Unconditionally (seconda parte)
Il quinjet atterrò sul tetto di
un grattacielo di Washington che si trovava dalle parti del Museo Smithsonian e
Stark si rivolse a Steve e Bucky.
“Voi andate pure al museo e fate
tutte le vostre dichiarazioni ufficiali” disse, con un sorrisetto. “Io e Banner
resteremo qui di guardia, io ho con me la mia armatura e se servisse un codice verde… beh, ci siamo capiti, no?
Non credo che Von Strucker abbia intenzione di presentarsi allo Smithsonian con
grande spiegamento di forze, l’Hydra è molto più subdola di così, ma è sempre
meglio essere prudenti.”
Steve ringraziò di nuovo e
calorosamente Stark e Banner, poi insieme a Bucky entrò nel grattacielo per
scendere con l’ascensore e recarsi allo Smithsonian. Stark, invece, si rivolse
a un Banner che appariva più depresso che mai.
“Noi due approfitteremo di questo
tempo per fare un bel discorsetto, chiaro?” gli annunciò.
Steve e Bucky oltrepassarono la
soglia dello Smithsonian e si fermarono all’ingresso della sala dedicata a
Captain America. Entrambi erano sopraffatti dalle emozioni, ma ciò che ognuno
dei due provava era molto diverso.
Steve ricordava l’ultima volta
che era stato lì, mesi prima di ritrovare Bucky. Allora credeva che il suo
compagno fosse morto e si sentiva vuoto e triste mentre guardava le foto e i
filmati in cui apparivano insieme. Per lui era meraviglioso ritrovarsi adesso
nello stesso luogo ma con Bucky accanto e con la prospettiva di annunciare
pubblicamente che il sergente Barnes era vivo; quello era un sogno al quale
mesi prima non sarebbe nemmeno riuscito a pensare senza sentirsi straziare
dalla nostalgia e dal rimpianto. Invece ora era tutto vero…
Le sensazioni provate da Bucky
erano confuse e lo destabilizzavano. La sua mente, pur avendo ritrovato la
maggior parte dei ricordi riguardanti la sua infanzia e adolescenza a Brooklyn,
si era sempre rifiutata di ritornare sui mesi trascorsi in guerra. Ogni volta
che un piccolo frammento di memoria di quel periodo si affacciava, era subito
seguito dalle spaventose immagini della caduta dal treno e del risveglio sul
lettino operatorio del dottor Zola. Perciò la mente del giovane Soldato aveva
rimosso il più possibile i ricordi di guerra, ma in quel salone, con tante
immagini e filmati di lui, Steve e dei loro compagni della Howling Commandos,
era impossibile non pensarci.
Steve si accorse che Bucky,
accanto a lui, si era irrigidito e tremava.
“Bucky, va tutto bene?” gli
chiese premurosamente, passandogli un braccio attorno alle spalle.
Barnes si strinse a lui,
aggrappandosi alla solidità del compagno come a una tavola di salvezza in mezzo
all’oceano.
“Steve, io… io non posso
ricordare i giorni in cui combattevamo insieme” mormorò, stretto a lui. “Ogni
volta che ci provo, rivivo… rivivo il momento in cui sono caduto… quella paura,
il terrore del vuoto e…”
“No, Bucky, no, quello non c’è
più, è passato per sempre, ora sei con me ed io non lascerò che ti accada mai
più nulla di male” lo rassicurò Steve, abbracciandolo e accarezzandogli i
capelli finché non lo sentì rilassarsi. “Coraggio, ora è il grande momento,
entriamo, ti va?”
Ancora poco convinto, ma
tranquillizzato dall’affettuosa presenza di Steve al suo fianco, Bucky annuì e
lo seguì nella sala.
I due giovani sia accostarono
insieme al pannello con la foto e le informazioni su Bucky Barnes. Al museo
c’era poca gente, quel giorno, un giovedì, e in quel momento nella sala non
c’erano visitatori. Vi era solamente una guida, una donna sulla quarantina
minuta e dall’espressione dolce, che aspettava qualche turista. Quando vide i
due, si avvicinò per offrirsi di condurli a visitare la mostra dedicata a
Captain America e… restò senza fiato quando si accorse di trovarsi di fronte a
Captain America in persona.
“Oh, cielo! Lei è… lei è… non ci
credo… è Steve Rogers?” chiese, sul punto di avere un collasso.
“Sì, sono io” rispose il Capitano
con gentilezza. “Si sente bene, signora? Io e il mio amico vorremmo…”
La donna non lo lasciò nemmeno
finire.
“Vado immediatamente a chiamare
il direttore! Sarà emozionatissimo di sapere che Captain America è qui!”
esclamò, e in pochi secondi uscì dalla sala come se avesse dovuto correre i 100 metri.
Pochi minuti dopo la sala era
piena di gente: la guida, Beverly Doyle, aveva avvertito non solo il direttore
del museo, ma anche tutte le guide impegnate nelle varie sale espositive;
ovviamente, pure i pochi turisti che quel mattino si trovavano al museo erano
accorsi per incontrare Captain America di persona.
“Buongiorno, signor Rogers, sono
il professor Edward Kendrick, direttore dello Smithsonian Museum” si presentò
l’anziano studioso. “Sono onorato di averla ospite qui. Che cosa posso fare per
lei?”
Kendrick strinse calorosamente la
mano a Steve, che era molto imbarazzato da una simile accoglienza. Bucky invece
pareva intimorito da tante persone che lo accerchiavano da ogni parte: teneva
la mano di vibranio nella tasca dei jeans neri e si guardava intorno con gli
occhi di un animale preso in trappola, mezzi nascosti dalle ciocche ribelli che
gli ricadevano sul viso.
Notando il turbamento del
compagno, Steve gli passò un braccio attorno alle spalle e si rivolse al
direttore.
“Professor Kendrick, la ringrazio
della sua cortesia” disse. “Sono qui per dare a tutti voi una bellissima
notizia: il giovane accanto a me è il sergente James Bucky Barnes che credevate morto in azione durante la guerra. In
realtà ha dovuto sopportare delle sofferenze indicibili, è stato rapito
dall’Hydra e manipolato per costringerlo a compiere azioni malvagie, ma ora è
libero, sta bene e presto si unirà a me e agli altri Avengers.”
Gli occhi di tutti si spostavano
dalla foto del sergente Barnes che appariva sul pannello a lui dedicato al
volto del giovane in piedi accanto al Capitano: la somiglianza era evidente,
gli stessi occhi, la stessa espressione imbronciata…
“Il sergente Barnes?” ripeté il
direttore, incredulo.
“Temo che dovrete modificare il
pannello e aggiornarlo con le vere informazioni” aggiunse Steve con un sorriso.
“Che cosa significa che è stato
rapito e manipolato dall’Hydra?” chiese una delle guide.
“Significa molto semplicemente
che quell’uomo è il Soldato d’Inverno, ecco cosa significa!” intervenne, aspro,
un turista di mezza età. “E’ un assassino e un terrorista e non dovremmo
fidarci di lui.”
Queste parole sconvolsero Bucky
che si avvicinò ancora un po’ a Steve, guardandosi attorno con l’espressione di
una bestia braccata.
“Te l’avevo detto, Steve, andiamo
via, per favore…” mormorò.
Steve lo strinse a sé per
rassicurarlo e poi si rivolse alla gente che li circondava.
“Bucky non era consapevole di ciò
che faceva: l’Hydra ha compiuto su di lui esperimenti dolorosissimi per
spersonalizzarlo e renderlo simile a un automa” precisò. “Lui non ne ha alcuna
colpa, è una vittima di quei mostri, esattamente come i gemelli Maximoff che
adesso fanno parte degli Avengers.”
“Steve, lascia stare, andiamo
via, ti prego, lo sapevo che sarebbe finita così…” ripeté Bucky, in preda
all’ansia, aggrappandosi convulsamente al braccio di Steve. I suoi peggiori
incubi stavano diventando realtà, la gente lo guardava e vedeva in lui un
mostro, un assassino… Nessuno, nessuno mai l’avrebbe perdonato per ciò che
aveva fatto, Steve era un illuso!
“Ma non vedete che lo state
torturando?” esplose allora il Capitano, furioso nel vedere che l’ostilità di
quelle persone feriva e spaventava il giovane Soldato. “Bucky ha già sofferto
abbastanza e soffre ancora per il rimorso di quello che l’Hydra lo ha costretto
a fare. Lui era un eroe della Seconda Guerra Mondiale, un ragazzo che ha
lasciato il suo Paese per andare a combattere contro i nazisti e si è ritrovato
rapito e manipolato proprio da coloro che più odiava! Lo hanno sottoposto a
prove e addestramenti atroci per farlo diventare una macchina per uccidere e
ora che sono riuscito a liberarlo e che voglio rendergli giustizia voi lo
trattate così? Non vi vergognate?”
Il direttore del museo e le altre
persone presenti cominciarono a sentirsi piccole e meschine. Era molto raro
vedere Rogers arrabbiarsi e, se lui se la prendeva così tanto, sicuramente
aveva ragione. In fondo era Captain America, non il primo venuto, non si
sarebbe mai fidato di uno qualsiasi.
“Signor Rogers, io… ecco, vorrei
chiederle scusa a nome di tutti” cominciò il professor Kendrick, mortificato.
“Sì, è vero…” aggiunse Beverly
Doyle.
“Ho esagerato, mi scusi, signor
Rogers” disse il turista che aveva iniziato a prendersela con Bucky.
“Non è a me che dovete chiedere
scusa, bensì a Bucky… anzi, non a Bucky, al sergente Barnes!” affermò Steve,
scandendo bene le parole e guardando in faccia tutti quelli che ora si
mostravano pentiti e avviliti.
“Le chiedo scusa a nome mio e di
tutto il personale e i visitatori del museo Smithsonian, sergente Barnes”
dichiarò allora il direttore del museo, rivolgendosi a Bucky.
Gli altri, pieni di vergogna, si
limitarono ad annuire alle parole dell’uomo.
Bucky si sentiva a disagio adesso
che era al centro dell’attenzione quanto lo era stato prima, mentre la folla
gli era ostile. Si limitò a un lieve cenno del capo, abbassando lo sguardo per
l’imbarazzo.
“Farò correggere quanto prima il
pannello e vi sarà riportata tutta la sua storia, sergente” riprese allora
Kendrick. “Tutti sapranno la verità e nessuno oserà mai più accusarla di
niente. Siamo doppiamente fieri di ospitare nel nostro museo due figure così
importanti per il nostro Paese: Captain America e il suo più fedele amico, il
sergente James Buchanan Barnes!”
A quel punto un applauso
liberatorio coinvolse tutti i presenti, facendo imbarazzare ancora di più lo
schivo Bucky e riempiendo di lacrime di commozione gli occhi di Steve. Il
Capitano cercò e strinse la mano dell’amico.
“Hai visto, Buck? Era questo che
volevo per te” gli sussurrò con tenerezza. Bucky, però, era ancora troppo
intimidito da tanto clamore per trovare qualcosa da dire.
“Farò iniziare i lavori per la
rimozione del pannello e la sua sostituzione con uno nuovo e aggiornato”
promise il direttore dello Smithsonian. “Ci vorrà qualche giorno, ma spero che
tornerete di nuovo a farci visita e così potrete vedere se il lavoro sarà di
vostro gradimento.”
“Allora la ringrazio, professor
Kendrick. Io e Bucky torneremo sicuramente a vedere il pannello nuovo” replicò
Steve, con un sorriso. “Fingerò che quella brutta scena di prima non sia mai
accaduta…”
“Grazie, Capitano, grazie,
sergente Barnes. Saremo felici di riaccogliervi presto nel nostro museo”
concluse il direttore, sollevato.
Pochi minuti dopo, Steve e Bucky
uscivano dallo Smithsonian molto più rilassati e soddisfatti. Per Steve quello
era un giorno luminoso, era come se, cambiando il pannello del museo, potesse
far cambiare anche tutto quello che era stato: era l’inizio della sua nuova
vita con Bucky. Dal canto suo, Barnes sentiva nel cuore un calore immenso che
lo tranquillizzava e lo rasserenava: Steve lo aveva difeso di fronte a tutti
con rabbia e passione, si era esposto per lui, non aveva esitato a mettersi
dalla sua parte… Certo, lui già sapeva quanto Steve lo amasse e quanto fosse
disposto a fare per lui, ma quella ne era stata una dimostrazione ancora più
evidente. Ora Bucky sentiva che avrebbe potuto affrontare tutto e tutti, perché
avrebbe sempre e comunque avuto Steve accanto… fino alla fine, come si erano
promessi tanti anni prima.
La prospettiva di una nuova vita
sembrava a Bucky sempre più possibile.
Con Steve accanto, tutto
diventava più facile.
FINE