Hill, Highlands - mer. 23/24 giugno 1971

Nei giorni successivi il solstizio, mio fratello ed io ci accorgemmo rapidamente che gli Sherton erano quanto di più lontano dalla famiglia Black potesse esistere sulla faccia della terra: se Alshain ci aveva conquistato già da tempo con il suo modo di fare avventuroso e affascinante, sua moglie si dimostrò da subito la persona più dolce e gentile che potessimo immaginare, l’incarnazione stessa del concetto di madre. Era bella, regale, una vera principessa Slytherin, trasudava nobiltà ed eleganza da qualunque gesto, riusciva a rendere speciale anche un vestito semplice, adatto alla quotidianità della sua casa, e appariva magnificente e meravigliosa anche quando non si ricopriva di gioielli: riusciva a farci sentire al cospetto di una dea, senza averne anche l’altezzosità e la crudeltà, qualità che ero abituato ad associare alle streghe Slytherins, almeno basandomi sull’esempio delle donne di casa Black. Deidra era originaria dell’Irlanda settentrionale e faceva parte dell’antichissima famiglia purosangue dei Llywelyn: era coetanea di Alshain, si erano conosciuti a Hogwarts, dove entrambi erano stati nella casa di Salazar. Alta e sinuosa, con i lunghi capelli rossi, leggermente mossi, che le incorniciavano un viso delicato, perfetto come porcellana, punteggiato da timide efelidi, aveva gli occhi più verdi degli smeraldi di Alshain, lunghe ciglia castane che li ombreggiavano, le labbra rosse e turgide, che nascondevano un sorriso perfetto; aveva la freschezza di una ragazzina, come se in quella famiglia avessero fatto tutti un patto con qualche forza della natura affinché il tempo passasse per loro più lentamente. Anche con i figli l’esperienza fu da subito positiva. Rigel Sherton, tredici anni da compiere in autunno, secondo anno appena concluso a Hogwarts, nuovo cercatore della squadra di Quidditch di Serpeverde, alto già fino al mento di suo padre, occhi azzurri, capelli neri tagliati al collo, quindi corti rispetto ai canoni familiari, era fisicamente la copia perfetta di Alshain alla sua età. Ci trattò esattamente come mi aspettavo dopo quel primo fugace incontro invernale: non solo da amici, ma da fratelli. Era il ragazzo più vitale che avessimo mai conosciuto, brillante, appassionato di sport e di musica, ci confidò di essere persino in procinto di debuttare con il suo gruppo musicale, a Hosmedge, non appena avesse trovato il locale adatto. Mirzam ridendo disse che suo fratello era la copia, in tutto e per tutto, del loro vecchio, pronto a sfruttare qualsiasi talento scoprisse di avere solo per far turbinare i cuori delle ragazzine della scuola. Rigel non negò, anzi ci invitò a unirci a lui al nostro ingresso nella mitica scuola. Dovevo ammettere che l’idea di entrare a Hogwarts, nei mesi precedenti, da un lato mi aveva dato speranza, perché era piacevole la prospettiva di una fuga da casa lunga almeno sette anni, d’altra parte mi aveva provocato spesso ansia e preoccupazione: immaginavo una specie di carcere, almeno da quello che si deduceva dalle descrizioni di mia madre, ma ora, stando a Herrengton, quello spettro sembrava essersi disperso nella tenue luce dei mattini scozzesi. Addirittura non vedevo l’ora di andarci: non mi ero mai reso conto dei vantaggi che conseguivano dall’essere un Black, solo stando a Herrengton capii che non era solo una circostanza nefasta, come mi appariva dal loculo che era la mia camera, ma che la mia famiglia, in fondo, era una delle più rispettate e il nostro uno degli ingressi più attesi a Hogwarts in generale e a Serpeverde in particolare.
Passammo quei primi giorni per lo più a Cape Ham, una magnifica radura che si apriva sul mare, a imparare l’arte del volo, usando i manici che di certo non mancavano in quella casa e assistendo alle performance di quei ragazzi che a caccia del boccino erano delle vere e proprie forze della natura. Non avevano ancora la classe e il fascino del loro padre, e a inventare storie non erano altrettanto bravi, ma rimediavano facilmente raccontandoci molte avventure che avevano come scenario abituale i sotterranei di Serpeverde e come trama i divertenti dispetti che gli slytherins mettevano in atto contro i griffindors. Avevo rapidamente imparato a stare sulla scopa senza tanti problemi, sostenuto dallo sguardo compiaciuto del nostro mentore, oltre che dai fischi d’incitamento dei ragazzi: mio fratello dimostrò da subito una particolare propensione alla caccia al boccino e Rigel ne era davvero entusiasta, perché sapeva che nel giro di pochi anni Serpeverde avrebbe avuto bisogno proprio di allevare un cercatore nuovo, ed era il caso di scoprire un talento fin da subito. Io non rivelai doti particolari, ma vista la mia pigrizia, non mi vedevo impegnato in estenuanti allenamenti alle prime luci dell’alba, per cui non mi rammaricai più di tanto nel rendermi conto che, forse, nel mio rapporto col Quidditch, sarei rimasto soprattutto un appassionato tifoso. E comunque era ancora tutto da dimostrare: personalmente mi sentivo portato per fare il cacciatore, o meglio ancora, il battitore, sghignazzai al pensiero di quanti avversari avrei potuto “legalmente” atterrare. Il nostro battesimo della scopa era stato deciso già il secondo giorno dopo il solstizio: eravamo partiti tutti insieme, Alshain, i suoi tre figli, mio fratello ed io, per una scampagnata di due giorni fino a Cape Ham. Meissa camminava sempre dieci passi davanti a noi, ma a volte tornava indietro per parlare con Mirzam, ignorando totalmente Rigel e noi Black. Mi sembrava che la sua voce fosse più squillante di quanto ricordassi e, soprattutto, suscitava in me un senso di gioia e serenità solo a sentirla, ed anche conciata come una piccola selvaggia, manteneva la grazia con cui vestiva quei begli abiti con cui l’avevo conosciuta l’inverno precedente in Inghilterra. Vederla muoversi tra quei boschi dimostrava quanto fosse la perfetta figlia di Sherton: era una specie di amazzone in miniatura, capace di farci fare una figura miserrima, vista la velocità con cui si muoveva tra gli ostacoli, la resistenza alla fatica, la rapidità con cui trovava le radici e le foglie richieste da suo padre. Mi consolai pensando che quello, in fondo, era il suo mondo, non il mio, e che aveva nel sangue, dalla nascita, tutto quello che io avevo appena iniziato a conoscere. Con questi pensieri rassegnati stavo rientrando alla base con solo la metà delle piante richieste da Alshain, sudato e afflitto, al termine della prima giornata di viaggio, quando sentii una mano sulla mia spalla: era lei, si era avvicinata silenziosa come un fantasma e quasi, dallo spavento, feci cadere tutto.

    “Non sei male, Black, la pianta di mola è difficile da trovare sui crinali esposti a questi venti, ma hai avuto fortuna, a volte serve più quella che l’esperienza, possiamo fare uno scambio?”

La guardai stupito, non credevo, in virtù della nostra vecchia scommessa, che mi potesse proporre uno scambio così vantaggioso: mi offriva tre delle piante che mi servivano in cambio di una sola pianta di mola. Feci un cenno d’assenso con il capo, e atteggiai la bocca a una smorfia che voleva essere un sorriso, senza riuscirci. Fatto lo scambio, cercai di essere gentile e ringraziarla, ma lei mi aveva già lasciato indietro, impegnata a scovare tra i cespugli l’ultima radice che le serviva per completare la raccolta. Quella sera mangiammo la selvaggina che Mirzam e mio fratello erano riusciti a catturare, un paio d lepri di Mirzam e una piccola quaglia di Reg: per i nostri standard era un vero miracolo, perché prima di allora, avevamo avuto difficoltà persino a catturare Sebast, il vecchio gatto pigro di nostra madre. Alshain aveva montato la tenda, che stavolta aveva due ingressi e due zone non comunicanti, una per noi ragazzi e una per sua figlia, lui invece dormì con Mir intorno al fuoco, dopo essere rimasto per ore a parlare con lui fitto fitto sotto le stelle. Fu durante quella cena che iniziammo a parlare di Quidditch e del Puddlemere United, la nostra squadra del cuore, in particolare, con enorme soddisfazione di Alshain, che vi aveva giocato per anni; Alshain e Mirzam, a distanza di venti anni, erano stati entrambi cercatori per la squadra di Serpeverde, riportando la conquista di due coppe della casa a testa. E ora Rigel era avviato sulla stessa strada.

    “Credo di aver visto una foto di nostro padre, che festeggiava la vittoria con lei, signore, lui aveva in mano la scopa e lei teneva la coppa.”.
    “Ah sì, ho capito di quale foto parli, era la prima coppa che ho vinto da cercatore, avevo appena sedici anni e Orion diciotto, finiva gli studi quell’anno. È stato un bel modo per festeggiare una fine e un inizio. L’anno successivo diventai capitano della squadra di Serpeverde e riportammo una seconda vittoria, l’ultimo anno invece, non ho combinato granché, avevo impegni più importanti.”.

La voce gli morì in un sorriso enigmatico, guardò Mir e vidi un’espressione che non dimenticherò mai più, Mirzam sorrise e lo guardò a sua volta, complice, anche Meissa e Rigel sorridevano: in quella casa c’era un clima di cospirazione tra padre e figli che noi nemmeno immaginavamo potesse esistere, né riuscivamo a capire che cosa ci fosse da ridere a perdere una coppa di Quidditch. Dovevamo avere proprio la faccia da idioti se Mirzam si sentì in dovere di darci spiegazioni.

    “Dovete sapere che nostro padre giocava a Quiddicht per un unico motivo, mettersi in mostra e far strage di cuori tra le ragazze d Hogwarts – iniziò con tono chiaramente canzonatorio - ma come spesso accade a quelli come lui, a forza d sfarfalleggiare, è incappato nei verdi occhi di nostra madre, e a quel punto ha completamente perso ogni cognizione del mondo, oltre naturalmente alla coppa di Quidditch”.

Alshain sorrise, solo allora mi resi conto che Mirzam doveva essere nato pochi mesi dopo che Alshain e Deidra erano usciti da Hogwarts, e sentii la mia faccia diventare porpora, avendo finalmente capito la portata di quei sottintesi.

    “E’ vero, dopo aver incrociato gli occhi di mia moglie, la mia vita è cambiata radicalmente e auguro a tutti voi di vivere un giorno un momento come quello. Tutto quello che vi turba e vi spinge a fare cose assurde sparisce dalla vostra mente e nel vostro orizzonte c’è solo la persona che vi accende l’anima. L’unico pensiero che vi tiene in vita è trovare la strada per ottenere il suo cuore.”

Quella notte, nella tenda della radura, non riuscii a prendere sonno, immaginavo come dovesse essere provare un sentimento come quello, talmente forte da cambiare persino il tuo carattere, spingerti lontano da quello che sempre era stato importante per te, portarti contro la tua famiglia, per raggiungere un sogno di felicità. Dentro di me sentii che avrei voluto tutto questo un giorno anche per me, perché non potevo sopportare l’idea di una vita segnata solo dalla convenienza e dal denaro, come avveniva nella mia famiglia, dove c’era tutto quello che apparentemente era importante, ma dove non esisteva amore, in nessuna forma. Rimasi stupito nel rendermi conto che in quei pochi giorni avevo sentito parlare del vero amore molto più che in tutta la mia vita: mi chiesi una volta di più come quell’uomo potesse essere amico di mio padre, perché evidentemente impostavano le proprie esistenze secondo principi e valori diametralmente opposti. Il giorno seguente, mi svegliai con difficoltà, e rimasi un po’ indietro, meditabondo; Reg stava già chiacchierando con Rigel, guardandolo con occhi estasiati, sembrava che quei due si capissero al volo, e passandogli vicino sentii che il giovane Sherton gli stava promettendo di dargli lezioni di volo quanto prima. Meissa era ancora in disparte, ed io ero già pronto ad approfittare del momento di quasi solitudine per avvicinare e parlare con Alshain, quando Mirzam, fino a quel momento sparito nel nulla,ricomparve con un gufo reale sulla spalla e un biglietto per suo padre. Alshain lo lesse e i suoi occhi non tradirono emozioni, poi ci guardò tutti e con uno dei suoi soliti sorrisi invitanti ci propose un cambio di piano.

    “Ragazzi vi va di partire per il Devonshire, o preferite la prima lezione di volo?”

Ci guardammo, non sapevo cosa scegliere, ed anche mio fratello era evidentemente in conflitto: con Alshain qualsiasi scelta portava a un’avventura, sapevamo già che ci saremmo divertiti a Cape Ham, ma probabilmente, se ci proponeva quel viaggio, anche quella scelta doveva avere in sé qualcosa d’interessante. Ancora preda dell’indecisione, mi accorsi che Meissa si era incupita un poco, sembrava l’unica a sapere già come sarebbe andata a finire.

    “Indecisi eh? Allora per questa volta Meissa andrai da sola, Mirzam tu l’accompagnerai a casa, noi quattro invece andremo a volare un po’. Ci vediamo stasera, e, Meissa, ricordati di ascoltare tua madre, e non dar confidenza a nessuno, siamo intesi?”.
    “Si padre.”

Si avvicinò e lo baciò, un po’ triste per la repentina conclusione della sua avventura con noi, ma già proiettata nel suo nuovo impegno. Ero incuriosito, non avendo idea di cosa Meissa e sua madre sarebbero andate a fare nel Devonshire, così non mi resi subito conto che la ragazzina si era avvicinata a me e Reg, se non quando, a sorpresa, ci prese per mano. Chiusi gli occhi, per respirare il buon profumo di rose che emanava senza farmi distrarre dal suo sguardo, sentii la sua mano calda e vibrante tra le mie dita, lei avvicinò il suo viso alle nostre facce, a turno, dicendo soltanto, in un soffio.

    “Guarda in alto”.

Aprii gli occhi e alzai il viso verso il cielo, vidi che stava facendo scendere una cascata di fiori variopinti sulle nostre facce, in un turbine di petali e raggi solari. Mi voltai di nuovo verso di lei, sorrideva nel sole, mi parve che ci fossero persino più fiori variopinti nei suoi occhi verdi. Mi sentii al tempo stesso felice e perduto. Non capivo nulla, né di me stesso né del mondo attorno a me. Quando poco dopo la vidi smaterializzarsi tra gli alberi insieme a suo fratello, sentii una strana stretta allo stomaco, insopportabile. In quel momento il Quidditch mi apparve una delle cose più stupide della terra.

***

Meissa Sherton
Herrengton Hill, Highlands - giov. 8 luglio 1971

    “Sei solo una ragazzina stupida e capricciosa!”
    “E tu sei un idiota! Ti odio!”

Io e Rigel ci stavamo rincorrendo attorno al tavolo della sala grande, voleva afferrarmi e riprendersi la vecchia sciarpa di Serpeverde di nostro padre che mi aveva dato a Natale, sostenendo che me l’avesse data solo in prestito, quando tutti sapevano che me l’aveva regalata.

    “Me l’hai regalata, R-E-G-A-L-A-T-A!”
    “E cosa te ne faresti su nella torre di Corvonero!?”

Mi fermai di colpo, lo fissai con odio e lo caricai, prendendolo di sorpresa e atterrandolo, gli ero sopra e mi ritrovai a tempestarlo di pugni senza forza, era evidente che non gli stavo facendo male, ma mio fratello mi guardava come se stesse vivendo un sogno, qualcosa d’irreale, d’impossibile: forse aveva capito che su quel punto non era una buona idea farmi arrabbiare. Ma non era paura o rimorso quello che gli leggevo negli occhi, era solo una cosa: pietà. E questo mi faceva crescere ancora di più la rabbia in corpo. In quel momento i fratelli Black entrarono per la colazione, io mi sollevai da Rigel e rossa in viso cercai di recuperare un minimo di contegno, mentre mio fratello si risistemava la camicia e si pettinava i capelli con le dita. Notai lo sguardo a metà tra l’incuriosito e l’ironico negli occhi del maggiore dei Black e lo fulminai a mia volta con uno sguardo truce che voleva semplicemente significare “FATTI I CAVOLI TUOI, SCIOCCO DAMERINO INGLESE!”. In quel momento non m’importava che fosse il ragazzino più bello che avessi mai visto nella mia vita. Mia madre e Mirzam entrarono subito dopo, la scena che si presentò loro in sala sembrava tranquilla, nulla lasciava intuire il caos che si era creato pochi istanti prima del loro arrivo, a parte la sciarpa di nostro padre che, nella concitazione finale, era stata gettata da Rigel in alto perché non la prendessi e ora svolazzava appesa su una coda di serpe che ornava un candelabro. Ma era evidente dai loro visi tirati che ci avevano sentito, sicuramente le nostre urla erano risuonate in buona parte della torre. Mia madre si sedette al suo posto, semplicemente bellissima e austera, in un elegante abito turchese, leggero e ampio, che ne nascondeva le forme morbide e arrotondate dalla gravidanza, i capelli raccolti in uno chignon fermato da dei nastri con delle perle. Mio fratello Mirzam l’aiutò ad accomodarsi, come faceva sempre mio padre quando era a casa, poi si sedette al suo posto, subito seguito da Rigel e dai fratelli Black, tutti alla sinistra del posto vuoto di mio padre, io mi misi alla sinistra di mia madre, all’altro capo del tavolo. Gli elfi ci servirono la colazione mentre nella sala non volava una mosca, avevamo il permesso di parlare solo dopo che i nostri genitori ci avessero dato il buon giorno, ma quella mattina mia madre sembrava presa in tutt’altri pensieri e sembrava non vederci neanche, alla fine ci diede il buon giorno per abitudine, senza curarsi effettivamente di noi. Poco dopo Hermes, il gufo reale di nostro padre, bussò alla nostra finestra, Mirzam si alzò per recuperare la lettera e la porse a nostra madre, che con una certa impazienza celata dai suoi modi sobri e aristocratici, si dedicò alla lettura: era evidente che le notizie non erano quelle che si aspettava e che si augurava, il suo viso fu attraversato da un velo di preoccupazione, celato a stento. Si pulì le labbra con delicatezza, fece dardeggiare i suoi occhi su tutti noi, ci rivolse la parola, chiedendo ai fratelli Black se avessero dormito bene e poi volgendosi a Mirzam lo invitò a portare i nostri ospiti a Cape Ham, dove c’era una meravigliosa radura perfetta per gli allenamenti di Quidditch. Quindi, rimasti soli, si dedicò a me e a Rigel, con occhi che di colpo avevano perso tutta l’amorevolezza che di solito riversava su di noi.

    “Siete indegni di sedere alla mia presenza, siete due ingrati. Per tutto il giorno resterete in camera vostra a riflettere su quello che significa essere fratelli in questa casa”.
    “Scusa, madre”

Rigel mostrò il suo miglior faccino da bravo ragazzo, quando faceva così nostra madre non riusciva a negargli nulla, io e Mirzam eravamo convinti che fosse il suo preferito tra noi, così come io ero la preferita di mio padre, anche se non si poteva dire che i nostri genitori tramutassero quelle preferenze in ingiustizie.

    “Stavolta non ve la caverete con poco, ci avete messo in imbarazzo di fronte ai figli di Walburga Black, vergognatevi! E ora sparite dalla mia vista”.

Me ne andai avvilita in camera mia, al terzo piano della torre, mi tuffai sul letto e mi misi a giocare con i capelli: stavolta l’avevamo fatta grossa. Non osavo immaginare che punizione i miei ci avrebbero dato, difficilmente venivamo puniti, ma quando capitava era tremendo, perché non venivamo picchiati, certo, né offesi o umiliati, ma il senso di delusione nei loro sguardi, il gelo nella voce, la privazione di gesti calorosi, di baci e abbracci, era qualcosa di più doloroso degli schiaffi. Non sapevo cosa stesse capitando a Rigel, ma io non fui convocata per il pranzo e nemmeno per la cena, Kreya mi portò semplicemente del porridge e della frutta, non mi fu permesso di tenere i candelabri accesi e, di fatto, fui costretta a smettere di fare qualsiasi cosa al calare del sole e finii con l’andare a letto prestissimo. Quello che più mi turbava era non sapere se mio padre fosse tornato, mi mancava terribilmente e avevo la brutta sensazione che i suoi viaggi a Londra, stranamente frequenti dopo il matrimonio di Bella e Rod, non avessero nulla a che vedere con la casa, ma con qualcosa che turbava anche la mamma. Non riuscivo a dormire, stavo con l’orecchio teso per percepire i passi di mio padre sulle scale, ma ormai era evidente che anche per quella sera non sarebbe tornato; mi alzai dal letto e mi misi alla finestra, a osservare la luna che si avviava alla sua totale pienezza. Di colpo sentii dei passi dietro la mia porta, l’uscio che si apriva lentamente e una figura alta che si affacciava nella penombra.

    “Padre?”
    “Allora sei ancora sveglia…”
    “Mir?”

Mio fratello prese la bacchetta dalla cintola e invocò un silenzioso INCENDIO rivolgendosi al candelabro sul mio scrittoio, si mosse fino a sedersi sul divanetto che troneggiava nella parte della stanza destinata allo studio e ai giochi.

    “Vieni qua!”

Mi scostai dalla finestra e raggiunsi Mirzam sul divano, sapevo che sarebbe arrivata la ramanzina anche da lui, sapevo che dovevamo tutti impegnarci a non far arrabbiare o turbare la mamma, e che quando papà non c’era, mio fratello doveva prendere anche quel tipo di decisioni al suo posto, così che non dovesse prenderle lei.

    “Domani ti sveglierai all’alba e passerai tutto il giorno nelle cucine ad aiutare i domestici, inoltre non verrai all’isola di Fair con noi il giorno della partita. E niente dischi fino ad agosto.”

Disse tutto questo guardandosi le mani, poi alzò il viso e mi fulminò con i suoi occhi tanto chiari da sembrare due laghi in pieno inverno.

    “Ora vai a dormire, e rifletti bene su quello che hai fatto questa mattina, sull’umiliazione che ha provato nostra madre per colpa tua e di quell’altro disgraziato. Sai quanto sono pomposi e odiosi i signori Black, pensa come ci prenderanno in giro quando i figli racconteranno di questa vostra bella esibizione!”
    “Mir, io... ”
    “Non so che farmene delle tue scuse, ragazzina e comunque non è con me che devi scusarti, ma con nostra madre e nostro padre. Sembra quasi che non teniate per niente alla nostra famiglia, sempre a comportarvi da stupidi bambocci viziati.”

Si era alzato e si era affacciato alla finestra, se era difficile vedere arrabbiati i miei, vedere arrabbiato e deluso Mirzam era anche peggio. Chinai il capo e non riuscii a trattenere le lacrime.

    “Vuoi che la punizione duri più a lungo Meissa?”

Negai con la testa.

    “Allora risparmiami le tue lacrime, sono inutili, bisogna pensare prima di agire… inoltre sono da deboli, e tu sei una Sherton, anche se a volte non ti comporti come tale, quindi guai a te se ti mostri debole con chicchessia, persino con me che sono tuo fratello!”

Mi asciugai le lacrime e lo guardai: quanto era gelido! Non sembrava nemmeno lui.

    “A domani Meissa.”
    “Mir?”
    “Non cercare di impietosirmi, le punizioni le ha decise papà, io sono solo il portavoce.”
    “No, non è per quello, io… Mir, perché papà non è ancora tornato? Che cosa sta succedendo?”
    “Aveva numerosi impegni, dovrà stare via diversi giorni ancora.”
    “E tu non dovresti essere con lui? Di solito lo segui sempre quando va a controllare la casa.”
    “Non è andato a Londra per la casa.”
    “E per cosa, allora?”

Tornò da me senza rivolgermi nemmeno uno sguardo, si chinò a prendere un bicchiere e si versò dell’acqua dalla caraffa che Kreya mi aveva portato poco prima che Mirzam entrasse, chiedendomi con un cenno del capo se ne volessi un bicchiere anch’io.

    “Un affare urgente al ministero, non so nulla di più.”
    “E perché avrebbe mentito alla mamma?”
    “Ora che aspetta il bambino, è meglio che stia tranquilla, no?”
    “Mentendo la fa stare tranquilla? Credi che lei non abbia capito che era una bugia?”

Sorrise senza convinzione.

    “Se vuoi la mia opinione, non credo che abbia mentito alla mamma, lei è l’unica persona cui lui dice sempre tutta la verità.”
    “Non è così, ultimamente lui ci tiene nascosto qualcosa, quando torna da Londra è sempre triste e nervoso.”
    “Uhm… e cosa ci nasconderebbe di preciso, sentiamo?”
    “Non lo so, ma sono certa che c’entrano i Malfoy.”
    “Non so se sei peggio tu o Rigel, con questa fissazione per i Malfoy. Basta Mey, papà è andato a una serie di stupide riunioni del ministero e del Wizengamot, probabilmente vorrà anche arringare il consiglio nella speranza di far destituire, una volta per tutte, quello sporco mezzosangue di Dumbledore da preside di Hogwarts, e gli risponderanno picche. Al termine di queste giornate così divertenti, si annoierà a morte con i Black e i loro discorsi di nobiltà ed etichetta. A questo punto, dopo aver passato una serata terrificante con loro, son più che convinto che si sbronzerà con il whisky babbano che Orion tiene in casa apposta per lui, ricordando i bei tempi andati. Tutto qua. Credo che un programma simile sia più che sufficiente per farlo sentire depresso e nervoso, tenuto soprattutto conto che a nostro padre non piace stare lontano dalla mamma per più di un secondo. E che al ritorno deve anche vedere le facce di due mocciosi che lo fanno vergognare di fronte al suo migliore amico, che di certo non eccelle nell’arte di educare i figli. Ti basta? A letto ora!”.

Attese finché non m’infilai a letto poi mi diede un bacio sulla fronte, spense la luce e scivolò via, nel tenue chiarore del corridoio. Io sospirai, pronta ad affrontare una lunga notte insonne. Qualsiasi cosa dicesse, anche se mio fratello non mentiva mai, ero più che convinta che il nervosismo e le assenze di mio padre dipendessero da Abraxas Malfoy e dal misterioso uomo vestito di nero che mi aveva preso per mano.

***

Sirius Black
Herrengton Hill, Highlands - giov. 15 luglio 1971

Quel pomeriggio, con Mirzam che aveva raggiunto Alshain a Londra e costretti a giocare nel maniero, a causa della pioggia, me ne stavo nella nostra camera con Rigel intento a spiegare gli schemi di Quidditch di Serpeverde a mio fratello. Era diverso tempo che non mi annoiavo così tanto, l’ambiente chiuso mi provocava un forte mal di testa, quindi li salutai e me ne andai nel patio, a nuotare un po’, sicuro che mi sarei rilassato e sarei di nuovo stato meglio. Di solito non perdevo mai tempo a specchiarmi, conoscevo la mia faccia e ne ero abbastanza soddisfatto, ma quel giorno indugiai a guardare l’immagine che l’acqua mi rispediva indietro: ero già un po’ diverso dal momento della partenza, ero sicuramente più magro e un po’ meno pallido, e stavo perdendo l’aria bambinesca da bambolotto che mia madre si vantava avessi ancora. Sicuramente non sarebbe stata contenta al nostro ritorno, era chiaro che stavamo crescendo, anche i miei capelli si erano un po’allungati, mi arrivavano quasi alla base del collo, mori e leggermente mossi, di solito, ma l’umidità di quell’ambiente me li arricciava in modo più evidente. Chiusi gli occhi e per un attimo immaginai di vedermi riflesso con i tatuaggi degli Sherton sul corpo: anche se ancora non avevo avuto modo di fare domande, sarebbe stato un onore portarli, non sarei più stato un bambino, non sarei più stato solo il figlio di mia madre, ma sarei stato me stesso. Mi tuffai, e lasciai che tutti i pensieri sparissero nel morbido cullare di quell’acqua dal profumo di rose. Avevo sempre pensato che non fosse molto mascolina, un’attività come quella, ma stando accanto agli Sherton aveva aperto gli occhi su molte cose, darsi alcuni piaceri non significava essere deboli femminucce, come sosteneva mio padre, l’essere forti, l’essere maschi si dimostrava in modi meno superficiali, più concreti, ed io avrei dimostrato a me stesso e agli altri quello che valevo davvero. Con i fatti, non con le parole. Uscii dall’acqua e mi misi l’accappatoio addosso, entrai in camera e mi vestii mentre gli altri ancora parlavano di Quidditch.

    “Sai Sirius, ti starebbero davvero bene un paio dei nostri tatuaggi, non sei messo male per essere un inglese!”

Rigel mi strizzava l’occhio, sorridente, mi resi conto solo allora che mi ero spogliato in presenza di estranei, io che mi vergognavo perfino con mio fratello, e capii che forse non era solo una mia impressione, quei giorni a Herrengton mi stavano davvero trasformando. Arrossii un po’ ma gli sorrisi a mia volta. Appena rivestito, li salutai dicendo che sarei andato a fare un giro nel chiostro. Quando arrivai alla scalinata che portava agli appartamenti degli Sherton, sentii la voce d Deidra uscire dalla sala in cui mangiavamo tutti insieme fin dal primo giorno, perciò salii un ramo di scale e l’andai a salutare. Stava sistemando alcune copertine acquistate per il neonato, seduta su una poltrona vicino al caminetto, i capelli legati in una treccia, appoggiata sulla spalla destra, aveva un abito verde, stretto appena sotto il seno, e largo sotto, come avevo visto portare a tante donne nel suo stato. Meissa controllava Wezen che gattonava felice, seduta sulla poltrona di fronte a sua madre: aveva un vestito rosso senza maniche, legato ai fianchi con una cinta di seta bianca, i capelli sciolti e lunghi fino a metà schiena. Mi appoggiai allo stipite della porta e le salutai, Deidra m’invitò a entrare.

    “Vuoi del tè, Sir?”
    “Sì grazie, signora Sherton.”

Entrai, mi piaceva quel quadretto familiare, così inusuale per me, mi chiesi se la nostra vita al 12 di Grimmauld Place sarebbe stata diversa se avessimo avuto una sorella, che magari avrebbe addolcito un po’ nostra madre. Poi pensai alle mie cugine e capii che probabilmente una sorella non avrebbe cambiato nulla, nel nostro sangue c’era una specie di veleno che ammorbava tutto. Senza accorgermene dovevo avere fatto una faccia pensierosa perché Deidra si alzò, mi mise un braccio attorno alle spalle e mi accarezzò i capelli, mentre Kreya mi saltellava attorno servendomi il tè.

    “Perché tu e Meissa non giocate un po’? Herrengton può essere divertente anche se non si può andare all’avventura per i boschi, ci sono stanze segrete e passaggi misteriosi, in questo castello pieno di storia. E' diventata la principale residenza degli Sherton dopo l’investitura di Salazar, le leggende dicono che c’è nascosto addirittura un tesoro. Magari, se siete fortunati, sarete proprio voi due a trovarlo... ”

Aveva un’espressione amorevole e piena d’interesse nei miei confronti, io annuii, e vidi che anche a Meissa non dispiaceva l’idea. Si alzò e mi venne incontro, investendomi con il suo delicato profumo di fiori, mi prese per mano e mi trascinò via, senza una parola, mentre Deidra tornava a occuparsi dei corredini. Scendemmo le scale e arrivammo nel chiostro, da lì potevamo raggiungere qualsiasi punto del maniero, il posto ideale per definire il nostro piano d’attacco: c’era un’aria decisamente più fredda del solito e la pioggia continuava a scendere copiosa, ma stranamente mi sentivo accaldato come se avessi corso fino a quel momento. Prendemmo l’ala destra del portico, quella in cui non ero andato mai fino a quel momento, e da dove spesso di notte avevo visto comparire la figura inconfondibile di Sherton, intabarrata in una magnifica veste nera e argento, di ritorno da chissà dove, quando mi affacciavo dalla finestra per ammirare la luna di Herrengton, in attesa di prendere sonno.

    “Dove andiamo Mei?”
    “Non sei mai stato nella Sala dei Trofei, giusto?”
    “No, che cos’è?”

Già immaginavo una stanza in cui Alshain aveva raccolto tutti i premi conquistati durante le sue stagioni di Quidditch a Serpeverde e, in seguito, quando per circa dodici anni era stato un giocatore professionista nella squadra del Puddlemore United.

    “E’ la sala in cui sono raccolti i cimeli che mio padre sta recuperando in giro per il mondo, che testimoniano il nostro passato, di solito sta via mesi interi a cercarli anche in regioni lontane.”

Ero incuriosito, Sherton ci aveva raccontato d’innumerevoli meraviglie, ma dei cimeli di famiglia, che potevano avere circa mille anni di storia, non ci aveva ancora raccontato nulla. Entrammo in una sala dal soffitto altissimo, sostenuto da costoloni di pietra che si ramificavano in alto come le fronde di un albero e s’intrecciavano come ricami. Ero sconvolto dalla bellezza e dalla forza di quelle colonne, sembravamo formiche che camminavano tra alberi giganteschi. Tutto intorno a noi c’erano armature, spade, elmi, scudi, su cui erano impressi serpenti dagli occhi di smeraldo. Alle pareti c’erano arazzi con scene di guerre e di caccia, ritratti di antenati, quadri di ogni epoca e di valore inestimabile.

    “Durante le antiche guerre la nostra famiglia è stata razziata di tutto e ora, per la prima volta dopo secoli, mio padre si sta impegnando a recuperare quanto più possibile.”

Come ci fu spiegato da Sloughorn la notte del solstizio, la famiglia Sherton era antichissima e da sempre onorata in tutta la Scozia per il potere e il coraggio. Intorno all’anno 1000, poi, il giovanissimo Hifrig Sherton diede ospitalità e salvò Salazar Serpeverde, diventandone un valido assistente: il grande maestro lo insignì del titolo di prediletto ed elevò Herrengton a “santuario” della propria ideologia magica. Da allora tutti i suoi discendenti, les Bien-Aimès, erano sempre entrati nella casa di Serpeverde a Hogwarts, accumulando sempre più potere e prestigio, generazione dopo generazione. Ma nella guerra tra i maghi del Nord, iniziata nel 1251, gli Sherton subirono duri e devastanti attacchi, durante i quali i rami cadetti furono distrutti, e di quella famiglia forte e numerosa, in tutta la Scozia, rimase un solo nucleo: quello originario, quello di Herrengton.

    “Mi sa che tuo padre ha una marea di soldi! Il mio li spreca solo in sciocchezze!”

Pensai sconsolato a quello che mi aspettava una volta tornato a Londra, a quelle visite a Nocturne Alley, a quegli squallidi oggettucoli orridi e pericolosi, le uniche cose che gli interessavano, oltre ai suoi affari.

    “Per quel poco che lo conosco, Orion è la persona meravigliosa di cui mi parla sempre mio padre…”
    “Forse era così quando andavano a scuola, ma ora è cambiato, gli interessano solo gli affari”.

Mi chiedevo cosa sapesse Mey di mio padre che io non conoscevo, ricordai lo sguardo carico d’affetto che Orion le aveva riservato alla fine del banchetto, a Habarcat, di ritorno dalla passeggiata in giardino. Rimasi sovrappensiero, poi, dopo aver superato quella galleria piena di meraviglie, ci fermammo davanti a una pesante porta di quercia, che si aprì al solo tocco delle sue mani.

    “Come hai fatto?”
    “Sono le rune, fanno si che tutte le protezioni della tenuta mi riconoscano come una Sherton e mi lascino passare”.
    “È a questo che servono?”
    “Sì anche, ma non solo.”

Entrammo, la stanza era molto più intima e raccolta, c’erano un caminetto acceso e un tappeto persiano, un paio di poltrone e una teca che conteneva lo scudo del primo discepolo di Salazar, fatto con una rara lega di argento e scaglie di drago, legate dagli elfi in una magica combinazione. E tutto intorno teche con ampolle, e libri antichi e arazzi, e quadri di antenati, e le foto della sua magnifica famiglia.

    “Questa è una delle stanze private di mio padre, qui tiene tutto ciò che conta per lui.”

Mi guardai attorno: quell’uomo era proprio diverso da mio padre, non c’erano oggetti preziosi messi lì solo per far mucchio, tutto quello che si trovava là dentro era un oggetto prezioso per il suo valore simbolico, più che per il valore materiale. Scorsi i titoli dei libri, una ricca raccolta di testi di erbologia e pozioni, rimasi in parte sorpreso, perché avevo sempre pensato che quell’uomo fosse interessato soprattutto alle arti oscure, come papà. Mi guardai attorno e vidi oggetti strani, mai visti prima, di cui non immaginavo assolutamente l’utilità, Mey mi gettò un’occhiata allarmata quando mi avvicinai a uno di essi, perciò mi ritrassi subito, non volevo di certo metterla nei guai. Mi avvicinai a lei e le presi le mani, stranamente mi lasciò fare, anche se mi guardava con occhi indagatori: erano fredde e pallide, le rune sembravano strani anelli di seta arabescata che portava con grazia su tutte le dita. Mi chiedevo dove le donne avessero gli altri tatuaggi, dopo aver visto i corpi di suo padre e dei suoi fratelli semi nudi, non potevo credere che anche a loro fossero imposti negli stessi posti.

    “Ti ha fatto male?”
    “Non molto, ero preparata”.
    “Come ti sei preparata?”
    “Non posso dirtelo, è un segreto.”

Si allontanò, prese una scatola dal ripiano sopra il caminetto e si sedette sul tappeto.

    “Ti va di giocare a scacchi magici con me?”

Non era il gioco che più mi entusiasmava, e lei lo sapeva, in genere rimediavo solo figure meschine, ma pur di stare da solo con lei, avrei fatto anche il pagliaccio, così mi tolsi il maglione che ancora avevo addosso e lo appoggiai sulla poltrona, rimanendo in camicia poi mi sedetti di fronte a lei. Notai che sul tappeto erano sistemati anche dei cuscini: dalla posizione di questi ultimi sembrava che il compagno di giochi di Mey fosse un adulto, d’altra parte in quella casa erano tutti straordinariamente alti, a parte io e mio fratello; per un attimo mi resi conto di essere stupidamente geloso di chi poteva godere della compagnia di Meissa, e questo pensiero mi dipinse la faccia di porpora, oltre ad arrestarmi il respiro. Mi convinsi che la cosa migliore fosse andarmene, ma non riuscivo a trovare una scusa che non mi rendesse ulteriormente ridicolo.

    “Ci giochi con tuo padre qui?“.

Cercai di fare l’indifferente, ma c’era una nota d’impazienza nella mia voce e il rossore che mi saliva dal collo verso le orecchie sembrava inarrestabile.

    “Sì, mi sta insegnando da qualche mese”.

Un po’ sollevato dalla risposta, le porsi uno dei sacchettini che Rigel mi aveva regalato.

    “Sono davvero belli questi pezzi… ma ti avviso, io non sono un granché a scacchi, per farmi perdonare preventivamente della mia inutilità, ti va una tutti gusti più uno?”
    “Grazie“

Mi parve che Meissa arrossisse un pochino, mentre cercava di scegliere quella col colore meno disgustoso; io sistemavo i pezzi sulla scacchiera, esaminando i volti dei vari elementi, preso dalla bellezza dei dettagli dei visi, delle vesti, delle barbe e dei capelli: ero convinto che il re nero fosse stato intagliato sulle fattezze di Alshain Sherton, tanto era attraente. Mey si accomodò meglio sui cuscini, dall’altra parte della scacchiera, mi osservava con attenzione ed io cercai di fingere indifferenza, ma sembrava proprio che lei stesse approfittando dell’occasione per studiarmi a fondo. Sapevo che non l’avrei scampata, mi ero comportato malissimo con lei a Habarcat e al matrimonio di mia cugina, ignorandola completamente, e in quei giorni lì a Herrengton, lei mi stava ripagando con la stessa moneta.

    “Volevo chiederti scusa per come mi sono comportato con te… voglio dire…”
    “Penso che tu abbia fatto la cosa giusta, Sirius, non credo sia il caso di far pubblicità alla nostra amicizia.”
    “Che cosa vuoi dire? Ti vergogni di essere mia amica?”

Ero sconcertato.

    “Voglio dire che con tutte le megere pettegole che c’erano a quelle feste, un sorriso o due risate avrebbero causato troppe chiacchiere… mi ricordo cosa mi hai detto alla festa di Regulus, che idee ha in testa tua madre…”

Mi fissò con quei meravigliosi occhi, e pensai che avrei dovuto davvero baciarla davanti a tutti, così che fosse chiaro che ero più che disponibile a diventare una pedina nei giochi dei miei genitori… magari così avrebbero deciso di cambiare programmi…

    “Mio padre ci ha detto che a undici anni, di solito, qui al Nord, si decide il futuro dei figli… avevo paura a chiederti cosa avevano deciso per te…”

I nostri sguardi s’incrociarono, e rimasi con il respiro a metà.

    “Beh, se ti avessero incastrato, Black, a quest’ora lo sapresti anche tu, non credi?”

Mi guardò perfida e sprezzante, ed io peggiorai ulteriormente il mio colorito violaceo.

    “Non volevo dire questo… a chi ti hanno promessa?”
    “Perché me lo chiedi?”

Diventai di fuoco e abbassai lo sguardo, ma per fortuna lei ora guardava il caminetto e non si accorse di nulla, io rimasi in silenzio.

    “A nessuno, mio padre ha deciso di rimandare tutto a dopo il mio smistamento a Hogwarts…”

Allora avevo ancora speranze... Iniziammo a giocare, con poco entusiasmo, io ero sempre molto indeciso nelle mosse.

    “Ti piace stare qui?”
    “Sì, qui c’è sempre qualcosa da fare, e i tuoi sono magnifici”.

La guardai, sostenendo con coraggio il suo sguardo indagatore, mentre declamavo il mio entusiasmo per Herrengton.

    “Anche noi tra alcune settimane ci trasferiremo a Londra.”

Rivolse l’attenzione alla scacchiera, muovendo pigra un pedone, sembrava triste, ed io potevo capirla benissimo, Londra era una prigione per chi aveva conosciuto la vera libertà.

    “Per tua madre e il bambino?”
    “Sì, c’è il rischio che il bambino nasca prima del tempo, è ancora presto, vero, ma è già successo con me e Mirzam, e stavolta lei ha quasi quarant’anni. E visto com’è stato difficile l’anno scorso con Wezen, sarebbe bene che ci trovassimo il più vicino possibile al San Mungo.”
    “Sì, è giusto”

Ora aveva tutto un senso, Sherton amava quei luoghi più di se stesso, ma di sicuro l’amore per Deidra andava molto al di là, e non poteva fare qualcosa che la mettesse in pericolo o comunque in condizioni di disagio per una sua semplice passione.

    “Sirius?”

Cercai di riprendermi, non ero affatto in me e lei di nuovo mi osservava attenta, dimentica quasi degli scacchi, che per me erano invece l’unica scusa rimastami per non doverla guardare.

    “Tu cosa sai di Hogwarts?”.

Questa era una domanda facile, capace di distogliermi dal baratro dell’imbarazzo in cui ero ormai scivolato definitivamente, perciò mi ripresi un pò, cercando di recuperare il mio miglior tono canzonatorio, quello che avevo esercitato a lungo con mio fratello, ma senza grandi risultati stavolta.

    “Mmm, vediamo, è un posto dove si studia, si fa amicizia con altri maghi e si gioca a Quidditch, i tuoi fratelli non ti hanno spiegato niente?”
    “A me interessano quelle cose che loro non mi racconterebbero.”
    “Eheheh, già, bella risposta, è quello che piacerebbe sapere anche a me. Ora vuoi deciderti a muovere quella torre?”

Riprendemmo a giocare, ma Meissa era ancora distratta, perse dei pedoni, poi di nuovo tornò alla carica, a me del gioco non importava nulla, ma cercavo di resistere, così da poter stare con lei ancora un po’. La sua mente era lontana, visto che ormai guardava assorta il caminetto, senza più curarsi di altro, quasi riuscisse a vedere tra le fiamme qualcosa a me invisibile. Era enigmatica come suo padre, forse tra i suoi figli era quella che per carattere gli assomigliava di più.

    “A me interessa sapere se esiste un modo per essere smistati in una casa invece che in un’altra.”

Il discorso era interessante, per un attimo smisi di pensare agli occhi di Meissa e mi concentrai sulle sue teorie.

    “Credi che sia possibile farsi smistare a piacere?”
    “Non lo so, magari un sistema c’è, basta trovarlo. Tu se potessi scegliere, dove vorresti essere smistato?”

Riflettei un attimo, l’idea di finire in un posto in cui non ci fosse Rigel Sherton non mi sembrava molto allettante, in quel momento, perciò non ebbi molte esitazioni.

    “I miei sono tutti di Serpeverde, non credo sia possibile cambiare il proprio destino, credo sia come il sangue che hai nelle vene, non puoi sceglierlo... poi spero davvero di finire nella casa di tuo fratello, è un ragazzo davvero simpatico!”
    “Mmm, sì, a volte ….”

Capii di aver fatto una gaffe, dopo la zuffa cui avevamo assistito io e Regulus, i due fratelli Sherton erano stati confinati in punizione in camera per due giorni. Tornai a parlare delle Case.

    “E tu ? Dove vorresti essere smistata? Serpe verde immagino!”
    “Già, ma la mia famiglia è la prova che non sempre basta il sangue.”

Sorrise triste.

    “Io non vorrei deludere mio padre.”
    “Credo che tuo padre non condizioni a queste cose l’amore che prova per i suoi figli”.
    “Me l’ha detto anche lui spesso, e proprio per questo vorrei dargli qualcosa di così importante.”

Se avessi potuto scegliere la famiglia in cui nascere, avrei scelto la tua: non lo dissi ad alta voce ma lo pensai, lo pensavo da settimane e questo mi rendeva doloroso il passare dei giorni, perché mi aspettava un ritorno a casa insopportabile, ora che conoscevo un altro modo di vivere. Mi guardò sorridente come se avesse intuito e al solito, persi la cognizione d quello che stavo facendo, così in tre mosse m diede scacco. Rise divertita, ed io mi resi conto che Reg non era affatto uno scemo se perdeva la testa per lei: io senza accorgermene, ero a buon punto nella fase di cottura, non c’era notte in cui non sognavo i suoi fiori che mi scendevano sul viso, il sole e i suoi magnifici occhi. Respirai a fondo, mi sembrava di essere in apnea da ore, le orecchie quasi mi ronzavano. Nella mia vita avevo già perso molte partite e in seguito ne persi ancora e ancora, ma quella fu la prima su cui riflettei davvero a lungo, in seguito, e che ricordai per anni. Non capii mai come avessi fatto a non vedere in quale trappola Meissa mi stesse mettendo, benché sembrasse non occuparsi affatto della partita. Mi sentii giocato come un pollo e l’ammirai, per la capacità di tessere trame anche mentre pensava a cose così importanti: io, al contrario, non riuscivo a portare a termine un progetto, nemmeno se m’impegnavo solo su quello. Era proprio una slytherin, nessun dubbio.

    “Accidenti, sei proprio una strega!pretendo la rivincita una di queste sere sappilo!”

Meissa rise ancora liberamente, ed io fui sollevato nel vedere la sua preoccupazione, che in fondo era un po’ anche la mia, allontanarsi dal suo viso. Meissa mi aveva fatto riflettere, io davo per scontato che sarei finito a Serpeverde, perché tutti i Black finivano lì, ma se fosse accaduto qualcosa di strano? Se le mie difficoltà con mio padre non fossero che un sintomo del fatto che non ero come tutti gli altri? Che avrebbe detto mio padre se non fossi entrato a Serpeverde? Era possibile?

    “Sir?”

Mi ridestai dai miei pensieri opprimenti, la paura di mio padre e delle sue reazioni scomposte era ancora bella vivida in me, quindi Herrengton non mi aveva ancora plasmato del tutto.

    “Hai mai visto i babbani?”

M’incupii. Mey stava risistemando i pezzi nella scatola, mi dava le spalle mentre trafficava intorno al caminetto.

    “Sicuro, qualche volta, uscendo a Londra con i miei.”
    “Voglio dire, hai mai avuto a che fare con loro?”
    “Scherzi? A mia madre verrebbe un colpo, fosse per lei, finirebbero tutti al rogo.”
    “Che ne dici di vederli da vicino? Tanto a scuola ci sono anche i loro figli, lo sai no?”
    “Certo che lo so, ma non mi pare che qui in giro ci siano dei babbani.”

Ero guardingo, dopo l’esperienza a scacchi m’aspettavo che mi tendesse una qualche trappola senza che me ne rendessi conto.

    “Qui no, ma dove devo andare domani sì, che ne dici di venire con me?”
    “Io?”
    “Vedi qualcun altro qui, Black?”

Sembrava impaziente di strapparmi un sì, ma volevo capirci qualcosa d più, l’argomento babbani era un campo minato per la mia famiglia, e avevo sentito Alshain ordinare a sua figlia, esplicitamente, di non dare confidenza agli estranei, non sarebbe stato un gran risultato farmi coinvolgere in qualcosa con i babbani, soprattutto col rischio di vedere mia madre venirne a conoscenza.

    "Mi spieghi qualcosa di più o è un segreto?"
    "Mi terresti compagnia in un parco giochi, mentre mia madre fa visita a una sua vecchia amica. Pensi si possa fare?”

Celava a stento l’impazienza ed anche un po’ d’irritazione, in quei giorni mi ero accorto che aveva un bel caratterino, riusciva sempre a ottenere ciò che voleva, rigirandosi i fratelli e suo padre a piacimento.

    “Io e te da soli in mezzo ai babbani?”
    “Ma no, sciocco, c’è anche un’amica di mia madre, si occuperà lei della nostra sicurezza!”
    “Devo solo tenerti compagnia?”
    “Sì.”

Ormai tamburellava impaziente le dita sulla mensola del caminetto, decisamente scocciata per il mio scarso entusiasmo e la mia indecisione. Non ci vedevo nulla d'irragionevole, di sicuro, se mia madre l’avesse saputo, non ci avrebbe trovato nulla da ridire, anzi, forse se non l’avessi fatto, mi avrebbe dato del villano, visto che gli Sherton mi stavano dando ospitalità da quasi un mese senza volere nulla in cambio. Sicuramente, appena fossi stato lontano da Meissa, mi sarei reso conto che quello era il mio modo di pensare, non quello di mia madre, ma al momento feci finta di nulla e accettai.

    “Allora va bene, magari ci portiamo gli scacchi o le biglie per passare il tempo, ok? O c’è qualcos’altro che possiamo fare?"
    “Vedremo domani, intanto grazie.”

Mi sorrise, finalmente allegra.

    “Ora è meglio se torno indietro…”
    “Ti senti proprio a disagio qui!”

Mey mi guardava trionfante e beffarda, o almeno era questa l’impressione che avevo, io al contrario mi sentivo piccolo piccolo.

    “Beh, sai com’è, l’hai detto tu, questa è una delle stanze private di tuo padre, poi vorrei tornare da mio fratello prima che inizi a cercarmi e scopra che sono qui, credo abbia una mezza cotta per te e non vorrei…”

Mi morsi la lingua, avevo fatto una gaffe spaventosa, avevo appena rivelato un segreto di mio fratello proprio all’unica persona che non doveva saperlo. Meissa sorrise.

    “Non ti preoccupare, tuo fratello ha smesso di pensare a me da quando Rigel e Mirzam hanno iniziato a insegnargli a giocare a Quidditch.”
    “Tu che ne sai? Non vi siete mai parlati, in questi giorni, mi pare…”

La guardai incredulo e sospettoso, ero convinto che si stesse facendo beffe di me, ma lei continuava, come se nulla fosse, a risistemare i cuscini e ogni tanto mi guardava di sottecchi.

    “Vi ho osservato…”
    “Vuoi dire che ci spii?”
    “No, vi osservo, quando si hanno due fratelli, basta poco per capire certe cose, sai?”

Mi si avvicinò, sparandomi addosso quei penetranti occhi verdi, facendomi sentire inerme; cercai di reagire, fingendomi baldanzoso e polemico ma tremando in cuor mio.

    “Non ti credo!”

Meissa rise di nuovo e a me venne di nuovo caldo, era meglio uscire di lì, mi sentivo come un topo nelle zampe giocose di un bellissimo ed enigmatico gatto.

    “Devo andare davvero, vieni via anche tu?”
    “Sì”

Attraversammo di nuovo la galleria, salimmo le scale e raggiungemmo il chiostro, in silenzio, io ancora turbato da quello sguardo indagatore, Mey persa in pensieri tutti suoi; risalimmo il porticato di destra e arrivammo ai piedi della scalinata, era il momento di salutarsi.

    “Ci vediamo più tardi, a cena. Grazie della partita!”

Le presi la mano e le diedi un bacio, come avevo visto fare a mio padre e ad Alshain, attesi che salisse da sua madre e me ne andai, raggiungendo di corsa la mia stanza. Aprii la porta e richiudendola mi appoggiai ad essa, mentre ancora Rigel e Regulus ragionavano sugli schemi. Se davvero ci osservava e capiva, ed ero certo che non mentiva su questo, di sicuro adesso stava ridendo di me, e di quanto ero debole di fronte ai suoi giochi. Decisi che era necessaria una buona scusa per non restare solo con lei il giorno dopo in quel parco. Ma in cuor mio ero determinato a non lasciarmi sfuggire la possibilità di passare ancora qualche ora da solo con lei.

***

Sirius Black
Spinner's End, località ignota - ven. 16 luglio 1971

Quella notte non dormii. Quando scendemmo a cena, trovai Alshain appena tornato con Mirzam da Londra: aveva ancora il suo mantello nero sopra una tunica tradizionale nero-argento, i capelli legati in una coda bassa, guanti e stivali di pelle finissima. Stava davanti al caminetto con sua figlia sulle ginocchia e l’aiutava a scartare un regalo che le aveva appena portato, un grazioso ciondolo d’argento che subito lei si mise al collo. A noi ragazzi aveva portato un po’ di leccornie di Dulcitus e gli inviti per assistere alla partita del Puddlemere United, che giocavano nell’isola di Fair una decina di giorni più tardi contro una locale squadra scozzese: le urla e i fischi di entusiasmo miei e di Reg durarono oltre un’ora e a letto passammo un tempo interminabile a commentare e sognare come sarebbe andata. Poco prima di salire in camera a cambiarsi per la cena, Alshain mi diede il permesso di andare con Deidra il giorno dopo, avremmo usato la metro polvere fino al caminetto della signora Shener, una maganò che viveva tra i babbani e che avrebbe finto di essere la nostra tata per quella giornata. Il mattino dopo Kreya mi fece trovare un paio di “jeans”, una maglietta a righe con le mezze manichette, un paio di scarpe “da tennis” e Alshain mi impose un incantesimo ai capelli, così che sembrassero più corti; Meissa era vestita quasi come me, jeans blu e maglietta rosa a tinta unita, scarpe da ginnastica e i capelli parzialmente legati in una treccia. La signora Sherton vestiva invece un classico abito color malva, ampio, da strega, sotto un mantello nero con ricami d’argento: al contrario di noi, non sarebbe uscita per strada.

    “Ecco qua, siete pronti. Mi raccomando: non date confidenza a nessuno e non fate magie.”

Sherton ci abbracciò, da com’era vestito capii subito che con Mirzam, Rigel e Regulus sarebbero andati ad allenarsi a Quidditch a Cape Ham, e per un attimo provai un senso d’invidia per mio fratello, ma non ebbi il tempo di ripensarci, perché Alshain prese il sacchetto della metro polvere e ce la porse, noi ne prendemmo a turno un pizzico dicendo la destinazione prescelta. All’arrivo mi trovai in una stanza microscopica, piena di oggetti stranissimi, con un odore nauseabondo. Di fronte a me c’erano due donne: una buffa signora di mezza età, vestita di grigio, un cappellino tondo con dei fiori appiccicati sopra e una strana borsetta da cui uscivano un paio di ferri lunghi e stretti, l’altra, sciatta, con la pelle giallastra, i lunghi capelli neri, unti, attaccati alla faccia, il naso aquilino e la voce gracchiante. Quest’ultima, Eileen Prince, ci diede nervosamente la mano, impaziente di andarsene via camino con la signora Sherton, lontano da lì. La signora Shener ci fece subito segno di seguirla: Mey mi prese per mano e ci avviammo fuori dalla casa, attraversammo un rachitico giardinetto, uscimmo da un cancelletto e ci ritrovammo sulla strada principale. Camminammo per qualche metro, attraversammo un ponte su un fiume sonnolento e ci volgemmo in direzione di una macchia di alberi che si vedeva qualche decina di metri più in là, alla destra del ponte. Tutto intorno a noi c’erano casette a due piani, piccole e malconce, come quella da cui eravamo appena usciti, con un minuscolo giardino che dava sula strada, tutte con buffi tendaggi ricamati alle finestre, quasi tutte con un gatto spelacchiato che ronfava sul gradino davanti alla porta. Sullo sfondo, l’unica cosa che emergeva da quella marea di case tutte uguali, era una costruzione a forma di torre, piuttosto alta e tozza, sembrava abbandonata al suo destino da anni. Quando arrivammo al parco, la signora Shener si mise seduta su una panchina e tirò fuori il suo lavoro a maglia, Meissa che sapeva già cosa ci aspettava, tirò fuori dal paniere della tata una coperta, e la stese a terra, così che potessimo sederci.

    “Come si chiama questo posto?”
    “La via in cui siamo apparsi si chiama Spinner’s End, il resto… non lo so, so solo che è un classico quartiere operaio babbano.”
    “Operaio?”
    “E’ un quartiere di gente che qui dorme soltanto, un tempo lavorava in quella torre grande laggiù…”

Vidi la sinistra torre grassoccia che incombeva sulla cittadina. Che significava? Cosa ci facevano i babbani là dentro?

    “Mi sembra un posto triste. Vieni sempre qui quando parti con tua madre?”
    “No, andiamo anche a Doire, il villaggio in cui è nata, nell’Irlanda del Nord, un paio di volte siamo state a Godric Hollow, il villaggio natale di Grifondoro. E un po’ qua e là.”

La cosa si faceva sempre più complessa e m’incuriosiva. I miei non mi portavano mai da nessuna parte.

    “Perché fate tutti questi viaggi?”
    “Mio padre cerca i segni…”
    “I segni?”
    “Mio padre dice che ci sono dei segni utili a capire il nostro tempo, che questo è un momento importante, in cui possono cambiare tante cose. Io devo crescere ancora per imparare a riconoscerli, ma mio padre ha detto che quando sarà il momento me li spiegherà…”

La guardai perplesso, ogni domanda ne generava almeno altre venti, avere a che fare con Sherton era entusiasmante, ma per certi versi anche esasperante, non c’erano mai risposte nette.

    “Se passi così il tuo tempo quando venite qua, non ti annoi?”

Ero attonito e di nuovo mi ritrovai a invidiare mio fratello che in quel momento stava svolazzando sui boschi di Herrengton libero e felice.

    “Sì, per questo ti ho chiesto di venire oggi con me, da sola sarei impazzita, almeno ho qualcuno con cui parlare e giocare…”

Si era sdraiata sulla coperta, a guardare il cielo, io stavo ancora seduto, felice in cuor mio che avesse chiesto proprio a me di farle compagnia, poi mi sdrai anch’io, sicuramente ci sarebbe stato qualcosa di positivo in quella giornata, prima o poi, ma in quel momento non potevo che considerare strana quella situazione. Osservai due nuvole panciute, mi accorsi che inclinando la testa di venti gradi una assumeva il profilo del tondeggiante professor Sloughorn.

    “Guarda quelle nuvole, come si rincorrono! Forse una delle due si farà ingannare dal vento e rimarrà intrappolata in Scozia…”
    “Mio padre ti ha già raccontato la storia della nuvola allora…”

Mi stava puntando addosso quei suoi occhi che mi facevano sprofondare, così continuai a fissare il cielo, mentre una brezza leggera ci accarezzava appena la faccia: per un attimo tutto quello che avevo intorno smise di esistere, mi sentivo leggero come quella nuvola, libero di vagare dove volessi, mi sembrava di avere in quel momento tutto quello che mi era necessario per vivere.

    “Sì, ma non so se l’ho capita, cioè, l’ho capita, ma non so perché ce l’ha raccontata…”
    “Perché siamo come la nuvola, così sicuri della nostra superiorità, che cerchiamo sempre qualcuno alla nostra altezza, ma così, spesso, ci isoliamo dalle persone sincere e ci mettiamo nelle mani di chi magari vuol solo farci del male…”

La guardai confuso, quel discorso non aveva senso.

    “Sicura che sia questo il significato? Perché allora è strano che ci racconti quella storia, visto che lui crede strenuamente che siamo superiori agli altri.”
    “Non è strano, lui ci invita a non esagerare nella fiducia verso chi ci sta attorno e si dichiara come noi, perché potrebbero mentire…”
    “I maghi pericolosi…”

Con un brivido mi tornò in mente la cupa apparizione di Abraxas Malfoy la notte del solstizio, ogni volta che pensavo a qualcuno di temibile mi tornava in mente quell’uomo.

    “Hai già esplorato questo luogo?”

Meissa si sollevò a sedere e con le sue dita affusolate indicò in direzione del ponte.

    “Laggiù c’è il fiume, potremmo andarci quando c’è meno sole, anche se non c’è molto da vedere, di là invece ci sono delle siepi, dei sentieri tra gli alberi, la mattina è ok, ma di pomeriggio, spesso, ci sono ragazzi e ragazze, che si strusciano e si baciano.”

Fece una smorfia disgustata, e continuò a guardare in quella direzione, io chiusi gli occhi e cercai d immaginarmi la scena, non riuscivo a metterla a fuoco completamente, ma mi risvegliava una certa curiosità. Non avevo una gran confidenza con le ragazze, di fatto l’unica ragazzina, a parte le mie cugine, che conoscevo un po’ di più era proprio Mey, sentivo il viso in fiamme ogni volta che pensavo a lei o mi accorgevo che mi osservava, e non potevo immaginarmi mentre la baciavo senza provare un senso di totale smarrimento e desiderio. Se non lo facevo era solo perché le avevo dato la mia parola che non ci avrei provato mia più.

    “Sono quelli i babbani a cui non dobbiamo dare confidenza? Credo abbiano di meglio da fare che curarsi di noi…”
    “Ci sono anche alcuni bambini, spesso giocano qui, su quelle altalene scrostate, poi ne ho visti due…”

Si interruppe di colpo e arrossì un poco.

    “Due come?”
    “Nulla, non giocano come gli altri, si nascondono tra le siepi e parlottano…”
    “Si strusciano pure loro?”

Risi, le immagini che mi venivano in mente in quel momento erano davvero ridicole. Riaprii gli occhi e la guardai, era assorta e lontana. Stava sempre seduta con le gambe incrociate, il corpo leggermente proteso in avanti, stranamente per lei, che stava sempre composta, aveva un profilo perfetto, la treccia che le nasceva dalle tempie scendeva fino a metà schiena, mentre il resto dei capelli, sciolti, danzavano mossi dalla brezza e le solleticavano il viso…. Gli occhi avevano lo stesso taglio di quelli di Alshian, erano allungati, non tondi come quelli dei suoi fratelli, l’incarnato era quello della madre, con le stesse timide efelidi… mi accorsi da quello scorcio che aveva delle ciglia lunghe e ricurve, sembrava davvero una bambola, e quelle labbra… sembravano delle ciliegie pronte per essere assaggiate. Mi sollevai di colpo anch’io, mi sentivo lo stomaco sottosopra come se fossi su un mare agitato, mentre lei, ignara di tutto, continuava a parlare.

    “No, sono piccoli, piccoli come noi, lui… ha l’aria di saperla lunga, lei ha i capelli rossi come mia madre, è graziosa e non perde una parola di quello che lui le dice.”
    “Potremmo andare a scoprire cosa combinano.”

Mi accesi all’idea d’aver trovato qualcosa d’interessante da fare e che mi distraesse dal pensiero delle ciliegie.

    “Non credo sia il caso, Sirius.”
    “Dai. Gli diciamo che vogliamo giocare, se hanno qualcosa da nascondere ci diranno di no, perché non ci vorranno tra i piedi, altrimenti vedremo come giocano i babbani.”
    “Magari oggi nemmeno vengono.”

Meissa sembrava quasi che lo sperasse, non era convinta, così capii che come me, anche lei aveva paura, a mettersi contro le raccomandazioni dei suoi genitori, forse era meglio desistere.

    “Vuoi giocare a scacchi intanto?”
    “Mio padre non me l’ha lasciati portare, dice che sono diversi da quelli che usano loro, possiamo usare solo le biglie…”
    “Uffa, ma perché tua madre ti porta qui? Con tutto quello che c’è a Herrengton!”
    “Devo vedere quanto i babbani siano inferiori a noi…”

La guardai stupito.

    “Ma la storia della nuvola allora? Ho capito, al contrario di tuo padre, tua madre ha le stesse idee dei miei…”
    “… Ti sbagli, Sirius, mio padre è ancora più fissato di lei, tutti gli anni fa fuoco e fiamme al consiglio per chiedere che Dumbledore, il preside di Hogwarts, sia sollevato, così che si metta fine alla presenza di babbani e mezzosangue in quella scuola di magia.”

Sospirai.

    “Sì, riconosco lo stampo, mio padre la pensa allo stesso modo…"
    “E tu?”
    “Io cosa?
    “La pensi pure tu così?”
    “Non lo so, Meissa, non ci ho mai pensato... però se un uomo come tuo padre la pensa in quel modo, forse è una posizione che ha una sua logica.”

Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, consapevoli di parlare di cose che non comprendevamo appieno e che condividevamo più per abitudine che per convinzione.

    “Diciamo alla Shener che ci spostiamo in quell’ombra laggiù. Possiamo pure vedere se ci sono animali, cercare le tracce…”
    “Sir, non t arrendi mai!”
    “Sono sotto di tre piante ancora, ricordi?”

Mi guardavo intorno sperando di trovare qualcosa di notevole da osservare, mentre Mey aveva già trovato l’oggetto delle sue attenzioni: rimase, infatti, seduta immobile a osservarmi, beffarda, mentre mi agitavo in giro per nulla. La Shener ci diede un cenno di assenso, c’inoltrammo nei viottoli erbosi: ci impiegai poco a capire che quel parco non nascondeva nulla d entusiasmante, quindi iniziai a cercare un posto adatto a giocare a biglie.

    “Guarda Mey!”

Mi ero immerso in un altro anfratto, Meissa si voltò interrogativa ed io mi misi un dito sulle labbra per dirle di stare zitta: ci abbassammo tra i cespugli.

    “Sono i due che mi dicevi?”

Tornai a sbirciare tra il fogliame, rimettendo a fuoco due ragazzini seduti sull’erba che parlottavano animatamente: non mi sembravano molto entusiasmanti ma potevamo mettere in atto il piano che le avevo proposto, eravamo lontani dalla Shener, nessuno ne avrebbe mai saputo nulla…

    “Dai Mey, andiamo a chiedergli di giocare con noi!”
    “No, meglio di no, Sir, sono babbani!”

La guardai deluso, aveva un’espressione strana, allarmata, sembrava più spaventata di prima all’idea di parlare a quei due ragazzini. Iniziavo a perdere la pazienza, era necessario trovare qualcosa da fare, o la giornata sarebbe stata un incubo: presi la coperta e la sistemai a terra, ai piedi di Meissa e mi sdraiai sopra.

    “Che fai?”
    “L’unica cosa che si può fare qui, riposarmi e chiacchierare con te!”
    “Sei proprio pigro, Black!”

Sorrisi. Meissa si staccò dalla siepe e si sedette vicino a me, spiluccava fiori e foglie dalla siepe, come in trance, all’inizio non mi resi conto, ma poi capii.

    “Smettila Mei, lo sai che ci sono dei babbani qui vicino!”
    “Shhhh…”

Prese un fiore rosso tra le dita e me lo appoggiò sulla faccia, lo sentii zampettare e con un tremito volare via: era diventata una farfalla dai colori tenui dell’arcobaleno, con due bolli ai lati, color verde smeraldo.

    “Sei davvero brava. Io al massimo riesco a far esplodere le cose quando mi arrabbio…”

Meissa mi sorrise e si sdraiò sul plaid accanto a me, a osservare le nuvole che si rincorrevano sopra le nostre teste. Sentivo il calore del suo braccio e della sua gamba sinistra a contatto del mio braccio e della mia gamba destra, e il suo profumo di fiori che s’irradiava tutto attorno a me… Scivolai in un torpore leggero, mentre pensavo che la felicità in fondo fosse solo questo: un calore e un profumo che ti arricchiscono la vita e ti portano via dall’infelicità. All’improvviso sentii delle urla e mi ridestai, ci avvicinammo alla siepe e guardammo in direzione del trambusto: c’erano i due ragazzini di prima ma era arrivata anche un’altra bambina, sembrava più grande, cavallina e legnosa. Lui doveva averle fatto qualcosa, un dispetto odioso, la ragazzina più grande aveva gridato spaventata e poi gli aveva urlato contro parole incomprensibili da dove ci trovavamo, allora anche la più piccola gli aveva messo il broncio ed era scappata, lasciandolo da solo, lì, con l’espressione tipica di chi ha appena rotto il giocattolo più bello che ha.

    “Che cosa pensi sia successo?”
    “Credo non apprezzi essere disturbato quando sta con quella ragazzina, e l’altra deve averlo fatto arrabbiare… ma non ho idea di cosa possa averle fatto, stavamo dormicchiando, m pare…”
    “Io non stavo dormicchiando!”

Mey era rossa di vergogna e di stizza, con i pugnetti chiusi stretti ai fianchi, mi guardava ostile, con aria vagamente minacciosa, nei suoi occhi verdi c’era tutta la determinazione tipica della sua famiglia, io le risposi con tutta la mia capacità canzonatoria e stavolta mi riuscì appieno. Non mi ero mai sentito così libero e felice e ora avevo preso una sfrontatezza che mi era usuale solo con Regulus.

    “Ti ho addirittura sentito russacchiare!”
    “Quello eri tu, non io!”
    “Ma sentitela come rigira la frittata!
    “IO NON RUSSACCHIO!”
    “Ok ok… me lo sarò sognato. Chiedere alla Shener se ci porta a fare un giretto in questa città? Magari mangiamo qualcosa... inizio a essere un po’ affamato.”

Mey prese il plaid e ancora offesa si diresse dalla nostra tata con aria imbronciata, tutta impettita, lasciandomi indietro. Mentre cercavo invano di tenere il suo passo, vidi all’improvviso uscire da una siepe il ragazzino, da solo: con quell’aria cupa, non sembrava molto socievole, e visto così da vicino, con quel vestito scuro e informe, la sua figura sgraziata lo faceva assomigliare a un ragnetto. Magro allo spasimo, il naso un po’ grosso, i capelli lisci e neri, i vestiti troppo grandi per lui, aveva un cipiglio arrabbiato e assomigliava alla donna della casa, ne aveva la stessa aria austera. Immaginai che fosse suo figlio. Andando contro le raccomandazioni degli adulti, mi avvicinai per parlargli, ma come gli fui vicino quello mi sibilò.

    “TOGLITI DAI PIEDI, IDIOTA!”

Con una spinta rabbiosa mi costrinse a farmi da parte, lasciandomi indietro. Rimasi inebetito, mai nessuno mi aveva trattato in quel modo, nemmeno mio fratello, cui pure avevo dato spesso dei validi motivi. Lo guardai allontanarsi e quando mi accorsi che davanti al ragazzo, a pochi metri, c’era un pezzo d legno che avrei potuto usare per vendicarmi, provai a concentrarmi un po’.

    “Sir, andiamo, tra poco inizierà a piovere!”

Meissa mi distolse dai miei propositi, m’incamminai con lei e la tata verso l’uscita del parco: la prima cosa che notai fu che, ovunque guardassi, c’era una malsana aria di trascuratezza, che faceva sembrare ben curata persino Grimmauld Place. Le casette a due piani con giardino e gatto spelacchiato sullo zerbino sembravano ripetersi e moltiplicarsi all’infinito, creando un serpente di mattoni rossicci che si ergeva seguendo la curva sinuosa del fiume. Di verde ce n’era pochissimo, dalle case uscivano odori molesti che solo con molta fantasia potevano essere collegati all’idea d piatti commestibili; c’era un rumore di fondo caotico su cui spesso si levavano suoni grida e lamenti: era la prima volta che m’immergevo in un quartiere babbano e avevo il tempo d’attraversarlo e studiarlo un po’, e quello che percepivo era un’atmosfera di decadenza e disperazione. Quando uscimmo da quelle vie anguste e c’immettemmo in una strada più grande, vedemmo numerose auto, con i loro gas di scarico puzzolenti, negozi dalle vetrine illuminate anche di giorno, persone vestite tutte uguali, con lunghi spolverini color cammello e ombrelli neri attaccati al braccio e una valigetta nell’altra mano. La signora Shener si affacciò sulla strada, levò il braccio e dopo poco un’auto si fermò, ci fece salire, la tata diede un indirizzo all’autista: vidi la città scorrere al di là del finestrino, la pioggia rendeva le cose e le persone infinitamente tristi e disperate. In quei volti, vacui e senza anima, capii per quale motivo i babbani erano inferiori, e come fosse stata un’usurpazione costringerci alla clandestinità mentre loro che avevano il resto del mondo, non riuscivano a superare la loro condizione d’inferiorità pur avendo tante risorse per evolversi. Ci fermammo di fronte un negozio, con i tavolini all’aperto e una tenda che riparava da pioggia e sole, ci sedemmo e dopo poco arrivò un giovane brufoloso, vestito di bianco e nero, che prese l’ordine per il pranzo e dopo poco tornò con bistecca, patatine fritte e insalata, una caraffa di acqua e della birra leggera. Ormai avevo bollato quel posto come insignificante e noioso e la giornata come una vera perdita di tempo, ero impaziente di tornare a casa, anche ascoltare mio fratello e Rigel discutere degli schemi di gioco sarebbe stato meglio.

    “Per quante ore dovremo stare ancora qua?”
    “Partirete verso le 17.”
    “Ma sta piovendo! Non possiamo stare nel parco: dove passeremo tutto il resto del tempo?”

La prospettiva di altre quattro ore lì mi faceva impazzire e la mia disperazione forse trapelò troppo, perché Mey mi guardò come se l’avessi appena tradita, in fondo mi lamentavo platealmente di dover onorare un impegno preso con lei.

    “Ho una sorpresa per voi due, qualcosa che non avete mai visto, ma che è molto apprezzato dai vostri coetanei babbani.”
    “Ah sì, buoni quelli! Ho incontrato un tizio nel parco, mi ha insultato e mi ha dato una spallata e…”
    “E stavi anche per vendicarti con quel bastone, giusto?”

Mey candidamente stava rivelando il mio segreto, sotto gli occhi atterriti della Shener. Le rivolsi un’occhiataccia, era palese che volesse tradirmi per la mia mancanza di tatto, m chiedevo cosa sarebbe successo.

    “Tu come lo sai, Meissa?”

La Shener era ancora più preoccupata, rendendosi conto che era coinvolta pure la figlia di Sherton.

    “Ho visto tutto, infatti l’ho chiamato per evitare che si mettesse nei guai.”

La Shener era piuttosto indispettita della nostra mancanza di responsabilità e di ubbidienza, ma ci promise di non dire nulla ai nostri genitori, a patto che d’ora in poi ci fossimo comportati bene.

    “Andiamo a vedere un film al cinema, mi raccomando di non fare altri danni.”
    “Cos’è un film?”
    “Ora lo vedrete…”

*

Passammo le successive due ore in una sala, al buio, piena di poltroncine, di odore di tabacco e sudore raffermo e con qualche sparuto gruppetto di ragazzini rumorosi, raccolti in “piccionaia”: la storia parlava di un pilota che acquistava un catorcio e riusciva a vincere anche le gare più difficili. Praticamente patetico!

    “Allora ragazzi, come vi è sembrato?”
    “Si divertono con poco i babbani!”

Cercavo di fare l’indifferente e anche l’indispettito, per mascherare la gioia del tempo passato al buio, a respirare l’odore di Mey e godere della sua vicinanza… a circa metà del film avevo sentito nel buio la sua mano cercare la mia sul bracciolo, l’avevo lasciata fare, facendole capire che non ero più arrabbiato con lei. Quando la luce era tornata nella sala, le nostre mani erano ancora intrecciate e lei mi aveva guardato con un senso di gratitudine e un leggero rossore sul viso, ci separammo in tempo per non essere visti dalla tata e per il resto del pomeriggio facemmo gli indifferenti, davanti alla coppetta di gelato al cioccolato e fragola che la tata ci offrì di ritorno al fiume, in attesa di tornare a Herrengton. Affrontai il resto del pomeriggio sospeso tra le nuvole, non mi davano più fastidio il caos e la meschinità di quei luoghi, non trovai più tanto orribile la casa della maganò quando ci ritornammo da lei per usare il suo caminetto. Quando mi ritrovai d fronte ad Alshain, nel suo salotto, non ero ancora pienamente in me. Mio fratello e Rigel stavano giocando a scacchi magici stesi sulla pelle d’orso, mentre fuori pioveva a dirotto, Alshain poco prima del nostro arrivo doveva essere allo scrittoio accanto al caminetto, come indicavano ancora i rotoli d pergamena e la piuma appoggiati là sopra. Odorava di sale, il che m fece capire che mi ero perso non il Quidditch ma una bella giornata alla spiaggia.

    “Com’è andata la giornata?”

Sherton ci diede appena il tempo di salire a lavarci e cambiarci poi pretese un resoconto dettagliato imponendo che non fosse servita la cena finché non avesse saputo tutto: io ero famelico, dopo aver sputato quella parvenza di pranzo nel tovagliolo e aver consumato il gelato ormai da un pezzo, quindi affrontai la decisione rassegnato, ma anche spaventato perché temevo che avesse saputo del mio tentativo di aggredire un ragazzo babbano, o della storia del cinema. Invece era interessato solo a conoscere le nostre impressioni e notai che uscì compiaciuto, quindi ordinò che fosse servita la cena, particolarmente ricca e abbondante e si congedò da noi piuttosto presto, apparentemente perché impegnato con la corrispondenza o per parlare in privato con sua moglie. Mey mi salutò e andò di sopra, lasciando i signori Sherton seduti davanti al caminetto, Mirzam prese il sacchetto della metro polvere e dopo averci salutati se ne andò, forse dalla sua Sile che ancora non avevamo mai visto, Rigel, Reg ed io infine scendemmo nel chiostro, dove li lasciai ai loro schemi di Quidditch e mi avviai alla mia consueta nuotata serale nel patio. Dopo alcune settimane, quel rito non era più un semplice gioco da bambini, era diventato un’esigenza fisica: mi piaceva stremarmi, vedere quanto resistevo alla fatica e m’imponevo di resistere sempre un po’ di più. Era uno dei metodi che potevo usare per dimostrare a mio padre quanto ero diverso da quello che pensava, non ero un rammollito, non ero…

    “Sirius!”

Avevo appena finito di percorrere quella vasca per la terza volta, quando trovai Alshain Sherton al bordo che mi aspettava, in piedi, vestito con pantaloni neri e una camicia color antracite, di taglio babbano, i capelli lasciati sciolti, con stivali nascosti sotto il tessuto dei pantaloni che aveva indossato per la cena.

    “Signore…”

Ero stupito di trovarlo lì, sembrava impegnato quando c’eravamo congedati e soprattutto non aveva dato l’idea di volermi parlare ancora per quella sera. L’atmosfera fredda mi fece capire che forse non era una visita piacevole quella che mi stava facendo. Uscii dall’acqua, rimasi in piedi di fronte a lui che mi squadrava con uno sguardo leggermente alterato, mi porse l’asciugamano e attese che mi dessi un’asciugata, aspettandomi di fronte alla finestra, ad ammirare la luna che era tornata a farsi strada tra le nuvole: da lì poteva osservare anche il chiostro, i bracieri ne delineavano la forma, espandendo giochi d luci e ombre da sotto le volte d pietra. Si voltò di nuovo verso d me, che ormai quasi asciutto aspettavo d capire cosa stesse succedendo. Sembrava davvero arrabbiato.

    “Che cosa vi avevo detto stamani prima della partenza, Sirius?”

Non feci nemmeno in tempo a rispondere.

    “Mi pare di avervi raccomandato di non dare confidenza a nessuno!”
    “Ma signore…”
    “Nessun ma, Sirius…”
    “Io non ho…”

Alshain mi squadrò, guardandomi poi dritto negli occhi, e costringendomi al silenzio e ad abbassare lo sguardo, nei suoi occhi pareva danzare lo stesso rossore dei bracieri.

    “Sei solo un ragazzino, Sirius Black, non hai disciplina e dimostri di non avere idea di cosa potresti fare anche senza volerlo… non dovevi rivolgergli nemmeno la parola…”
    “Ma signore…!”
    “Tu non puoi sapere come reagisce un babbano, nemmeno se fai un gesto innocuo e gentile. Nn puoi fidarti d loro, sono malevoli, sono crudeli e disonesti!”
    “Ma era un ragazzino!”
    “Ce l’hanno nel sangue, Sirius… e mi pare che tu l’abbia visto da te, o sbaglio? Non ti contesto di aver pensato alla vendetta, l’errore è stato metterti nelle condizioni di subire un’offesa da lui…. Immagino che a casa, quando ti arrabbi o sei triste, ti capiti d fare qualcosa anche senza volerlo: lo sai da te che non sei capace di governare queste capacità…. Cosa sarebbe successo se Mey non t avesse chiamato? Se avessi perso il controllo di quel pezzo d legno, chi l’avrebbe governato? Chi avrebbe posto un limite alla tua rabbia? Una maganò?”

Era tornato a guardarmi indagatore, ora non sembrava tanto adirato quanto sconvolto proprio come me: iniziavo a capire, a rendermi conto di quanto ero arrivato vicino a una tragedia, a quanto avessi messo in pericolo lui e la sua famiglia, che così gentilmente m avevano ospitato in quelle settimane. E per cosa? Per togliermi una curiosità su un babbano? Ero ammutolito: era molto diverso dal modo di mio padre di rimproverarmi e umiliarmi, lui si limitava a punirmi, Sherton aveva la capacità d farmi rendere conto di come una leggerezza potesse trasformarsi in una catastrofe non solo per me, ma per quanti amavo.

    “Mi dispiace, non mi son reso conto… io….”
    “Meriteresti di non venire con noi alla partita del Puddlemere United, ma sarebbe palese a tutti che sei in castigo, invece questa è una questione tra te e me, perché mi hai molto deluso Sirius. Passerai almeno un’ora al giorno con me nei sotterranei o dove t’indicherò, so che ti piace dormire al mattino, quindi scenderai all’alba, ti assicuro che diventerai più responsabile!”

M diede d nuovo le spalle, continuando a giochicchiare con il pollice sull’anello all’anulare.

    “Signore?”
    “Non sono ammesse repliche alle mie decisioni in questa casa, Sirius.”
    “No, io… Volevo scusarmi…”

Alshain mi guardò, non era più adirato ma non c’era ombra della benevolenza che di solito mi dimostrava, e questo m ferì più di tutto: se perdevo l’appoggio e la stima di quell’uomo, ero finito, e mi maledii ancora d più per la mia dabbenaggine.

    “È il caso che tu vada a dormire ora. Ci sono domande?”
    “Sulla punizione?”
    “Su quello che è successo oggi, sulla punizione, su quello che vuoi. Penso avrai domande su Spinner’s End…”
    “Non ho trovato molto interessante la giornata a dire il vero…”
    “E allora perché volevi parlare a quel ragazzino?”
    “Perché era strano, c’era qualcosa di strano in lui…”

Stava per aggiungere qualcosa ma poi ci ripensò, si voltò e andò di nuovo verso le finestre che circondavano il patio, guardando le stelle, nel cielo finalmente libero da nubi.

    “Hai visto qualcosa di strano in particolare o è solo una tua sensazione?”
    “No, non ho visto nulla, stavo sdraiato con Mey fino a poco prima…”
    “Cosa hai detto?”

Mi squadrò interdetto ed io divenni di nuovo porpora.

    “Io e Mey eravamo sul plaid e guardavamo le nuvole, stavamo parlando della favola che ci ha raccontato la prima sera qui…”

Alshain si lasciò sfuggire un sorriso sotto i baffi, era la prima volta che sorrideva da quando era apparso nel patio, mentre io ero preda della confusione più totale, con le guance in fiamme, le parole che mi uscivano balbettando e gli occhi che non riuscivano a sostenere il suo sguardo.

    “Ah sì, la nuvola… Capisco… Era bello il film?”

Ero sicuro che il peggio dovesse ancora venire, mi chiedevo come sapesse tutte quelle cose, le mie azioni, i miei pensieri, anche quelli più segreti, se, come temevo, fosse stata Mey a raccontargli tutto. Ero infuriato con me stesso, di nuovo quella ragazzina mi aveva giocato, ed io che non avevo occhi che per lei, che stupido!

    “Nn è stata Mey a dirmi del tuo scontro con quel ragazzo, sapevo già che sarebbe successo prima che partiste.”

Sorrideva, stavolta bonariamente, come tutte le volte in cui m raccontava qualcosa ed io cadevo vittima del suo fascino e della mia infinita curiosità.

    “So leggere gli indizi, per questo so dove cercare i cimeli del passato della mia famiglia, o sapevo che ti avrei trovato sul bordo del precipizio il mattino dopo il tuo arrivo, o che avresti voluto picchiare il figlio d Eileen Prince fin dalla prima volta che v foste incontrati, oltre a tante altre cose…”

Diventai rosso porpora. Chissà cosa racchiudeva quel “tante altre cose” ... Di nuovo non’ombra cupa gli attraversò il volto.

    “Da quando sei qui, ti chiedi se c’è un motivo preciso per cui vi ho invitato, ci abbiamo girato attorno parlando, varie volte: Walburga non è stata mai entusiasta d questa storia, vista la mia cattiva nomea, ma tuo padre ha voluto me come vostro padrino, tuo e di tuo fratello, quado siete nati…”

Non potevo crederci, era la cosa più meravigliosa che avessi scoperto nella mia vita. Ne ero felice, dopo la giornata noiosa, l’incontro col babbano, la ramanzina di Sherton e il suo sguardo duro, scoprire che era non solo un amico ma il mio padrino mi ridava fiducia nel futuro. Mi fiondai su di lui per abbracciarlo, m era mancato davvero tanto, anche se in fondo era passato pochissimo da quando c'eravamo congedati dopo cena.

    “Non lo sapevi… dovevo immaginarlo… questo significa che ho precise responsabilità verso di voi, e ho promesso, quando eravate piccoli, che nel tempo che mi resta da vivere vi avrei insegnato tutto quello che so, tutto quello che a scuola non insegnano più, come se foste due dei miei figli.”
    “La magia oscura degli Sherton?”
    “No Sirius, non si tratta di magia oscura… o meglio, non solo… sentirai molte cose sulla mia famiglia e su di me crescendo, lo so, ma non tutto quello che sentirai corrisponde al vero, anzi… tu sei una delle poche persone cui ho dato e darò modo d conoscermi per quello che davvero sono, solo tu e pochi altri conosceranno la verità.”

Sorrisi, era un grande onore, e sapevo che su questo non mi avrebbe di certo mentito.

    “Perché mio padre ha dovuto delegare te per insegnarci? E’ davvero così poco potente come mago, da dover…”
    “Non dire sciocchezze Sir, voi Black siete tra i maghi più puri e potenti, è solo che… tuo padre ha, come dire, perso di vista la strada che porta diritto al cuore dei suoi figli: è come un fiume, ricco di acqua ma… c’è una roccia che gli impedisce di fluire come dovrebbe… io vi aiuterò a togliere quella roccia, perché voglio bene a tutti e tre.”

Si avvicinò, mi scompigliò i capelli e fece per congedarsi.

    “Personalmente non credo che mio padre si meriti un amico come te…”
    “Personalmente non credo che tu conosca davvero tuo padre e ora vai a dormire, è il caso che tu ti riposi, domattina ti aspetto presto nei sotterranei, ricordatelo!”

Me ne tornai in camera, mi rivestii e mi sdrai sul letto, Regulus era già nel mondo dei sogni, sembrava una bambola di cui vedevo a malapena i riccioli neri e morbidi disfatti sul cuscino. Osservai la luna e m resi conto di quanto quella giornata fosse stata lunga e pregnante per la mia vita. Sherton era il nostro padrino, aveva assunto fin dalla nostra nascita l’impegno di prendersi cura di noi, niente e nessuno ci avrebbe mai diviso: ero felice, come mai, eppure, continuava a risuonarmi sinistra la frase ”nel tempo che mi resta”. Da giorni ormai ero convinto che sapesse ben più di qualcosa sul futuro di tutti noi. E dall’aria cupa che gli avevo visto in alcune circostanze, avevo il sospetto che nel futuro non ci fosse solo gioia e serenità. Mi addormentai con un dolore sordo nello stomaco, la voglia d piangere e la terribile consapevolezza che, quando aveva cercato di confortarmi, mi avesse mentito.


*continua*



NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).

Valeria



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