Liberté, Égalité, Fraternité. di ___Ace (/viewuser.php?uid=280123)
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Liberté,
Égalité, Fraternité.
Seize.
La
notizia
della Presa della Bastiglia si era diffusa in tutta la Francia a
macchia
d’olio, rendendo chiaro immediatamente alla maggior parte
della popolazione che
la forza dei cittadini era più che capace di tenere testa
alla monarchia. Fu
per quel motivo che per le vie iniziò a circolare la voce
sul significato
simbolico che la prigione aveva assunto, ovvero il potere vulnerabile
del Re.
Le ore
che
erano seguite alla rivolta erano state lente e pesanti da sopportare
per tutti
e con l’arrivo della notte le cose non si erano messe meglio,
soprattutto per i
feriti e per quelli che erano rimasti senza un tetto sopra la testa
dove poter
stare al sicuro.
Inoltre,
c’erano un sacco di problemi secondari, ma non di poca
importanza, da risolvere
per i Rivoluzionari. Soprattutto, Shanks aveva urgenza di sapere come
stavano i
suoi uomini, come se l’erano cavata, chi mancava
all’appello e quali erano le
condizioni degli uomini di Barbabianca ai quali, ormai, si era
affezionato.
Era lui
stesso a girare per il Quartier Generale quella notte, elargendo
sorrisi di
incoraggiamento a coloro che erano addossati alle pareti, in attesa di
una
visita o dell’assegnazione di una branda per dormire. Molti
cittadini erano
tornati alle loro case e dalle loro famiglie, ma altri che avevano
perso tutto
avevano ricevuto asilo da un paio di conventi, la locanda di Makino,
mai stata
piena come in quella circostanza, e dall’edificio in cui si
trovavano. Si erano
arrangiati al meglio, riuscendo, con un po’ di
organizzazione, a superare gli
intoppi di quel primo giorno, poi sarebbe seguito il resto.
Aveva
appuntamento con Benn e alcuni uomini di Barbabianca, così
si affrettò lungo il
corridoio, scusandosi con le persone che urtava per sbaglio, e
raggiungendo una
stanzetta non troppo grande, ma accogliente dove trovò i
suoi compagni nel
silenzio più totale, sdraiati a terra o seduti.
Fu Benn a
salutarlo per primo, facendogli un cenno con il capo e indicando con lo
sguardo
un tizio sul pavimento con i capelli castani.
-Salve
ragazzi.- mormorò Shanks, con un tono che non era per niente
allegro come il
solito.
Thatch se
ne
accorse subito, ma immaginò che fosse dovuto alla
stanchezza. Dopotutto, era
stata una giornata pesante per tutti e nemmeno il suo umore era alle
stelle.
-Bonsoir.-
-Capitano.-
fece Izou, seduto a gambe incrociate su una panca e con le braccia
strette
attorno al petto. Molti della loro compagnia avevano preso il vizio di
riferirsi al rosso con quell’appellativo da quando avevano
ricevuto l’ordine di
obbedirgli e seguirlo in battaglia. Era più facile se lo
vedevano come una
specie di condottiero, altrimenti, se fosse stato solamente un amico del loro babbo, privo di
importanza, lo avrebbero ignorato.
-Allora,-
sospirò Shanks, sedendosi pure lui, -Quali sono i risultati?-
-Mezza
città
distrutta; una prigione sotto sequestro; le truppe della Corona
dimezzate e
centinaia di cittadini sparsi per le strade senza vita.-
elencò Thatch, alzando
il capo da terra e recuperando parte del suo temperamento attivo, anche
se la
risposta grondava di puro sarcasmo.
-Thatch.- lo
richiamò
il fratello, scoccandogli un’occhiata ammonitrice. -Don’t...-
-E
perché
no? E’ la pura verità, così come
è vero che Marco è quasi morto!-
scattò il
castano, alzandosi completamente e avanzando verso Shanks per
fronteggiarlo,
poggiando i palmi aperti sul tavolo che li separava. -Volevi una stima
dei
danni? Bene, queste sono le vittime.- disse arrabbiato, sbattendogli
sotto al
naso dei fogli di carta scribacchiati e uscendo poi dalla stanza,
lasciando il
silenzio dietro di sé.
Izou si
schiarì la voce poco dopo. -Devi scusarlo, è solo
teso per le condizioni di
nostro fratello.-
-Non deve
essere scusato, ne ha tutto il diritto.- chiarì il rosso,
sorridendogli appena
in modo gentile e venendo ricambiato. Con Izou, che fosse contento o
meno, si
riusciva sempre a parlare e a ragionare. Al contrario, Thatch era la
persona
migliore al mondo quando era allegro e spensierato, ma quando era
preoccupato o
furioso era meglio stargli alla larga perché sapeva
diventare piuttosto
violento.
Shanks
sfogliò la lunga lista dove notò esserci scritti
tutti i nomi dei caduti
durante la presa della Bastiglia e pareva quasi che non avessero
più fine,
mentre, nelle carte successive, erano annotati i nominativi di alcuni
soldati
fatti prigionieri per un motivo o per l’altro e quelli dei
gendarmi liberati
dalla prigione che avevano in seguito combattuto a favore del popolo.
Li
lasciò
ricadere sulla superficie del tavolo e si massaggiò le
tempie, pensando a cosa
fare.
Aveva
saputo
dell’incidente di Marco, Sabo glielo aveva accennato,
spiegandogli anche il
motivo per cui Ace fosse sparito chissà dove. Si era sentito
sollevato alla
notizia che i suoi tre ragazzi stessero tutti bene e si era concesso un
momento
in disparte con Rufy per stringerlo forte a sé, tirargli uno
schiaffone e
facendosi promettere che non si sarebbe mai più cacciato nei
guai,
abbracciandolo nuovamente al primo cenno di assenso che aveva ricevuto.
Avrebbe
anche voluto correre a ringraziare Marco per quello che aveva fatto, ma
sapeva
che era impossibile. Sarebbe comunque andato di persona da Barbabianca
una
volta sistemati i problemi più gravi a Parigi.
Sollevò
la
testa alla ricerca di Benn. Gli sarebbe servito più di
qualche uomo fidato per
interrogare i prigionieri e lasciare a qualcuno il compito di
sostituirlo fino
al suo ritorno.
-Mi serve
un
favore.- iniziò. -Assicurati che tutti abbiano cibo e acqua
e che vengano
visitati. Raduna tutti i volontari che riesci a trovare e organizza
delle ronde
sulle barricate con dei turni, tutti devono riuscire a riposare. Domani
mattina, appena torno, ci occuperemo dei prigionieri, organizzeremo i
funerali
e alla fine penseremo anche al resto.-
Con resto, intendeva tutto ciò che
riguardava la monarchia e il marciume che li aveva ridotti in quel
modo. Le
complicanze non si limitavano a quelle già elencate, doveva
anche risolvere la
questione del membro della Flotta dei Sette, dell’ufficiale
che avevano
catturato le ragazze di Dadan e della principessa che aveva affidato
alle cure della
donna.
-Izou,
sto
andando all’accampamento. Immagino vorrai tornare dalla tua
famiglia.-
Il
ragazzo
dai capelli corvini lo guardò con un misto di stanchezza e
ringraziamento,
annuendo e avvisandolo che sarebbe andato a cercare Thatch e che lo
avrebbero
aspettato all’uscita per fare la strada assieme.
Quando
anche
Shanks fu pronto per partire, dopo aver scambiato le ultime parole con
Benn,
raggiunse la soglia, ma si fermò prima di andarsene con un
quesito in testa.
-Yasop?-
Aveva
cercato di stare tranquillo e di pensare positivo, ma non aveva visto
l’amico
da nessuna parte.
L’ombra
che
oscurò il viso del suo vecchio compagno non gli fece
presagire nulla di buono. -Tutto
questo è niente in confronto ai funerali che si terranno a
giorni. Aveva
bisogno di una notte per piangere il figlio.-
*
Regnava
il
caos.
Ancora
non
si spiegava per quale ragione aveva tanto insistito per partecipare a
quell’interrogatorio che durava ormai da troppe ore,
cadenzate solamente da
urla, imprecazioni, insulti, minacce di morte e nessuna assoluzione.
Durante
la
presa della Bastiglia erano stati fatti prigionieri pochissimi soldati
perché
la maggior parte erano ancora esposti sulle mura della prigione,
penzolanti e
con il cappio al collo. Quelli ancora in vita si contavano sulle dita
di una
mano e non si trovavano certo in una posizione di prestigio che potesse
salvarli dai crimini di cui erano accusati.
Bonney si
trovava nei sotterranei del Quartier Generale dove alcune stanze
inutilizzate e
sgabuzzini erano stati adibiti per rinchiudere gli ufficiali, quel
mattino
liberi di uscire uno ad uno per essere ascoltati da una specie di
giuria
imparziale fatta da alcuni Rivoluzionari, quali Shanks e un paio dei
suoi
uomini, più due messi che facevano le veci di Kaido e Big
Mom e un altro tizio
che rappresentava un gruppo di nomadi che vivevano poco fuori della
capitale,
di cui Bonney aveva appreso l’esistenza solo quel giorno.
Si
trovava
tra gli spettatori per pura fortuna, ma anche per furbizia, dato che
sia lei
che Nami erano le dirette interessate per quanto riguardava la cattura
di uno
dei gendarmi. Lei, in particolare, ci teneva a dire la sua per evitare
che al
diretto interessato tagliassero la testa dato che, fino ad allora,
tutti i
prigionieri erano stati condannati e la situazione non sembrava volgere
per il
meglio.
Si
mordicchiava le unghie, rovinandole e scorticandosi i polpastrelli del
mignolo
e dell’indice della mano sinistra, passando poi alla destra
quando gli altri
iniziarono a sanguinare.
-Chi
è il
prossimo?-
A quelle
parole si fece attenta, ignorando le occhiate stranite che Nami le
rivolgeva,
turbata dal suo comportamento fin troppo interessato ogni volta che
nominavano
un nuovo soldato.
-Un certo
Smoker.- sentì borbottare da Benn e, automaticamente, la sua
attenzione venne
meno, facendola ricadere nell’ansia dell’attesa.
Intanto
nella sala veniva scortato da due uomini un tizio che non aveva mai
visto, ma
che molti altri conoscevano con il grado di Capitano della Guardia
Principale
di Parigi, Smoker. Il prigioniero non ebbe nemmeno il tempo di sedere
davanti a
Shanks perché, all’improvviso, Ace si
alzò dalla sua postazione e saltò in
mezzo alla stanza seguito a ruota da Sabo, il quale non
riuscì a fermare in tempo
il fratello dallo sferrare un pugno in
pieno volto all’uomo.
-Ace
fermati!- lo pregò biondo, stringendo le braccia attorno al
corpo del fratello
nel tentativo di allontanarlo dall’ufficiale a terra con il
naso rotto.
-Lo
ammazzo!
Lasciami!- urlava il corvino, dimenandosi come una furia e riuscendo
quasi a
togliersi di dosso Sabo. Sfortunatamente per lui, si ritrovò
stretto nella morsa
di Thatch che, raggiuntolo, aiutò il biondo a trascinare il
ragazzo lontano da
Smoker, al limitare della sala, costringendolo a sedersi e a non
muoversi,
tenendolo fermo per le spalle, esercitando una certa pressione per
assicurarsi
che stesse buono.
-Devo
legarti o ti calmi?- lo minacciò il castano, due volte
più muscoloso di entrambi
i giovani.
Il
corvino non
rispose, continuando a fissare con uno sguardo di fuoco
l’uomo che aveva
buttato suo fratello nella Senna, che aveva ordinato di farlo uccidere
e che
aveva poi rinchiuso Rufy nella Bastiglia. Non ne voleva sapere di farlo
redimere, per lui era già morto.
Shanks
scosse il capo davanti a quell’episodio. A quanto pareva,
l’unico soldato che
li aveva aiutati durante la battaglia aveva qualche diatriba in sospeso
con il
moccioso più incontrollabile dei suoi ranghi.
Iniziò
ad
interrogare Smoker, scoprendolo ben disposto a collaborare, anche se le
frasi
che mormorava erano spicce e contenevano il minimo indispensabile per
rispondere alle sue domande. Più lo guardava e
più gli sembrava una persona
affidabile, anche con quell’aria arcigna e poco gioviale.
Ciò che lo colpiva di
più, però, erano la mancanza di interesse per la
sua posizione e la luce spenta
negli occhi, come se si fosse arreso e non avesse nulla che lo
spingesse a
sopravvivere.
Al
momento
del verdetto, inevitabilmente, scoppiarono i dibattiti. Per la
precisione, i
suoi colleghi, sebbene con alcuni dubbi, avevano tutta l’aria
di essere
d’accordo sul fatto di metterlo in libertà, magari
tenendolo controllato per un
po’ di tempo, l’unico inghippo, però,
riguardava Ace, il quale non aveva per
niente preso bene la cosa.
Infatti
il
giovane scattò in piedi, placcato prontamente da Thatch che
gli sbarrava la
strada, pronto a fermarlo in caso avesse deciso di fare pazzie e
commettere un
omicidio.
-Ha
sparato
a Sabo,- iniziò, rivolgendosi direttamente a Shanks e
fissandolo dritto negli
occhi, -Ha ordinato la mia morte e ha rinchiuso Rufy. Non ti basta come
accusa?
Quanti altri morti vuoi avere, eh?-
-Ace…-
cercò
di tranquillizzarlo Sabo.
-Sta
zitto!
Dovresti essere il primo a volere la sua testa!- lo accusò
il moro, scostando
il braccio che il biondo gli aveva sfiorato.
-Si, ma
non
è così che possiamo andare avanti. Non saremo
diversi da loro, altrimenti.- gli
spiegò, alzando di poco la voce. Certo, aveva rischiato di
morire a causa di
quell’uomo, ma aveva anche ascoltato tutti i pro e i contro
che si erano
susseguiti durante quel processo improvvisato e, alla luce dei fatti e
di
alcune testimonianze a favore dell’uomo, si era convinto che
meritasse una
possibilità. Sapeva, però, che sarebbe stato
difficile convincere Ace, lui
ragionava solo a fatti, non a parole.
-Sei
pazzo.
Lo siete tutti. Cosa vi assicura che non andrà a spifferare
tutto a quegli
stronzi che stanno a Corte?- chiese a quel punto Ace, fuori di
sé dalla rabbia.
Le cose stavano andando di male in peggio. Prima Marco e poi quel
bastardo che
aveva quasi sterminato le uniche persone che amava al mondo. -Appena ne
avrà
l’occasione tornerà dai suoi uomini e…-
-Hanno
ucciso la donna che amavo.- disse a quel punto Smoker, stanco di quel
teatrino
e buttando fuori tutte le parole che gli stavano logorando
l’anima, zittendo
ogni lamentela contro di lui e facendo calare nella sala un silenzio
opprimente. Non era solito coinvolgere gli altri degli affari suoi, ma
aveva fatto
una promessa a Tashiji e l’avrebbe mantenuta a tutti i costi.
-Era un’innocente
e l’hanno uccisa ugualmente. Questa non é la
giustizia per cui combatto. Non è
ciò che mi hanno insegnato.- scandì a denti
stretti, stringendo i pugni con i
polsi ammanettati.
Riviveva
tutte le notti quell’incubo, quando l’avevano
scoperta e riconosciuta,
condannandola immediatamente a morire solo perché il padre
aveva fatto una
scelta diversa. A nulla erano valsi i suoi sforzi di proteggerla,
facendola
scappare e nascondendola in casa sua. Era durata per un po’,
ma alla fine era
andato tutto in malora. Ancora non capiva perché si era
arrischiata ad uscire,
quando glielo aveva espressamente vietato. L’avevano trovata,
imprigionata e,
proprio quando lui era arrivato alla centrale per salvarla,
l’avevano tolta di
mezzo con un colpo secco e indolore. Era stato un gesto misericordioso
dato che
si trattava di una donna, avevano spiegato.
Da quel
momento aveva perso tutto quello in cui credeva: il lavoro, la
giustizia, gli
ideali, la vita, l’amore. Tutto andato in fumo e cenere.
-Se in
qualche modo posso aiutare a capovolgere il sistema, sappiate che lo
farò.-
promise, guardando direttamente Shanks e intrattenendo con lui un
silenzioso
dialogo al fine del quale il Rosso prese una decisione.
-Liberatelo.-
Smoker
trattenne un sospiro di sollievo quando sentì i pesi ai
polsi venire meno e li
massaggiò subito per riattivare la circolazione del sangue,
mormorando un
ringraziamento masticato a mezza voce e lasciandosi scortare verso una
panca
sulla quale si sedette, facendo finta di non notare le persone che si
spostavano sensibilmente per allontanarsi da lui. Di certo non sarebbe
stato
facile inserirsi nel giro anche se aveva buone intenzioni.
Ace,
invece,
roteò gli occhi al cielo, allontanò Sabo che
aveva cercato di farlo ragionare e
si era scrollato di dosso Thatch, deciso a lasciare la casa e ad andare
da
Marco dove, ne era sicuro, non sarebbe stato disturbato e avrebbe
potuto
sfogarsi e crogiolarsi nelle sue pene.
Shanks lo
vide allontanarsi e si ripromise che avrebbe trovato il tempo per
parlare con i
suoi ragazzi come non faceva da molto. Li aveva trascurati, ne era
consapevole,
ma era anche certo che avrebbero capito. Presto, una volta finita la
guerra,
sarebbero stati di nuovo una famiglia unita, con Makino. Sarebbe andato
tutto
bene.
-Bene,-
sospirò, rendendosi conto che erano arrivati
all’ultimo prigioniero. -Il
prossimo è Diez Drake.-
Smoker
aggrottò la fronte nell’udire il nome di un suo ex
sottoposto, mentre
dall’altra parte della stanza Bonney scattava in piedi,
obbligata a sedersi
subito dopo da Nami, la quale l’aveva afferrata per un
gomito, trascinandola al
suo posto e chiedendole bisbigliando cosa le era preso.
L’ufficiale
interessato fece il suo ingresso pochi istanti dopo, a testa bassa e
con ancora
addosso l’uniforme blu e bianca. Teneva lo sguardo a terra,
mentre le mani
erano legate con una corda davanti a lui, permettendogli di potersi
tranquillamente sedere senza schiacciarle.
Nel
frattempo, Benn aveva fatto un piccolo riassunto al Rosso, informandolo
del
perché quell’uomo si trovasse lì e come
era stato fatto prigioniero. Al termine
del racconto, Shanks lasciò ciondolare la mascella e
cercò con lo sguardo le
due ragazze che erano state tanto coraggiose, individuandole tra la
folla e
ricevendo un saluto da parte di Nami.
Si
schiarì
la voce, appuntandosi di interrogarle in un secondo momento. -Dunque,-
scandì,
-Ufficiale Drake, ti trovi davanti a questa corte per…-
-Poche
storie. Giudicatemi e facciamola finita.- lo interruppe
l’uomo, senza degnare
nessuno della sua attenzione e arrivando al dunque. Non aveva niente a
che fare
con quelle persone, non si era nemmeno schierato dalla loro parte in
battaglia,
era ovvio che lo avrebbero dichiarato colpevole, perciò
tanto valeva concludere
in fretta e smetterla con quella farsa. Inoltre, per essere precisi,
quel
gruppo di ubriaconi che gli sedevano davanti non aveva nessuna
facoltà e nessun
potere per decidere della sua esistenza, ma era stanco, i suoi principi
erano
andati in pezzi e aveva tradito la divisa per una donna.
Sorrise
amaramente tra sé a quel pensiero. Nonostante i sensi di
colpa, era sollevato
di aver cambiato mira all’ultimo secondo e di averla
risparmiata.
-Uhm,
come
scusa?- Shanks era piuttosto perplesso. Non gli piaceva quel ruolo,
fare da
giudice era stata una pessima idea di Benn, ma, a detta
dell’amico, una parte
del popolo si sarebbe lamentata se il capo
dei Rivoluzionari avesse delegato a qualcun altro quel compito.
-Avete
compreso benissimo.- ribatté Diez, sibilando frustrato. Non
ne poteva più, si
era tormentato tutta la notte per ciò che aveva fatto e se
non lo avrebbero
ucciso subito si sarebbe tolto la vita da solo.
-M-ma,
ecco,
non mi p-pare il caso.- balbettò una voce tra i presenti,
facendo voltare
tutti, Drake compreso, verso di essa e rimanendo senza una copertura.
Shanks la
osservò stupito, prima di invitare Bonney ad alzarsi e a
raggiungerlo affinché
tutti la udissero meglio.
Fu
così che,
maledicendosi, la ragazza obbedì, avvicinandosi passo dopo
passo e sentendosi
perforare la pelle a causa dell’occhiata che
l’ufficiale le stava rivolgendo.
-Dicci
pure,
Bonney. Mi sembra, inoltre, che tu fossi presente alla sua cattura.-
notò Benn,
esortando la giovane a parlare.
Lei
sembrò
spaesata per un attimo, voltandosi immediatamente a guardare prima Nami
e poi
riconcentrandosi su Drake, il quale, però, la
ignorò, spostando gli occhi
altrove e facendola rimanere molto male, ma non demoralizzandola.
-Beh,
io… io
ero fuori dalla barricata e… e stavo rientrando. Non mi ero
accorta dei
soldati…- disse, torturandosi nuovamente le mani e
sentendosi troppi occhi
puntati addosso. Non le piaceva essere al centro
dell’attenzione e si ricordò
perché se ne era sempre stata in disparte e per conto suo.
In quella maniera
nessuno poteva giudicarla o pensare male di lei. In quel momento,
però, quando
incontrò ancora lo sguardo di Drake, riuscendo a mantenere
il contatto più a
lungo, capì anche che le stava chiedendo di smetterla di
nascondersi e di non
avere paura. Le stava dicendo che, nonostante tutto, sarebbe andata
bene in
qualsiasi caso. Non la obbligava a parlare o a difenderlo, non sarebbe
importato se lo avrebbero assolto o meno.
Però
a lei
importava e non lo avrebbe lasciato al suo destino, come aveva fatto
lui con
lei, aiutandola.
-Diez
Drake
ha ucciso tre guardie per salvarmi.- disse tutto d’un fiato,
per niente
intimorita dal brusio concitato che invase la stanza dopo la sua
confessione,
concentrata unicamente sugli occhi di Drake che la fissavano come se
fosse
ammattita. Avrebbero potuto ritenerla sua complice, o peggio, una spia.
Perché
mai un gendarme avrebbe difeso una rivoltosa altrimenti?
Infatti,
la
domanda non mancò di arrivare.
-Bonney,
per
quale ragione lo avrebbe fatto?- domandò Shanks, cercando di
essere il più
delicato possibile.
-Perché
lui…
insomma… noi…-
Ci conosciamo.
Siamo amici. Non mi avrebbe mai fatto
del male. E’ una brava persona, non è cattivo. Non
merita di morire.
Avrebbe
voluto dire tutte quelle cose, ma era bloccata. E se non le avessero
creduto? E
se lo avessero ucciso ugualmente? Come avrebbe potuto aiutarlo in quel
caso?
Cosa doveva fare per salvarli da quella situazione?
-Perché
hanno una relazione! E lei aspetta un figlio suo!-
Bonney
sentì
il sangue gelare nelle vene nell’udire la voce squillante e
dalla nota quasi
isterica che inondò la sala, arrivando perfettamente alle
orecchie di tutti e
zittendo per la seconda volta quel giorno i presenti. Se la
ritrovò poi alle
spalle, sentendosi abbracciare e consolare in maniera teatrale, mentre
parole
di conforto uscivano dalla bocca larga della rossa, la quale sperava di
darla a
bere a chiunque con quella farsa. Aveva capito che qualcosa bolliva in
pentola
e che Bonney le stava nascondendo molti particolari della sua vita. Era
bastato
osservarla bene per capire che i suoi stati d’animo
riguardavano l’ufficiale al
quale aveva dato una botta in testa con il suo bastone durante la
rivolta,
facendolo svenire sotto allo sguardo attonito dell’amica dai
capelli rosa. Lo
aveva fatto per istinto, nonostante lo avesse visto uccidere i soldati
che
avevano preso di mira Bonney senza che lei se ne rendesse conto. Non
sapeva
quanto i due fossero intimi, ma era certa che, se non avesse salvato la
situazione, Bonney avrebbe combinato una cazzata, perciò
tanto valeva
ingigantire la cosa.
-Oh, mia
cara, carissima sorella. Sarò la zia più felice
di sempre, come potrei non
esserlo? Il vostro amore va avanti da
così tanto ed è così
forte da
superare ogni difficoltà! Piccola, dolce amica mia.-
blaterava, asciugandosi
fintamente una lacrima che non c’era e accarezzando la pancia
piatta della
ragazza accanto a lei.
Drake,
invece,
era rimasto senza fiato. Lui aspettava un figlio? Da quando? Con Bonney
l’unica
volta che ci aveva dormito assieme si era solo eccitato al pensiero di
sfiorarla come un ragazzino alle prime armi, ma non l’aveva
toccata nemmeno per
sbaglio, figurarsi se poteva anche solo minimamente essere incinta. Era
tanto
impegnato a rendersi conto della cosa che si accorse in ritardo della
presenza
di un suo conoscente e, quando lo riconobbe come il suo superore, si
sentì
mancare.
Avrebbe
voluto chiedere a Smoker cosa diavolo ci faceva tra i Rivoluzionari, ma
l’occhiata di fuoco che ricevette lo fece desistere dal suo
intento e si
preoccupò piuttosto di negare impercettibilmente con il capo
nel tentativo di
fargli capire che era innocente e che non aveva minimamente abusato di
quella
ragazza, conscio di quanto l’argomento fosse tabù
per l’ex Capitano.
-Beh,
congratulazioni Bonney.- fece Shanks, dimenticando per un momento il
caso
delicato e sorridendole allegro, guadagnandosi una gomitata sulle
costole da
Benn e riprendendo il controllo, tornando fintamente serio. Era
più forte di
lui: quel mestiere faceva proprio schifo. -Alla luce di questi fatti,
mi metto
nelle vostre mani, Signori.- mormorò, chiamando
all’appello il resto della
giuria.
Il
rappresentante di Kaido lo condannò all’istante,
come era stato per tutti
quelli prima di Drake, mentre quello di Big Mom fece spallucce.
Izou si
chiamò fuori dai giochi perché non conosceva al
meglio tutti i dettagli e non
voleva avere ulteriori pesi sulla coscienza, mentre Benn era
pensieroso.
Shanks, di certo, lo avrebbe assolto al volo, ma per farlo senza
scatenare un
putiferio aveva bisogno di un aiuto.
-Potremo
rilasciarlo sulla parola.- propose.
-E chi
garantirà per lui? Non lo conosciamo e non ha mai fatto
nulla per i cittadini.-
ragionò Benn accanto a lui.
-Posso
assicurarvi che è un uomo d’onore e di buoni
principi.- si intromise Smoker.
-Tu non
conti.- lo zittì un rivoluzionario poco lontano da lui.
-Garantiamo
io e lei!- disse Nami, la quale aveva intravvisto uno spiraglio di
speranza
grazie al Rosso. -Dopotutto, io lo conosco perché
l’ho visto spesso a Montmarte
e lei, beh, è la sua donna.- concluse, ignorando bellamente
il rossore sulle
guance di Bonney e l’imbarazzo di Drake. Nessuno dei due,
però, smascherò la
bugia, consci che quella poteva essere la loro unica salvezza.
Passò
un
minuto di silenzio durante il quale il cuore dei diretti interessati
parve
saltare fuori dalle loro casse toraciche.
-E sia.
Diez
Drake è assolto.-
E fu con
un
colpo deciso e un ghigno sulla faccia che Shanks batté un
martelletto di legno
sul tavolino sgangherato per ufficializzare la sua decisione, ignorando
le
opposizioni di mezza sala, ma ritenendosi soddisfatto di aver convinto
almeno
l’altra metà. Tutti buonisti, sicuramente.
-Che
aspetti?- bisbigliò Nami all’amica, dandole un
pizzicotto sul braccio senza
farsi notare, -Corri ad abbracciarlo e fingiti disperata.-
Bonney
annuì
dopo un attimo di incertezza e si avviò verso Drake con
passo incerto, non
paragonabile ad uno stato d’animo di gioia o
felicità, ma non riusciva a
fingere qualcosa di meglio, date le sue condizioni. Aveva appena
ottenuto la
custodia di un soldato e per il popolo lei aspettava un figlio. Dio
solo sapeva
cosa le avrebbe fatto Dadan una volta tornata al bordello.
Aspettò
nervosa
che slegassero le mani di Drake e sentì
l’imbarazzo palpabile tra di loro
quando si ritrovarono faccia a faccia. Cosa doveva fare? Che fine aveva
fatto
la sua spavalderia e il poco pudore di quella famosa mattina sotto le
lenzuola?
Sentì
la
rossa alle sue spalle schiarirsi la voce e spiegare a qualcuno del
romanticismo
che si racchiudeva nei loro sguardi, inventando sciocchezze su
sciocchezze, ma
fulminando Drake con uno sguardo che non prometteva nulla di buono,
smuovendolo
così a fare un passo avanti e a tendere le braccia verso
Bonney che, mesta, si
lasciò avvolgere subito dopo in un goffo abbraccio.
-Ti sei
messa nei guai. Te ne rendi conto?- le sussurrò
all’orecchio.
Lei
sospirò,
già più calma. -Lo so, ma nemmeno tu sei messo
meglio.- gli ricordò,
puntualizzando. Di certo era un ricercato per la polizia, dopo quello
che aveva
fatto.
-Ho
ucciso i
miei uomini.-
-Per
salvarmi.- ribatté prontamente Bonney, scostandosi e
guardandolo negli occhi.
-Mentire era il minimo che potessi fare per sdebitarmi.-
Lasciò
che
Drake le sfiorasse una guancia, pensando che, forse, ce
l’avrebbero fatta a
calmare le acque e a convincere tutti che non meritava la forca.
-Voi
due.-
li riprese una voce alterata. -A casa, ora.-
A quanto pareva, Nami era più che intenzionata a prendere
sul serio l’incarico
di controllare l’ufficiale.
-Avete
una
gravidanza da organizzare.-
Non
sarebbe
stata una passeggiata.
*
Le
Cimitère du Père-Lachaise non aveva mai
visto tanti visitatori, e non aveva
nemmeno mai avuto tante buche scavate nel terreno, come quel giorno.
La gente
si
ammassava fino ai cancelli d’entrata ed era sparsa per tutto
il perimetro,
spostandosi lentamente e a testa china, con lo sguardo fisso a terra o
rivolto
alle tombe dei loro cari caduti durante la Rivolta.
In mezzo
alle vecchie lapidi, svettavano quelle nuove, molte improvvisate e
senza
nemmeno un messaggio d’addio o di affetto da parte dei
famigliari, ma con solo
un nome scolpito nelle croci di legno piantate alla base della fossa. I
becchini della città avevano avuto un gran da fare per
evitare che i corpi
venissero ammassati sulle strade e dessero inizio ad
un’epidemia.
E, per
concludere quella pessima giornata, pioveva.
Kidd
osservava dalla sua postazione, ovvero seduto sugli scalini di un
mausoleo più
vecchio della Parigi stessa, il contrasto di grigi che rendevano
monotono quel
luogo. L’erba scura e bagnata, gli abiti grigi o neri, le
nuvole grigie, il
marmo grigio, le facce grigie. Tutto quel grigiore lo faceva sentire
fuoriposto. Lui, che con quei suoi capelli rossi sembrava un faro nella
notte,
si tirò il cappuccio del mantello di pelliccia in testa per
non dare
nell’occhio e per rispettare il dolore degli altri. Gli
sembrava di risultare
offensivo con quei suoi colori, quando tutti volevano solo avvolgersi
nella
disperazione di quella grigia giornata.
Vedeva
chiaramente ad una decina di metri di distanza un gruppetto numeroso di
giovani
che cercavano di sostenersi a vicenda, abbracciati e stretti
l’un l’altro nel
tentativo di ridurre al minimo la sofferenza che condividevano. Aveva
riconosciuto Shanks, in piedi accanto ad una bella lapide,
probabilmente intento
a fare un discorso in memoria del ragazzo defunto. Si trattava di un
caro amico
del fratello di Pugno di Fuoco, anch’egli presente alla
cerimonia funebre con i
fratelli. Il piccoletto, Rufy, era in ginocchio e sembrava concentrato
nell’azione di strappare l’erba dal terreno con
rabbia. Nessuno, però, provava
a fermarlo. A Kidd pareva quasi di sentir piangere più di
qualcuno.
Ad ogni
modo, aveva anche lui le sue preghiere da recitare e decise di
ignorarli e
lasciare loro un po’ di privacy.
Aveva
perso
un compagno d’armi, Wire, che aveva sempre fatto gruppo con
lui, Killer e un
altro paio di ragazzi più o meno della loro età.
Nelle sue grazie entravano in
pochi, ma quelli che ci riuscivano ottenevano un posto speciale nella
sua scala
di affetti e Wire era stato uno di quelli. Non parlava mai molto, ma
quando lo
faceva non era mai banale. E poi sapeva fare a botte, quindi gli era
simpatico.
Purtroppo
era caduto come tanti e andare al suo funerale era stato il minimo che
Kidd
avesse potuto fare, l’ultima occasione che aveva per
salutarlo e per augurargli
buona fortuna, ovunque se ne fosse andato.
Congiunse
le
mani e incrociò le dita, rigirandosi i pollici e
stringendosi nelle spalle nel
suo angolino isolato e tranquillo, avvolto nella mantella per ripararsi
dalle
goccioline d’acqua che gli picchiettavano nelle spalle,
scivolando dal
tettuccio del mausoleo, e da quell’aria quasi nebbiosa e
spessa, ma sempre
grigia.
Rivolse
un
breve sguardo al mucchio di terra appena smossa che formava una piccola
collinetta a pochi metri da lui, con una croce che svettava alta e
spessa,
frutto del suo lavoro e di quello dei ragazzi. Un ultimo regalo per
Wire.
Gli fece
un
cenno con il capo, non sapendo bene cosa dire o cosa pensare, optando
infine
per qualcosa di classico e non troppo commovente.
Stammi bene,
vecchio mio.
Non
sapeva
se lo avrebbe sentito, ma gli piaceva pensare di aver fatto una bella
cosa, un
pensiero per una persona cara poteva anche concederselo.
Stava
ancora
cincischiando ai piedi della tomba monumentale appartenuta a
chissà quale
borghese, quando sentì dei passi sulla ghiaia farsi sempre
più vicini, dettati
da un ritmo lento e cadenzato, fermandosi proprio di fronte a lui.
Riconobbe
gli
stivali eleganti e i pantaloni puliti, non stracciati e bucati in
più punti
come i suoi, e già prima di vederlo in faccia seppe che si
trattava di quella
spina nel fianco con cui condivideva la casa, che aveva iniziato, da
bravo
egoista esaltato, a considerare sua.
Stava
appunto per aprire la bocca e mandarlo a farsi un giro, ma non disse
nulla
quando i loro sguardi si incrociarono. Preferì mordersi la
lingua e ingoiare
gli insulti davanti al ghigno che vide modellare le labbra del medico.
Persino ad
un funerale quello riusciva a trovare il lato ironico della situaizone.
Anche
dopo
mesi non riusciva ad abituarsi a quell’espressione sempre
presente, sfacciata e
saccente; quel comportamento posato, che mai si alterava, ma allo
stesso tempo
dannatamente irritante e provocante, nel senso che gli faceva prudere
le mani
dalla voglia quasi irrefrenabile di prenderlo a pugni. E lo avrebbe
fatto se
non fosse stato che condivideva un tetto sulla testa con quel pazzo.
Perché
Trafalgar tutto era fuori che normale. Era strano, con un senso
dell’umorismo
inquietante, sadico da mettere i brividi, schifosamente ricco e
intelligente,
spudoratamente altezzoso e oscenamente attraente.
Se da una
parte Kidd lo detestava, dall’altra aveva dovuto fare i conti
con la
consapevolezza di desiderarlo tra le sue mani per ridurlo in cenere,
spezzarlo
e consumarlo; obbligarlo al suo controllo e fargli abbassare le tante
arie da
superiore che si dava. Lo voleva perso, abbandonato al suo volere,
disperatamente dipendente da lui.
Deglutì
a
vuoto, sentendo un guizzo al basso ventre.
Dio, e
quanto
avrebbe voluto trascinarlo dietro al mausoleo, sbatterlo contro il
muro,
piegarlo in avanti e fotterlo in quel modo, sotto la pioggia e in un
cimitero.
Era certo che, con quella vena macabra, al moro non sarebbe
particolarmente
dispiaciuto.
Lo odiava
anche per quel motivo, perché era capace di fargli perdere
la concentrazione
nei momenti meno adatti come, ad esempio, un funerale collettivo. Dove
tutti
piangevano, a lui veniva un’erezione.
E quel
figlio di puttana ghignava.
-Che
vuoi?-
ringhiò seccato, spostando gli occhi altrove e alzandosi per
lasciare che la
pioggia lo raggiungesse in più punti nella speranza di
raffreddare i bollenti
spiriti.
-Era un
tuo
amico?- gli domandò inaspettatamente Law, voltandosi verso
la tomba di Wire.
Kidd si
strinse nella spalle. -Ormai non ha importanza. E’ morto.-
Vide con
la
coda dell’occhio che il ragazzo accanto a lui scuoteva il
capo con
esasperazione, ma con il sorriso sempre perenne sul viso.
-Se vuoi
piangere puoi farlo.- gli disse strafottente, scoccandogli
un’occhiata
derisoria che il rosso contraccambiò, ma in modo
più truce e infastidito. Cosa
stava cercando di fare quello stronzo? Farlo arrabbiare era
l’ultima cosa che
gli conveniva, data la situazione.
Ciò
che il
moro stava facendo, però, era distrarlo dal dolore e il modo
migliore che
conosceva per ottenere l’effetto sperato era tartassargli i
nervi fino
all’esasperazione.
-Ti
avverto,
Trafalgar, falla finita o giuro che…-
-Che cosa, Eustass-ya?- lo riprese
immediatamente Law, facendo un passo in avanti e portandosi ad un palmo
dal suo
viso. Non era alto quanto Kidd e doveva alzare la testa per guardarlo,
mentre
il rosso si ritrovò costretto ad abbassarla per osservarlo
senza
indietreggiare, ma andava bene, al moro non dispiaceva, sapeva
benissimo che
non gli servivano centimetri in più per sovrastare quella
testaccia rossa.
-Cosa farai?- ripeté, il sorriso più grande, i
denti in bella mostra e gli
occhi, grigi, che sembravano non trasmettere il solito cinismo, ma un
barlume
di divertimento. -Avanti, sono proprio curioso di saperlo.-
E Kidd
guardava rapito quelle labbra che si schiudevano per parlare e
sussurrare
parole che nemmeno aveva afferrato, ipnotizzato com’era da
quella vipera che
gli stava avvelenando la mente e l’esistenza.
Una mano
strinse involontariamente il bavero del cappotto di Law, trascinandolo
più
vicino e obbligandolo a salire sulle punte dei piedi. Si sentiva
fremere,
voleva vedere fino a dove sarebbe riuscito a spingersi Eustass-ya e
quanto ci
avrebbe messo per capitolare perché, di sicuro, non avrebbe
fatto lui la prima
mossa, ma punzecchiare il rosso era diventato il suo passatempo
preferito.
Anche se,
a
conti fatti, non si trattava più di un diversivo per
staccare dalla monotonia
della giornata, ma di qualcos’altro. Uno strano bisogno di
non sentirsi solo,
di sapere di essere la causa di qualcosa
per qualcuno. Eustass Kidd era il
peggio che i sobborghi potevano offrire, la
crème de la crème dello schifo
più totale, ma si era reso conto che tra
loro si era instaurata una strana intesa. Incomprensioni a parte, anche
se i
loro discorsi si basavano unicamente su frasi fatte di insulti, litigi
e
disaccordi, c’era qualcosa che andava a riempire le mancanze
che entrambi
avevano, come se li completasse e li rendesse stabili in quelle loro
vite
traballanti.
E, anche
se
non lo ammetteva, anche se lo stava tenendo nascosto, Law non voleva
lasciare
andare quel caprone figlio di nessuno che gli aveva regalato un fottuto
cane e
che chiudeva le finestre anche se faceva caldo la notte, lasciandogli
pure
tutto il lenzuolo perché sapeva che lui, nonostante
l’estate, sentiva freddo
verso le prime ore del mattino. Non voleva e basta.
Come Kidd
non voleva saperne di andarsene. Diamine, non dopo che aveva trovato
una
baracca senza buchi sul soffitto e dove ci si poteva specchiare sui
piatti.
Soprattutto, non dopo che Trafalgar rifaceva il letto senza chiedere
una mano e
gli lasciava la sua parte di pane per colazione, sapendo quando a lui
piacesse
inzupparlo nel latte. Poco importava che a Law il pane fosse indigesto,
a Kidd
piaceva pensare che lo faceva per lui, non per se stesso.
-Mi fai
impazzire.-
sussurrò il rosso, al limite della sopportazione e con ogni
fibra del suo
corpo che gli urlava di creare un contatto con il suo peggior nemico.
Furono
tre
parole sussurrate sulla sua bocca a mettere Law nella posizione di chi
non sa
come reagire. Si era aspettato un insulto, un pugno, una bestemmia,
qualsiasi
cosa di irruento com’era solito fare Kidd, ma non quello. Non
una frase che si,
poteva essere intesa come un’offesa, ma riusciva a passare
anche come un velato complimento.
Perché, insomma,
detta con quel tono basso, roco e tremendamente provocante poteva
significare
solo una cosa.
Era
abbastanza per spingere Law a gettarsi su quelle labbra, baciandole e
assaggiandole timidamente con la punta della lingua, non trovando la
minima
resistenza ma, al contrario, sentendosi accogliere senza remore e con
aspettativa.
Poco
importava del luogo, del momento, dell’apparire indelicati,
delle persone che
avrebbero potuto vederli.
Erano
solo
loro due, davanti ad un mausoleo, in un cimitero, sotto la pioggia e
intenti a
baciarsi.
*
Il fuoco
ardeva vispo nelle braci, illuminando il retro della locanda di Makino
che
offriva una visuale ampia della campagna. Varie lanterne erano
appoggiate sulle
casse abbandonate appena fuori del granaio, contenenti alcune scorte di
cibo
che i ragazzi non avevano avuto tempo di sistemare. Erano,
però, state
utilizzare come comode sedute dal gruppetto di giovani che si erano
ritrovati
quella sera a passarsi di mano in mano un certo numero di bottiglie di
alcolici, con l’intento di non fare nulla, se non prendere
una sbronza e
diluire in quel modo il dolore, annacquando i pensieri dopo una
giornata
passata a versare lacrime al cimitero.
Avevano
mangiucchiato un paio di polli allo spiedo rubati da qualche pollaio in
periferia, acceso due fuochi e aperto vari liquori, recuperati dalle
scorte
personali di Shanks, ovviamente senza permesso.
Rufy
stava
seduto per terra, con le ginocchia strette al petto e lo sguardo perso
tra le
fiamme, silenzioso e triste. Di tanto in tanto lasciava andare un
sospiro o un
singhiozzo mal trattenuto, segno che si commuoveva ancora se ripensava
a Usopp
e al suo sacrificio per salvarlo. Si sentiva in colpa per non essere
stato più
attento, per non essere stato più forte e per non averlo
protetto come
meritava. Forse, se fosse stato meno distratto e si fosse guardato
intorno,
magari sarebbe riuscito…
Una mano
andò alla ricerca della sua, trovandola e intrecciando le
dita lunghe ed
eleganti ad essa per stringerla leggermente, seguita da una pressione
sulla
spalla. Nami gli si era appena accovacciata accanto e aveva poggiato la
testa
su di lui, mettendosi comoda e chiudendo gli occhi.
-Va tutto
bene.- gli aveva sussurrato, sfiorandogli il dorso con il pollice in
una serie
di cerchi immaginari.
E Rufy
non
poté che sentirsi in pace e meno tormentato, osservandola
con la coda
dell’occhio e sorridendo impercettibilmente, chiedendole se
avesse sete o fame,
aggiungendo che lui ne aveva tanta e strappandole una lieve risata.
Di fronte
a
loro, Sanji, chiuso nel suo silenzio, si accendeva una sigaretta, non
sapeva
più a che numero era arrivato quel giorno, con un
fiammifero, gettandolo poi in
mezzo al fuoco e prendendone una profonda e per niente rilassante
boccata.
Sentiva dentro di sé un peso enorme sul petto e non
c’era verso di cancellarlo.
Si era distrutto un labbro a forza di morderlo per frenare le lacrime
al
funerale di Usopp e in quel momento gli faceva male persino tenere il
filtro
tra le labbra, ma poco gli importava. Gli sembrava di essere vuoto e
allo
stesso tempo pesante, era di cattivo umore e non aveva nemmeno
disdegnato
l’alcool, bevendone generose sorsate ogni volta che aveva
potuto, arrivando
persino a tenere una bottiglia per sé. Rivedeva nella sua
mente l’immagine dei
suoi amici a terra, Usopp grondante di sangue e Rufy disperato e privo
di
protezione. Riviveva il ricordo della tensione, della paura,
dell’eccitazione
per la battaglia, della delusione, della rabbia e del timore logorante
al suono
di uno sparo alle sue spalle. Odiava con tutto se stesso il sollievo
che il suo
animo provava ancora in minima parte nel vedere Zoro vivo e vegeto a
pochi
passi da lui, sdraiato sull’erba, circondato da bottiglie
rigorosamente vuote,
apparentemente addormentato. Più lo guardava e
più si detestava. Un suo amico era
morto e lui ringraziava il Cielo per la grazia di vedere il petto di
quella
testa verde alzarsi e abbassarsi. Era veramente una persona di merda.
In quanto
a
Zoro, lui si era semplicemente assopito, troppo stanco e troppo ubriaco
per
pensare lucidamente, ma anche troppo angosciato per permettersi anche
solo di
formulare qualcosa nella sua mente che avesse un senso logico. Erano
stati
giorni infernali, per tutti e non solo per lui, e le vicende che ne
erano scaturite
non erano state del tutto rosee. Loro, infatti, ne erano usciti
vagamente a
pezzi. Non si sognava nemmeno di piangere, sarebbe stato come offendere
la
memoria di Usopp, perciò aveva lasciato le lacrime a Rufy,
lui si che aveva
tutto il diritto di versarle. Dopotutto, gli era morto un compagno tra
le
braccia e gli dispiaceva vederlo tanto abbattuto, ma altro non poteva
fare se
non stargli vicino e mostrargli il suo sostegno comportandosi come
sempre e apparendo
determinato, solo in quel modo avrebbe spronato il ragazzo a rialzarsi
e a
superare l’accaduto. Doveva essere forte, doveva farlo per i
suoi amici, doveva
essere il loro sostegno.
Aveva,
comunque, bisogno di bere e lo aveva fatto fino a sentirsi male, tanto
da
doversi stendere e riposare per poi ricominciare da dove aveva
lasciato. Aveva
tutta la notte a disposizione e se per un po’ avesse
disconnesso il cervello
gli avrebbe fatto solamente bene.
Appoggiati
sulla staccionata e con il viso rivolto verso il cielo stellato, se ne
stavano
Sabo e Koala, i quali si parlavano, sussurrando a bassa voce per non
disturbare
la quiete che avvolgeva i dintorni, indicando punti luminosi che
brillavano di
una luce fredda e lontana, ma che li ammaliavano ugualmente, stimolando
la loro
curiosità.
Koala le
conosceva quasi tutte le costellazioni, essendosi spostata molto e
avendo
viaggiato per mare, mentre Sabo sapeva riconoscere solo le principali,
riempiendo di domande l’amica e ascoltando con attenzione
tutte le spiegazioni
e le leggende sui nomi delle stelle riguardanti ere lontane,
Dèi ed eroi.
Era il
loro
modo di distrarsi, di pensare ad altro e quando erano assieme ci
riuscivano
alla perfezione, trovando argomenti che a nessuno sarebbero mai venuti
in mente
con una spontaneità e una facilità che
disarmavano chi li osservava da
distante. Andavano d’accordo ed era una fortuna essersi
trovati. Koala era
contenta perché con Sabo riusciva a non preoccuparsi in
continuazione per la
condizione incognita di Marco, invece il biondo dimenticava
momentaneamente
tutte le disgrazie che il popolo aveva subito e i dispiaceri che
gravavano sui
suoi fratelli. In particolare, ad intervalli di tempo, si voltava verso
il
granaio per controllare le condizioni di Ace, chiedendosi come se la
stesse
passando.
-Vai da
lui.- gli disse Koala, seguendo il suo sguardo e sorridendogli
gentilmente
quando lui la guardò.
-Non
voglio
che resti da sola.- si mortificò.
-Stavo
per
dirti che andavo a dormire. Thatch sarà già a
letto da un pezzo. E’ stata una
giornata lunga per tutti.- rispose, sistemandosi una ciocca di capelli
dietro
l’orecchio e recuperando il suo cappellino rosso che aveva
appoggiato ad un palo
del recinto. Lei, Thatch e Izou alloggiavano momentaneamente da Makino
per fare
da tramite tra l’accampamento e il Quartier Generale, oltre
che assicurarsi
costantemente della salute del loro fratello, quindi non correva nessun
pericolo di ritrovarsi da sola.
Sabo le
sorrise di rimando, soffermandosi a pensare a quando fosse dolce quella
ragazza, sempre pronta a fare del bene per il prossimo anche quando si
riscontrava difficile. Ripensandoci, lui doveva essere stato un caso
disperato
e probabilmente l’aveva fatta diventare matta mettendo a dura
prova la sua
santa pazienza.
Fu
perciò
normale per lui avvicinarsi e abbracciarla, stringendole le spalle e
trattenendola contro il suo petto, spostando una mano per accarezzarle
i
capelli e poggiando poi una guancia contro la sua per parlarle.
-Grazie.-
Provò
una
sensazione euforica quando Koala sorrise contro il suo collo, sentendo
poi le
sue manine circondargli i fianchi per comodità, dato che era
parecchio più alto
di lei.
-Non
c’è di
che.- gli rispose la ragazza quando si staccarono, salutandolo e
dirigendosi
verso la locanda, dandosi della stupida per sentirsi tanto felice.
Intanto,
Ace
se ne stava sdraiato scompostamente sopra a delle casse coperte da
delle balle
di fieno, quindi era pure comodo, ma il suo stato d’animo lo
stava facendo
impazzire. Era vagamente conscio di aver bevuto come un dannato e di
avere un
mal di testa che gli stava facendo martellare insistentemente le
tempie, ma ciò
non bastava a farlo smettere di pensare allo stato in cui si trovava
Marco.
Trafalgar
era stato vago nel fornirgli informazioni sulla sua salute e non si
sbilanciava
a dirgli se era più morto che vivo o il contrario,
lasciandolo nello sconforto
e nella disperazione.
Si
sentiva
uno schifo per essere stato tanto stupido, incauto e infantile da
trascinarlo a
recuperare un moribondo, senza accorgersi che si trattava di una
trappola. Lo
aveva messo in pericolo lui stesso ed era finita nel peggiore dei modi.
In un
letto a combattere tra la vita e la morte doveva esserci lui, non
Marco.
Perché
poi
si fosse buttato per salvarlo non riusciva a spiegarselo. Sarebbe stato
più
facile estrarre la pistola e sparare, certo, lui si sarebbe beccato del
piombo
in testa, ma almeno il biondo ne sarebbe uscito illeso. A lui non
serviva
aiuto, se l’era sempre cavata e ce l’avrebbe sempre
fatta, preferiva di gran
lunga essere lui stesso a dare una mano, invece che riceverla. Avrebbe
dovuto
proteggere Marco, ma non l’aveva fatto. Aveva promesso a se
stesso che, in sua
compagnia, nessuno si sarebbe ferito, invece aveva fallito. Marco
rischiava la
vita, Thatch non lo incolpava di nulla e Barbabianca, quando era andato
a
dargli la notizia, fregandosene del fatto che Shanks lo avesse
già avvisato in
precedenza, lo aveva abbracciato, ringraziandolo e dicendogli che era
sicuro
del fatto che suo figlio fosse in ottime mani anche se moribondo.
-Cazzo!-
farfugliò, dando un pugno secco che venne attutito dalla
paglia, rotolandosi su
un fianco e sentendo il bisogno di vomitare.
Tutti
continuavano a dargli fiducia e a ritenerlo un eroe, una persona di
valore,
però lui si sentiva solamente uno straccio, un incapace e un
buono a nulla
senza spina dorsale.
-Mio Dio,
puzzi come un maiale.-
Ace
represse
un conato, stringendosi la testa fra le mani. -Vaffanculo Sabo.-
Accanto a
lui il fieno si abbassò, segno che il biondo si era sdraiato
e si era
accomodato, incrociando le braccia dietro la testa e sospirando,
chiudendo gli
occhi.
-Come
stai?-
chiese dopo un paio di minuti.
-Vuoi la
verità o ti accontenti di una balla?-
-La
verità,
Ace.-
Il moro
si
lamentò. -Ma è una storia lunga.-
-Non ho
fretta.-
Sabo si
beccò una manata sul viso, seguita da un commento su quanto
fosse insistente e
impiccione, ma non demorse e aspettò con calma che Ace
recuperasse abbastanza
fiato da parlargli e sfogarsi. Era certo che, dopo, si sarebbe sentito
meglio.
Non si
aspettava, però, di vedere il fratello sul punto di piangere.
-E’
stata
colpa mia, Sabo.- stava mormorando con le lacrime agli occhi e un nodo
in gola,
combattendo per non scoppiare, anche se non desiderava altro. -Non sono
stato
attento e Marco… ehi, che fai?-
-Mi
dispiace, Ace.- mormorò il biondo, abbracciando il fratello
che gli dava le
spalle e strofinando il volto sulla sua schiena, mentre
l’altro cercava senza
successo di levarselo di dosso.
-Smettila,
idiota!-
-Oh, dai
Ace, fatti fare le coccole.-
-Ma tu
sei
matto!-
Doveva
ammettere, comunque, che si sentiva già molto meglio. Sapere
che dalla sua
parte aveva Sabo lo faceva sentire più leggero e tranquillo,
anche se non era
avvezzo di smancerie e dimostrazioni d’affetto di quel
genere. Di solito,
quello più ruffiano era Rufy, mentre loro due si limitavano
a pacche sulle
spalle, schiaffoni di tanto in tanto e sorrisi, non di certo abbracci e
baci.
-Tieni
quella bocca lontano dalla mia faccia.- minacciò il moro,
assottigliando lo
sguardo e mettendo una mano sul volto di Sabo per tenerlo fermo.
-Avanti,-
insisté il biondo, -Lascia che ti dia un bacetto.-
-Giuro
che
ti butto giù da qui.-
Sabo
alzò
gli occhi al cielo, sorridendo sconfitto, ma non allentando la presa
sul corpo
del fratello, stringendolo forse più forte e accomodandosi
meglio accanto a
lui. Non gli sembrava strano e nemmeno sbagliato, anzi, forse era il
gesto che
gli veniva più spontaneo di tutti abbracciare una delle
persone che amava di
più al mondo e che rappresentava parte della sua famiglia.
Teneva così tanto ad
Ace e Rufy, così tanto!
-Vedrai
che
andrà tutto bene.- mormorò una volta che Ace ebbe
smesso di lottare per
scrollarselo di dosso, arrendendosi a quella morsa ferrea e, a suo
modo,
confortevole e calorosa.
-Ne sei
certo?-
Quello di
Ace era stato quasi un sussurro, ma Sabo aveva annuito convinto.
-Assolutamente.
Fidati di Law.-
-So che
è il
migliore, ma se non ci riesce? Se, insomma, se Marco
dovesse…-
-Marco
guarirà e tornerà a farti incazzare come al
solito, d’accordo? Anche perché ti
stai rammollendo. Quando c’era lui a stressarti
l’anima era più divertente.-
-Grazie
tante eh.-
Il biondo
ignorò il sarcasmo e sbuffò una risata tra i
capelli folti di Ace. -Sto
scherzando, idiota.-
-Sabo?-
-Si?-
-Grazie
davvero.-
-Quando
vuoi, Ace.-
Angolo
Autrice.
Sono in
ritardo, lo so, ma ormai mi conoscete e ci avrete fatto
l’abitudine, LOL.
Avevo
detto
che avrei alzato il rating, ma mi sono resa conto che non è
da questo capitolo,
ma dal prossimo. Ad ogni modo, mi è stato fatto notare che
molte persone non
potrebbero più leggerla se la passo da arancione
a rossa, perciò credo
che limiterò i
danni e la lascerò così, in modo da non privare
nessuno della continuazione
della storia per colpa di un po’ di sesso
coccole.
Detto
ciò,
spero che il prossimo capitolo arrivi prima di natale, TROLLOL.
Ultima
cosa:
il capitolo è per Kidd e Law. Perché li amo e
basta.
Grazie a
tutti e un abbraccio come sempre!
Scusate
ancora
per le tempistiche, mea culpa.
See ya,
Ace.
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