Crash! Boom! Bang! (seconda parte)
Al contrario di Steve, Banner non
era per niente tranquillo mentre faceva ritorno al nuovo quartier generale
degli Avengers. Le insinuazioni di Stark lo avevano turbato parecchio e non
capiva che cosa avesse potuto fare per mettergli in mente quella strana idea.
Lui con Pietro Maximoff… che sciocchezza! Vero?
Eppure, la sua mente non poté
fare a meno di riportarlo a quel giorno, a quei momenti drammatici e concitati
in cui lui aveva salvato la vita al ragazzo. Sì, per la prima volta era
riuscito a controllare la bestia che nascondeva dentro di sé per salvarlo prima
e per prestargli le cure necessarie poi.
Ultron sale sul quinjet e comincia a sparare all’impazzata sugli
abitanti di Sokovia e sugli Avengers. Barton, vedendo che un bambino è rimasto
indietro, si getta coraggiosamente verso di lui per prenderlo in braccio e
riportarlo alla madre. Ultron si dirige proprio verso di loro per ucciderli… ed
è allora che, contemporaneamente, accadono due cose: Pietro Maximoff si accorge
del pericolo e decide di slanciarsi verso i due per metterli in salvo,
sfruttando la sua velocità; Banner, che in quel momento è Hulk, con due balzi
raggiunge il velivolo di Ultron, afferra l’androide e, senza tanti complimenti,
lo scaraventa di sotto.
La raffica di proiettili non ha colpito Barton e il piccolo, ma ha
ferito Pietro. Non è stato raggiunto in punti vitali ma, se non venisse
soccorso tempestivamente, morirebbe dissanguato.
Hulk vede la scena, vede cadere il ragazzo e… capisce che adesso non
c’è più bisogno di lui, ma di Banner. Banner, il dottore che potrà curare
Pietro. Riporta indietro il quinjet mentre il suo corpo muta, si trasforma,
riprende a fatica le sembianze dello scienziato. Quando il velivolo atterra, è
di nuovo Banner, con le vesti stracciate, stravolto, sì, ma comunque lui.
Col cuore in gola raggiunge gli altri sull’helicarrier, dove Steve ha
portato anche il giovane Maximoff, ferito e sanguinante. Ignora tutto e tutti,
non vede nessuno se non quel ragazzo biondo che ha bisogno del suo aiuto. In
pochi secondi è al fianco di Pietro, lo sorregge, approfitta dei pezzi laceri
della camicia per improvvisare delle bende e fermare l’emorragia.
“Mi ha colpito… ma io non devo morire, non posso lasciare sola Wanda!”
mormora il giovane, con gli occhi sbarrati, sentendosi sempre più debole.
Banner ha fasciato strettamente le sue ferite, il sangue ha smesso di
sgorgare, ora è necessario che il ragazzo tenga duro, che resista. Il dottore
lo sostiene e gli stringe forte una mano.
“Non morirai, Pietro, stai tranquillo” gli dice. “Va tutto bene, ho
fermato l’emorragia e, appena possibile, ci fermeremo in un posto dove potrò
curarti come si deve.”
“Non so se ce la faccio…”
“Certo che ce la fai!” insiste Banner, tenendogli forte la mano come
per infondergli la sua stessa vita. “Non ci pensare, parla con me, raccontami,
raccontami di te, di tua sorella…”
Lo distrae, lo incoraggia, lo conforta e continua a tenerlo stretto.
Quando l’helicarrier atterra e possono arrivare i soccorsi, il peggio è
passato. Pietro dovrà essere curato e avrà bisogno di trasfusioni, ma la sua
vita non è più in pericolo.
Perso nei suoi pensieri, Banner
giunse al quartier generale degli Avengers quasi senza accorgersene. Si stava
dirigendo verso il suo laboratorio, quando avvertì dietro la schiena una sorta
di spostamento d’aria che ormai aveva
imparato a conoscere fin troppo bene. Un braccio gli circondò le spalle e una
voce allegra lo apostrofò.
“Buongiorno, Doc, dov’eri
finito?”
Pietro Maximoff, ovviamente.
Banner, intimidito da tanta familiarità, cercò di darsi un contegno.
“Sono andato alla Stark Tower”
iniziò a rispondere, ma non ebbe il tempo di spiegare ulteriormente.
“Stark ti ha chiamato? E perché?
Cos’è successo? Qualcuno ci minaccia?” Pietro sembrava ansioso di partecipare
alla sua prima missione in veste di Avenger
ufficiale.
“Niente di così grave, in realtà
era Steve Rogers che aveva bisogno di me. Il suo amico, Barnes, ha
un’infezione, aveva la febbre molto alta e così…”
“Ho letto tutto di Rogers e del
suo amico Bucky Barnes, sai?” lo interruppe di nuovo Pietro. “Ho ricercato
tutti i files su Captain America, è una storia davvero triste, quello che è
successo a Barnes è vergognoso, l’Hydra non avrebbe dovuto… Però, allora tu hai
visto il Soldato d’Inverno! Ci hai parlato? Che tipo è?”
“Non ci ho parlato perché aveva
la febbre alta e non era cosciente” rispose Banner, travolto da tanta irruenza
e anche molto imbarazzato.
“Quando anche io e Wanda eravamo
sottoposti agli esperimenti dell’Hydra ho sentito tanto parlare del Soldato
d’Inverno, sarei davvero curioso di conoscerlo. Se solo avessi saputo che
andavi là…”
“Domani dovrò tornarci per
controllare come sta, se gli antibiotici stanno facendo effetto” si lasciò
sfuggire Banner prima di rendersi conto della portata della sua affermazione. Troppo
tardi si rese conto che non avrebbe dovuto dirlo…
“Davvero? Allora mi porti con
te!” decise Pietro, senza esitazioni. Strinse più forte il braccio attorno alle
spalle del dottore e gli rivolse un sorrisetto furbo. “Posso venire con te, non
è vero, Doc? Ci tengo tanto, veramente tanto, mi porti con te? Per favore!”
Banner era totalmente sconvolto.
“Non so se sia il caso, Barnes
sta male e forse…” provò a dire.
Inaspettatamente, Pietro lo
abbracciò forte, causandogli un mezzo infarto.
“Lo sapevo che avresti detto di
sì!” esclamò, soddisfatto. “Grazie, Doc, grazie davvero, sei sempre tanto
gentile con me. Allora ci vediamo dopo!”
“Io veramente non…” cercò di dire
Banner, ma il ragazzo era già sparito.
Pietro Maximoff ha un effetto strano su di me… possibile che non sia
capace di rifiutargli niente? E va bene, domani lo porterò con me, troverò un
modo per spiegarlo a Rogers. Steve è sempre molto comprensivo e non si
offenderà, però… in che razza di situazioni mi mette quel ragazzo! Ed io non
riesco mai a dirgli di no, è questa la cosa peggiore!
Bucky aveva dormito tranquillo
per alcune ore e Steve si era occupato di preparare un pranzo leggero e
nutriente per rimetterlo in forze. Quando, finalmente, il giovane Soldato aprì
gli occhi, Steve era accanto a lui e lo guardava con un sorriso dolce.
“Hai riposato bene, per fortuna”
gli disse con tenerezza. “Ti senti meglio?”
“Mi sento… strano” rispose Bucky,
guardandosi attorno perplesso. “Cosa mi è successo?”
“Stanotte hai avuto la febbre molto
alta, mi hai fatto preoccupare tantissimo” spiegò Rogers, accarezzandogli i
capelli e scostandoglieli dal viso. “Il dottore che ti ha visitato ha detto che
si tratta di un’infezione dovuta all’arto di vibranio, ti ha prescritto degli
antibiotici e molto riposo. Guarirai presto, vedrai!”
Gli occhi del giovane si fecero
sospettosi.
“Un dottore? Qualcuno è venuto
qui?”
“Non preoccuparti, Bucky, si
tratta del dottor Banner, è un amico fidato che fa parte degli Avengers, come
me, Stark, Natasha… Ti ho parlato degli Avengers, ricordi? Non avrei mai
lasciato entrare un estraneo, lo sai.”
Bucky annuì, tranquillizzato.
“Domani il dottor Banner tornerà
a controllarti, così lo conoscerai di persona. E’ davvero un brav’uomo e… beh,
insomma, anche lui ha avuto i suoi guai con il siero del Supersoldato” disse
Steve. “Facciamo così: adesso ti porto il pranzo e mi metto qui anch’io a
mangiare con te e, mentre pranziamo, ti parlerò un po’ di Banner e degli altri
Avengers.”
Steve andò in cucina a prendere i
piatti di entrambi: una semplice fettina di carne alla griglia con insalata.
Quando tornò in camera, si accorse che gli occhi di Bucky erano lucidi di
lacrime.
“Bucky, che cos’hai? Ti senti
male?” chiese Rogers, preoccupato, mettendosi a sedere accanto al compagno.
“Sto bene, è solo che… Steve, tu
sei sempre così dolce e paziente con me ed io…” mormorò il giovane, chiaramente
commosso e intenerito.
“Bucky, non faccio niente di
particolare” si schermì Steve, porgendo il piatto al Soldato. “Io ti amo e per
me è naturale occuparmi di te. Del resto, tu hai fatto lo stesso per me, per
anni, quando eravamo due ragazzini a Brooklyn. Ricordi quella volta in cui mi
portasti in bicicletta a Coney Island?”
“Quando ci prendemmo tutto quel
temporale lungo la via del ritorno?”
Steve sorrise.
“Sono felice che tu non l’abbia
dimenticato” continuò. “Eri preoccupato per me e mi copristi con la tua giacca,
restando in maniche di camicia, avevi il terrore che io mi ammalassi!”
Anche Bucky si lasciò sfuggire un
debole sorriso.
“Arrivammo a casa tutti bagnati,
ma io mi ero infradiciato fino alle ossa… a te non successe niente, ma io mi
presi una polmonite!” disse Bucky, proseguendo il racconto del compagno.
“Rimasi a letto per quasi un mese, ma ero contento che tu non ti fossi
ammalato: con la tua asma sarebbe stato molto più pericoloso…”
Steve, commosso, lo abbracciò e
lo baciò a lungo, con dolcezza e affetto infiniti.
“Lo vedi che anche tu ti sei
sempre occupato di me, Buck?” mormorò poi. “Io non sto facendo niente di
speciale. Adesso mangiamo e ti racconterò qualcosa di più su Bruce Banner e gli
Avengers.”
Così fecero. Bucky non aveva
fame, ma si sforzò di mandare giù qualche boccone per non preoccupare Steve.
Distratto dalla storia appassionante che l’amico gli raccontava a proposito
delle sue missioni con gli Avengers e della drammatica vicenda di Banner/Hulk,
il giovane Soldato riuscì a mangiare tutto quasi senza accorgersene, con grande
soddisfazione di Steve.
“Vuoi dire che l’Hydra ha
continuato con i suoi esperimenti su cavie umane anche dopo… di me?” domandò
Bucky, sconvolto, quando Steve gli ebbe raccontato di Pietro e Wanda Maximoff e
di come anche loro, adesso, facessero parte degli Avengers.
“In realtà i due gemelli si erano
offerti volontari, non com’è accaduto a te” precisò Steve. “Però sì, Von
Strucker ha proseguito gli esperimenti iniziati da Zola e Pierce. Tu non hai
mai incontrato i Maximoff?”
Bucky scosse il capo.
“Io rispondevo a Pierce, mentre
loro, a quanto pare, erano creature di Von Strucker” rispose. “Inoltre non
avevo tante occasioni per fare amicizie a quel tempo… quando non ero in
missione, mi ibernavano.”
Quelle parole amare colpirono al
cuore Steve, che abbracciò stretto il suo Bucky e lo baciò in fronte.
“Non pensarci più, quello è il
passato. Adesso siamo insieme” gli sussurrò.
“Lo so, e so anche che non potrei
essere qui con te ora se… se non avessi passato quelle esperienze. Per cui…
beh, ne valeva la pena!”
Steve lo strinse più forte e un
lungo bacio unì i due giovani.
Bucky era sincero: nonostante le
terribili sofferenze patite, sapeva che era solo grazie agli esperimenti
dell’Hydra se era sopravvissuto e adesso poteva trovarsi accanto a Steve.
In fondo al cuore, il giovane
Soldato era contento anche di essersi ammalato, perché questo significava
potersi abbandonare totalmente alle premure affettuose di Steve.
Ma, questo, non l’avrebbe mai
ammesso apertamente!
FINE