[zipedit] La Tavola Periodica [Selim Bradley] [post Brotherhood/manga] Una volta Selim Bradley era stato a
casa di una sua compagna di classe per uno di quei progetti collettivi che
tanto piacevano alle sue maestre. Lì aveva visto per la prima volta in vita sua
una bambola parlante, fabbricata da un giocattolaio di Central City e ricevuta
in regalo dalla sua amica. Peccato che però il meccanismo che le faceva dire
“mam-ma” e “ho-fa-me” si fosse rotto, e la voce che usciva dal bambolotto fosse
ormai diventata lenta, gutturale e a scatti, cosa che aveva suscitato l’ilarità
dei bambini presenti e aveva dato il via ad una serie di improbabili
imitazioni. La padroncina di casa però l’aveva difeso dallo scherno degli
amici, comportandosi come se quell’ammasso di stoffa fosse davvero suo figlio.
Un figlio finto, un figlio creato da un sapiente artigiano, un figlio da amare
come se fosse stato un bambino come tutti. L’imitazione però più perfetta,
nonché inconsapevole, era quella che faceva in ogni sillaba della sua vita la
sua professoressa di scienze, una minuta sessantenne dal caschetto nero come la
pece e gli occhiali grossi come fondi di bottiglia: parlava esattamente come
quel bambolotto rotto. La voce monotona, gracchiante e lenta accompagnava tutte
le sue lezioni, e Selim Bradley non poteva che ricordarsi ogni santa volta di
quella bambola, che diceva poche parole e sempre le stesse, e sempre malissimo.
Selim era un ragazzino felice,
aveva tredici anni e andava a scuola con tanti altri bambini della sua età. Gli
piacevano le materie scientifiche, e sicuramente l’andirivieni di Alchimisti di
Stato nella sua città e nella sua casa gli avrebbe fatto nascere l’idea di
diventarlo anch’egli, ma per il momento non era nulla di più che un ragazzino a
modo portato per la matematica e le scienze. La sua madre adottiva era davvero
orgogliosa di lui, anche se ancora non lo reputava abbastanza maturo per calare
il velo di Maya che avvolgeva i fatti che lo avevano avuto protagonista. Sarebbe
venuto il momento, certo, ma tredici anni erano ancora pochi. La professoressa intanto spiegava,
e spiegava. Selim prendeva appunti, ma quella voce lenta e monotona era in
grado di rendere soporifero anche un argomento che gli interessava e che gli
era stranamente congegnale come la Tavola Periodica degli Elementi. I suoi
amici sbuffavano, e lui ricordava già un sacco di numeri atomici; i compagni
vagavano in lacrime alla ricerca del Rutenio come assetati nel deserto, e lui
l’aveva trovato al primo colpo. Ascoltava la voce monotona della donna in
cattedra e guardava distrattamente l’immagine della Tavola sul suo libro. Quasi senza rendersene conto,
impugnò la matita e cominciò a scarabocchiare dei ghirigori sul margine del
quaderno. Tra i ghirigori spuntò una S. Incluse la S in un quadrato. Nel quadrato, in alto a destra,
tracciò il numero 16. A sinistra vergò le cifre 2-8-6. In basso, senza
sbirciare dall’illustrazione, scrisse di getto 32,066. Zolfo. Quasi trasalì il ragazzino
guardando la casellina della Tavola Periodica uscita dalla punta della sua
matita come per magia. La professoressa stava rispondendo alla domanda di una
ragazza in seconda fila, il suo compagno di banco ammirava rapito una mosca che
gironzolava per l’aula. Zolfo.
Il ricordo di un sogno gli tornò in
mente con la velocità di un lampo, e gli fece scivolare un brivido lungo la
spina dorsale: ogni tanto, mentre dormiva, un uomo vestito di bianco veniva a
fargli visita nei suoi sogni. Non era come un incubo, non faceva nulla di
spaventoso né poteva dire di sognarlo tutte le notti come un’ossessione. Ogni
tanto lo vedeva in piedi davanti a lui, sorridendo con ironia. Non parlava, non
si muoveva. Però a volte rideva, una risata folle che gli devastava i
lineamenti gentili e che lo faceva apparire come un demone. «Selim?» la voce della
professoressa fece dissolvere il pensiero nella mente di Selim, la S sul margine tornò ad essere una
semplice esse. «Vuoi ricordare alla
tua compagna che cos’è un numero atomico?» «È il numero di protoni contenuto
in un nucleo atomico» rispose meccanicamente il ragazzino; la professoressa,
incassata la risposta, lo guardò brevemente attraverso gli occhiali tondi e
spessi e tornò con dedizione a far assopire la classe. L’uomo in bianco sorrise
soddisfatto e tornò in un invisibile meandro della mente di Selim. Dietro le quinte… Doverosissimo ringraziamento a
Erja, che ha ispirato questa piccola drabble! L’uomo vestito di bianco… il
residuo di un ricordo nella psiche di un bambino, o presenza reale che aspetta
il momento giusto per uscire allo scoperto? Qualora ci fossero refusi o errori
di trama, non esitate a farmelo notare :) ve ne sarei molto
grata. Grazie a tutti per aver letto!
Yellow Canadair
|