Storia partecipante ai
contest:
·
“I’ll
look after you” indetto da Chloe R Pendragon sul forum di EFP;
·
“Shakespearian
quotations contest” indetto da _juliet sul forum di EFP;
·
“Fantasy
Contest - Alternative Route” indetto da Mokochan sul forum Torre di Carta e
sul forum di EFP.
Il mietitore di Barcellona
CAPITOLO
UNO
C’erano zone di
Barcellona in cui la primavera faceva fatica ad arrivare. Il quartiere di El
Raval vantava una vita notturna all’insegna della criminalità, che si accompagnava
a un gelo innaturale, che gli umani sembravano non percepire. Ma forse era
soltanto una mia sensazione. Difatti, ogni volta che mi addentravo in uno dei
vicoli bui di quella zona, ne uscivo dopo aver traghettato l’anima di qualcuno
che era morto prima del previsto.
Quella sera toccò a una
ragazza dai lunghi capelli biondi raccolti in una treccia.
Se ne stava sdraiata a
pancia in giù sul tetto di un edificio, reggendosi sui gomiti e puntando un
fucile di precisione verso la strada sotto di lei, dove quattro uomini si
stavano scambiando borse e valigette.
Avevo visto troppi
acquisti di droga per non riconoscerne uno, ma trovai sorprendente l’idea di un
sicario appostato dieci metri più in alto a tenere d’occhio la scena.
Probabilmente qualcosa andò storto, perché la donna dai capelli biondi si
trasformò da cacciatrice in preda nel giro di pochi secondi.
Un proiettile
proveniente dalla sua destra la colpì al fianco. Lei s’infilò un pugno in bocca
per non gridare e si morse forte le dita. Proprio mentre si girava per controllare
lo stato della ferita, un altro colpo la centrò in pieno petto.
Mi sentii trascinare
verso di lei da una familiare forza invisibile e in pochi attimi fui al suo
fianco. Vidi chiaramente la sua anima lasciarsi indietro il proprio corpo e,
come avevo fatto per milioni di altre anime prima di lei, le tesi la mano.
Lei si voltò a guardare
il corpo che aveva lasciato, poi puntò gli occhi verdi nei miei.
«Sono morta?», chiese
in preda al panico.
In tanti secoli di
non-vita, nessuna delle anime che avevo traghettato dall’altra parte mi aveva
mai rivolto la parola. Nessuna, in verità, mi era mai parsa in grado di provare
emozioni o anche solo di pensare qualcosa. Quella ragazza, invece, mi fissava
con gli occhi sgranati, in preda al panico.
Inclinai la testa.
«Quasi», risposi. Per un attimo rimasi sorpreso dal fatto che lei potesse
sentirmi. Neanche io avevo mai parlato con un essere umano.
«Non posso morire»,
dichiarò stringendosi le braccia attorno al petto, come se volesse bloccare
l’emorragia. Ma il foro di proiettile non c’era più. Si guardò intorno
spaventata, con lo sguardo di una bambina in preda al terrore, mostrando una
fragilità che non mi sarei aspettato guardandola impugnare quel fucile.
«Ti prego», mi disse
guardandomi dritto negli occhi.
Abbassai la mano che
avevo sollevato verso di lei.
Non potevo portarla
dall’altra parte, non volevo. Volere.
Non avevo mai provato niente di simile, eppure quella volta volevo. Volevo che smettesse di avere
paura.
La guardai sbiadire
come una cortina di fumo che si dirada. Se non l’avessi traghettata, sarebbe
rimasta per sempre sospesa tra la vita e la morte, spenta e impossibilitata a
fare qualsiasi cosa se non aspettare la fine dell’eternità.
Presi una decisione istintiva:
anziché tenderle una mano per trascinarla verso di me, le spinsi forte il palmo
contro una spalla. Lei cadde all’indietro sul tetto su cui era quasi morta e si
ricongiunse con il proprio corpo.
Allontanai per la prima
volta un’anima, una che, stranamente, avrei davvero voluto trascinare verso di
me.
Ma lei non voleva.
Si svegliò di
soprassalto e si mise a sedere tossendo. Sputò un po’ di sangue, poi si tastò
il petto e il fianco in cerca delle ferite. Non le trovò. Si posizionò di nuovo
a pancia in giù, impugnando saldamente il fucile, ma la strada era deserta.
Scrutò per qualche istante i dintorni, alla ricerca di eventuali sicari
appostati per uccidere lei. Non ce n’erano. Imprecò.
Istintivamente, mi
nascosi nell’ombra temendo che potesse vedermi, anche se ovviamente non poteva
essere così. I vivi non erano in grado di vedere quelli come me. Ma
generalmente, i vivi non erano in grado neanche di sfuggire alla morte senza un
apparente motivo. In pochi arrivavano così vicini all’altra parte e poi
tornavano indietro.
Dopo che ebbe riposto
con cura il fucile in uno zainetto, la seguii a distanza mentre scendeva dal
tetto del palazzo e si incamminava per le stradine di El Raval. Entrò in un bar
e si diresse con decisione verso la sala da biliardo sul retro.
Non appena varcò la
soglia, un uomo sulla cinquantina che stava fumando un sigaro appoggiato al
muro, si alzò di scatto e sorrise.
«Signori, ecco a voi la
nostra eroina Leya Sanchez», annunciò in tono teatrale. Tutti si voltarono a
guardarla. Uno di loro, un ragazzo di poco più di vent’anni, rimase immobile
piegato sul tavolo da biliardo, con la stecca tra le dita e lo sguardo fisso
sulla nuova arrivata.
«Non ci sono riuscita»,
tagliò corto lei.
Un mormorio di fastidio
si levò nella stanza. Qualcuno scrollò la testa, il ragazzo sul tavolo da
biliardo tornò a concentrarsi sulla pallina.
L’uomo soffiò fuori una
boccata di fumo e poi si rivolse a lei senza più alcuna traccia dell’entusiasmo
che l’aveva animato qualche secondo prima. «Cosa è successo?»
«Sapevano che sarei stata
lì», rispose secca. «Hanno provato a spararmi da un altro tetto. Sono riuscita
a evitarli, ma ho perso gli obiettivi.»
Tecnicamente, non era
andata proprio così. Leya – così si chiamava la ragazza – era stata centrata in
pieno. Due volte. Ed era anche morta, tanto per essere precisi.
«Ho intenzione di
riprovarci», aggiunse lei.
L’uomo inarcò un
sopracciglio. «Ne sei proprio sicura?»
«Sì, se il patto è
ancora valido», replicò lei. «Mi servono quei soldi.»
«Affare fatto, allora. Ti
farò sapere dove e quando avrà luogo la prossima transazione. Fai fuori quei
due e avrai i soldi che ti ho promesso. Ma se ti cacci nei guai non aspettarti il
mio aiuto.»
«Certo che no», disse
lei acida. «Non lo faresti per uno dei tuoi, figuriamoci per me.»
Lui inarcò di nuovo un
sopracciglio, ma non disse niente.
«Sai come contattarmi,
Ramon», concluse lei. Poi gli diede le spalle e, senza rivolgere neanche una
parola agli altri, uscì dalla sala da biliardo e dal bar.
Uno strano sentimento
di aggressività che non avevo mai provato prima mi pervase. Si sarebbe messa in
pericolo di nuovo, senza alcuna garanzia di soccorso da parte di quel Ramon.
Perché? E perché a me importava tanto? Forse mi sentivo responsabile per la sua
vita. Forse, dopo averla rimandata indietro, era mio compito fare in modo che
restasse viva almeno per un po’. Quale che fosse il motivo, decisi, in quel
momento, che avrei vegliato su di lei fino a che avessi potuto.