Accidenti a
Dante! Era tutta colpa
sua se lui adesso si ritrovava con un delizioso quadernetto rosa tra le
mani. Eva glie l'aveva teso dicendo "Tuo fratello è andato a
comprare un regalo per Federica. Ho pensato che avresti potuto
prendere qualcosa anche tu, per la tua amica". Peccato che la madre non
si fosse fermata a chiedere la sua opinione prima di fiondarsi
all'acquisto e adesso lui, per farla
contenta, avrebbe dovuto consegnare a Sveva il grazioso pacchettino
della cartoleria. In effetti Sveva l'avrebbe apprezzato, l'aveva colta
più volte china sui fogli, o concentrata alla tastiera di un
portatile, e aveva il sospetto che si divertisse a scrivere un
insulso romanzetto o qualche smielata poesia. Ma come farle capire che
non era stato lui l'artefice del regalo? Non avrebbe nemmeno voluto
ammettere di stare semplicemente obbedendo agli ordini di sua madre.
L'avrebbe fatto sembrare un bambino. Il problema era che
Eva era fragile e delicata solo in apparenza, nella realtà
era
capace di rigirare lui e Dante come più le piaceva. Senza
sapere
neanche come, lui e il fratello si ritrovavano sempre a obbedirle,
anche quando non erano d'accordo con le sue proposte.
Sbuffò e seguì la madre al tavolino di un bar, la
tovaglia bianca ondeggiava al vento e le sedie erano all'ombra. Sarebbe
stato lieto di fare una sosta, il caldo italiano era difficile da
sopportare. Fece
appena in tempo a posare le buste e sedersi che sua madre scatto in
piedi. -Cosa
c'è?-
-Fermo lì, voglio farti una foto, con quella camicia blu e
il mare alle spalle sei davvero incantevole.-
-Grazie, mamma.- Un sorriso spontaneo gli curvò le labbra,
mentre cercava di assumere una posa studiatamente naturale.
Posò un braccio attorno alle spalle di Eva, mentre lei
tornava a
sedersi e si tendeva verso di lui per fargli guardare l'istantanea
appena
scattata. -Guarda come sei bello quando smetti di avere
quell'espressione accigliata e ti sciogli un po'.-
-Non ho un'espressione accigliata!-
-E invece sì, fai sempre il sostenuto. E in questi giorni
poi c'è qualcosa che ti rende irrequieto.-
Vergil socchiuse le labbra, ma non pronunciò neanche una
sillaba. Per quanto tentasse di nascondere le proprie emozioni, sua
madre era sempre capace di leggergli dentro. -Niente per cui ti debba
preoccupare.-
-Non sono preoccupata Ver, sono un po' triste- disse, accarezzandogli
una guancia.
-Perché?-
-Perché non ti confidi con me, preferisci covare la tua
confusione, come se esprimere i tuoi dubbi fosse una debolezza. Io,
però, sono tua madre. Non hai bisogno di mostrarti sempre
forte
con me. So decifrare ogni piccola ruga che ti viene sulla fronte e
penetrare ogni tuo silenzio. Non ti chiedo nulla per lasciarti i tuoi
spazi, non voglio essere invadente, ma a volte ho la sensazione che tu
abbia bisogno di parlare con qualcuno e non ti conceda di farlo.-
Vergil rimase a bocca aperta. Eva aveva compreso dei suoi atteggiamenti
che nemmeno lui aveva
saputo interpretare. Sospirò, improvvisamente stanco.
Rovesciò la testa e guardò solo il cielo sopra di
lui, non c'era nemmeno una nuvola in quello spazio infinito e
tranquillo. La voglia di sentirsi libero, di far scivolare via il peso
di mille segreti, sembrò conquistarlo. Forse era il momento
di
abbattere almeno qualcuna delle barriere che aveva eretto, calare la
maschera del super io e permettersi di essere semplicemente un figlio.
Se c'era una
persona di cui si fidava era sua madre.
Eva attese che il cameriere si allontanasse, dopo aver preso nota delle
loro ordinazioni, per rivolgersi di nuovo al ragazzo, ma lui
la
precedette.
-Hai ragione, mamma. Di solito sono in grado di prevedere esattamente
gli eventi, le reazioni delle persone che mi circondano. Non ci sono
imprevisti, non ci sono sorprese, va tutto esattamente come avevo
programmato. Ho sempre ragione. Ma da quando siamo qui...- Vergil
puntellò i gomiti sul tavolo e si prese la testa tra le
mani.
-C'è qualcosa che mi confonde, che mi costringe a mettermi
in
discussione e questa cosa mi fa ammattire.- Alzò leggermente
la
voce e tornò a sedersi contro lo schienale, evitò
lo
sguardo di sua madre, osservando un punto imprecisato davanti a
sè.
-Questa cosa o questa persona?- disse Eva, in tono divertito.
Vergil la fulminò con lo sguardo, per poi tornare a non
guardarla. Non le rispose.
-Tesoro mio, non c'è niente di male nell'essersi innamorati.-
-Non mi sono innamorato di lei! Lo sapevo, ho fatto male a parlartene,
ti sei fatta un'idea sbagliata.-
-Non è affatto vero, mio caro. Io mi baso su ciò
che ho
visto.- Allungò al figlio la fotocamera. Aveva selezionato
una
delle foto scattate a Ravello, perché comparisse sul
display,
aveva anche impostato lo zoom affinché inquadrasse
esattamente la
scena. Nell' inquadratura c'era Sveva concentrata su un punto un po'
più a sinistra rispetto all'obiettivo, e Vergil che la
fissava
intensamente, come volesse accarezzarla con lo sguardo. -Non si
può equivocare questa situazione.-
Vergil si umettò le labbra, sentendo stranamente la gola
secca.
Cercò di recuperare il controllo, prima di
arrossire come uno scolaretto. Solo sua madre era in grado di fargli
quell'effetto. Lo faceva sentire come fosse impreparato durante
un'interrogazione. -Non è come sembra.-
-Oh, quindi lei non ti piace? E sai che capisco quando mi dici una
bugia!-
-E va bene. Innamorato è una parola grossa, diciamo che
Sveva mi
interessa, però lei è sempre
così...indisponente!-
Eva alzò le sopracciglia, mentre un mezzo sorriso le
illuminava
il volto. -Tesoro, quella ragazza ha carattere. Tu non puoi stare con
una di quelle marionette, sempre pronte a darti ragione, ti
annoierebbero entro un paio d'ore. Lo so che sono più
rassicuranti, più tranquille, ma l'amore non è
questo.
L'amore deve darti la scossa, deve capovolgere la tua realtà
e
farti sentire diverso, deve cambiare il tuo mondo, il modo di vedere le
cose, perché da una persona sola si diventa due. L'ottica si
raddoppia, c'è un punto di vista diverso, c'è
un'altra
persona di cui occuparsi e preoccuparsi.-
-Già...- Vergil non confidò alla madre tutti i
suoi
pensieri, ma si ricordò di quel giorno sulla spiaggia,
quando
avrebbe voluto dire qualcosa in grado di ferire Sveva, ma gli era
bastato uno sguardo a quel volto così pulito e ingenuo da
far
naufragare ogni proposito bellicoso. Abbassò lo sguardo
verso la
foto, e una piega amara si dipinse sulla sua bocca. Puntò il
dito contro il piccolo schermo. Per quanto quelle parole gli pesassero
aveva bisogno di pronunciarle. -Lei non mi sta guardando.-
Eva posò la mano sulla schiena del figlio e lo
accarezzò
come quando era bambino e voleva tranquillizzarlo. -Scorri le varie
foto, ne ho fatte tante- gli suggerì.
Lui ignorò il gelato che si stava sciogliendo nella coppa e
iniziò a sbirciare nella gallery. All'inizio c'erano tutte
foto
di gruppo, con i genitori soddisfatti e rilassati, poi vide se stesso e
Sveva in una serie di scatti rubati. In alcuni momenti avevano i visi
talmente vicini che sembrava stessero per baciarsi, ma lui
capì
che si stavano punzecchiando. Erano vicini solo per non farsi sentire.
Certo, sorridevano e si guardavano negli occhi con una
complicità sorprendente. Sveva aveva lo
sguardo luminoso e le guance lievemente arrossate, i suoi capelli
sciolti disegnavano delle onde setose sul vestito azzurro. Se l'avesse
avuta lì, in quell'istante, avrebbe affondato la mano tra la
chioma dorata, e avrebbe giocato con quei boccoli scomposti. Accidenti,
ma
cosa stava pensando?
Le successive tre istantanee lo lasciarono piacevolmente colpito. Sveva
lo guardava, a volte in modo palese, altre di sottecchi,
però lo
guardava. E sembrava felice. Felice di vederlo, di averlo accanto. In
quei fotogrammi non c'era finzione che tenesse, non c'erano scuse, o
schermaglie dietro le quali nascondersi. Il sentimento si leggeva sui
loro volti, negli occhi spalancati, le labbra socchiuse; la mani quasi
sempre vicine, che a malapena si sfioravano, senza il coraggio di
toccarsi davvero.
Lasciò andare la fotocamera e si dedicò al gelato
alla
frutta, che richiedeva un suo intervento urgente. Eppure fece fatica a
percepire il delicato gusto del cocco sul palato, tanto era preso a
elaborare razionalmente il gran tumulto che gli si agitava dentro.
Doveva arrendersi all'evidenza? Si era innamorato.
-A cosa pensi?- gli chiese Eva, dopo lunghi minuti di silenzio.
-Lei potrebbe avere un altro...- mormorò, stringendo i pugni
sul tavolino.
-Quella non mi sembra la faccia di chi pensa ad un altro-
mormorò Eva, picchiettando con l'unghia sulla fotocamera.
-Lo credevo anche io.- Vergil si voltò verso sua madre,
senza curarsi di nascondere la
delusione. Si mostrò per quel che era, un ragazzo confuso,
con
il terrore di fare una figuraccia e di perdere tutto il muro di
autodifesa che si era costruito intorno. Lui sapeva chi era, era
consapevole di se stesso, di essere una persona forte, decisa, che
otteneva sempre ciò che voleva. Ma se quell'immagine che
aveva
di sè fosse crollata, non sapeva cosa avrebbe potuto fare
per ricomporre i pezzi.
-Che importanza ha?-
-Cosa? Mamma forse non hai capito. Lei sta frequentando un altro,
credo. Comunque si sentono.-
-Ripeto: che importanza ha?- Eva spostò la sedia, in modo
che
fosse proprio di fronte al figlio. Gli posò una mano sul
braccio
e lo strinse, sorpresa di sentire tanta forza trattenuta sotto le dita,
eppure tra quei muscoli scorreva anche una fragilità
nascosta,
come un fiume sotterraneo che non vuole salire in superficie, ma
corrode le fondamenta. -Se tu
ami quella ragazza allora non devi temere di sbagliare. Devi fregartene
del rischio di avere un due di picche, che secondo me non avrai
affatto, e fare almeno un tentativo. Altrimenti ti darai dello sciocco
per non aver nemmeno tentato, e ancor peggio capirai di esserti fatto
frenare dalla paura, e questo non lo sopporteresti. Non tu.- Sua madre
lo guardò dritto negli occhi, con espressione seria, ma il
suo
volto si distese pochi secondi dopo, lasciando il posto a un certo
divertimento. -E poi cosa dicevi a tuo fratello, qualche giorno
fa? "Hey, sono Vergil Sparda: nessuna ragazza mi resiste!"-
Vergil fu felice di non avere uno specchio davanti a sè,
perché l'imitazione che gli fece sua madre lo fece arrossire
fino alle punte dei capelli. Al colmo dell'imbarazzo
perlustrò i
tavoli vicini, per accertarsi che nessuno li avesse visti. -Mamma, non
farlo mai più!-
-Ok, però è stato divertente!-
-Sì...per te.-
-Che c'è?-
-Nessuna mi resiste...ma su di lei non sono così sicuro.-
-Ah, quindi vuoi vivere col dubbio?-
Dubbi. Lui non ne aveva mai avuti. E quello non era il momento per
cominciare a collezionarli. No, lui doveva conoscere la
verità e
c'era una sola persona che avrebbe potuto dirgliela.
*****
Sveva appoggiò la fronte contro il vetro della finestra e
chiuse
gli occhi per qualche istante, godendosi il freddo di quella superficie
contro il volto accaldato. I pensieri vorticavano nella mente come
prede
di un uragano furibondo e il cuore non rallentava la sua folle corsa.
Deglutì a fatica e guardò verso il mare,
trovandolo
agitato quanto lei. Le onde si rincorrevano sempre più
veloci,
creando una spuma leggera e frizzante. Fino a qualche ora fa era
immersa in quell'acqua cristallina, nuotando sempre più a
largo
per poi girarsi e ammirare la riva lontana. Quella solitudine, invece
di rasserenarla, la spingeva a pensare agli amici assenti.
Aveva parlato con Federica e aveva saputo che si era ormai
decisa a perdonare Dante. Sveva accolse quella notizia con la gioia
più grande e sincera, però fu costretta ad
analizzare la
propria situazione con una punta di invidia. Lei era ben lontana
dall'ottenere un lieto fine con Vergil, malgrado fosse il suo desiderio
più grande.
Mosse qualche passo per la stanza, fino a sedersi alla scrivania.
Estrasse un vecchio quaderno dal cassetto, accarezzò la
copertina lisa, di un azzurro ormai sbiadito e poi lo aprì,
sentendo le pagine crepitare sotto le dita, colpa di un bagno
imprevisto che le aveva raggrinzire; fortunatamente le parole si erano
salvate, anche se alcune erano sfocate, indistinte, come era stata lei
quando le aveva scritte. Arrossì al pensiero di avere ancora
un
diario segreto. Alla sua età quella piccola mania sembrava
davvero infantile, ma buttare giù i suoi dubbi era un modo
di
vederli con più chiarezza e, magari, trovare una soluzione
ragionevole. E poi quel diario non era un'abitudine, ma solo un rimedio
estremo per i momenti di confusione assoluta. E quello era certamente
un momento di confusione.
Iniziò con l'immancabile "Caro diario" per poi lasciar
libera la
penna di vagare sui fogli. Tre ore e qualche lacrima più
tardi,
poté alzare lo sguardo dalle pagine riempite di una fitta
calligrafia obliqua. Chiuse di scatto il quaderno, e lo strinse al
petto, come si fa con un oggetto caro e fragile, qualcosa da custodire
gelosamente. Lo portò con sè sul letto, dove si
distese,
cercando inutilmente di dormire. Si sentiva svuotata, in effetti lo
era, perché tutti i suoi sentimenti erano fluiti sulla
carta,
abbandonandola in uno stato di rassicurante vuoto. Si
rannicchiò, infreddolita. Chiuse la mani a
pugno e le nascose sotto il cuscino per accumulare un po' di calore.
Sapeva che quella sensazione non derivava dalla temperatura effettiva,
ancora estiva e altissima, ma era una conseguenza del suo malessere
interiore, del suo stato d'animo. Era venuto il momento di fare i conti
con se stessa.
Aveva finto per troppo tempo di non provare nulla per Vergil e quella
recita, ora, iniziava a logorarla. Aveva bisogno di posare la maschera
e guardarsi allo specchio per chi era veramente, senza finzione, senza
bisogno di proteggersi. Fece un respiro profondo e si vide riflessa
nella specchiera posta sopra la scrivania. Si mangiucchiò
un'unghia, osservando il volto di una ragazza insicura, che continuava
ad aggiustarsi i capelli e ad abbassare lo sguardo. Ma qualche istante
dopo qualcosa si mosse, le sembrò quasi di percepire uno
schianto dentro l' anima. Doveva essere una lastra di ghiaccio che
precipitava in chissà quale abisso. Era stanca di essere
sempre
troppo educata per dire la verità, troppo fragile per
arrendersi
all'evidenza, troppo testarda per capire che essere ferita non era poi
così grave, ma accumulare rimpianti era letale.
Una risata, profonda, liberatoria, le gorgogliò su per la
gola,
arrivando fino alle labbra che si aprirono per lasciarla uscire. Era
finita. La guerra si era conclusa. Era il momento di alzare bandiera
bianca.
-Ma cos'è cambiato? Fino ad oggi ti sei sempre rifiutata di
dichiararti- continuava a sussurrarle una vocina.
Sveva aprì il quadernetto e rilesse un passo che aveva
appena
scritto "Non mi sono
mai lasciata andare, non completamente. Ho aperto
uno spiraglio sufficiente perché Vergil notasse quel che
provo
davvero, perché tutti lo notassero, in realtà. Ma
poi,
arrivata al momento cruciale, mi sono sempre rifiutata di cedere.
Conosco Vergil, so quanto sia arrogante ed egocentrico. Non volevo
abbandonare me stessa nelle mani di uno così, ma poi ho
dovuto
ammetterlo. Mi sono innamorata di lui perché è
dannatamente affascinante, galante, e in rarissimi momenti perfino
protettivo. Quel suo essere rigido, fermo, mi trasmette una sicurezza
che non ho mai provato prima. Vergil non è solo
oscurità,
è anche luce, seppure soffusa. Allora perché non
fidarmi
di questo suo lato? Perché vedere solo il buio, il peggio?"
-Ti farà solo del male- ripeté la voce.
E gli occhi della ragazza saltarono qualche riga più
giù.
"Mi ferirà?
Non posso saperlo. Non lo escludo, anzi, ammetto che
la possibilità c'è ed è anche
piuttosto alta.
D'altronde sto già soffrendo. Lui sa di piacermi e si fa
forte del mio
silenzio, cerca in ogni modo di piegare la mia resistenza, e
più
mi oppongo e più sto peggio. Perché ho sempre
pensato di
non poter parlare, di non poterglielo dire. Avrebbe riso di me, mi
avrebbe usata e gettata via. Forse lo farà davvero. Questa
prospettiva mi atterrisce, mi spaventa. Ma come faccio a continuare a
lottare contro di lui, quando l'unica cosa che voglio è
buttargli le braccia al collo e rubargli un bacio? Sì,
proprio
io. Proprio la pavida e fragile Sveva. Vorrei avere abbastanza audacia
da fare ciò che lui ha fatto a me a Ravello. Spingerlo con
le
spalle al muro e sfiorare quelle sue labbra morbide. Giocare con lui,
come se non fosse pericoloso, come se non stessi in bilico sul
precipizio.
Sarebbe una sensazione inebriante, meravigliosa. E allora
perché
non provarci? Mi farà male? Forse sì. Ma stare
ferma ad
aspettare che qualcuna con più coraggio e meno insicurezze
se lo porti via è anche più doloroso."
-Lui ti respingerà- esclamò la voce.
"Ho sempre pensato che
mi avrebbe respinta, che si sarebbe divertito
nel prendermi in giro. Non posso interessargli, io che sono tanto
insulsa. Eppure lui continua a stuzzicarmi, a provocarmi. Non
perderebbe il suo tempo solo per una sciocca ragazzina romantica. Ho
una possibilità. Una su un milione. E pescare quella giusta
sarà davvero come trovare l'ago nel pagliaio, ma
devo almeno tentare. In fondo, se mi allontanerà,
succederà soltanto ciò che avevo sempre previsto.
E
allora crolleranno tutte le mie speranze, ma anche le mie incertezze.
Non posso perderlo, perché non è mai stato mio.
Rischio
il mio amor proprio, il mio orgoglio e una relazione sperticata in cui
lui fa la parte del leone e io dell'agnellino che lotta solo per
salvarsi la pelle, ma solo per un altro giorno ancora,
perché lo
so che alla fine sarà lui a vincere. Non è questo
il
rapporto che voglio avere con lui. Almeno, se mi beccherò un
due
di picche gigantesco, potrò ricominciare da capo.
Recupererò un briciolo di sanità mentale,
scriverò
il suo nome per qualche mese su foglietti ricoperti di cuori spezzati e
poi lo dimenticherò. Ma se non andasse così?"
-Hai davvero intenzione di dichiararti?- urlò la voce,
stavolta scandalizzata.
Sveva voltò una pagina, cercando le risposte nella sua
confessione d'inchiostro blu. "Non
busserò alla sua porta
cascandogli tra le braccia ed esclamando: io ti amo! No, certo che no.
Ovviamente no. Ho ancora un briciolo di lucidità e spirito
di autoconservazione. Ma
un piccolo passo l'ho fatto, con il cuoricino per sms. Lo so,
è
una piccolezza, ma lui dopo ha sorriso. Non l'ho immaginato. Il suo
volto si è disteso, era...rassicurato. Non capisco che cosa
gli
prenda in questo periodo. Mi sembra sempre più seccato dai
messaggini di Ettore. Ma questo è un bene, no? A me non
importa
un fico secco di Ettore, che poi non è mai stato
così
appiccicoso. Voglio solo far capire a Vergil che...Cavolo, non lo so
come farò! Però, la prossima volta che lui
tenterà
di giocare con me, aspettandosi che io mi dia alla fuga...lo
sorprenderò! Lascerò la presa su me stessa, mi
concederò di dire la verità: è vero, ti voglio.
Chissà come la prenderà lui. Sono terrorizzata,
però rischiare è l'unico modo per ottenere una
svolta.
Non posso continuare così, è da vera masochista.
Vuole
che ammetta che lo amo? Lo ammetterò! In effetti lui ottiene
sempre quello che vuole. Speriamo che per una volta quel che lui
desidera sia io."
Chiuse il quaderno, spense la mente e si abbandonò al nulla.
Un
piacevole vuoto fatto solo di respiri leggeri. Doveva solo conservare
il coraggio e l'incoscienza di chi non teme colpi avversi.
Ciao,
lo sapevate che
oggi è la giornata mondiale della lettura?
Ecco, io sono
bloccata a casa, niente giro per le librerie, però ho
pensato di farvi un regalino e postarvi il capitolo nuovo.
Che ne dite di
questo Vergil insospettabilmente fragile e della nostra Eva divertita e
tenera?
E di Sveva che sta
raccogliendo tutto il proprio coraggio per svelare a Vergil i suoi
sentimenti?
Tenete
duro, mancano pochi capitoli alla fine, ma ci saranno ancora delle
belle sorprese!
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