[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
2
Amy s'incammina verso l'indicazione
data dal gioielliere
e scorge dei pannelli pubblicitari di una un'opera teatrale.
Una folla ben vestita e agghindata le
passa a fianco,
mentre una leggera musica
Jazz le invade le orecchie.
Signori con grossi sigari le lanciano
un'occhiata
veloce, lei continua a
camminare, ma più velocemente perché è
preoccupata dal
sorgere della notte. Arrivata a una stradina più trasandata
rispetto a
quel quartiere, nota l'insegna del Manhattan Brothers Hotel.
Dentro l'Hotel tutto è in
legno, ogni singolo
oggetto, parete, decorazione è in legno. L'interno
è molto
più curato ed elegante rispetto l'esterno. Si guarda un po'
intorno
meravigliata dall'intaglio pregiato dei quadri e dalle piccole sculture
sugli
scaffali. Il soffitto incastonato di legno è pieno di luci,
dando la
sensazione di piccole lucciole. Un ragazzo sulla trentina la squadra da
dietro
un bancone.
Amy si avvicina al receptionist che
non le toglie gli
occhi di dosso. Lui
indossa una giacca blu scuro con bottoni dorati e una camicia bianca
con
piccole righe. Alza gli occhiali marroni con le dita, ma i suoi occhi
castani
non lasciano mai quelli di Amy. Porta i capelli scompigliati e la
camicia
è piena di pieghe.
«Buonasera! Vorrei prendere
una stanza.»
saluta finalmente Amy,
rompendo il silenzio tra di loro.
Guardandolo meglio, si può
notare una lieve
peluria sul volto del
ragazzo.
«Certo, è qui da
sola?»
«Sì, vorrei una
singola.»
Lui sorride. Educatamente, Amy
ricambia il suo sorriso.
Il ragazzo controlla
dei fascicoli e un libro.
«Perfetto! Abbiamo libera la
stanza 12A. Avrei
bisogno di un suo
documento.»
«Sì, ecco...
Avrei un problema: non ho
più nessun
documento...mi hanno derubata, è stata una giornata davvero
pesante, lei
capisce, no? Dovrei scaricare lo stress accumulato... Non potrebbe
venirmi
incontro?» supplica Amy battendo più volte le
palpebre e
passandosi la mano tra i capelli rossi.
Lui rimane imbambolato, ma il senso
del dovere lo
riporta alla realtà.
«I-io non
potrei...» comincia a dire il
receptionist, ma è
distratto da Amy che si è appoggiata al bancone e si morde
le labbra.
Lui rimane senza parole, si toglie gli occhiali e se li pulisce sulla
camicia
per smettere, almeno per qualche secondo, di guardarla.
«Non potrei,
signorina...» ricomincia il
ragazzo con voce
più roca, «Le regole dell'Hotel sono molto ferree
e i dirigenti
sono poco indulgenti... Se mai dovessero scoprirlo, io
sarei...»
«Non lo scopriranno! Le
darò anche una
mancia!» sussurra con
impeto Amy avvicinando la sua mano a quella di lui.
Sbatte le palpebre un altro paio di
volte e il giovane
receptionist si
convince. Le allunga le chiavi e si sistema gli occhiali sul setto
nasale,
timidamente.
«Buona
permanenza!» le augura lui prima di
vederla scomparire lungo
le scale.
Amy arriva alla porta della sua stanza
in pochi minuti.
Gira la chiave e ad aspettarla sono
delle pareti color
panna con ricamati dei
fiori vicino al soffitto, il letto in mogano è avvolto da
lenzuola a
righe bianche, blu e verdi, una gran finestra è ornata da
diversi vasi
di fiori colorati e da una tenda bianca e rosa. Vicino al letto
c'è una
piccola scrivania con uno specchio e una lampada bianca. Amy osserva
quegli
oggetti, li sfiora con la punta delle dita. Scruta se stessa allo
specchio, ma
solo per qualche secondo. Si sdraia, infine, sul letto e tiene gli
occhi fissi
sul soffitto.
«Rory...»
mormorano le sue labbra.
"Rory, dove sei finito?" invocano i
suoi pensieri. Lei
strizza gli occhi come
se lui potesse comparire da un momento all'altro al suo fianco.
«Rory, ovunque tu sia,
ovunque ti trovi, io
riuscirò a vederti
ancora!» prega sottovoce.
"Dove può essere? Cosa
farebbe Rory in questa
occasione? Cercherebbe un
lavoro, un modo per impegnare il suo tempo.
Forse lavora in qualche ospedale,
forse in qualche
negozio.
Dove potrei trovarlo?" si domanda Amy
incessantemente,
finché non si
addormenta sfinita.
Amy è seduta al ristorante
dell'hotel per fare
colazione.
Mangia uno yogurt e alcuni biscotti,
una colazione
leggera e veloce. Subito
dopo va alla reception per chiedere delle informazioni.
«Salve. Ha dormito
bene?» chiede il ragazzo
di ieri dietro al
bancone con forti occhiaie. Sarà stato tutta la notte a
lavorare.
«Sì, grazie.
Vorrei chiederle una
cosa...» inizia a dire
Amy.
«Certo!»
Amy esce dalla tasca una foto del
matrimonio di lei e
Rory.
Gliela mostra sul bancone. Lui sbarra
gli occhi per
qualche secondo.
«Ha mai visto
quest'uomo?» chiede speranzosa
Amy.
«È suo
marito?»
«Sì, non so dove
si trovi...»
«Non l'ho mai
visto.» dice secco il ragazzo
dagli occhiali spessi.
«È
sicuro?»
«Sì, non posso
essere più sicuro di
così.»
dice, e ricomincia a lavorare a dei fogli senza più degnarla
di uno
sguardo. Lei annuisce e ripiega la foto.
«Arrivederci.»
saluta lui, congedandola
immediatamente.
Amy esce dall'hotel senza nemmeno
salutare.
"Da dove comincio?" pensa Amy e si
dirige verso il
traffico caotico della
città di Manhattan.
"Dovrei comprarmi dei vestiti
più adatti".
Quando, al calar del sole, si ritrova
nei pressi
dell'Hotel vede delle forti luci blu e rosse della polizia. Si blocca
istintivamente.
«La polizia?» si
domanda sottovoce.
Attraverso il vetro dell'ingresso nota
che il
receptionist sta conversando con
alcuni agenti di polizia che scrivono su un taccuino quello che lui gli
sta
riferendo. Poi, il receptionist indica il portone d'ingresso. Per un
secondo i
loro occhi si incontrano e lei presa dal panico inizia a correre. Corre
più veloce che può, non sente l'allarme della
polizia seguirla,
ma sa che stanno cercando lei.
"Sono qui per me! Mi ha tradito, quel
cretino!" pensa
Amy, senza più
avere le forze di correre e formulare pensieri coerenti.
Non sa dove sta andando, gira e rigira
su stradine,
evitando le persone. Il
cappotto nuovo e i vestiti pesanti che si è comprata quel
giorno,
iniziano a farla sudare.
Distrutta dalla corsa, si ferma per
prendere fiato. I
polmoni chiedono
pietà. Si appoggia al muro e chiude gli occhi esasperata.
Non si accorge
nemmeno che vicino a lei c'è una persona accovacciata per
terra.
«Stai bene?»
domanda la voce di una bambina.
Amy salta dallo spavento e cade per
terra.
«Scusa! Non volevo
spaventarti!» ridacchia
la bambina. Amy la
osserva meglio dentro quell'oscurità. Un corpicino fragile e
con le
spalle ricurve è ricoperto da un cappotto logoro che non
permette a Amy
di vedere il volto della bambina.
«Sto bene. Tu stai
bene?» chiede la ragazza
dai capelli rossi. Come
risposta la bambina tossisce e abbassa il cappuccio che le avvolge i
capelli.
Sotto la fievole luce dei lampioni,
che si sono accesi,
può vedere un
volto dolce costellato da lentiggini e occhi chiari. I capelli castani
sono
aggrovigliati e sporchi.
«Scusa.» mormora
la bambina nascondendosi di
nuovo il volto.
«Per cosa ti
scusi?» domanda Amy che si
avvicina a lei e scivola in
basso lungo la parete.
«Non sono
presentabile...» sussurra
mortificata la bambina. Amy
ride.
«Sei bellissima anche
così.»
La bambina si mostra di nuovo alla
luce. Il suo volto,
come i suoi vestiti,
sono ricoperti da uno strato di sporcizia.
E le sorride.
«Mi chiamo
Charlotte.» annuncia la bambina.
«Io sono Amelia,
è un gran piacere
conoscerti!»
«Ti sei persa?»
domanda Charlotte che,
intanto, continua a tossire
e a grattarsi la guancia.
«Sì...»
sospira Amy.
«Non hai un posto dove
dormire?»
«No. E tu?»
Charlotte le sorride mostrandole tutti
i denti, o quasi
perché alcuni
non ci sono e altri sono molto scuri.
«Vieni con me!»
urla di entusiasmo Charlotte
e afferra la mano di
Amy. La trascina per diverse strade fino ad arrivare in uno spiazzale
pieno di
gente. Alcuni fusti di metallo sono accesi e riscaldano qualche persona
lì vicino.
È il quartiere dei poveri.
Ed Amy è diventata una di
loro.
Una signora prende per le orecchie
Charlotte.
«Dove sei stata?»
urla alla bambina.
«Ero con Amelia! Tu non sei
mia madre!»
grida fino a liberarsi
dalla presa e nascondendosi dietro altri bambini.
«E tu chi sei?»
chiede brusca quella signora
dai capelli ricci e
scuri.
«Sono Amelia...»
«Perché sei
qui?»
«Io non posso tornare in
città...»
sussurra rammaricata
più verso se stessa che verso la signora burbera.
La donna la osserva dall'alto e in
basso, il suo sguardo
si addolcisce e la
porta in un posto più appartato, con meno occhi e meno
orecchie.
«Che cosa ti è
successo, bambina mia?»
«Credo di essere ricercata
dalla polizia, non
posso farmi vedere per un
po'...» confessa Amy.
«D'accordo, puoi stare qui
con noi se vuoi.»
«Davvero?»
«Sì, puoi dormire
qui. Non è molto,
ma noi dobbiamo sapere
accontentarci, no?» sorride la donna dai capelli ricci e le
accarezza il
volto amorevolmente. Amy sorride rivolta al cielo.
"Rory dove sei?" si domanda ancora e
ancora Amy.
Amy divide i soldi con Charlotte,
comprano delle
pagnotte e delle coperte.
«Non hai più
soldi?» domanda
Charlotte.
«Li ho finiti...»
«Avevi detto di aver pagato
l'hotel in anticipo,
vero?» le chiede
la signora dai capelli ricci.
«Purtroppo
sì.»
«Vieni con me!»
urla Charlotte sorridente.
Amy e Charlotte tentano di rubare del
cibo, ma Amy non
ci riesce. Ci riprovano
qualche giorno dopo e questa volta riescono a recuperare del cibo per i
bambini
del quartiere povero.
«Tu non mangi?» le
chiede Charlotte una sera.
«Voi ne avete più
bisogno» dice
guardando Charlotte
riempirsi la bocca di cibo, soddisfatta.
I giorni passano. I giorni diventano
settimane. Amy
è più magra,
più debole, comincia a sentirsi stanca e senza forze.
È nei pressi della
città, mentre cammina
in cerca di un posto
dove poter rubare qualche cosa da mangiare, quando comincia a tossire
forte.
Tossisce, senza riuscire a smettere. Un uomo la sta fissando. Ha uno
sguardo
pazzo e pervertito. Amy inizia a camminare frettolosamente per
allontanarsi da
lui, dalla civiltà.
"Non posso farmi arrestare, non posso
smettere di
cercare Rory!" pensa
debolmente e incoerentemente.
«Dove corri,
bellezza?» si sente dire alle
sue spalle.
L'uomo è più
vicino del dovuto. Amy inizia
a correre, ma una
forte scarica di tosse le invade i polmoni e le ostruisce le vie
respiratorie.
Si accovaccia per terra.
"È finita" pensa sconfitta
Amy.
«Brava ragazza, adesso sei
mia!» le sussurra
all'orecchio l'uomo
dall'alito pesante e disgustoso. Amy strizza gli occhi e prega in
qualcosa.
«Rory» parlano le
sue labbra.
«Cosa hai detto?»
chiede l'uomo che le
scosta i capelli dal volto e
l'annusa.
«Ha detto di lasciarla in
pace!» dice una
voce risoluta e un po'
più giovane, diversa da quella dell'uomo viscido alle sue
spalle.
«E tu chi cazzo
sei?» urla sorpreso il suo
aggressore, alzandosi e
lasciando la presa su Amy.
«Io? Io sono
l'eroe!».
Forti rumori di pugni e imprecazioni
arrivano alle
orecchie della ragazza.
Amy tossisce ancora, si accovaccia sul
marciapiede e poi
vi è soltanto
il buio.
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