Rinunciò
a sistemarsi i capelli, tanto quell'alito di vento
continuava a scompigliargli, facendogli cadere un ciuffo proprio
davanti agli occhi azzurri. Vergil sospirò, appoggiandosi
alla
ringhiera del piccolo terrazzo, unì le mani oltre il bordo e
si
sporse di poco con il busto, in una posa rilassata, inusuale per lui.
Osservò con trasporto il tramonto che brillava
all'orizzonte: una sfumatura rosa si arrendeva al blu profondo
della notte, mentre qualche luce solitaria si era già accesa
sulla costa lontana. Era un panorama meraviglioso. L'atmosfera perfetta
per fare una passeggiata mano nella mano con la persona amata, o almeno
questo era ciò che avrebbe pensato Sveva. Ormai ne era
certo,
conosceva quella ragazza come le sue tasche. Erano molto più
simili di quanto avrebbero mai ammesso, entrambi celavano la propria
vera natura per proteggersi dai colpi delle persone che avevano
intorno. Non facevano avvicinare nessuno oltre una certa soglia, per
non sentirsi esposti, per non doversi difendere. Ma così
facendo
restavano soli, arroccati in posizioni troppo alte che li condannavano
a
essere meri spettatori della vita che scorreva vivace proprio davanti
ai loro occhi.
Vergil era stanco di tutte quelle barriere. Voleva fare il primo passo
e buttarsi nella mischia. Voleva afferrare la ragazza di cui si era
innamorato e tenerla tra le braccia, stretta, senza paura di essere
ferito o ferire. Per la prima volta, non desiderava essere il migliore
in assoluto, ma semplicemente se stesso.
Guardò giù in strada, tra le piccole comitive che
passeggiavano chiacchierando. Se Sveva fosse stata lì,
l'avrebbe
riconosciuta. Lei si distingueva da tutte le altre, non sapeva come
aveva fatto a non notarlo subito, ma lei sembrava distaccata da chi le
passava accanto, tranquilla, in quella sua sfera di
riserbo e timidezza, eppure era bella, non appariscente, ma delicata,
femminile. Vergil fu percorso da un brivido, ricordandola nel suo
vaporoso abito azzurro, quando era entrata nel bar sfidando le luci dei
faretti, che avevano rivelato molto più del lecito di quel
suo
corpo esile. Immaginò di averla lì, tra le mani
avide, le
labbra esigenti, e i battiti del cuore impazzito.
Si raddrizzò e rise, non riconoscendosi più.
Quella
ragazza l'aveva proprio stregato, ancor prima che se ne rendesse conto
era ossessionato dai suoi occhi verdi e dalle sue parole taglienti.
L'aveva sfidato, stuzzicando il suo amor proprio e il suo orgoglio.
Aveva visto in lui ogni nervo scoperto, ogni lato debole. Come fosse
capace di leggergli nell'anima. Non si era mai sentito così
trasparente, così chiaro. Lui, che si era sempre nascosto
nell'oscurità dell'arroganza. E, invece, Sveva aveva portato
alla luce ogni debolezza e ogni speranza.
Scosse il capo, rientrando nella propria stanza, alzando le mani per
sistemarsi i capelli sopra la testa, in un gesto abituale che gli
infondeva sicurezza. Si guardò allo specchio e
capì di
essere finalmente sereno. All'inizio aveva avuto paura di essere
sincero con qualcuno, di essere se stesso. Aveva creduto che
arrendendosi avrebbe perso la sua piccola guerra personale, ma non era
stato così. La vittoria era stata deporre le armi. Smettere
di
combattere e cominciare a fidarsi. Sorrise alla propria immagine,
percependo una strana allegria invadergli il petto.
L'ultima schermaglia sarebbe stata la più spinosa. Si era
comportato come un vero imbecille. Aveva accusato Sveva di essere una
manipolatrice (anche se quello un po' lo era), una traditrice (anche se
non erano mai stati insieme), e una nullità (accidenti se
era
stato cieco!). E ora avrebbe dovuto scusarsi per ogni singolo, piccolo,
errore. Ci avrebbe messo una vita a convincerla di essere davvero
pentito, ma alla fine ne sarebbe valsa la pena, perché se
anche
lui si fosse umiliato lei non glie l'avrebbe fatto pesare. L'amore cura
ogni fragilità e la trasforma in tenerezza.
Non sapeva cosa stava blaterando, ma cercò di memorizzare
qualcuna di quelle frasi sdolcinate. Sveva le avrebbe apprezzate.
Era incredibile che lui stesse con una ragazza simile. Va bene, a voler
essere onesti non erano ancora una coppia, ma quello era un dettaglio
trascurabile.
Se la vide davanti, con le mani sui fianchi e lo sguardo battagliero
"Trascurabile?" gli avrebbe urlato, cercando di fargli entrare in testa
che anche lei aveva delle chiare opinioni in proposito e che non doveva
mai darla per scontata. L'aveva fatto? Sì, l'aveva data per
scontata troppe volte, ma quello sbaglio non l'avrebbe più
commesso.
Sveva sarebbe stata nella hall alle otto, esattamente tra dieci minuti.
Aveva appuntamento con Federica e Dante, che in quel momento dovevano
essere ancora nella camera di lui, non si erano separati nemmeno un
istante da quando avevano fatto pace. Li aveva incontrati in spiaggia,
quella mattina e li aveva visti sprizzare gioia da tutti i pori. C'era
anche Sveva, che li osservava con un misto di felicità
solidale
e triste invidia. Avrebbe voluto stringerla e darle tutto l'amore che
credeva perduto. Ma si era trattenuto, perché desiderava
qualcosa di più, desiderava che fosse tutto perfetto, parche
lei
lo meritava.
La conosceva abbastanza bene da sapere che dieci minuti prima
dell'appuntamento con Federica e Dante lei sarebbe già stata
pronta. Probabilmente, era davanti allo specchio,
accigliata, a ripetersi di non essere abbastanza attraente. Piccola
stupida.
Bussò con decisione alla sua porta.
-Chi è?-
La voce di Sveva gli giunse tra il rumore di cassetti che venivano
chiusi e le note di un brano interrotto. -Il lupo cattivo!-
Lei aprì subito. E Vergil fu abbagliato da una visione in
bianco
e oro. L'abito monospalla, alla greca, le sottolineava la vita sottile
e la figura aggraziata. I capelli sciolti le ricadevano sulle spalle in
morbide onde. Avrebbe voluto dire mille cose. Avrebbe voluto scusarsi,
o forse tornare a essere gelido e irraggiungibile, ma l'unica cosa che
riuscì di fare fu affondare le mani tra i suoi capelli
biondi e
baciarla con tutto la passione che gli esplodeva dentro. La strinse a
sè, sentendola ritrarsi e poi abbracciarlo. Entrò
nella stanza, senza vedere nulla, senza sentire la porta che aveva
richiuso con un calcio. L'unica cosa che percepiva era il sapore di
vaniglia del lucida labbra della ragazza. Si staccò e le
accarezzo le labbra con il pollice, mentre lei restava ferma, tra lui e
la parete. Proprio come un paio di giorni prima. Era confusa,
spaventata, il respiro corto e gli occhi sgranati, ma lui, in fondo a
quegli occhi verdi, che tanto aveva imparato ad amare, vide anche la
speranza. Avrebbe voluto essere perfetto, ma l'unica persona che
riuscì di essere in quel momento fu solamente Vergil, un
ragazzo
innamorato, forse per la prima volta. Rise, abbassandosi di
più,
verso la sua bocca.
-Ti amo, ma odio questo rossetto alla vaniglia.-
Sapeva che lei gli avrebbe risposto, ma non lo permise, tornando a
baciarla con foga, per recuperare il tempo perduto, per trasmetterle,
anche se senza parole, lo smarrimento in cui l'aveva gettato e l'estasi
in cui si era ritrovato una volta compresi i suoi veri sentimenti. La
lasciò solo quando capì che entrambi avevano
bisogno
d'aria. Si allontanò piano, restandole comunque di fronte,
senza intrappolarla. Doveva essere libera di scegliere se stare con
lui,
oppure no.
-Tu hai saputo la verità?- gli chiese, confusa.
-Che sono stato geloso della tua migliore amica? Sì. Che
sono
stato uno stronzo con te e che mi meriterei di essere buttato fuori da
questa camera? Sì, so anche questo.-
-Io non riesco a...-
Vergil si riavvicinò a lei, prendendole il viso tra le mani,
mordicchiandole il collo. Aspirò il suo profumo, una nota di
rosa e zucchero. -Non c'è bisogno di parlare. Ad essere
sinceri,
finora, con le parole ce la siamo cavata piuttosto male. Non abbiamo
smesso di punzecchiarci e negli ultimi tempi siamo
arrivati agli insulti veri e propri.-
La sentì trattenere il respiro, poi spingerlo via. Non fece
resistenza, ma la guardò con disperazione. Percepiva un gran
vuoto,
mentre lei stabiliva le distanze, studiandolo con attenzione, come se
non lo conoscesse affatto. Tra loro si stava aprendo un abisso, che non
avrebbe sopportato un minuto di più.
-Ti giuro che mi dispiace. Sono stato odioso e se non mi vuoi posso
capirlo, me lo sono meritato. Ma, andiamo, io lo so che mi ami anche
tu, lo hai detto l'altro giorno, proprio qui, forse esattamente nello
stesso punto.-
-E tu mi hai dato della bugiarda!-
-Credevo che mi stessi prendendo in giro.-
-A te? Il grande e invincibile Vergil Sparda...- gridò,
sarcastica prima di sedersi sul bordo del letto.
Lui dovette sforzarsi per non seguirla. Fosse stata un'altra ragazza
avrebbe saputo come convincerla, soprattutto ora che erano tanto vicini
a un materasso, ma quello sarebbe stato anche il modo migliore per
allontanarla, farla sentire sminuita.
L'aveva già ferita e adesso doveva essere la cura.
-Non sono
invincibile... ma non dirlo a nessuno- mormorò,
inginocchiandosi
sul pavimento, davanti a lei, guardandola negli occhi. -Sei stata
proprio tu a mostrarmi le mie contraddizioni e per questo ti ho
detestata, ma ti ho anche amata. E non potevo accettare di arrendermi a
qualcuno. Ho sempre tenuto tutti a distanza, perché se
nessuno
riusciva ad avvicinarsi a me allora voleva dire che era vero, io ero
irraggiungibile, metri e metri sopra gli altri.- Rise, atteggiando la
bocca ad una piega amara, ricordando la propria vanità. -E
poi
ho incontrato una piccola, sciocca, italiana che mi ha detto "non
potrai mai vincere, perché fuggi per non confrontarti con
gli
altri". Sì, hai detto proprio qualcosa di simile, le parole
esatte non le ricordo, perché ho cercato di non sentirle, e
poi
di dimenticarle, ma non ci sono riuscito.-
-Perché?-
-Perché hai eroso tutti i muri che avevo eretto, sei stata
come milioni
di piccole gocce che hanno picchiato contro la mia corazza, fino a
farvi breccia. Ogni volta che tentavo di chiuderti fuori tu mi
sorprendevi, mostrandomi un nuovo lato di te o di me stesso. Le altre
ragazze sono prevedibili, banali, ma tu sei...prima quasi
insignificante, poi diventi sfacciata, e quando credo di aver capito
tutto, tu cambi ancora. Dannazione, mi fai impazzire!- Le strinse le
mani e la
guardò, facendole intravedere la marea che si agitava dentro
di
lui. La voglia di gettarla all'indietro e porre fine a ogni discorso,
per esprimersi solo con i loro corpi, con carezze ancora
proibite e gemiti
sommessi era sempre più forte, anche se lui lottava per
tenerla sotto controllo.
Lei dovette intuire i suoi pensieri, perché si
alzò,
scavalcandolo. Agitava la testa, ogni tanto tremava, il suo viso
passava dal rosso al bianco, con una rapidità stupefacente.
Pestò un piede per terra, prima di squadrarlo con rabbia.
-Io ti
ho detto che ti amo e tu mi hai risposto "ci saremmo potuti
divertire!"- Gli puntò contro un dito, per una volta
sovrastandolo. Lui era rimasto seduto per terra, le spalle contro il
letto. -Vergil perché dovrei crederti? Perché
dovrei
rischiare di essere abbandonata il giorno dopo? Se questo è
uno
dei tuoi sporchi giochetti, io...-
Non sopportava di vederla così sconvolta. Leggeva nei suoi
occhi
la voglia di credergli, ma allo stesso tempo era troppo spaventa per
cedere. Mio Dio, cosa le aveva fatto? Era stato un tale bastardo da
indurla ad avere paura di lui, di ciò che poteva farle. Non
doveva meravigliarsi di quella reazione, aveva giocato con i suoi
sentimenti fin dal primo
giorno, però adesso era tutto cambiato. Il suo amore, ora
profondo e consapevole, poteva davvero modificare ogni cosa? Poteva
cancellare la
cattiveria, la sfiducia, l'umiliazione?
-Ti prego, calmati amore mio. Sì, ti ho chiamata proprio
così.- La voce gli mancò per qualche secondo,
mentre le
toccava le braccia gelide, poi l'abbracciò, cullandola. -
Guardami negli
occhi, tu capisci sempre quando sono sincero e quando ti sto
prendendo in giro. Sei una delle poche persone che riesce a vedere
anche ciò che non voglio far uscire. Ti ho detto
quelle cose solo
perché ero arrabbiato, perché sapevo che ti avrei
ferito.
Ero convinto che mi stessi ingannando e ho dato di matto, ho affondato
la lama dove faceva più male e ti giuro che mi dispiace. Non
lo
farei più, mai più.-
-Io sono stanca di dovermi difendere, di dover urlare per farti capire
che esisto. Non ce la faccio più a sentirmi un sacco da
prendere
a pugni.-
-Sveva, tu mi ami?-
-Lo sai.-
Vergil la rincorreva per la stanza, ogni volta che lei si allontanava
lui le tornava accanto. Non le avrebbe più permesso di
fuggire.
La osservò, sorridendo di quell'aria triste e indignata. Gli
sembrò di guardarsi allo specchio. Era esattamente
l'atteggiamento che aveva avuto lui fino a poco prima. Sapeva che lei
voleva lasciarsi andare, ma che temeva le conseguenze.
-Hai ragione. Io
so che tu mi ami e che ti amo anche io.- sussurrò baciandole
delicatamente una guancia, accarezzandole i capelli che iniziavano a
spettinarsi.
-Tu sai sempre tutto.-
-Sì, sono l'invincibile Vergil Sparda. Ricordi?-
Rise, baciandola, ma sentì che lei non ricambiava il
contatto.
-Lo so che non vuoi fidarti dell'idiota di cui ti sei
innamorata. Però, se c'è una cosa che ho capito
è
che arrendersi, fidarsi, non vuol dire perdere il controllo, ma
conquistare il cuore dell'altro. E il mio ce l'hai qui.- Le
posò
la mano sul proprio petto, prima di attirarla di più a
sè, ma non riuscì a guardarla
negli occhi. Percepiva il sangue affiorargli al viso, con quel rossore
tanto stonato sulle sua pelle bianca. Vergil detestava mostrare le
proprie reazioni, ma aveva giurato di non nascondersi con
Sveva. La sincerità era divenuta a un tempo punizione e
liberazione.
Per un tempo che gli parve eterno nessuno parlò,
nè si
mosse. Nella stanza c'era un silenzio irreale, un vuoto che inghiottiva
tutte le loro emozioni. Poi lo avvertì, un movimento
leggero. Le
mani di Sveva sulle spalle, e poi intorno al collo. Lo stava attirando
verso di sè. Sentì che si lasciava andare, come
un fiume
che rompe gli argini, lo baciò con tutta la passione che
aveva
represso, con tutto l'ardore che aveva tenuto sotto le ceneri,
aspettando
che lui smettesse di fare lo stronzo. Vergil percepiva i sentimenti di
Sveva come se fossero i propri, come se fossero una cosa sola. Erano
diventati il tramonto che aveva ammirato poco prima, il rosa che
brillava sfacciato e il blu profondo che si perde nel mare.
La stanza era sempre più calda, mentre lui non riusciva a
frenare l'istinto. Ogni traccia di prudenza gettata al vento e tutti
suoi desideri stretti tra le mani. Le dita non rispondevano ai comandi,
esplorando avide e arroganti il corpo sotto di loro. La mente vuota, il
cuore in tumulto, le labbra affamate. Sentì Sveva
sbottonarli la camicia, che poi gli scivolò dalle spalle.
Rise di
quell'insospettabile audacia. Non attese molto prima di ricambiare il
favore. Il vestito di lei diventò una macchia candida sul
pavimento. Il calore diventava assordante, gli abiti insopportabili. Si
spogliarono a vicenda, senza rendersene conto, il controllo ormai perso
da tempo. Vergil si prese qualche istante per osservala, non
per
ricordare l'esatta tonalità della sua pelle,
perché era
sicuro che quella sarebbe stata solo la prima volte di tante, ma per
comprendere che adesso si appartenevano. Quella consapevolezza
oscurò tutto il resto, la realtà si limitava a
quella
camera, in cui non penetrava più alcun suono, se non i loro
sospiri sempre più veloci, smarriti, famelici.
Caddero sul letto.
Non aveva pensato a quel finale, non aveva creduto potesse succedere
quella sera. Avrebbe voluto aspettare, solo per assicurarsi che fosse
tutto perfetto, che lei fosse tranquilla tra le sue braccia, ma, come
al solito, quando lui prevedeva qualcosa, Sveva lo sorprendeva.
Assaporò la sua pelle morbida, alla base del collo, poi
alzò la testa e li vide. Quegli occhi verde veleno,
incatenati
ai suoi. E fu davvero tutto perfetto.
Si svegliò lentamente, aprendo un occhio solo, circospetta.
Ma
Vergil era proprio lì, con la testa appoggiata sulla mano a
guardarla in viso.
-Credevo di essere io quello da non sottovalutare, e invece tu mi
giochi sempre brutti scherzi - le disse, sornione.
-Mmm, questo era un brutto scherzo?- chiese, mentre cercava di
nascondersi
col cuscino, ricordando di essere completamente nuda, ma lui
intuì il gesto e il cuscino finì
lanciato dall'altro lato della stanza.
-No, niente affatto. Questo era un magnifico inizio...di
qualcosa ancor più magnifico- mormorò,
baciandola
con malizia, per
poi staccarsi controvoglia. -Adesso dobbiamo andare. Mio fratello e
la tua amica hanno chiamato già quattro volte. A proposito,
sai
che quando dormi non ti svegliano neanche le cannonate?-
-Grazie, è la cosa più romantica che potessi
dirmi!-
-Scusa.-
Sveva distolse lo sguardo, mentre Vergil si alzava per rivestirsi. Che
diamine le era saltato in testa? Andarci a letto così
presto!
Eppure, in quel momento, non si sentiva davvero a disagio, solo un po'
imbarazzata. Non riusciva a ricordare quando avesse deciso di
abbandonarsi a lui. Forse, non l'aveva affatto deciso. Si era solo
persa in quella marea oscura che le galleggiava dentro. Tutto il dolore
era scivolato via, inghiottito da qualcosa di tanto splendido da
stordirla, e al tempo stesso farla sentire più viva di
quanto
fosse mai stata. Si era sentita sua, ma aveva compreso che anche
Vergil, sì, anche lui, finalmente le apparteneva. E non
avrebbe
mai voluto un finale diverso. Si era comportata in modo avventato,
insolito, impulsivo, ma non riusciva a pentirsene. Osservò
Vergil muoversi tra le sue cose e un senso
di intimità l'avvolse, era tutto così naturale,
come se
si conoscessero da una vita. E fu certa che non fosse per il sesso, ma
perché erano stati onesti l'uno con l'altra. Finalmente tra
loro
non c'erano più paure, incertezze, inganni.
Ridacchiò,
mentre si allungava ad aprire il cassetto del comodino.
-Che stai facendo, streghetta?-
Si voltò verso di lui, con le dita ancora affondate nella
busta
di confetti al cioccolato al latte. -Mi è venuta a fame-
ammise
con aria colpevole.
-E non me ne offri nemmeno uno? Perfida!-
-Attento, stai diventando sempre più romantico! In effetti
hai
proprio bisogno di addolcirti un po'- Gli passò la busta,
mentre
perlustrava con lo sguardo la stanza alla ricerca dei suoi vestiti.
Malgrado quello che era appena successo era ancora reticente ad
abbandonare la copertura del lenzuolo, faticosamente conquistata
durante un attimo di distrazione del compagno. -Ti facevo
più tipo
salutista, da cioccolato fondente.-
-Mi piace che per te l'essere salutista si riconduce al cioccolato. E
comunque, formalmente sono proprio tipo al cioccolato fondente, ma...-
-Ma in realtà hai il cuore tenero!-
Sveva sorrise e gli spettinò i capelli. Lui alzò
un solo
sopracciglio e li riportò in ordine con le mani. -Ti lascio
rivestirti, cerca di non metterci una vita!-
Gli lanciò un'occhiataccia, ma gli fu grata per la
sensibilità. Aveva percepito l'imbarazzo e non gliel'aveva
fatto
pesare. Ah, era sempre più innamorata ogni momento che
passava!
Afferrando velocemente gli abiti, sbirciò oltre le tende, si
chiese se lei e quel ragazzo fantastico sul suo balcone sarebbero
andati davvero d'accordo. La sola idea che il loro rapporto potesse non
funzionare la fece avvilire. Dovette ammettere che sarebbe stato tutto
molto complicato, lei era spaventata dall'enormità di quello
che
provava e Vergil era come un riccio, che non voleva saperne di smettere
di pungere. Sorrise al proprio riflesso. In realtà, lui
aveva
accettato di abbassare le armi, si era scusato, si era messo in gioco.
Per lei! Dalla gioia si sarebbe messa a ballare, ma farsi scoprire dal
nuovo fidanzato a fare le piroette in una stanza senza musica non era
proprio il massimo. Caspita, Vergil era il suo nuovo fidanzato!
-Sembri felice- gli sentì dire.
-Lo sono.-
-A che stavi pensando?-
-Allora è così che andrà tra noi?
Dovrò
continuare a nutrire il tuo ego gigante, confessando che quando
sorrido, per un motivo apparentemente misterioso, sto pensando a te?-
-Non sarebbe affatto male.-
-E tu farai lo stesso con me?- gli chiese, inclinando il viso per
guardarlo meglio. -Non so se potrei sopportare di essere sempre quella
che ti insegue, quella che ti mette su un piedistallo, Ver'.-
Lui si abbassò per mordicchiarle il labbro inferiore, ma lei
si
staccò, anche se a fatica. - Puoi stare tranquilla, non
sarà così. Ho ammesso di essere stato battuto e
chino il
capo alla mia degna avversaria.-
-Avversaria, sono questo per te?- sussurrò con angoscia.
-Cavolo, Sveva, sii comprensiva! Sono un novellino con il vero
romanticismo. Posso adularti quanto vuoi, ma non è
così
che voglio essere con te, non mi comporterò come ho fatto
fino
ad oggi. Non sei più la preda da conquistare, la rivale da
soggiogare. Tu sei mia e io voglio trattarti come meriti, voglio che
ridiamo insieme, come abbiamo visto fare a mio fratello e Federica.
Voglio che tu ti senta libera con me, senza preoccuparti di quello che
potrò pensare, del mio esame o di mostrarti all'altezza. Io
so
che tu sei all'altezza, e so che io spesso sono caduto parecchio in
basso.-
-Mi sembra strano...-
-Cosa?-
-Ridere con te. Di solito sei così algido.-
-Ci sono tante cose che non sai di me, ma le scoprirai tutte, da
stasera. E io farò lo stesso con te- mormorò,
accarezzandole le braccia e poi dandole un bacio sulla fronte.
-Sembra una bella storia.-
-Lo è sempre stata, ma il capitolo migliore è
iniziato
oggi.- Le fece l'occhiolino, e si impossessò di nuovo dei
confetti mentre lei dava una sistemata al trucco. -Era davanti allo
specchio quando lo vide trasalire. -Senti, tesoro...-
-Vergil non chiamarmi "tesoro", almeno non quel tono mellifluo. Mi fa
accapponare la pelle.-
-Ok, è che pensavo...insomma, noi abbiamo tante piccole
abitudini da limare. Dovremmo venirci incontro su alcune cose. No?-
Sentì un sudore freddo imperlarle la fronte. Era tutto
troppo
bello per essere vero, ecco che arrivava la bastonata. Cosa le avrebbe
chiesto, di sopportare un'amante, di mettere biancheria intima
indecente, di ricordare la Divina Commedia a memoria e al
contrario? Balbettò,
sentendo la salivazione azzerarsi. -S...sì.-
-Ecco- Vergil le si avvicinò osservando i prodotti di makeup
sparsi sul tavolo. Sveva sbattè le palpebre, cercando di
capire
cosa ci fosse di sbagliato. -Non stavo scherzando prima: odio
davvero il tuo lucidalabbra alla vaniglia!-
Sveva si piegò dalle risate nel vedere l'espressione
disgustata
del fidanzato. Impugnò il cosmetico e centrò
perfettamente il gettacarte. -Così va meglio?-
-Mmm, credo di dover verificare- mormorò, prima di
assaporarla con un bacio esigente.
Fu difficile riemergere dal piacevole torpore in cui erano sprofondati
come per magia, ma Vergil insistette per non perdersi la festa del
paese.
-E poi quei due rompiscatole ci darebbero per dispersi, ce li
ritroveremmo addosso in trenta secondi. Penserebbero che ti ho
sequestrata e ti sto torturando- sbuffò, alludendo al
gemello con
Federica. Lei sorrise, appoggiandoglisi contro, cercando una scusa per
toccarlo, per confermare a se stessa che era tutto reale.
Uscirono in strada e furono investiti dal chiacchiericcio della gente e
dal ritmo delle percussioni diffuso da decine di altoparlanti. Ovunque
c'erano persone che si tenevano per mano, accennavano qualche passo di
danza e ridevano. Sembravano tutti ebbri di felicità, e per
un
istante gli sguardi di Sveva e Vergil si incrociarono, complici.
Perlustrarono le bancarelle, grondanti di peluche, gioielli da quattro
soldi e articoli d'artigianato già visti. Sveva
tentò
inutilmente di comprare qualcosa, perché Vergil continuava a
criticare qualunque cosa scegliesse e non si rivelò affatto
un
fidanzato pronto a viziare la sua dolce metà, come gli
rinfacciò lei più tardi, solo per intravedere
ancora
quella piega furba delle labbra. Sveva sospettava che ci fosse qualche
altra sorpresa, ma lui la lasciva morire dalla curiosità. Si
scoprirono affamati e storditi dai profumi contrastanti che gli
solleticavano le narici. Indecisi tra dolce e salato, scorrazzarono tra
i camioncini di hot dog e patatine fritte per poi fare incetta di
caramelle dalle forme improbabili.
Sveva nascose un sorriso nel vedere Vergil muoversi a tempo con la
musica e addentare una scorzetta d'arancia e cioccolato.
Arrossì, desiderando di essere assaggiata in quello stesso
modo,
rise specchiandosi in una vetrina. Non si era mai vista con gli occhi
tanto luminosi. Il braccio muscoloso di Vergil le cinse la vita, mentre
una scorzetta le picchiettava contro le labbra. Gustò
più
gli sguardi pieni d'invidia delle altre ragazze che quella
prelibatezza, ma Sveva si rifiutò di analizzare la propria
reazione. Voleva solo godersi quella sensazione di totale euforia.
-Che delirio!- urlò Vergil, cercando di sovrastare
il
rumore. Si guardò intorno e la trascinò verso un
tratto
meno affollato del lungo mare. La musica era lontana e si riusciva a
sentire perfino il rumore delle onde alle loro spalle. Sveva
strinse forte il suo braccio, temendo che se lo avesse lasciato si
sarebbe svegliata nel suo letto, con l'insopportabile consapevolezza di
aver fatto il sogno migliore della sua vita. Vergil, però,
restava lì, forte e sicuro di sè. -Sei una
piccola
opportunista, sai?-
-E tu hai molto da lavorare sul romanticismo. Siamo vicino al mare,
sotto le stelle, ci siamo appena messi insieme e mi dai
dell'opportunista?-
-Sì, ma tu hai tentato di estorcermi un regalo!Se ti
può
consolare mia madre, che pare essere una tua fan, vuole costringermi a
darti una specie di quaderno rosa, molto elegante. Mi pare di averne
visto uno uguale in camera tua, era mezzo nascosto sotto il letto.-
-Cosa hai visto il mio diar...ehm, la mi agenda! Ci segno solo qualche
appunto insignificante, insomma, niente di che. Ma tu non ti sei
azzardato ad aprirla, vero?-
-Ho come l'impressione che se ti dicessi di sì, tu mi
uccideresti.-
Si accasciò contro di lui. -Siamo proprio un disastro:
è il nostro primo appuntamento e parliamo di omicidi.-
Vergil scese dal
muretto e restò in piedi davanti a lei, guardandola negli
occhi.
-Ho davvero una cosa per te.-
Sveva sapeva che non poteva essere un regalo, gli era stata attaccata
tutto il tempo e non avrebbe mai potuto comprarle niente senza che se
ne accorgesse. Si aspettava un bacio, assolutamente romantico e
indimenticabile, anche se un po' prevedibile. Gli fece un sorriso
sbilenco e aspettò senza dire niente.
-Sono certo che ti piacerà.-
-Sei sempre troppo sicuro di te, mio caro. Credevo di averti insegnato
un tantino di umiltà.-
-Amore, se c'è una cosa che ho imparato in queste settimane
è che tra noi due non ci sono certezze... ma sento che sei
importante per me, e ti giuro che mi morderò la lingua
prima di dire qualcosa che possa ferirti.-
Sveva lo attirò a se e appoggiò la fronte alla
sua. -So
che ti costerà tanto e lo apprezzo. E io? Cosa vuoi che
faccia?-
-Tu devi essere paziente quando sarà pesante avere un
fidanzato
egocentrico. Dovrai essere velenosa, come solo tu sai essere, quando
esagererò; e irresistibile, come oggi, quando mi
sentirò
confuso e avrò bisogno di un porto sicuro. Voglio che tu sia
forte, perché tenterò di sovrastarti, e che tu
sia dolce,
perché per me sarà difficile ricordare che con te
non
desidero vincere, ma arrendermi. Accetti le condizioni?-
-Insomma, sei di poche pretese, eh?-
-Non sto scherzando- sussurrò, serissimo.
Sveva annuì, accarezzandolo con commozione. Lui aveva
compreso
ogni
lato del suo carattere, chiedendole di essere ciò che era e
ciò che non si permetteva di essere. Lui pretendeva tutto, e
lei
non gli avrebbe mai rifiutato nulla, perché amava ogni
minuscolo
pezzo di quell'arrogante principe azzurro. Non doveva comportarsi
semplicemente come la
ragazza impeccabile, ma poteva tirar fuori la tempesta che spesso la
scuoteva e che si ostinava a nascondere. Sarebbe stata una relazione
burrascosa, ma irrinunciabile.Vergil trattenne la sua mano destra, e
poi tirò fuori dalla tasca un piccolo involucro di stoffa.
-Dobbiamo suggellare il nostro patto. Dici che un baciamano andrebbe
bene?- Le lasciò cadere il pacchetto tra le dita e poi
tirò la cordicella che lo teneva legato. Sveva trattenne il
fiato, riconoscendolo. Era il gioiello indiano che aveva visto al
centro commerciale, settimane prima. Lo aveva desiderato tanto, se
l'era anche provato, ma poi l'aveva appoggiato con reverenza sullo
scaffale, credendolo troppo prezioso e imponente, per una come lei.
Vergil doveva averla osservata per tutto il tempo. Tanto tempo prima.
Quando le cose tra loro erano ancora confuse e lo credeva invaghito di
Federica.
-Come hai fatto ad accorgertene? Mi piaceva moltissimo, però
non credevo che l'avessi notato.-
-Ho sempre notato tutto di te. Ci ho messo un po', però poi
ho
aperto gli occhi. Anche se quando ho comprato il baciamano non avevo
ancora compreso i miei sentimenti. L'ho preso sapendo che
era la cosa giusta da fare, ma non chiedendomi il perché. E
poi,
qualche giorno fa, è stato tutto più chiaro. Ho
iniziato
ad amarti, a poco a poco, ma ero troppo orgoglioso per ammetterlo.
Posso?-
Sveva lo vide infilarle l'anello al dito e poi voltarle il polso per
chiudere la catena. Le prese la mano, sulla quale scintillava un
intricato disegno di cristalli, e si piegò appena, mimando
un
galante baciamano, proprio come aveva fatto durante il loro incontro.
Sveva sentì la gola chiudersi e le lacrime
pizzicarle gli occhi. Tutto ciò che aveva desiderato tanto
ardentemente era davanti a lei, ma non ebbe il tempo di pensare ad
altro, perché Vergil la tirò a sè. E
non ci fu più nulla da dire.
Poco prima della mezzanotte raggiunsero l'altra coppia. I gemelli si
immersero in una vuota conversazione, anche se era evidente che si
stessero studiando con molta attenzione. Sveva sentiva i loro pensieri
nella propria testa "Ti sei comportato bene?", "Fatti gli
affari
tuoi", "Che cos'è quel sorriso sornione?", "Vuoi dire lo
stesso
che c'è sulla tua faccia? E non venirmi a fare la predica".
Sorrise a entrambi, sventolando la mano per salutarli, mentre Federica
la scortava a passo di marcia verso la metà miracolosamente
libera di una panchina. Rabbrividì, sentendo il freddo del
marmo
penetrare oltre il vestito impalpabile. Si rese conto che con l'andar
della notte era scesa anche la temperatura, ma fino a che era stata
vicina a Vergil non aveva sentito freddo. Cercò di
concentrarsi
su Federica, ancor più raggiante di lei. Avevano tentato di
chiarirsi dopo la feroce litigata, quando Sveva aveva saputo dei falsi
messaggi. La rabbia era troppo profonda per sparire di colpo, e il
terrore di aver perso Vergil era ancora più radicato
dentro di lei. Eppure, la gioia perfetta dell'amica aveva reso Sveva
più malleabile. Aveva sempre avuto un debole per il lieto
fine.
-Allora, sputa il rospo principessa: che avete fatto tutto il
pomeriggio?-
Si agitò sulla panchina e non rispose, anche se
sentì tutto il sangue affluirle verso il viso.
-Andiamo, io ti ho raccontato di ieri, della cena...e del dopo cena!-
L'amica non si arrendeva, avrebbe fatto qualunque cosa per salvare la
loro amicizia. -Senti, lo so che ti ho fatto del male, che ho rischiato
di allontanarti per sempre dal ragazzo che ami, però...-
Federica abbassò lo sguardo, per non leggere una sentenza
inappellabile negli occhi di Sveva.
-Non voglio sentire più una frase simile. Non riesco nemmeno
a
sopportare l'idea di perderlo. Per fortuna, le cose sono andate
diversamente.-
-Sei ancora arrabbiata con me?-
-Certo che lo sono! Hai agito senza pensare, soprattutto senza pensare
di parlarmene.-
-Non è vero, ti ho detto tante volte di lasciarlo stare.-
-Tra l'avvertirmi e lo scavalcarmi c'è una bella
differenza!-
Sveva si passò le mani sulle braccia, sempre più
fredde,
mentre osservava le gambe di Federica dondolare agitate.
Capiva
la sua ansia, e avrebbe voluto rasserenarla subito, ma dovevano
chiarirsi.
-Lo so, ma mi conosci. Sono una persona impulsiva, ma stavolta ho
capito la lezione.-
-Sarà meglio per te!-
Federica strabuzzò gli occhi e osservò con
sorpresa la
biondina. -Come sei battagliera. Questa è un'altra cosa di
cui
ti volevo parlare. Quando ti ho vista arrivare con Vergil ho capito
ancora di più il mio sbaglio. Lui ti ha messa in
difficoltà innumerevoli volte, e in modi insopportabili,
eppure
tu non hai mai mollato. Lo hai compreso, e hai lavorato su te stessa.
Quello che sto per dire non giocherà a mio favore, ma non
credevo ci saresti riuscita.- Tornò a distogliere lo
sguardo, ma
poi si fece coraggio e la guardò negli occhi. Doveva
affrontare
l'amica, si erano sempre dette tutto...quasi tutto, e non dovevano
smettere adesso. Si aspettò una reazione violenta, ma Sveva
aveva iniziato a ridere in modo incontrollato.
-Il bello è che non ci credevo nemmeno io! Fede mi conosci
meglio di chiunque altro, la mia insicurezza, le mie paranoie. Avrei
dovuto arrendermi, avrei dovuto rinunciare fin da subito. Tu hai
previsto il disastro incombente, con me in lacrime a singhiozzare per
giorni e chiudermi in casa per mesi. Avevi ragione, sarebbe dovuta
andare così. E tu volevi solo proteggermi.-
-Ecco, detta così suona meglio.- Federica iniziò
a
rilassarsi, fissando Sveva e tenendo d'occhio anche i gemelli, tanto
per evitare che qualche sciacquietta poco vestita li credesse liberi.
-Quello che hai fatto è grave, e sono ancora arrabbiata, ma
non
voglio perdere la mia amica. E non voglio che una lite tra noi rovini
uno dei momenti più esaltanti della mia vita.Insomma, quando
ripenso a oggi pomeriggio...-
-Adesso devi proprio dirmi tutto, quello sguardo sognante mi
incuriosisce troppo. Su, parla!-
-Ok, ok, confesso.-
-Brava, tanto non sarà successo niente di indicibile.-
-Ehm, veramente...-
-Sveva!-
-E non urlare- la supplicò, tirandola per il braccio e
osservando l'occhiata sdegnata della vecchietta seduta poco
più
in là. -Per la cena, diciamo che siamo passati direttamente
alla
portata piccante...- mormorò, sperando di non essere sentita
anche dal resto del paese, e parlando per metafore, così per
essere sicura. Percependo il totale silenzio accanto a
sè, si voltò verso Federica, che la scrutava. Le
sue
sopracciglia formavano una lunga linea ininterrotta, tanto che erano
aggrottate, e gli occhi erano ridotti a una fessura. -Che
c'è?
Non vorrai farmi la predica? Mi hai appena fatto i complimenti per il
mio coraggio!-
-Vorrei chiederti se sei sicura di aver fatto la cosa giusta. Insomma
io e Dante stiamo insieme da un po' a differenza tua e di Vergil...-
-E non avete aspettato molto nemmeno voi- osservò Sveva. -Io
non faccio domande, ma so molte cose!-
-Sì, non c'è bisogno di fare la Bond Girl.
Comunque, se
mi avessi lasciato finire, ti avrei detto che non farò altre
domande, perché non ti ho mai vista così felice.
Era
spaventoso ammetterlo, ma si vedeva che Vergil era quello giusto per
te.-
-E Dante è quello giusto per te.-
Sveva incontrò lo sguardo di Federica e si sorrisero, con la
gioia di condividere ancora una volta lo stesso sogno. Quell'estate le
aveva unite ancora di più, avevano vissuto un'esperienza
indimenticabile: giorni che erano sembrati anni, per
l'intensità
con cui li avevano trascorsi. Avevano imparato a conoscersi, a lasciare
da parte le loro fragilità e le false corazze, per affidarsi
a
due paladini un po' strambi e complicati, ma irresistibili.
Si voltarono verso i gemelli, che ci misero solo pochi secondi a
raggiungerle, come intuendone i pensieri.
Sveva e Vergil, Dante e Federica. Un solo gruppo, una doppia coppia che
sarebbe diventata ben presto indissolubile. La mezzanotte
scoccò, e li sorprese vicini ad ammirare i fuochi
d'artificio
che, esplodendo nel cielo scuro, si riflettevano nei loro occhi
sognanti.
---
FINE ---
Ma
è successo davvero? "Doppia Coppia" è finita?
Non
ricordo nemmeno più quando ho iniziato a scrivere
questa storia. Ero al liceo, e la mia folle compagna di banco mi
parlava di questo portale on line e della sua ossessione per i gemelli
di Devil May Cry. Tra le due, io sono sempre stata la romantica,
l'idea di creare una storia, un piccolo angolo di mondo, in
cui
noi avremmo potuto essere accanto ai nostri beniamini, mi
conquistò subito.
L'inizio
della fiction vi fa sbirciare nella mia vita liceale.
Sveva ero proprio io, con tutte le mie mille insicurezze, e la
splendida Federica è quell'amica che io ho sempre
considerato
molto più carina e forte di me. Tutto ciò che
avete letto
finora è un tributo all'amicizia. Alla speranza che i sogni,
anche quelli più semplici, possano avverarsi.
Ma
la strada è stata lunga e, come sapete bene, ci sono
state tantissime interruzioni. Credo di aver passato almeno un anno e
mezzo senza scrivere una riga, allontanandomi sempre di più
da
EFP e dalla mia fiction. Tanto
a chi importava?
E
poi mi arrivò un
messaggio. Lo lessi una sera, a casa di un'amica con cui stavamo
rivangando il passato da fanwriter accanite. Entriamo
a dare un'occhiata alle vecchie storie, per sfizio.
Katherine.
Se
non ci fosse stata lei, se non mi avesse scritto quelle righe,
dicendomi che stava aspettando il lieto fine, che si era appassionata
alle (dis)avventure delle mie sciocche protagoniste... bhe, non avreste
letto la parola fine.
Sono
una da rincorrere, lo ammetto. Perdo l'entusiasmo, la fiducia, il
credere in me stessa. Tanto
a chi importa?
Sapere
che c'era anche
solo una persona che si prendeva il disturbo di mandarmi una riga, per
chiedermi di tornare, è stata una scarica di
adrenalina. Mi
ha ricordato perché scrivo. Per condividere. Per la speranza
di
ricambiare il favore, perché sono una lettrice che si
è
rifugiata nelle trame altrui, e ha desiderato di poter creare dei posti
sicuri anche per gli altri.
Scrivo
da molto tempo, ho anche avuto le mie piccole
soddisfazioni, pubblicando racconti e avendo contatti con alcune case
editrici. Ma non ho mai scritto una storia lunga. E "Doppia Coppia"
è lunghissima.
Non
ci sarei mai riuscita se non ci fossero state Federica e
Katrine, ma anche tutte voi, RockMantick, Mizzy (ma quante volte hai
letto la ff? Ti farei una statua!), DantexR, RebeccaJung... Nomino solo
le ultime, ma vorrei nominarvi tutte, tutte le persone che hanno
inserito la storia nelle liste, che l'hanno commentata. E io vi
ringrazio per tutti i commenti, perchè spesso mi avete fatto
notare delle inesattezze, che mi hanno portata a migliorarmi,
perchè ho avuto la fortuna di avere delle lettrici (e dei
lettori ?) attente, appassionate ed esigenti.
Il
mio percorso è stato tortuoso, da ragazzina che scrive senza
alcuna esperienza, a collaborare con un'editor, a fare
un corso di scrittura creativa. E in tutto questo la FF ha subito i
miei sbalzi d'umore, le cose che imparavo, quelle che mi lasciavo
indietro.
I
miei personaggi si sono evoluti con il tempo, tutto la storia,
dalla trama, allo stile, è cambiata. Probabilmente,
è
cambiata insieme a me. Quando rileggo i primi capitoli mi vengono i
brividi, e se poi salto agli ultimi quasi non riesco a credere di
essere la stessa autrice. Eppure sono felice, perchè tutti
gli
errori, e tutte le parole giuste, mi hanno portato fino a qui. Fino al
capitolo 40 e alla parola FINE.
Mi
sono commossa quando l'ho scritta, perché è stata
un'enorme soddisfazione. E spero che un pochino di questa splendida
emozione si sia trasmessa anche a voi. Spero che mi perdoniate per le
discrepanze, i cambi di registro, le
stranezze. Mi avete accompagnata lungo un pezzo di strada
e io non posso che esservi grata per l'entusiasmo, per avermi fatto
capire che
"Sì, a qualcuno importava."
E
ora non ho altro da
dire. Vi saluto e non so se ci sarà un seguito per me su
EFP, se
tornerò con altre storie, se modificherò questa
per
migliorarla, se la stravolgerò. In sintesi, non so quasi
niente,
ma so di essere felice di trovarmi qui, a scrivervi.
Vi
lascio con tre canzoni: La prima
mi ha sempre fatto pensare a Vergil, all'inizio della storia. Le altre
due le ho usate per scrivere l'ultimo capitolo. In realtà,
ho
ascoltato Ed Shareen a palla, per il 40esimo capitolo. Bloodstream
andava a ripetizione per la scena più "hot", mentre Photograph
l'ho usata per il risveglio e per la fine.
Grazie
di tutto,
Bryluen.
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