[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
1
Un forte vento gelido attraversa il
piccolo cimitero.
Tutto è quiete, il sole brilla basso. L'erba splende tra i
lievi raggi
del sole. In lontananza, un piccolo merlo poggiato su una lapide grigia
e
lucida. I grattacieli di Manhattan sono silenziosi e imponenti in un
sottofondo
grigio e tetro. Le nuvole si addensano sopra il corpo disteso di Amy.
Si
percepisce un respiro pesante e spaventato. Ha gli occhi chiusi. Le sue
palpebre tremano leggermente. I capelli rossi sono distesi sopra il
verde
dell'erba. Si alzano alcune ciocche rosse dal vento pungente. Amy tiene
ancora
le palpebre abbassate, non osa aprire gli occhi. Si tocca il volto:
è
bagnato da lacrime che continuano a scendere giù,
inesorabilmente. Solo
pochi istanti prima si trovava insieme al Dottore. Sa che non
c'è
più, che non è più con lei. Lo sa,
anche se non ha aperto
ancora gli occhi. Se lo sente dentro, è sola
chissà dove.
«No!»
sentì aleggiare questa voce: la
voce del Dottore, come
un ricordo o una reminiscenza del suo subconscio.
La sua mano si sposta dalle guance al
sue labbra. Sono
aperte come in attesa di
un urlo muto e devastante. Chiude immediatamente la bocca e prende un
gran
respiro.
Alza le palpebre. Gli occhi sono colmi
di lacrime che le
pungono il viso dal
freddo. Il cielo è così opaco, come ovattato e
rinchiuso in una
bolla di vetro.
Il cielo osserva e nuota nei suoi
occhi chiari. Occhi
pieni di dolore e di
addii, pieni di storie come quella di una bambina che ha aspettato il
Dottore
per tanto tempo. Sente ancora risuonare le loro parole d'addio, le
stesse che
ora ha piantate in gola a morire.
Decide d'impulso di alzarsi.
"Mi devo muovere, fare qualcosa!"
pensa Amy.
Amy, viaggiando con il Dottore ha
imparato a non
stupirsi, a non sorprendersi
delle stranezze del Signore del Tempo, ad apprezzare il suo coraggio.
Eppure,
quella è la cosa più assurda di tutte: il Tardis
non c'è
più, il Dottore non c'è più. L'ha
percepito subito, ma
vedere realmente il vuoto che ha lasciato è un'altra cosa.
Non esiste
più quella gradazione speciale di blu del Tardis, non
c'è
più.
Non potrà più
fare nessun viaggio nello
spazio e nel tempo.
Amy è in piedi, tremante,
che si strofina le
braccia con le mani e si
appoggia alla lapide per non cadere da un improvviso capogiro.
Semplicemente lei non è
più nella
realtà del Dottore,
quella dove ha vissuto fino ad alcuni attimi prima.
"Si sentirà in colpa" pensa
Amy, "Il Dottore si
sentirà in colpa".
Ed è Amy che più
di tutto si sente in
colpa per aver lei
abbandonato il Dottore o come lo chiamava da bambina "l'uomo
stropicciato".
«Lui non può
stare da solo.» si
ritrova a dire ad alta voce
al nulla, alle statuarie lapidi davanti a lei. I capelli sferzano
ribelli il
suo volto, graffiandolo.
Amy ricorda tutto: di lei che da
piccola aspettava tutta
la notte il Dottore,
delle storie grandiose che ha vissuto grazie a lui tra le stelle e lo
spazio,
sconosciuto a chiunque tranne per chi viaggia insieme a lui. Ricorda
ogni cosa,
come una piccola cabina blu, più grande all'interno, volava
senza
fermarsi mai. E continuerà a volare anche senza di lei. E
lei persa in
chissà quale tempo è bloccata, ma
perché?
"Come sono arrivata qui? Cosa
è successo?" sono i
pensieri che
percuotono Amy.
"Prima ero con lui e adesso
dov'è? Perché
ricordo di avergli
detto addio e nient'altro?".
Lui, l'uomo solitario che aveva
vissuto mille vite e
solcato milioni di stelle,
sconvolto tante vite e salvate contemporaneamente. Dopo aver vissuto
con il
Dottore non le sarebbe mai più bastata la solita vita
quotidiana.
"Non devo dimenticare nulla! Devo
ricordarmi ogni cosa
di lui! Non posso
dimenticarmi di lui!" urla dentro di sé la ragazza dai
capelli rossi in
quel piccolo cimitero solitario.
Si guarda intorno, cercando di
riconoscere qualcosa.
Manca qualche altra cosa
insieme al Dottore e a River, sua figlia, e al Tardis.
«Cosa manca? Cosa? Amy
ricorda!» cerca di
spronare sé stessa
a rimembrare e a scacciare quella sensazione di vuoto.
Improvvisamente, come veloci
flashback, lei sa. Sa ogni
cosa.
“Sono qui a causa degli
Angeli Piangenti. Sono stati
loro.
Gli Angeli Piangenti sono una razza
aliena antica che
può muoversi
silenziosamente e molto rapidamente soltanto quando non sono visti.
Quando li
si osserva gli Angeli si bloccano, diventano delle statue di pietra e
possono
muoversi solamente quando l'osservatore distoglie lo sguardo o batte le
palpebre. Si nutrono di energia temporale, per questo motivo se toccano
l'osservatore lo spediscono indietro nel tempo”.
E ad Amy è successo proprio
questo.
«Rory!» urla
d'improvviso Amy, «Rory!
Rory, dove sei?»
"Come ho potuto dimenticarmi di lui?
Di mio marito?"
sgrida interiormente
sé stessa. Stringe i pugni e grida il nome dell'uomo che ama
con tutta
la voce che possiede.
«Rory! Rory! Sono io, Amy!
Rory!».
Il vento sempre più freddo,
il sole sempre
più basso iniziano a
farle battere i denti e a non farle più riuscire a emettere
una sola
lettera. La paura e la preoccupazione si insinuano in lei. Si gira
intorno
continuamente, crede di sentire la sua voce, di vedere la sua ombra, ma
è solo il silenzio ad accoglierla. Rinuncia quando dopo ore
nessuno si
fa vivo. È da sola.
«E adesso cosa
faccio?» parla con sé
stessa. Soltanto
guardandosi intorno, ancora una volta, si accorge della
città in
lontananza.
Si incammina verso il cancello
principale che ha
intravisto durante la ricerca
di suo marito.
"E se non lo avessero portato in
questo mio stesso
anno?" continua a domandarsi
la ragazza dai capelli rossi, "In che anno sono io?".
Una volta uscita fuori da quel
cimitero grigio, ad
accoglierla ci sono persone e automobili completamente più
vecchi di
lei. Ai suoi occhi da viaggiatrice del tempo, tutto questo non le
sarebbe mai
bastato, se ne sarebbe sempre meravigliata.
Gran cappotti lunghi e piccoli
cappelli ricoprono ogni
singola persona, persino
le bambine sono infagottate e al caldo. Le auto moderne, di quel
periodo,
girano indisturbate tra le strade. Un tram le passa a fianco
suonandogli un
fortissimo clacson. La sorpresa è tale da non avere
più brividi
di freddo. Osserva se stessa riflessa su una vetrina: indossa un
giubbotto
marrone, una maglietta bianca a righe nere, dei jeans e delle scarpe
scamosciate.
È troppo moderna,
è troppo leggera per
quel freddo. E di colpo,
una punta di ghiaccio scivola lungo la sua guancia. Alza lo sguardo in
alto e
nota che piccoli fiocchi di neve iniziano a scendere dal cielo.
«Dannazione!»
impreca sottovoce. Non ha
l'abbigliamento adatto per
la neve.
Si guarda attraverso le vetrine:
è così
fuori luogo, così
sola in quel posto. Qualcuno la osserva, qualcun'altro si tiene stretta
la
borsa al proprio fianco e qualcuno, ancora più perfido,
chiude a chiave
la porta del proprio negozio.
Amy continua a camminare, non
può permettersi
pensieri tristi.
Le pareti dei palazzi e dei negozi
sono tappezzati da
locandine pubblicitarie.
Piccole carrozzine scure sono spinte dalle madri magre e alte.
Camminando, si
accorge di una folla piuttosto numerosa davanti a una scalinata. Sono
lì
per una mostra pittorica. Si avvicina, cerca di capire chi sia il
pittore in
questione e meravigliata legge che si tratta del suo caro amico Vincent
Van
Gogh. Lo aveva incontrato tempo fa grazie al Dottore, lo aveva
conosciuto e
amato, era un uomo incredibile e incompreso. Sorride, ricordando quei
giorni.
Legge sulla locandina della mostra le
scritte "Dall’1
Gennaio al 1 Aprile".
Si guarda intorno per capire in che
epoca possa essere o
se qualcosa potesse
farle capire l'anno.
Finalmente, dopo aver superato diversi
isolati, nota un
uomo in giacca e
cravatta gettare un giornale in un cassonetto. Aspetta che si allontani
e
allunga la mano. Il giornale raccolto è ancora nuovo, ha
pure l'odore di
inchiostro fresco tra le pagine.
La prima pagina riporta la data "2
Gennaio 1940".
«1940...» mormora
Amy.
"Cosa devo fare? Cosa faccio?" si
domanda. Accartoccia
il giornale e lo rigetta
nella spazzatura, spazientita.
Si controlla le tasche del giubbotto,
si svuota le
tasche dei jeans. Non ha con
sé soldi, tranne un orologio, una collanina, l'anello di
fidanzamento,
l'anello di matrimonio e una foto sua insieme a Rory.
Il flusso di persone tra i marciapiedi
comincia a
diminuire e le luci della
città risplendono forti.
"Si sta facendo buio" sono i suoi
pensieri preoccupati.
Inizia ad avvicinarsi a qualcuno per
chiedergli dove
potrebbe andare a dormire,
ma sempre un secondo prima rinuncia. Si rincuora solamente quando nota
una
gioielleria. Si stringe la collanina con una mano, pensierosa.
Entra nella gioielleria, prendendo un
grosso respiro.
«Posso farcela, posso
farcela!» cerca di
autoconvincersi.
Tutto, lì dentro,
è così
sfavillante: i gioielli dentro le
loro teche di vetro brillano e ammaliano i clienti.
Clienti, tutt'altro che di tasche
povere come lei. Gran
soprabiti di tessuto
pregiato avvolgono le loro spalle, scarpe lucide e cappelli pregiati li
scaldano dall'inverno.
I loro sguardi altezzosi fingono di
non vederla nel suo
abbigliamento umile. Un
bambino tira per un braccio la propria madre sussurrandole all'orecchio
e
indicando Amy con il suo ditino paffuto.
Amy sorride e volge il suo sguardo al
commesso. Si
avvicina al bancone di
mogano lucido. Due signore con pellicce vistose bisbigliano e ridono
senza
smettere di guardarla.
Un signore dai capelli bianchi e
piuttosto robusto le
sorride da dietro il
bancone. Lei gli rivolge la più completa attenzione.
«Salve.» saluta
Amy.
«Buona sera, signorina. Cosa
posso fare per
lei?»
Amy nota come la stia trattando come
una comunissima
cliente. Gli sorride grata
della gentilezza.
«Ho letto fuori che comprate
gioielleria
usata...» comincia Amy.
«Che cosa vorrebbe
vendere?»
«Io avrei questa collana.
Vorrei vendere la
catenina d'oro.
Quanto potrebbe essere il valore
stimato?»
«Posso vedere,
signorina?»
«C-Certo!».
L'uomo afferra delicatamente la
catenina e la osserva
bene con i suoi occhiali
dalla montatura dorata. Soppesa la collana, la lascia cadere su una
bilancina e
batte i tasti di una calcolatrice.
«Non posso darle
più di 200 dollari. Le
vanno bene?»
«Sì, molto
gentile!».
Lui le sorride, afferra la catenina e
la mette sotto il
bancone. Apre la cassa
e le porge i soldi accordati.
Prima di andarsene, però,
Amy tenta di parlargli
ancora.
«Posso esserle ancora
utile?» domanda il
commesso che comprende la
sua indecisione.
«Io vorrei chiederle se
può consigliarmi un
hotel dove
dormire...»
Il commesso, questa volta, la osserva
dall'alto e in
basso.
Ha assunto l'aria snob come quella di
tutti quei clienti
in quel negozio.
«A pochi isolati da qui
troverà un hotel
dagli umili
prezzi.» pronuncia quasi sgarbato, «Giri a destra e
prosegua dritto
per un paio di isolati, troverà sicuramente il Manhattan
Brothers
Hotel.»
«Grazie mille,
arrivederci.» mormora Amy,
congedandosi il
più presto possibile. Stringe i denti ed esce dal negozio.
Gli volge
un'ultima occhiata e si augura di non doverci rientrare mai
più.
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