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Autore: ___Ace    11/10/2015    3 recensioni
Nella Francia del XVIII secolo, più precisamente durante il corso del 1789, ogni tipo di potere immaginabile era riposto unicamente nelle mani della monarchia assoluta, a detta dei nobili e del sovrano, per diritto divino. I cittadini avevano sopportato tanto per molto tempo, senza mai lamentarsi e continuando a seppellire vittime di quelle ingiustizie. L'avversione dei sudditi francesi non aveva fatto altro che crescere e inasprirsi di giorno in giorno.
C'era, però, qualcuno pronto a combattere: un gruppo di persone che agivano nell'ombra e che lottavano per i loro ideali di giustizia ed uguaglianza. C'erano i Rivoluzionari, desiderosi di cambiare le cose e di liberare la Francia una volta per tutte.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ace/Marco, Ciurma di Barbabianca, Rivoluzionari, Sabo/Koala, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Liberté, Égalité, Fraternité.
Seize.

 
La notizia della Presa della Bastiglia si era diffusa in tutta la Francia a macchia d’olio, rendendo chiaro immediatamente alla maggior parte della popolazione che la forza dei cittadini era più che capace di tenere testa alla monarchia. Fu per quel motivo che per le vie iniziò a circolare la voce sul significato simbolico che la prigione aveva assunto, ovvero il potere vulnerabile del Re.
Le ore che erano seguite alla rivolta erano state lente e pesanti da sopportare per tutti e con l’arrivo della notte le cose non si erano messe meglio, soprattutto per i feriti e per quelli che erano rimasti senza un tetto sopra la testa dove poter stare al sicuro.
Inoltre, c’erano un sacco di problemi secondari, ma non di poca importanza, da risolvere per i Rivoluzionari. Soprattutto, Shanks aveva urgenza di sapere come stavano i suoi uomini, come se l’erano cavata, chi mancava all’appello e quali erano le condizioni degli uomini di Barbabianca ai quali, ormai, si era affezionato.
Era lui stesso a girare per il Quartier Generale quella notte, elargendo sorrisi di incoraggiamento a coloro che erano addossati alle pareti, in attesa di una visita o dell’assegnazione di una branda per dormire. Molti cittadini erano tornati alle loro case e dalle loro famiglie, ma altri che avevano perso tutto avevano ricevuto asilo da un paio di conventi, la locanda di Makino, mai stata piena come in quella circostanza, e dall’edificio in cui si trovavano. Si erano arrangiati al meglio, riuscendo, con un po’ di organizzazione, a superare gli intoppi di quel primo giorno, poi sarebbe seguito il resto.
Aveva appuntamento con Benn e alcuni uomini di Barbabianca, così si affrettò lungo il corridoio, scusandosi con le persone che urtava per sbaglio, e raggiungendo una stanzetta non troppo grande, ma accogliente dove trovò i suoi compagni nel silenzio più totale, sdraiati a terra o seduti.
Fu Benn a salutarlo per primo, facendogli un cenno con il capo e indicando con lo sguardo un tizio sul pavimento con i capelli castani.
-Salve ragazzi.- mormorò Shanks, con un tono che non era per niente allegro come il solito.
Thatch se ne accorse subito, ma immaginò che fosse dovuto alla stanchezza. Dopotutto, era stata una giornata pesante per tutti e nemmeno il suo umore era alle stelle.
-Bonsoir.-
-Capitano.- fece Izou, seduto a gambe incrociate su una panca e con le braccia strette attorno al petto. Molti della loro compagnia avevano preso il vizio di riferirsi al rosso con quell’appellativo da quando avevano ricevuto l’ordine di obbedirgli e seguirlo in battaglia. Era più facile se lo vedevano come una specie di condottiero, altrimenti, se fosse stato solamente un amico del loro babbo, privo di importanza, lo avrebbero ignorato.
-Allora,- sospirò Shanks, sedendosi pure lui, -Quali sono i risultati?-
-Mezza città distrutta; una prigione sotto sequestro; le truppe della Corona dimezzate e centinaia di cittadini sparsi per le strade senza vita.- elencò Thatch, alzando il capo da terra e recuperando parte del suo temperamento attivo, anche se la risposta grondava di puro sarcasmo.
-Thatch.- lo richiamò il fratello, scoccandogli un’occhiata ammonitrice. -Don’t...-
-E perché no? E’ la pura verità, così come è vero che Marco è quasi morto!- scattò il castano, alzandosi completamente e avanzando verso Shanks per fronteggiarlo, poggiando i palmi aperti sul tavolo che li separava. -Volevi una stima dei danni? Bene, queste sono le vittime.- disse arrabbiato, sbattendogli sotto al naso dei fogli di carta scribacchiati e uscendo poi dalla stanza, lasciando il silenzio dietro di sé.
Izou si schiarì la voce poco dopo. -Devi scusarlo, è solo teso per le condizioni di nostro fratello.-
-Non deve essere scusato, ne ha tutto il diritto.- chiarì il rosso, sorridendogli appena in modo gentile e venendo ricambiato. Con Izou, che fosse contento o meno, si riusciva sempre a parlare e a ragionare. Al contrario, Thatch era la persona migliore al mondo quando era allegro e spensierato, ma quando era preoccupato o furioso era meglio stargli alla larga perché sapeva diventare piuttosto violento.
Shanks sfogliò la lunga lista dove notò esserci scritti tutti i nomi dei caduti durante la presa della Bastiglia e pareva quasi che non avessero più fine, mentre, nelle carte successive, erano annotati i nominativi di alcuni soldati fatti prigionieri per un motivo o per l’altro e quelli dei gendarmi liberati dalla prigione che avevano in seguito combattuto a favore del popolo.
Li lasciò ricadere sulla superficie del tavolo e si massaggiò le tempie, pensando a cosa fare.
Aveva saputo dell’incidente di Marco, Sabo glielo aveva accennato, spiegandogli anche il motivo per cui Ace fosse sparito chissà dove. Si era sentito sollevato alla notizia che i suoi tre ragazzi stessero tutti bene e si era concesso un momento in disparte con Rufy per stringerlo forte a sé, tirargli uno schiaffone e facendosi promettere che non si sarebbe mai più cacciato nei guai, abbracciandolo nuovamente al primo cenno di assenso che aveva ricevuto. Avrebbe anche voluto correre a ringraziare Marco per quello che aveva fatto, ma sapeva che era impossibile. Sarebbe comunque andato di persona da Barbabianca una volta sistemati i problemi più gravi a Parigi.
Sollevò la testa alla ricerca di Benn. Gli sarebbe servito più di qualche uomo fidato per interrogare i prigionieri e lasciare a qualcuno il compito di sostituirlo fino al suo ritorno.
-Mi serve un favore.- iniziò. -Assicurati che tutti abbiano cibo e acqua e che vengano visitati. Raduna tutti i volontari che riesci a trovare e organizza delle ronde sulle barricate con dei turni, tutti devono riuscire a riposare. Domani mattina, appena torno, ci occuperemo dei prigionieri, organizzeremo i funerali e alla fine penseremo anche al resto.-
Con resto, intendeva tutto ciò che riguardava la monarchia e il marciume che li aveva ridotti in quel modo. Le complicanze non si limitavano a quelle già elencate, doveva anche risolvere la questione del membro della Flotta dei Sette, dell’ufficiale che avevano catturato le ragazze di Dadan e della principessa che aveva affidato alle cure della donna.
-Izou, sto andando all’accampamento. Immagino vorrai tornare dalla tua famiglia.-
Il ragazzo dai capelli corvini lo guardò con un misto di stanchezza e ringraziamento, annuendo e avvisandolo che sarebbe andato a cercare Thatch e che lo avrebbero aspettato all’uscita per fare la strada assieme.
Quando anche Shanks fu pronto per partire, dopo aver scambiato le ultime parole con Benn, raggiunse la soglia, ma si fermò prima di andarsene con un quesito in testa. -Yasop?-
Aveva cercato di stare tranquillo e di pensare positivo, ma non aveva visto l’amico da nessuna parte.
L’ombra che oscurò il viso del suo vecchio compagno non gli fece presagire nulla di buono. -Tutto questo è niente in confronto ai funerali che si terranno a giorni. Aveva bisogno di una notte per piangere il figlio.-
 
*
 
Regnava il caos.
Ancora non si spiegava per quale ragione aveva tanto insistito per partecipare a quell’interrogatorio che durava ormai da troppe ore, cadenzate solamente da urla, imprecazioni, insulti, minacce di morte e nessuna assoluzione.
Durante la presa della Bastiglia erano stati fatti prigionieri pochissimi soldati perché la maggior parte erano ancora esposti sulle mura della prigione, penzolanti e con il cappio al collo. Quelli ancora in vita si contavano sulle dita di una mano e non si trovavano certo in una posizione di prestigio che potesse salvarli dai crimini di cui erano accusati.
Bonney si trovava nei sotterranei del Quartier Generale dove alcune stanze inutilizzate e sgabuzzini erano stati adibiti per rinchiudere gli ufficiali, quel mattino liberi di uscire uno ad uno per essere ascoltati da una specie di giuria imparziale fatta da alcuni Rivoluzionari, quali Shanks e un paio dei suoi uomini, più due messi che facevano le veci di Kaido e Big Mom e un altro tizio che rappresentava un gruppo di nomadi che vivevano poco fuori della capitale, di cui Bonney aveva appreso l’esistenza solo quel giorno.
Si trovava tra gli spettatori per pura fortuna, ma anche per furbizia, dato che sia lei che Nami erano le dirette interessate per quanto riguardava la cattura di uno dei gendarmi. Lei, in particolare, ci teneva a dire la sua per evitare che al diretto interessato tagliassero la testa dato che, fino ad allora, tutti i prigionieri erano stati condannati e la situazione non sembrava volgere per il meglio.
Si mordicchiava le unghie, rovinandole e scorticandosi i polpastrelli del mignolo e dell’indice della mano sinistra, passando poi alla destra quando gli altri iniziarono a sanguinare.
-Chi è il prossimo?-
A quelle parole si fece attenta, ignorando le occhiate stranite che Nami le rivolgeva, turbata dal suo comportamento fin troppo interessato ogni volta che nominavano un nuovo soldato.
-Un certo Smoker.- sentì borbottare da Benn e, automaticamente, la sua attenzione venne meno, facendola ricadere nell’ansia dell’attesa.
Intanto nella sala veniva scortato da due uomini un tizio che non aveva mai visto, ma che molti altri conoscevano con il grado di Capitano della Guardia Principale di Parigi, Smoker. Il prigioniero non ebbe nemmeno il tempo di sedere davanti a Shanks perché, all’improvviso, Ace si alzò dalla sua postazione e saltò in mezzo alla stanza seguito a ruota da Sabo, il quale non riuscì a fermare in  tempo il fratello dallo sferrare un pugno in pieno volto all’uomo.
-Ace fermati!- lo pregò biondo, stringendo le braccia attorno al corpo del fratello nel tentativo di allontanarlo dall’ufficiale a terra con il naso rotto.
-Lo ammazzo! Lasciami!- urlava il corvino, dimenandosi come una furia e riuscendo quasi a togliersi di dosso Sabo. Sfortunatamente per lui, si ritrovò stretto nella morsa di Thatch che, raggiuntolo, aiutò il biondo a trascinare il ragazzo lontano da Smoker, al limitare della sala, costringendolo a sedersi e a non muoversi, tenendolo fermo per le spalle, esercitando una certa pressione per assicurarsi che stesse buono.
-Devo legarti o ti calmi?- lo minacciò il castano, due volte più muscoloso di entrambi i giovani.
Il corvino non rispose, continuando a fissare con uno sguardo di fuoco l’uomo che aveva buttato suo fratello nella Senna, che aveva ordinato di farlo uccidere e che aveva poi rinchiuso Rufy nella Bastiglia. Non ne voleva sapere di farlo redimere, per lui era già morto.
Shanks scosse il capo davanti a quell’episodio. A quanto pareva, l’unico soldato che li aveva aiutati durante la battaglia aveva qualche diatriba in sospeso con il moccioso più incontrollabile dei suoi ranghi.
Iniziò ad interrogare Smoker, scoprendolo ben disposto a collaborare, anche se le frasi che mormorava erano spicce e contenevano il minimo indispensabile per rispondere alle sue domande. Più lo guardava e più gli sembrava una persona affidabile, anche con quell’aria arcigna e poco gioviale. Ciò che lo colpiva di più, però, erano la mancanza di interesse per la sua posizione e la luce spenta negli occhi, come se si fosse arreso e non avesse nulla che lo spingesse a sopravvivere.
Al momento del verdetto, inevitabilmente, scoppiarono i dibattiti. Per la precisione, i suoi colleghi, sebbene con alcuni dubbi, avevano tutta l’aria di essere d’accordo sul fatto di metterlo in libertà, magari tenendolo controllato per un po’ di tempo, l’unico inghippo, però, riguardava Ace, il quale non aveva per niente preso bene la cosa.
Infatti il giovane scattò in piedi, placcato prontamente da Thatch che gli sbarrava la strada, pronto a fermarlo in caso avesse deciso di fare pazzie e commettere un omicidio.
-Ha sparato a Sabo,- iniziò, rivolgendosi direttamente a Shanks e fissandolo dritto negli occhi, -Ha ordinato la mia morte e ha rinchiuso Rufy. Non ti basta come accusa? Quanti altri morti vuoi avere, eh?-
-Ace…- cercò di tranquillizzarlo Sabo.
-Sta zitto! Dovresti essere il primo a volere la sua testa!- lo accusò il moro, scostando il braccio che il biondo gli aveva sfiorato.
-Si, ma non è così che possiamo andare avanti. Non saremo diversi da loro, altrimenti.- gli spiegò, alzando di poco la voce. Certo, aveva rischiato di morire a causa di quell’uomo, ma aveva anche ascoltato tutti i pro e i contro che si erano susseguiti durante quel processo improvvisato e, alla luce dei fatti e di alcune testimonianze a favore dell’uomo, si era convinto che meritasse una possibilità. Sapeva, però, che sarebbe stato difficile convincere Ace, lui ragionava solo a fatti, non a parole.
-Sei pazzo. Lo siete tutti. Cosa vi assicura che non andrà a spifferare tutto a quegli stronzi che stanno a Corte?- chiese a quel punto Ace, fuori di sé dalla rabbia. Le cose stavano andando di male in peggio. Prima Marco e poi quel bastardo che aveva quasi sterminato le uniche persone che amava al mondo. -Appena ne avrà l’occasione tornerà dai suoi uomini e…-
-Hanno ucciso la donna che amavo.- disse a quel punto Smoker, stanco di quel teatrino e buttando fuori tutte le parole che gli stavano logorando l’anima, zittendo ogni lamentela contro di lui e facendo calare nella sala un silenzio opprimente. Non era solito coinvolgere gli altri degli affari suoi, ma aveva fatto una promessa a Tashiji e l’avrebbe mantenuta a tutti i costi. -Era un’innocente e l’hanno uccisa ugualmente. Questa non é la giustizia per cui combatto. Non è ciò che mi hanno insegnato.- scandì a denti stretti, stringendo i pugni con i polsi ammanettati.
Riviveva tutte le notti quell’incubo, quando l’avevano scoperta e riconosciuta, condannandola immediatamente a morire solo perché il padre aveva fatto una scelta diversa. A nulla erano valsi i suoi sforzi di proteggerla, facendola scappare e nascondendola in casa sua. Era durata per un po’, ma alla fine era andato tutto in malora. Ancora non capiva perché si era arrischiata ad uscire, quando glielo aveva espressamente vietato. L’avevano trovata, imprigionata e, proprio quando lui era arrivato alla centrale per salvarla, l’avevano tolta di mezzo con un colpo secco e indolore. Era stato un gesto misericordioso dato che si trattava di una donna, avevano spiegato.
Da quel momento aveva perso tutto quello in cui credeva: il lavoro, la giustizia, gli ideali, la vita, l’amore. Tutto andato in fumo e cenere.
-Se in qualche modo posso aiutare a capovolgere il sistema, sappiate che lo farò.- promise, guardando direttamente Shanks e intrattenendo con lui un silenzioso dialogo al fine del quale il Rosso prese una decisione.
-Liberatelo.-
Smoker trattenne un sospiro di sollievo quando sentì i pesi ai polsi venire meno e li massaggiò subito per riattivare la circolazione del sangue, mormorando un ringraziamento masticato a mezza voce e lasciandosi scortare verso una panca sulla quale si sedette, facendo finta di non notare le persone che si spostavano sensibilmente per allontanarsi da lui. Di certo non sarebbe stato facile inserirsi nel giro anche se aveva buone intenzioni.
Ace, invece, roteò gli occhi al cielo, allontanò Sabo che aveva cercato di farlo ragionare e si era scrollato di dosso Thatch, deciso a lasciare la casa e ad andare da Marco dove, ne era sicuro, non sarebbe stato disturbato e avrebbe potuto sfogarsi e crogiolarsi nelle sue pene.
Shanks lo vide allontanarsi e si ripromise che avrebbe trovato il tempo per parlare con i suoi ragazzi come non faceva da molto. Li aveva trascurati, ne era consapevole, ma era anche certo che avrebbero capito. Presto, una volta finita la guerra, sarebbero stati di nuovo una famiglia unita, con Makino. Sarebbe andato tutto bene.
-Bene,- sospirò, rendendosi conto che erano arrivati all’ultimo prigioniero. -Il prossimo è Diez Drake.-
Smoker aggrottò la fronte nell’udire il nome di un suo ex sottoposto, mentre dall’altra parte della stanza Bonney scattava in piedi, obbligata a sedersi subito dopo da Nami, la quale l’aveva afferrata per un gomito, trascinandola al suo posto e chiedendole bisbigliando cosa le era preso.
L’ufficiale interessato fece il suo ingresso pochi istanti dopo, a testa bassa e con ancora addosso l’uniforme blu e bianca. Teneva lo sguardo a terra, mentre le mani erano legate con una corda davanti a lui, permettendogli di potersi tranquillamente sedere senza schiacciarle.
Nel frattempo, Benn aveva fatto un piccolo riassunto al Rosso, informandolo del perché quell’uomo si trovasse lì e come era stato fatto prigioniero. Al termine del racconto, Shanks lasciò ciondolare la mascella e cercò con lo sguardo le due ragazze che erano state tanto coraggiose, individuandole tra la folla e ricevendo un saluto da parte di Nami.
Si schiarì la voce, appuntandosi di interrogarle in un secondo momento. -Dunque,- scandì, -Ufficiale Drake, ti trovi davanti a questa corte per…-
-Poche storie. Giudicatemi e facciamola finita.- lo interruppe l’uomo, senza degnare nessuno della sua attenzione e arrivando al dunque. Non aveva niente a che fare con quelle persone, non si era nemmeno schierato dalla loro parte in battaglia, era ovvio che lo avrebbero dichiarato colpevole, perciò tanto valeva concludere in fretta e smetterla con quella farsa. Inoltre, per essere precisi, quel gruppo di ubriaconi che gli sedevano davanti non aveva nessuna facoltà e nessun potere per decidere della sua esistenza, ma era stanco, i suoi principi erano andati in pezzi e aveva tradito la divisa per una donna.
Sorrise amaramente tra sé a quel pensiero. Nonostante i sensi di colpa, era sollevato di aver cambiato mira all’ultimo secondo e di averla risparmiata.
-Uhm, come scusa?- Shanks era piuttosto perplesso. Non gli piaceva quel ruolo, fare da giudice era stata una pessima idea di Benn, ma, a detta dell’amico, una parte del popolo si sarebbe lamentata se il capo dei Rivoluzionari avesse delegato a qualcun altro quel compito.
-Avete compreso benissimo.- ribatté Diez, sibilando frustrato. Non ne poteva più, si era tormentato tutta la notte per ciò che aveva fatto e se non lo avrebbero ucciso subito si sarebbe tolto la vita da solo.
-M-ma, ecco, non mi p-pare il caso.- balbettò una voce tra i presenti, facendo voltare tutti, Drake compreso, verso di essa e rimanendo senza una copertura.
Shanks la osservò stupito, prima di invitare Bonney ad alzarsi e a raggiungerlo affinché tutti la udissero meglio.
Fu così che, maledicendosi, la ragazza obbedì, avvicinandosi passo dopo passo e sentendosi perforare la pelle a causa dell’occhiata che l’ufficiale le stava rivolgendo.
-Dicci pure, Bonney. Mi sembra, inoltre, che tu fossi presente alla sua cattura.- notò Benn, esortando la giovane a parlare.
Lei sembrò spaesata per un attimo, voltandosi immediatamente a guardare prima Nami e poi riconcentrandosi su Drake, il quale, però, la ignorò, spostando gli occhi altrove e facendola rimanere molto male, ma non demoralizzandola.
-Beh, io… io ero fuori dalla barricata e… e stavo rientrando. Non mi ero accorta dei soldati…- disse, torturandosi nuovamente le mani e sentendosi troppi occhi puntati addosso. Non le piaceva essere al centro dell’attenzione e si ricordò perché se ne era sempre stata in disparte e per conto suo. In quella maniera nessuno poteva giudicarla o pensare male di lei. In quel momento, però, quando incontrò ancora lo sguardo di Drake, riuscendo a mantenere il contatto più a lungo, capì anche che le stava chiedendo di smetterla di nascondersi e di non avere paura. Le stava dicendo che, nonostante tutto, sarebbe andata bene in qualsiasi caso. Non la obbligava a parlare o a difenderlo, non sarebbe importato se lo avrebbero assolto o meno.
Però a lei importava e non lo avrebbe lasciato al suo destino, come aveva fatto lui con lei, aiutandola.
-Diez Drake ha ucciso tre guardie per salvarmi.- disse tutto d’un fiato, per niente intimorita dal brusio concitato che invase la stanza dopo la sua confessione, concentrata unicamente sugli occhi di Drake che la fissavano come se fosse ammattita. Avrebbero potuto ritenerla sua complice, o peggio, una spia. Perché mai un gendarme avrebbe difeso una rivoltosa altrimenti?
Infatti, la domanda non mancò di arrivare.
-Bonney, per quale ragione lo avrebbe fatto?- domandò Shanks, cercando di essere il più delicato possibile.
-Perché lui… insomma… noi…-
Ci conosciamo. Siamo amici. Non mi avrebbe mai fatto del male. E’ una brava persona, non è cattivo. Non merita di morire.
Avrebbe voluto dire tutte quelle cose, ma era bloccata. E se non le avessero creduto? E se lo avessero ucciso ugualmente? Come avrebbe potuto aiutarlo in quel caso? Cosa doveva fare per salvarli da quella situazione?
-Perché hanno una relazione! E lei aspetta un figlio suo!-
Bonney sentì il sangue gelare nelle vene nell’udire la voce squillante e dalla nota quasi isterica che inondò la sala, arrivando perfettamente alle orecchie di tutti e zittendo per la seconda volta quel giorno i presenti. Se la ritrovò poi alle spalle, sentendosi abbracciare e consolare in maniera teatrale, mentre parole di conforto uscivano dalla bocca larga della rossa, la quale sperava di darla a bere a chiunque con quella farsa. Aveva capito che qualcosa bolliva in pentola e che Bonney le stava nascondendo molti particolari della sua vita. Era bastato osservarla bene per capire che i suoi stati d’animo riguardavano l’ufficiale al quale aveva dato una botta in testa con il suo bastone durante la rivolta, facendolo svenire sotto allo sguardo attonito dell’amica dai capelli rosa. Lo aveva fatto per istinto, nonostante lo avesse visto uccidere i soldati che avevano preso di mira Bonney senza che lei se ne rendesse conto. Non sapeva quanto i due fossero intimi, ma era certa che, se non avesse salvato la situazione, Bonney avrebbe combinato una cazzata, perciò tanto valeva ingigantire la cosa.
-Oh, mia cara, carissima sorella. Sarò la zia più felice di sempre, come potrei non esserlo? Il vostro amore va avanti da così tanto ed è così forte da superare ogni difficoltà! Piccola, dolce amica mia.- blaterava, asciugandosi fintamente una lacrima che non c’era e accarezzando la pancia piatta della ragazza accanto a lei.
Drake, invece, era rimasto senza fiato. Lui aspettava un figlio? Da quando? Con Bonney l’unica volta che ci aveva dormito assieme si era solo eccitato al pensiero di sfiorarla come un ragazzino alle prime armi, ma non l’aveva toccata nemmeno per sbaglio, figurarsi se poteva anche solo minimamente essere incinta. Era tanto impegnato a rendersi conto della cosa che si accorse in ritardo della presenza di un suo conoscente e, quando lo riconobbe come il suo superore, si sentì mancare.
Avrebbe voluto chiedere a Smoker cosa diavolo ci faceva tra i Rivoluzionari, ma l’occhiata di fuoco che ricevette lo fece desistere dal suo intento e si preoccupò piuttosto di negare impercettibilmente con il capo nel tentativo di fargli capire che era innocente e che non aveva minimamente abusato di quella ragazza, conscio di quanto l’argomento fosse tabù per l’ex Capitano.
-Beh, congratulazioni Bonney.- fece Shanks, dimenticando per un momento il caso delicato e sorridendole allegro, guadagnandosi una gomitata sulle costole da Benn e riprendendo il controllo, tornando fintamente serio. Era più forte di lui: quel mestiere faceva proprio schifo. -Alla luce di questi fatti, mi metto nelle vostre mani, Signori.- mormorò, chiamando all’appello il resto della giuria.
Il rappresentante di Kaido lo condannò all’istante, come era stato per tutti quelli prima di Drake, mentre quello di Big Mom fece spallucce.
Izou si chiamò fuori dai giochi perché non conosceva al meglio tutti i dettagli e non voleva avere ulteriori pesi sulla coscienza, mentre Benn era pensieroso. Shanks, di certo, lo avrebbe assolto al volo, ma per farlo senza scatenare un putiferio aveva bisogno di un aiuto.
-Potremo rilasciarlo sulla parola.- propose.
-E chi garantirà per lui? Non lo conosciamo e non ha mai fatto nulla per i cittadini.- ragionò Benn accanto a lui.
-Posso assicurarvi che è un uomo d’onore e di buoni principi.- si intromise Smoker.
-Tu non conti.- lo zittì un rivoluzionario poco lontano da lui.
-Garantiamo io e lei!- disse Nami, la quale aveva intravvisto uno spiraglio di speranza grazie al Rosso. -Dopotutto, io lo conosco perché l’ho visto spesso a Montmarte e lei, beh, è la sua donna.- concluse, ignorando bellamente il rossore sulle guance di Bonney e l’imbarazzo di Drake. Nessuno dei due, però, smascherò la bugia, consci che quella poteva essere la loro unica salvezza.
Passò un minuto di silenzio durante il quale il cuore dei diretti interessati parve saltare fuori dalle loro casse toraciche.
-E sia. Diez Drake è assolto.-
E fu con un colpo deciso e un ghigno sulla faccia che Shanks batté un martelletto di legno sul tavolino sgangherato per ufficializzare la sua decisione, ignorando le opposizioni di mezza sala, ma ritenendosi soddisfatto di aver convinto almeno l’altra metà. Tutti buonisti, sicuramente.
-Che aspetti?- bisbigliò Nami all’amica, dandole un pizzicotto sul braccio senza farsi notare, -Corri ad abbracciarlo e fingiti disperata.-
Bonney annuì dopo un attimo di incertezza e si avviò verso Drake con passo incerto, non paragonabile ad uno stato d’animo di gioia o felicità, ma non riusciva a fingere qualcosa di meglio, date le sue condizioni. Aveva appena ottenuto la custodia di un soldato e per il popolo lei aspettava un figlio. Dio solo sapeva cosa le avrebbe fatto Dadan una volta tornata al bordello.
Aspettò nervosa che slegassero le mani di Drake e sentì l’imbarazzo palpabile tra di loro quando si ritrovarono faccia a faccia. Cosa doveva fare? Che fine aveva fatto la sua spavalderia e il poco pudore di quella famosa mattina sotto le lenzuola?
Sentì la rossa alle sue spalle schiarirsi la voce e spiegare a qualcuno del romanticismo che si racchiudeva nei loro sguardi, inventando sciocchezze su sciocchezze, ma fulminando Drake con uno sguardo che non prometteva nulla di buono, smuovendolo così a fare un passo avanti e a tendere le braccia verso Bonney che, mesta, si lasciò avvolgere subito dopo in un goffo abbraccio.
-Ti sei messa nei guai. Te ne rendi conto?- le sussurrò all’orecchio.
Lei sospirò, già più calma. -Lo so, ma nemmeno tu sei messo meglio.- gli ricordò, puntualizzando. Di certo era un ricercato per la polizia, dopo quello che aveva fatto.
-Ho ucciso i miei uomini.-
-Per salvarmi.- ribatté prontamente Bonney, scostandosi e guardandolo negli occhi. -Mentire era il minimo che potessi fare per sdebitarmi.-
Lasciò che Drake le sfiorasse una guancia, pensando che, forse, ce l’avrebbero fatta a calmare le acque e a convincere tutti che non meritava la forca.
-Voi due.- li riprese una voce alterata. -A casa, ora.- A quanto pareva, Nami era più che intenzionata a prendere sul serio l’incarico di controllare l’ufficiale.
-Avete una gravidanza da organizzare.-
Non sarebbe stata una passeggiata.
 
*
 
Le Cimitère du Père-Lachaise non aveva mai visto tanti visitatori, e non aveva nemmeno mai avuto tante buche scavate nel terreno, come quel giorno.
La gente si ammassava fino ai cancelli d’entrata ed era sparsa per tutto il perimetro, spostandosi lentamente e a testa china, con lo sguardo fisso a terra o rivolto alle tombe dei loro cari caduti durante la Rivolta.
In mezzo alle vecchie lapidi, svettavano quelle nuove, molte improvvisate e senza nemmeno un messaggio d’addio o di affetto da parte dei famigliari, ma con solo un nome scolpito nelle croci di legno piantate alla base della fossa. I becchini della città avevano avuto un gran da fare per evitare che i corpi venissero ammassati sulle strade e dessero inizio ad un’epidemia.
E, per concludere quella pessima giornata, pioveva.
Kidd osservava dalla sua postazione, ovvero seduto sugli scalini di un mausoleo più vecchio della Parigi stessa, il contrasto di grigi che rendevano monotono quel luogo. L’erba scura e bagnata, gli abiti grigi o neri, le nuvole grigie, il marmo grigio, le facce grigie. Tutto quel grigiore lo faceva sentire fuoriposto. Lui, che con quei suoi capelli rossi sembrava un faro nella notte, si tirò il cappuccio del mantello di pelliccia in testa per non dare nell’occhio e per rispettare il dolore degli altri. Gli sembrava di risultare offensivo con quei suoi colori, quando tutti volevano solo avvolgersi nella disperazione di quella grigia giornata.
Vedeva chiaramente ad una decina di metri di distanza un gruppetto numeroso di giovani che cercavano di sostenersi a vicenda, abbracciati e stretti l’un l’altro nel tentativo di ridurre al minimo la sofferenza che condividevano. Aveva riconosciuto Shanks, in piedi accanto ad una bella lapide, probabilmente intento a fare un discorso in memoria del ragazzo defunto. Si trattava di un caro amico del fratello di Pugno di Fuoco, anch’egli presente alla cerimonia funebre con i fratelli. Il piccoletto, Rufy, era in ginocchio e sembrava concentrato nell’azione di strappare l’erba dal terreno con rabbia. Nessuno, però, provava a fermarlo. A Kidd pareva quasi di sentir piangere più di qualcuno.
Ad ogni modo, aveva anche lui le sue preghiere da recitare e decise di ignorarli e lasciare loro un po’ di privacy.
Aveva perso un compagno d’armi, Wire, che aveva sempre fatto gruppo con lui, Killer e un altro paio di ragazzi più o meno della loro età. Nelle sue grazie entravano in pochi, ma quelli che ci riuscivano ottenevano un posto speciale nella sua scala di affetti e Wire era stato uno di quelli. Non parlava mai molto, ma quando lo faceva non era mai banale. E poi sapeva fare a botte, quindi gli era simpatico.
Purtroppo era caduto come tanti e andare al suo funerale era stato il minimo che Kidd avesse potuto fare, l’ultima occasione che aveva per salutarlo e per augurargli buona fortuna, ovunque se ne fosse andato.
Congiunse le mani e incrociò le dita, rigirandosi i pollici e stringendosi nelle spalle nel suo angolino isolato e tranquillo, avvolto nella mantella per ripararsi dalle goccioline d’acqua che gli picchiettavano nelle spalle, scivolando dal tettuccio del mausoleo, e da quell’aria quasi nebbiosa e spessa, ma sempre grigia.
Rivolse un breve sguardo al mucchio di terra appena smossa che formava una piccola collinetta a pochi metri da lui, con una croce che svettava alta e spessa, frutto del suo lavoro e di quello dei ragazzi. Un ultimo regalo per Wire.
Gli fece un cenno con il capo, non sapendo bene cosa dire o cosa pensare, optando infine per qualcosa di classico e non troppo commovente.
Stammi bene, vecchio mio.
Non sapeva se lo avrebbe sentito, ma gli piaceva pensare di aver fatto una bella cosa, un pensiero per una persona cara poteva anche concederselo.
Stava ancora cincischiando ai piedi della tomba monumentale appartenuta a chissà quale borghese, quando sentì dei passi sulla ghiaia farsi sempre più vicini, dettati da un ritmo lento e cadenzato, fermandosi proprio di fronte a lui.
Riconobbe gli stivali eleganti e i pantaloni puliti, non stracciati e bucati in più punti come i suoi, e già prima di vederlo in faccia seppe che si trattava di quella spina nel fianco con cui condivideva la casa, che aveva iniziato, da bravo egoista esaltato, a considerare sua.
Stava appunto per aprire la bocca e mandarlo a farsi un giro, ma non disse nulla quando i loro sguardi si incrociarono. Preferì mordersi la lingua e ingoiare gli insulti davanti al ghigno che vide modellare le labbra del medico. Persino ad un funerale quello riusciva a trovare il lato ironico della situaizone.
Anche dopo mesi non riusciva ad abituarsi a quell’espressione sempre presente, sfacciata e saccente; quel comportamento posato, che mai si alterava, ma allo stesso tempo dannatamente irritante e provocante, nel senso che gli faceva prudere le mani dalla voglia quasi irrefrenabile di prenderlo a pugni. E lo avrebbe fatto se non fosse stato che condivideva un tetto sulla testa con quel pazzo.
Perché Trafalgar tutto era fuori che normale. Era strano, con un senso dell’umorismo inquietante, sadico da mettere i brividi, schifosamente ricco e intelligente, spudoratamente altezzoso e oscenamente attraente.
Se da una parte Kidd lo detestava, dall’altra aveva dovuto fare i conti con la consapevolezza di desiderarlo tra le sue mani per ridurlo in cenere, spezzarlo e consumarlo; obbligarlo al suo controllo e fargli abbassare le tante arie da superiore che si dava. Lo voleva perso, abbandonato al suo volere, disperatamente dipendente da lui.
Deglutì a vuoto, sentendo un guizzo al basso ventre.
Dio, e quanto avrebbe voluto trascinarlo dietro al mausoleo, sbatterlo contro il muro, piegarlo in avanti e fotterlo in quel modo, sotto la pioggia e in un cimitero. Era certo che, con quella vena macabra, al moro non sarebbe particolarmente dispiaciuto.
Lo odiava anche per quel motivo, perché era capace di fargli perdere la concentrazione nei momenti meno adatti come, ad esempio, un funerale collettivo. Dove tutti piangevano, a lui veniva un’erezione.
E quel figlio di puttana ghignava.
-Che vuoi?- ringhiò seccato, spostando gli occhi altrove e alzandosi per lasciare che la pioggia lo raggiungesse in più punti nella speranza di raffreddare i bollenti spiriti.
-Era un tuo amico?- gli domandò inaspettatamente Law, voltandosi verso la tomba di Wire.
Kidd si strinse nella spalle. -Ormai non ha importanza. E’ morto.-
Vide con la coda dell’occhio che il ragazzo accanto a lui scuoteva il capo con esasperazione, ma con il sorriso sempre perenne sul viso.
-Se vuoi piangere puoi farlo.- gli disse strafottente, scoccandogli un’occhiata derisoria che il rosso contraccambiò, ma in modo più truce e infastidito. Cosa stava cercando di fare quello stronzo? Farlo arrabbiare era l’ultima cosa che gli conveniva, data la situazione.
Ciò che il moro stava facendo, però, era distrarlo dal dolore e il modo migliore che conosceva per ottenere l’effetto sperato era tartassargli i nervi fino all’esasperazione.
-Ti avverto, Trafalgar, falla finita o giuro che…-
-Che cosa, Eustass-ya?- lo riprese immediatamente Law, facendo un passo in avanti e portandosi ad un palmo dal suo viso. Non era alto quanto Kidd e doveva alzare la testa per guardarlo, mentre il rosso si ritrovò costretto ad abbassarla per osservarlo senza indietreggiare, ma andava bene, al moro non dispiaceva, sapeva benissimo che non gli servivano centimetri in più per sovrastare quella testaccia rossa. -Cosa farai?- ripeté, il sorriso più grande, i denti in bella mostra e gli occhi, grigi, che sembravano non trasmettere il solito cinismo, ma un barlume di divertimento. -Avanti, sono proprio curioso di saperlo.-
E Kidd guardava rapito quelle labbra che si schiudevano per parlare e sussurrare parole che nemmeno aveva afferrato, ipnotizzato com’era da quella vipera che gli stava avvelenando la mente e l’esistenza.
Una mano strinse involontariamente il bavero del cappotto di Law, trascinandolo più vicino e obbligandolo a salire sulle punte dei piedi. Si sentiva fremere, voleva vedere fino a dove sarebbe riuscito a spingersi Eustass-ya e quanto ci avrebbe messo per capitolare perché, di sicuro, non avrebbe fatto lui la prima mossa, ma punzecchiare il rosso era diventato il suo passatempo preferito.
Anche se, a conti fatti, non si trattava più di un diversivo per staccare dalla monotonia della giornata, ma di qualcos’altro. Uno strano bisogno di non sentirsi solo, di sapere di essere la causa di qualcosa per qualcuno. Eustass Kidd era il peggio che i sobborghi potevano offrire, la crème de la crème dello schifo più totale, ma si era reso conto che tra loro si era instaurata una strana intesa. Incomprensioni a parte, anche se i loro discorsi si basavano unicamente su frasi fatte di insulti, litigi e disaccordi, c’era qualcosa che andava a riempire le mancanze che entrambi avevano, come se li completasse e li rendesse stabili in quelle loro vite traballanti.
E, anche se non lo ammetteva, anche se lo stava tenendo nascosto, Law non voleva lasciare andare quel caprone figlio di nessuno che gli aveva regalato un fottuto cane e che chiudeva le finestre anche se faceva caldo la notte, lasciandogli pure tutto il lenzuolo perché sapeva che lui, nonostante l’estate, sentiva freddo verso le prime ore del mattino. Non voleva e basta.
Come Kidd non voleva saperne di andarsene. Diamine, non dopo che aveva trovato una baracca senza buchi sul soffitto e dove ci si poteva specchiare sui piatti. Soprattutto, non dopo che Trafalgar rifaceva il letto senza chiedere una mano e gli lasciava la sua parte di pane per colazione, sapendo quando a lui piacesse inzupparlo nel latte. Poco importava che a Law il pane fosse indigesto, a Kidd piaceva pensare che lo faceva per lui, non per se stesso.
-Mi fai impazzire.- sussurrò il rosso, al limite della sopportazione e con ogni fibra del suo corpo che gli urlava di creare un contatto con il suo peggior nemico.
Furono tre parole sussurrate sulla sua bocca a mettere Law nella posizione di chi non sa come reagire. Si era aspettato un insulto, un pugno, una bestemmia, qualsiasi cosa di irruento com’era solito fare Kidd, ma non quello. Non una frase che si, poteva essere intesa come un’offesa, ma riusciva a passare anche come un velato complimento. Perché, insomma, detta con quel tono basso, roco e tremendamente provocante poteva significare solo una cosa.
Era abbastanza per spingere Law a gettarsi su quelle labbra, baciandole e assaggiandole timidamente con la punta della lingua, non trovando la minima resistenza ma, al contrario, sentendosi accogliere senza remore e con aspettativa.
Poco importava del luogo, del momento, dell’apparire indelicati, delle persone che avrebbero potuto vederli.
Erano solo loro due, davanti ad un mausoleo, in un cimitero, sotto la pioggia e intenti a baciarsi.
 
*
 
Il fuoco ardeva vispo nelle braci, illuminando il retro della locanda di Makino che offriva una visuale ampia della campagna. Varie lanterne erano appoggiate sulle casse abbandonate appena fuori del granaio, contenenti alcune scorte di cibo che i ragazzi non avevano avuto tempo di sistemare. Erano, però, state utilizzare come comode sedute dal gruppetto di giovani che si erano ritrovati quella sera a passarsi di mano in mano un certo numero di bottiglie di alcolici, con l’intento di non fare nulla, se non prendere una sbronza e diluire in quel modo il dolore, annacquando i pensieri dopo una giornata passata a versare lacrime al cimitero.
Avevano mangiucchiato un paio di polli allo spiedo rubati da qualche pollaio in periferia, acceso due fuochi e aperto vari liquori, recuperati dalle scorte personali di Shanks, ovviamente senza permesso.
Rufy stava seduto per terra, con le ginocchia strette al petto e lo sguardo perso tra le fiamme, silenzioso e triste. Di tanto in tanto lasciava andare un sospiro o un singhiozzo mal trattenuto, segno che si commuoveva ancora se ripensava a Usopp e al suo sacrificio per salvarlo. Si sentiva in colpa per non essere stato più attento, per non essere stato più forte e per non averlo protetto come meritava. Forse, se fosse stato meno distratto e si fosse guardato intorno, magari sarebbe riuscito…
Una mano andò alla ricerca della sua, trovandola e intrecciando le dita lunghe ed eleganti ad essa per stringerla leggermente, seguita da una pressione sulla spalla. Nami gli si era appena accovacciata accanto e aveva poggiato la testa su di lui, mettendosi comoda e chiudendo gli occhi.
-Va tutto bene.- gli aveva sussurrato, sfiorandogli il dorso con il pollice in una serie di cerchi immaginari.
E Rufy non poté che sentirsi in pace e meno tormentato, osservandola con la coda dell’occhio e sorridendo impercettibilmente, chiedendole se avesse sete o fame, aggiungendo che lui ne aveva tanta e strappandole una lieve risata.
Di fronte a loro, Sanji, chiuso nel suo silenzio, si accendeva una sigaretta, non sapeva più a che numero era arrivato quel giorno, con un fiammifero, gettandolo poi in mezzo al fuoco e prendendone una profonda e per niente rilassante boccata. Sentiva dentro di sé un peso enorme sul petto e non c’era verso di cancellarlo. Si era distrutto un labbro a forza di morderlo per frenare le lacrime al funerale di Usopp e in quel momento gli faceva male persino tenere il filtro tra le labbra, ma poco gli importava. Gli sembrava di essere vuoto e allo stesso tempo pesante, era di cattivo umore e non aveva nemmeno disdegnato l’alcool, bevendone generose sorsate ogni volta che aveva potuto, arrivando persino a tenere una bottiglia per sé. Rivedeva nella sua mente l’immagine dei suoi amici a terra, Usopp grondante di sangue e Rufy disperato e privo di protezione. Riviveva il ricordo della tensione, della paura, dell’eccitazione per la battaglia, della delusione, della rabbia e del timore logorante al suono di uno sparo alle sue spalle. Odiava con tutto se stesso il sollievo che il suo animo provava ancora in minima parte nel vedere Zoro vivo e vegeto a pochi passi da lui, sdraiato sull’erba, circondato da bottiglie rigorosamente vuote, apparentemente addormentato. Più lo guardava e più si detestava. Un suo amico era morto e lui ringraziava il Cielo per la grazia di vedere il petto di quella testa verde alzarsi e abbassarsi. Era veramente una persona di merda.
In quanto a Zoro, lui si era semplicemente assopito, troppo stanco e troppo ubriaco per pensare lucidamente, ma anche troppo angosciato per permettersi anche solo di formulare qualcosa nella sua mente che avesse un senso logico. Erano stati giorni infernali, per tutti e non solo per lui, e le vicende che ne erano scaturite non erano state del tutto rosee. Loro, infatti, ne erano usciti vagamente a pezzi. Non si sognava nemmeno di piangere, sarebbe stato come offendere la memoria di Usopp, perciò aveva lasciato le lacrime a Rufy, lui si che aveva tutto il diritto di versarle. Dopotutto, gli era morto un compagno tra le braccia e gli dispiaceva vederlo tanto abbattuto, ma altro non poteva fare se non stargli vicino e mostrargli il suo sostegno comportandosi come sempre e apparendo determinato, solo in quel modo avrebbe spronato il ragazzo a rialzarsi e a superare l’accaduto. Doveva essere forte, doveva farlo per i suoi amici, doveva essere il loro sostegno.
Aveva, comunque, bisogno di bere e lo aveva fatto fino a sentirsi male, tanto da doversi stendere e riposare per poi ricominciare da dove aveva lasciato. Aveva tutta la notte a disposizione e se per un po’ avesse disconnesso il cervello gli avrebbe fatto solamente bene.
Appoggiati sulla staccionata e con il viso rivolto verso il cielo stellato, se ne stavano Sabo e Koala, i quali si parlavano, sussurrando a bassa voce per non disturbare la quiete che avvolgeva i dintorni, indicando punti luminosi che brillavano di una luce fredda e lontana, ma che li ammaliavano ugualmente, stimolando la loro curiosità.
Koala le conosceva quasi tutte le costellazioni, essendosi spostata molto e avendo viaggiato per mare, mentre Sabo sapeva riconoscere solo le principali, riempiendo di domande l’amica e ascoltando con attenzione tutte le spiegazioni e le leggende sui nomi delle stelle riguardanti ere lontane, Dèi ed eroi.
Era il loro modo di distrarsi, di pensare ad altro e quando erano assieme ci riuscivano alla perfezione, trovando argomenti che a nessuno sarebbero mai venuti in mente con una spontaneità e una facilità che disarmavano chi li osservava da distante. Andavano d’accordo ed era una fortuna essersi trovati. Koala era contenta perché con Sabo riusciva a non preoccuparsi in continuazione per la condizione incognita di Marco, invece il biondo dimenticava momentaneamente tutte le disgrazie che il popolo aveva subito e i dispiaceri che gravavano sui suoi fratelli. In particolare, ad intervalli di tempo, si voltava verso il granaio per controllare le condizioni di Ace, chiedendosi come se la stesse passando.
-Vai da lui.- gli disse Koala, seguendo il suo sguardo e sorridendogli gentilmente quando lui la guardò.
-Non voglio che resti da sola.- si mortificò.
-Stavo per dirti che andavo a dormire. Thatch sarà già a letto da un pezzo. E’ stata una giornata lunga per tutti.- rispose, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e recuperando il suo cappellino rosso che aveva appoggiato ad un palo del recinto. Lei, Thatch e Izou alloggiavano momentaneamente da Makino per fare da tramite tra l’accampamento e il Quartier Generale, oltre che assicurarsi costantemente della salute del loro fratello, quindi non correva nessun pericolo di ritrovarsi da sola.
Sabo le sorrise di rimando, soffermandosi a pensare a quando fosse dolce quella ragazza, sempre pronta a fare del bene per il prossimo anche quando si riscontrava difficile. Ripensandoci, lui doveva essere stato un caso disperato e probabilmente l’aveva fatta diventare matta mettendo a dura prova la sua santa pazienza.
Fu perciò normale per lui avvicinarsi e abbracciarla, stringendole le spalle e trattenendola contro il suo petto, spostando una mano per accarezzarle i capelli e poggiando poi una guancia contro la sua per parlarle.
-Grazie.-
Provò una sensazione euforica quando Koala sorrise contro il suo collo, sentendo poi le sue manine circondargli i fianchi per comodità, dato che era parecchio più alto di lei.
-Non c’è di che.- gli rispose la ragazza quando si staccarono, salutandolo e dirigendosi verso la locanda, dandosi della stupida per sentirsi tanto felice.
Intanto, Ace se ne stava sdraiato scompostamente sopra a delle casse coperte da delle balle di fieno, quindi era pure comodo, ma il suo stato d’animo lo stava facendo impazzire. Era vagamente conscio di aver bevuto come un dannato e di avere un mal di testa che gli stava facendo martellare insistentemente le tempie, ma ciò non bastava a farlo smettere di pensare allo stato in cui si trovava Marco.
Trafalgar era stato vago nel fornirgli informazioni sulla sua salute e non si sbilanciava a dirgli se era più morto che vivo o il contrario, lasciandolo nello sconforto e nella disperazione.
Si sentiva uno schifo per essere stato tanto stupido, incauto e infantile da trascinarlo a recuperare un moribondo, senza accorgersi che si trattava di una trappola. Lo aveva messo in pericolo lui stesso ed era finita nel peggiore dei modi. In un letto a combattere tra la vita e la morte doveva esserci lui, non Marco.
Perché poi si fosse buttato per salvarlo non riusciva a spiegarselo. Sarebbe stato più facile estrarre la pistola e sparare, certo, lui si sarebbe beccato del piombo in testa, ma almeno il biondo ne sarebbe uscito illeso. A lui non serviva aiuto, se l’era sempre cavata e ce l’avrebbe sempre fatta, preferiva di gran lunga essere lui stesso a dare una mano, invece che riceverla. Avrebbe dovuto proteggere Marco, ma non l’aveva fatto. Aveva promesso a se stesso che, in sua compagnia, nessuno si sarebbe ferito, invece aveva fallito. Marco rischiava la vita, Thatch non lo incolpava di nulla e Barbabianca, quando era andato a dargli la notizia, fregandosene del fatto che Shanks lo avesse già avvisato in precedenza, lo aveva abbracciato, ringraziandolo e dicendogli che era sicuro del fatto che suo figlio fosse in ottime mani anche se moribondo.
-Cazzo!- farfugliò, dando un pugno secco che venne attutito dalla paglia, rotolandosi su un fianco e sentendo il bisogno di vomitare.
Tutti continuavano a dargli fiducia e a ritenerlo un eroe, una persona di valore, però lui si sentiva solamente uno straccio, un incapace e un buono a nulla senza spina dorsale.
-Mio Dio, puzzi come un maiale.-
Ace represse un conato, stringendosi la testa fra le mani. -Vaffanculo Sabo.-
Accanto a lui il fieno si abbassò, segno che il biondo si era sdraiato e si era accomodato, incrociando le braccia dietro la testa e sospirando, chiudendo gli occhi.
-Come stai?- chiese dopo un paio di minuti.
-Vuoi la verità o ti accontenti di una balla?-
-La verità, Ace.-
Il moro si lamentò. -Ma è una storia lunga.-
-Non ho fretta.-
Sabo si beccò una manata sul viso, seguita da un commento su quanto fosse insistente e impiccione, ma non demorse e aspettò con calma che Ace recuperasse abbastanza fiato da parlargli e sfogarsi. Era certo che, dopo, si sarebbe sentito meglio.
Non si aspettava, però, di vedere il fratello sul punto di piangere.
-E’ stata colpa mia, Sabo.- stava mormorando con le lacrime agli occhi e un nodo in gola, combattendo per non scoppiare, anche se non desiderava altro. -Non sono stato attento e Marco… ehi, che fai?-
-Mi dispiace, Ace.- mormorò il biondo, abbracciando il fratello che gli dava le spalle e strofinando il volto sulla sua schiena, mentre l’altro cercava senza successo di levarselo di dosso.
-Smettila, idiota!-
-Oh, dai Ace, fatti fare le coccole.-
-Ma tu sei matto!-
Doveva ammettere, comunque, che si sentiva già molto meglio. Sapere che dalla sua parte aveva Sabo lo faceva sentire più leggero e tranquillo, anche se non era avvezzo di smancerie e dimostrazioni d’affetto di quel genere. Di solito, quello più ruffiano era Rufy, mentre loro due si limitavano a pacche sulle spalle, schiaffoni di tanto in tanto e sorrisi, non di certo abbracci e baci.
-Tieni quella bocca lontano dalla mia faccia.- minacciò il moro, assottigliando lo sguardo e mettendo una mano sul volto di Sabo per tenerlo fermo.
-Avanti,- insisté il biondo, -Lascia che ti dia un bacetto.-
-Giuro che ti butto giù da qui.-
Sabo alzò gli occhi al cielo, sorridendo sconfitto, ma non allentando la presa sul corpo del fratello, stringendolo forse più forte e accomodandosi meglio accanto a lui. Non gli sembrava strano e nemmeno sbagliato, anzi, forse era il gesto che gli veniva più spontaneo di tutti abbracciare una delle persone che amava di più al mondo e che rappresentava parte della sua famiglia. Teneva così tanto ad Ace e Rufy, così tanto!
-Vedrai che andrà tutto bene.- mormorò una volta che Ace ebbe smesso di lottare per scrollarselo di dosso, arrendendosi a quella morsa ferrea e, a suo modo, confortevole e calorosa.
-Ne sei certo?-
Quello di Ace era stato quasi un sussurro, ma Sabo aveva annuito convinto. -Assolutamente. Fidati di Law.-
-So che è il migliore, ma se non ci riesce? Se, insomma, se Marco dovesse…-
-Marco guarirà e tornerà a farti incazzare come al solito, d’accordo? Anche perché ti stai rammollendo. Quando c’era lui a stressarti l’anima era più divertente.-
-Grazie tante eh.-
Il biondo ignorò il sarcasmo e sbuffò una risata tra i capelli folti di Ace. -Sto scherzando, idiota.-
-Sabo?-
-Si?-
-Grazie davvero.-
-Quando vuoi, Ace.-
 
 
 
Angolo Autrice.
Sono in ritardo, lo so, ma ormai mi conoscete e ci avrete fatto l’abitudine, LOL.
Avevo detto che avrei alzato il rating, ma mi sono resa conto che non è da questo capitolo, ma dal prossimo. Ad ogni modo, mi è stato fatto notare che molte persone non potrebbero più leggerla se la passo da arancione a rossa, perciò credo che limiterò i danni e la lascerò così, in modo da non privare nessuno della continuazione della storia per colpa di un po’ di sesso coccole.
Detto ciò, spero che il prossimo capitolo arrivi prima di natale, TROLLOL.
Ultima cosa: il capitolo è per Kidd e Law. Perché li amo e basta.
Grazie a tutti e un abbraccio come sempre!
 
Scusate ancora per le tempistiche, mea culpa.
 
See ya,
Ace.
  
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