HoE chap 3
Eccomi qui col terzo capitolo! Che secondo me è più bello del secondo u_u Buona lettura!
Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione :3
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Levi non si mosse, incerto sul da farsi.
La
linea tra il terrore e la malinconia era sottile e, nonostante si
dicesse che la gente sarebbe più che felice di poter riabbracciare i
propri cari ormai defunti, l'uomo non l'avrebbe fatto.
Fu la
rabbia a vincere, nel suo caso.
Aveva detto i suoi addii due
anni fa.
Aveva pianto davanti alla bara con i pugni serrati.
Aveva fatto pace col sapere che non avrebbe mai più posato gli occhi
su quel sorriso che gli ricordava un raggio di Sole. Aveva accettato
che non avrebbe più potuto guardare i suoi occhi verdi-blu
riflettere la luce lunare di notte. Levi aveva passato
giorni, settimane, mesi ad agonizzare per la perdita della persona
che era diventata il suo mondo.
Questa apparizione non era
altro che ripugnante.
Non aveva alcun desiderio di abbracciare
quella cosa. Si rifiutava di credere che fosse qualcosa di più che
un fantasma, o l'inizio di un ben più serio problema mentale.
Con
qualsiasi voglia di dormire ormai abbandonata, Levi uscì dalla
stanza attento a non toccare Eren - l'entità,
si corresse - nella via d'uscita.
"Hey,
aspettami!"
L'uomo fece una smorfia, quando numerosi
ricordi gli vennero alla mente nel sentire quelle parole. Solitamente le seguiva una risata.
Per prima cosa, una volta arrivato in
cucina, accese la luce, poi frugò sotto il lavandino alla ricerca
della bottiglia di vodka che Hanji gli aveva regalato. Ne avrebbe avuto
bisogno di almeno cinque bicchierini in modo da togliersi il cattivo
gusto che si sarebbe lasciato dietro questo incubo.
"Ascolta,
lo so che è tutto un po'... Veloce, ma volevo davvero
vederti."
"No," Disse Levi, girandosi verso
Eren e agitando la bottiglia davanti a sé come se fosse un'arma.
"No. Questo non è divertente, perché ho stretto a me il tuo
corpo. Ti ho visto morire." Un nodo prese a formarglisi in gola,
ma inghiottì qualsiasi emozione che cercava di soffocarlo. Avrebbe
mantenuto un tono di voce neutrale. "Esci dalla mia
casa."
Fissando l'apparizione, l'uomo si rese conto di
qualcosa che non aveva notato prima. C'erano delle fasce attorno alla
sua testa. Una a nascondergli gli occhi, un'altra sul naso e l'ultima gli
copriva la bocca. Probabilmente una volta dovevano essere state
bianche, ma ora erano sbrindellate ai lati, ingiallite dagli anni
passati e dallo sporco.
Levi non capì come potesse saperlo,
perché non poteva vederlo, ma riusciva a sentire il sorriso del
ragazzo da dietro lo straccio sporco. "Sapevo che sarebbe stato
troppo chiedere un po' di amore e affetto."
Sbattendo la
bottiglia sul ripiano della cucina, Levi ridacchiò cupamente. "Sei
fortunato che non ti abbia dato fuoco. Qualsiasi cosa tu sia."
Chissà se veramente avrebbe potuto dargli fuoco.
Decidendo
che stare nel mezzo della cucina a fissare la cosa non avrebbe
portato a niente, l'uomo attraversò la stanza per prendersi un
bicchiere.
Dall'angolo dell'occhio poté vedere Eren scrollare
le spalle e infilare le mani in tasca.
L'azione era così
normale, così sua, che decise di abbandonare il bicchiere e bere
direttamente dalla bottiglia.
"Ti sei trovato un bel
posticino," Gli disse Eren e il modo in cui si guardò attorno
fu irritante, a causa delle fasce sopra gli occhi. "Ti erano
sempre piaciuti posti più piccoli."
Levi fece un
versetto, aprendo la bottiglia e prendendone un sorso.
"Non
ci saremmo mai potuti permettere tutto questo." Continuò il
ragazzo.
Quelle parole lo colpirono a fondo senza ragione;
probabilmente perché sembravano troppo reali, troppo concrete per
essere sussurrate cupamente da un fantasma. "Erwin mi ha
aiutato." Rispose Levi.
"Oh."
Con gli
occhi fissi sulla bottiglia, il più grande fece scorrere un dito sul
bordo dell'apertura, prima di fermarsi. Ora avrebbe dovuto lavarlo in
modo da eliminare qualsiasi germe. Qualcuno sarebbe rimasto sorpreso
da quanti germi potevano esserci in un'unica impronta digitale. "Hai
cinque minuti per dirmi quello che vuoi. Poi ti voglio fuori. Non
voglio vederti mai più."
I fantasmi non potevano
apparire sconsolati, non con la maggior parte del viso
coperto.
"Avevo la possibilità di venire a vederti,
quindi l'ho fatto." Gli rispose Eren, come se viaggiare tra i
diversi piani della realtà fosse facile come attraversare una strada
per andare a visitare un vicino.
"Come facevi a sapere
che ero qui, piuttosto che al nostro appartamento?"
"Nostro?"
Levi
si voltò verso di lui e corrugò le sopracciglia. "Abitudine."
"Ci
sono andato, ma l'ho trovato vuoto. Non è poi così difficile
muoversi dove mi trovo io." Gli disse, avvicinandosi al piano
della cucina. Levi si irrigidì ma non si spostò. "Sono davvero
io."
"Sei morto."
"Lo so,"
Rispose il fantasma, offrendogli probabilmente un sorriso triste.
"Non è così male come si pensa, però."
Quando si
prese uno sgabello e ci si sedette sopra, Levi si alzò e si
allontanò dall'isola della cucina, lasciandolo indietro.
Non
poteva sopportare questo. Se era un incubo aveva bisogno di
svegliarsi subito, perché questo Eren era troppo perfetto da
continuare ad ignorare.
Accendendo la luce del salotto, l'uomo
si sedette sul divano. Non si preoccupò di accendere la televisione
o altro: si limitò ad incrociare le braccia sul petto e fissare il
vuoto. Faceva troppo freddo, avrebbe dovuto seriamente controllare il
sistema di riscaldamento per vedere se funzionava.
Dopo un
paio di minuti Eren lo raggiunse, sedendosi di fianco a lui,
lasciando comunque dello spazio tra loro. Levi poteva sentire il gelo
venire emanato dal suo corpo. Freddo come lo sono i
morti.
Ripugnante, disgustoso, atroce.
Doloroso.
"Anche
dopo la tua morte sei egoista," Gli disse, stringendosi le
braccia al petto. "Tutte quelle volte che mi hai detto che
saresti venuto a tormentarmi come fantasma quando ti chiedevo di
portare fuori la spazzatura... Dicevi la verità."
Eren emise un suono che
sembrava una risata. "Mi amavi ugualmente. Difetti e
tutto."
"Moccioso."
Anche se non aveva
pronunciato la parola con affetto, il sorriso del fantasma si allargò
come se quel sentimento ci fosse stato. "Ti manco?"
Levi non degnò
quella domanda di una risposta. Ovviamente. Gli mancava con la stessa
forza di mille stelle esplose nello stesso istante. Gli mancava
svegliarsi su di un letto ancora caldo e pancake mezzi bruciati ad
aspettarlo. Gli mancava il riuscire a sorridere e ridere, a provare
felicità.
"Penso di poter venire a visitarti di tanto in
tanto," Gli disse Eren, portando i piedi sul divano,
abbracciandosi le gambe. "Possiamo guardare un film o fare una
passeggiata nella foresta."
"No." Rispose Levi,
senza lasciar spazio ad ogni altra possibilità.
"Ma
Levi-"
"Non mi piace ripetermi."
"Va
bene," Sbottò il ragazzo. "Andrò a trovare Mikasa o
Armin. Magari loro possono apprezzare il mio sforzo."
"Mikasa
ti sparerebbe a vista e faresti venire un attacco di panico ad
Armin." Non erano possibilità, ma dure verità.
Un
silenzio pesante calò tra di loro.
Fu Eren ad interromperlo,
quando Levi si portò nuovamente la bottiglia alla bocca.
"La
morte porta una grande solitudine."
•••
"Eren
non era fatto per la solitudine." Dice Levi a Petra in un
mormorio soffocato. Ricorda, chiaramente, il senso di dolore che lo
aveva attanagliato alla confessione di Eren.
Il ticchettio
dell'orologio è nuovamente assordante, ma a nessuno dei due sembra
importare particolarmente.
Petra lo sta ancora guardando con
un'espressione che dovrebbe essere prima di emozioni, ma i suoi occhi
da cerbiatta la tradiscono. "E' ovvio che tu ed Eren abbiate condiviso un profondo legame."
"E' mio marito."
Le ricorda l'uomo.
Di fronte a lui, Eren scoppia
improvvisamente a ridere. "Non doveva essere una chiacchierata
da amici?" Chiede, camminando casualmente nella stanza con le
mani in tasca. "Mi sembra che stia tentando di
psicanalizzarti."
Petra porta lo sguardo alle sue gambe.
"Era, perché non c'è più ora," Dice lentamente e
clinicamente. "Mi diresti come l'hai conosciuto?"
Levi
non pensava da tempo ai ricordi prima della morte di Eren, ma per una
volta
può fare un'eccezione. Tanto morirà tra qualche ora.
Magari parlare di queste cose calmerà il rumore dentro la sua
testa.
"Avevo diciassette anni, quando l'ho incontrato
per la prima volta. Eren andava in seconda elementare."
Dice.
"Aveva otto anni?"
"Abbiamo nove
anni di differenza."
"Va bene." Risponde lei,
sospirando.
"Ero uno studente delle superiori e avevo
bisogno di soldi per poter uscire con la mia fiamma del momento nei
fine settimana. Gli Jaeger mi presero come babysitter. Penso tuttora
che furono stupidi a farlo, ma erano brave persone. Nessuno mi
avrebbe dato una possibilità, a quei tempi. Era anche un lavoro
semplice. Sua sorella, nonostante avesse un anno in meno di lui, era
terribilmente protettiva verso Eren. Tutto quello che dovevo fare era
sedermi sul divano con una lattina di birra e guardare la TV, mentre
Eren e Mikasa giocavano nella loro cameretta."
Levi ruota
la testa, nel tentativo di rilassare i muscoli della schiena.
"La
seconda volta che gli ho fatto da babysitter, il moccioso è stato
con me. L'ho aiutato a fare i compiti per casa."
"Facendo
delle linee a puntini che formavano le lettere dell'alfabeto,"
Dice Eren, portando gli occhi al cielo. "Fortunatamente eri un
genio."
Ignorandolo, Levi continua. "In breve, sono
cresciuto, ho frequentato il college, sono riuscito a farmi assumere
part time, ma comunque ogni tanto facevo un salto dagli Jaeger per
salutarli, specialmente quando Grisha se n'è andato. Aiutavo Carla
con i lavori di casa, quando ne aveva bisogno."
Aveva
visto Eren crescere, diventare un ragazzino alto e tutto ossa con un
terribile atteggiamento. Veniva trattenuto a scuola per aver
risposto ai professori, sospeso per aver picchiato qualche compagno
di classe... Aveva iniziato a comportarsi così quando aveva capito
che suo padre non sarebbe tornato a casa, così Levi era intervenuto.
Era diventato il suo mentore, una costante per quel ragazzino
problematico.
"Rispetto, ammirazione, adorazione:
chiamala come vuoi, ma davvero credevo fossero le uniche cose che
Eren provava per me," L'uomo si inumidisce le labbra. "Fino
ad un giorno, quando mi mise una mano sul ginocchio e lentamente la
portò sul mio interno coscia. Successe il giorno dopo che noi due ci
lasciammo," Dice a Petra, che mantiene uno sguardo impassibile.
"Mi disse che era per conforto, che era solo giusto che
ritornasse il favore."
Tu
c'eri quando mio padre se n'è andato, ora è giunto il momento che
ti ripaghi il favore.
Il
desiderio che aveva bruciato dentro di lui gli aveva fatto provare
vergogna. Aveva provato a dirsi che era causato dal dolore di essersi
appena mollato con Petra, ma sapeva che non era così. Eren era
giovane e bello, energico, entusiasta, ostinato... Ma aveva anche
nove anni in meno di lui.
"Quanti anni aveva, quando
questo è successo?"
"Sedici." Risponde.
"Lavoravo in un fast food. Io ne avevo venticinque." Se gli
chiedeva domande stupide, avrebbe ricevuto risposte altrettanto
stupide. Petra sapeva di tutto questo e il suo tono di voce lo
irritava.
"E siete andati avanti?"
"No,"
Risponde Eren. "Apparentemente ero troppo giovane per capire
cos'era il sesso."
Non sei
meglio di mio padre. Sarebbe bastato che tu mi dicessi di no.
"Me
ne sono andato," Continua Levi. "Non l'ho più visto per
due anni. In quel periodo di tempo io ed Erwin trovammo lavoro dove
lavoriamo tuttora. Provammo a vedere se eravamo capaci di mantenere
una relazione romantica, ma sai com'è andata a finire."
"Cosa
successe dopo i tuoi due anni di assenza?"
"Litigammo.
Eren mi disse che ero stato uno stronzo ed un codardo, per averlo
abbandonato il quel modo." L'uomo si gratta il mento. "Più
tardi scopammo sui sedili posteriori della sua auto. Dopo nel suo
dormitorio, dopo ancora nel mio ufficio."
"Me lo
ricordo," Dice Eren, spostandosi per andare a sedersi di fianco
a Levi. Si accoccola contro di lui, appoggiando la testa sulla sua
spalla. "E' stato bellissimo."
Avevano scopato, si
erano baciati, erano usciti assieme. Alla fine si erano
innamorati.
"Ti vedevi ancora con Erwin, quando successe
tutto questo?"
Eren rise e Levi fulminò Petra con lo
sguardo. "Sì." Dice, ma sa che la donna non avrebbe mai
capito il delicato accordo che c'era tra loro tre. "Non gli
importava. Alla fine ci lasciammo definitivamente, ma lui ed io
eravamo - siamo
- molto vicini."
"E questo non causò problemi fra
voi tre?"
"No." E' l'unica cosa che Levi le
offre come risposta.
Quando la donna capisce che il carcerato
non avrebbe approfondito il discorso si schiarisce la gola, provando
con un'altra domanda. "La relazione tra te ed Eren: com'è
progressa?"
"Normalmente," Risponde Levi,
abbassando lo sguardo verso i lunghi capelli castani che gli coprono
la spalla. "Nessuno di noi due si ha proposto il matrimonio, ma è successo,"
Ricorda con affetto. "E' stato il Natale prima che finisse il
college."
La festa di Natale era finita e tutti se ne
erano tornati a casa, Erwin era in cucina e stava preparando della
cioccolata calda per tutti e tre.
Riesci
a pensare a noi, sempre assieme, anche quando saremo vecchi?
Gli aveva chiesto Eren, strusciando il viso contro il suo. Dovremmo
farlo.
"Ci siamo sposati
tre anni dopo, il giorno dopo il suo compleanno. Abbiamo comprato un
appartamento ed adottato un gatto."
"Lo stesso
appartamento dove è avvenuto l'incidente," Dice Petra,
annuendo. "Che è avvenuto due anni dopo."
Levi
chiude gli occhi quando la mano fredda di Eren si poggia sul suo
ginocchio, stringendolo piano con fare rassicurante.
"Dopo aver vissuto la stessa
routine per così tanto, dove Eren andava a lavoro quando io tornavo,
fu strano entrare in casa e non ricevere un abbraccio ed un bacio. Fu
strano non vedere il gatto riposare sul tavolo e ancora più strano
sentire l'odore di cibo bruciato."
L'uomo ha paura che
quelle immagini non le dimenticherà mai. Ricorda, precisamente, il
soffocante senso di paura che velocemente aveva lasciato spazio al
torpore, l'unica cosa che gli aveva permesso di agire nel modo in cui
aveva fatto.
Nessuno gli avrebbe portato via il ricordo di
vedere Eren sul pavimento di camera loro con profondi squarci nel
petto, dei buchi sul collo e dei segni viola sui fianchi, come se
fosse stato legato con una corda. Levi non avrebbe mai dimenticato il
rumore che Eren emise, mentre stava soffocando nel suo stesso sangue,
i piccoli mugolii che emetteva perché era ancora vivo,
nonostante ormai non ci fosse più, i suoi occhi vitrei e ormai
ciechi.
Il caldo appiccicoso del suo sangue - può ancora sentirlo
inzuppargli i pantaloni, sporcargli le dita mentre stringeva Eren
contro di lui.
A quel punto Petra non cerca più di
interromperlo con domande intrusive, quindi continua col raccontare
la storia.
•••
Levi ricordava la sua morte.
Com'era stata orribile.
"Stai piangendo," Gli
sussurrò Eren e l'uomo non si preoccupò di correggerlo, anche se
non stava piangendo. Le sue guance erano asciutte, la sua vista non
era appannata. "Non sarei dovuto venire..."
Levi non
gli rispose.
Si mise in piedi e camminò fino alla cucina,
quindi appoggiò la bottiglia di vodka sul ripiano. Aprì il
rubinetto, mise le mani sotto l'acqua corrente e prese a
strofinarle. Continuò, spasmodicamente, perché non c'è sangue, ma
poteva sentirlo, poteva sentirne il puzzo e lo faceva stare male.
E se
ne aveva sporcato il divano? O il tappeto? Era sulla bottiglia, sul
rubinetto, stava andando giù lungo le tubature? Avrebbe dovuto pulire anche
quelli. Lavarli affinché anche loro fossero stati impeccabili.
Levi si scostò
di scatto, quando la mano di Eren gli toccò un gomito. "Non
farlo." Gli soffiò e il bisogno di picchiarlo fu soffocante.
La
rabbia, la sua ira, era immensa. Lo accecava e l'unica cosa che voleva
stringere era quel collo, stringerlo così forte e così a lungo da
togliergli nuovamente la vita.
"Esci." Fu l'unica
cosa che riuscì a dirgli, ritrovandosi sorpreso da come la sua voce
rimase calma.
Eren aveva le braccia davanti al viso, come se
si aspettasse di venir colpito da Levi, e il pensiero gli fece venire
la nausea. Mai l'uomo avrebbe alzato le mani su chiunque, tanto meno
su di Eren, invece eccolo lì. Il bisogno di colpirlo lo disturbò,
ma lo disturbò ancor di più il fatto che non se ne sarebbe sentito
in colpa. Eren era morto.
Eren
è morto.
Quello non era lui,
era una qualche allucinazione creata per tormentarlo, per
distruggerlo ancor di più di quanto non lo era già. Questo era un
incubo che si nutriva dei suoi ricordi e delle sue emozioni, che
cercava di farlo impazzire. La sua mente aveva bisogno di sfogarsi,
così come le sue mani. Il miscuglio di questi componenti erano
pericolosi.
"Sei stato tu ad abbandonarmi." Disse
Levi. Non c'era sofferenza, o rimorso, o rabbia: solo una inquietante
accettazione.
Eren guardò verso la porta e strinse in pugni,
nello stesso modo di quando non voleva litigare. "Ora siamo
pari." Disse dopo un lungo momento. Scrollò le spalle.
I
pugni di Levi tremarono involontariamente.
Eren scrollò
nuovamente le spalle. "Smithers non è qui, vero?"
La
domanda lo prese di sorpresa, ma scosse la testa. "Non c'era,
quando ti ho trovato." Rispose, ricordando la gatta
tigrata.
Sia la porta che le finestre erano chiuse e davvero
non sapeva cosa le era successo. La gatta era stata una specie di
sostituto di un bambino. Era stato troppo disperato dopo la morte di
Eren, per cercarla.
Eren portò lo sguardo verso le scale.
"Non so chi è stato." Disse.
Levi sbatté le
ciglia, perché chiedere ad Eren del suo assassino non aveva neanche
attraversato la sua testa. Era stato troppo concentrato a negare la
possibilità che tutto fosse stato vero, per pensare seriamente alle
possibilità che aveva in quel momento.
Non voleva chiedere
altro, perché farlo avrebbe segnato il suo destino. Fare domande
avrebbe garantito all'uomo il fatto di essere lucido, in quel
momento, ma la curiosità infine vinse.
"Ricordi
qualcosa?" Chiese, tornando al lavandino e portando nuovamente
le mani sotto l'acqua. Era gelida, ma non gli importava. Un dolore
fisico era sempre il benvenuto, in confronto ad uno
psicologico.
Questa volta Eren mantenne le distanze. "Stavo
preparando le lasagne. La ricetta di mia mamma," Disse, con un
tocco di calore nellla sua voce. "Smithers per qualche
motivo non voleva smettere di miagolare e ad un certo punto l'ho
sentita soffiare in camera da letto." Il fantasma abbassò la
testa, stringendo le braccia attorno a sé stesso. "Basta. Sono
andato in camera da letto e basta. Mi sentii estremamente caldo, poi
estremamente freddo. Ricordo di aver pensato che le lasagne si
sarebbero bruciate."
Il nodo in gola tornò, ma per
fortuna l'acqua gli offrì un po' di sollievo.
"Me ne
vado, se ti procuro così tanto disagio." Disse Eren.
Levi
mormorò qualche parolaccia, perché quel tono di voce così desolato
era così sbagliato.
"Dimmi perché hai addosso quelle
cose." Gli disse. Lo avrebbe mandato via subito, ma prima aveva
bisogno di sapere. "Perché posso sentirti e perché tu riesci a
vedermi con quella roba."
Guardando direttamente verso
Levi, Eren prese tra le dita l'eccesso del tessuto che ciondolava
sopra la sua spalla. Ci giocherellò, ma poi lasciò che la mano
tornasse al suo fianco. "C'è un prezzo da pagare per ogni
passaggio. Fortunatamente, dove mi trovo io, è dannatamente facile
riprendersi ciò che si perde."
L'idea di sopportare il
dolore di vedere Eren dopo averlo pensato perso per sempre, eppure
non poter vedere i suoi occhi e il suo sorriso un'altra volta, era la
tortura più crudele che poteva immaginare. Era come ricevere
l'ultimo pasto, ma essere troppo malati per sentirne il sapore.
Era
meglio così, si disse Levi. Sapeva che avrebbe abbandonato la sua
decisione, se avesse potuto vedere le cose che facevano Eren chi era,
il ragazzo che adorava. "Vattene." Disse e, questa volta,
non lasciò spazio all'esitazione.
Levi odiò il non poter
vedere, eppure poter sentire, il modo in cui il labbro inferiore di
Eren tremò, il dolore nel suo petto, la tristezza sulle punte delle
sue dita. Il mero pensiero di far del male ad Eren gli fece venire la
nausea, ma non c'era altro modo. Aveva bisogno di allontanare
quell'apparizione in nome della sua sanità mentale.
Eren
sparì in un battito di ciglia e il gelo se ne andò con lui.
Solo,
Levi afferrò il bordo del lavandino e calciò l'armadietto sotto di
esso tanto forte da farsi male.
•••
Normalmente
beccare Erwin di sorpresa migliorava l'umore di Levi. Non questa
volta, considerando che non aveva chiuso occhio nelle ultime
quarantotto ore.
"Ti ho visto sei ore fa." Disse
Erwin abbastanza stupidamente, perché Levi sapeva contare le ore.
Erwin e gli altri se ne erano andati a casa alle due del mattino, ora
erano le otto. "L'idea di darti la promozione mi è venuta per
farti lavorare a casa, sai."
"Fottiti tu e le tue
idee di merda, Smith," Rispose Levi, fregandosene di chi si voltò verso di lui ad occhi sbarrati. "Fottile
forte." Ormai la gente avrebbe dovuto essersi abituata al suo
linguaggio.
Senza riuscire a dormire, o meglio ben deciso a
non farlo, l'uomo aveva deciso di fare la cosa migliore.
Mentre
aveva messo a bollire il caffè si era fatto una doccia fredda e si
era lavato i capelli. Una volta uscito si era messo un completo
elegante, aveva preparato la sua valigetta con tutto il lavoro
incompleto, aveva riempito diversi thermos di caffè, lanciato il
tutto in macchina, chiuso a chiave la casa ed era partito. Aveva
guidato per un'ora nelle viottole della campagna e un'ora in
autostrada, fino a raggiungere l'edificio che ormai da dieci anni
chiamava luogo di lavoro.
"Voglio un appartamento in
città," Continuò, mentre entrambi salirono in ascensore.
"Starò lì durante la settimana, poi passerò il week end a
casa. Meno gas esausti, salverò il pianeta."
Erwin
lisciò la sua giacca prima di premere il pulsante per l'ultimo
piano. "Cosa ti ha fatto prendere questa decisione?"
"Il
fatto che devo guidare due dannate ore per arrivare qua."
La
luce delle lampadine non faceva altro che irritarlo, fargli bruciare
gli occhi. Un thermos di caffè e due tazze più tardi sembravano non
fare nulla. Era sveglio, certo, ma si sentiva più morto che
vivo.
Come ciliegina sulla torta, ulteriormente, non riusciva
a ricordare se aveva spento o meno la caffettiera. Con un po' di
fortuna, di cui era privo, sarebbe tornato e avrebbe trovato un
mucchietto di cenere. Avrebbe potuto usare i soldi dell'assicurazione
per comprarsi un posticino più carino in città.
"Hai
dormito, almeno?" La domanda arrivò assieme ad una grande mano,
una mano che strinse delicatamente il suo mento e gli fece voltare la
testa da una parte all'altra. Qualcosa, nel sentire le dita di Erwin
su di lui, lo aveva sempre fatto calmare. "Sei pallido. Stai
male?"
Levi allontanò la mano dal suo viso, prima di
passarsene una propria sugli occhi, "Non nel senso tradizionale,
sembrerebbe." La mano di Erwin tornò, ma questa volta passò
tra i suoi capelli.
Il tipo di relazione che avevano era
strana a guardarla nel lato migliore, complicata nel lato peggiore.
Amici d'infanzia che erano diventati ex e che erano diventati partner
di lavoro, lui ed Erwin avevano una lunga storia di problemi e pochi
momenti felici.
E per essere brutalmente onesti, c'erano dei
rimasugli di lussuria sotterrati nel profondo dei loro esseri. Con
centottanta centimetri d'altezza, occhi blu e capelli d'oro, sommato
al fisico di Capitan America e un carisma da far paura, non c'era una
persona che non avrebbe voluto portarsi a letto Erwin Smith. Anche Eren, ad
un certo punto, aveva sviluppato una cotta per l'uomo, cosa che li
aveva portati ad avere conversazioni imbarazzanti ed una manciata di
notti da ricordare.
Erwin era formato da innumerevoli strati,
dal capo carismatico al freddo e stronzo calcolatore, dalla persona
terribilmente empatica al dio del sesso che ti faceva venire la bava
alla bocca. Era complicato ed era naturale che anche le sue relazioni
lo fossero. Mike, il suo compagno, era ben conscio del ruolo di Levi
nella vita di Erwin, nello stesso modo in cui Eren era stato conscio del
ruolo di Erwin nella vita di Levi. Il sesso magari non era più
presente nella loro relazione, ma c'era un legame più profondo che
li teneva assieme.
"Puoi stare nel mio ufficio, se vuoi
la mia compagnia." Gli disse Erwin, accarezzandogli una tempia
col pollice.
Era anche molto fisico.
Contrariamente
alla sua apparenza, Levi era qualcuno che amava il contatto fisico,
per quello la sua relazione con Eren era andata avanti così bene.
Solo che Eren non aveva avuto idea di come frenare il suo bisogno di
toccarlo costantemente in pubblico.
Levi non espresse
vocalmente il suo assenso, ma seguì Erwin non appena l'ascensore si
fermò e aprì le porte, stringendo spasmodicamente la valigetta tra
le dita.
L'ultimo piano dell'edificio era il piano degli
esecutori ed includeva unicamente uffici privati ed una sala da
conferenze. Chic e minimalista, le decorazioni esprimevano calma ed
erano piacevoli all'occhio umano. I muri bianchi e i toni neri, le
finestre che dal pavimento arrivavano al soffitto che si affacciavano
ai grattacieli vicini e l'indaffarata vita di città giù; era la
classica sistemazione delle potenze commerciali.
L'ufficio di
Erwin era più caldo, i suoi colori più omogenei. Muri grigio scuro
e mobilio nero. Aveva un ché di professionale. Inoltre odorava di
sgrassatore al limone e disinfettante spray, tutti odori che
piacevano a Levi.
"Hai mangiato qualcosa?" Gli
chiese Erwin, chiudendosi la porta dietro di sé. Raggiunse la sua
scrivania e posò la valigetta per terra, poi frugò in un cassetto
alla ricerca di salviette anti batteriche. Ne usò una per pulire la
valigetta, prima di posarla sulla scrivania.
Erwin era sempre
pulito ed organizzato, ma al contrario di Levi non ne era nevrotico.
Non sarebbe impazzito per far sì che tutto fosse impeccabile. Il
gesto che aveva appena compiuto era per far rilassare Levi e
quest'ultimo non sapeva se esserne grato o sentirsene insultato.
Decise di non parlarne, così si sedette sulla chaise longue con la
valigetta sulle gambe.
"Vodka, caffè, una
ciambella."
Con i contenuti della propria ventiquattrore
improvvisamente dimenticati, Erwin lo guardò, attento a mantenere la
propria espressione neutra. "Bene, anche io ho preso solo un
caffè e una ciambella, prima di uscire." Manipolatore bastardo:
le sue parole erano sempre la sua arma migliore. "Vorresti
qualcosa di specifico per colazione?"
"Prenderò
quello che prendi tu." Gli rispose. Non era convinto di poter
tenere giù qualcosa anche se avesse voluto, ma ci avrebbe
provato.
Proclamando di aver voglia di fast food, Erwin chiamò il
negozio più vicino che faceva consegne. Venti minuti dopo entrambi
gli uomini avevano due piatti davanti a loro e mangiarono in
silenzio.
Quel poco appetito gli passò quando gli tornarono
in mente i ricordi dei sabato mattina da uomo sposato. Lui ed
Eren si prendevano sempre il loro tempo per uscire e fare colazione,
raccontandosi a vicenda cos'era successo durante la settimana
lavorativa. Poi sarebbero andati a fare la spesa, prima di tornare a
casa e passare il pomeriggio a guardare orrendi film alla TV.
Levi
sparse lo sciroppo sui suoi pancakes con la forchetta, ma si limitò
a mangiare la pancetta ed un biscotto.
Erwin lo guardò tutto
il tempo.
C'era una domanda sul suo viso, nonostante cercasse
attentamente di nasconderla e lasciare l'amico continuare a far
quello che stava facendo.
"Abituarsi ad un nuovo posto mi
era più facile quando ero più giovane," Disse Levi,
appoggiando la forchetta sul piatto e prendendo in mano il suo
bicchiere di succo d'arancia. "E' più rumorosa di come dovrebbe
essere."
Erwin sbuffò e trattenne una risata, annuendo.
Tagliò un triangolo nel suo pancake, che inforcò e si portò alla
bocca. Aveva usato il burro al posto dello sciroppo. "Se ti
infastidisce così tanto, troveremo un posto più vicino alla città
e che non sia fatto in legno."
Allontanando il piatto da
davanti a sé, Levi si appoggiò contro lo schienale della sedia,
tenendosi vicino al petto il bicchiere di succo. Lo ruotò, nella
speranza che il ghiaccio si sciogliesse più velocemente e che quindi
la spremuta si diluisse. "Lo apprezzerei molto."
"Contatterò
il mio agente immobiliare questa sera, quando torno a casa. Sei più
che benvenuto a stare con me e Mike, nel frattempo, se non vuoi tornare a casa
tua."
Levi si chiese se un giorno Erwin si sarebbe
stancato di lui. "Non voglio sentirvi fare sesso."
"Prometto
che mi tratterrò," Gli rispose l'uomo con un sorriso brillante.
"Casa o appartamento?"
"Più è piccola e
meglio è." Disse Levi. Meno porte, meno finestre, meno casino
senza una vera fonte. Avrebbe preferito mille volte il rumore di auto
e treni, piuttosto che quelli del vento e del legno
scricchiolante.
"Quindi un attico è fuori questione."
All'espressione dell'amico, Erwin continuò. "Stavo
scherzando."
Prendendosi l'ultimo sorso del suo succo,
Levi appoggiò il bicchiere sulla scrivania di Erwin. "Che ti è
preso, per aver deciso di trovarmi una casa in mezzo al nulla?"
Non c'era nessuna ragione o logica. Erwin era un uomo che aveva
sempre una spiegazione, riusciva sempre ad essere dieci passi più
avanti di tutti e magari Levi non era proprio al suo livello, ma era
dietro a lui di un passo o due al massimo. "Non riesco proprio a
capirlo."
"Per rilassarti." Gli rispose l'uomo,
rivolgendogli un sorriso triste. "Pensavo che allontanarti dalle
cose che ti ricordavano lui ti avrebbe aiutato a superare
l'accaduto."
"Lo avevo superato."
"Avevi?"
Dopo
un attimo, Levi si rese conto che come aveva impostato la frase aveva
commesso un errore. Quella singola parola era piena di
significati.
"Smettila di mettere il naso in cose che non
ti devono preoccupare."
"Questo mi preoccupa
enormemente, Levi." Gli disse. Erwin chiuse il contenitore del
cibo e ci mise la forchetta sopra, apparentemente soddisfatto con la
sua colazione. "Ti fai vivo a lavoro con nient'altro nello
stomaco se non alcool o caffeina e neanche un'ora di sonno. Non ti ho
visto messo così dal giorno in cui mi hai chiamato dal tuo
appartamento."
Impanicato, dopo aver trovato il corpo di
Eren, Erwin era stata la prima persona che aveva chiamato. Non la
polizia.
"Cos'è successo?" Spinse l'uomo.
"L'ho
visto. Ho avuto un incubo," Gli rispose Levi, troppo velocemente
per farsi credere dall'amico. "Qui sarei potuto andare a farmi
una passeggiata. Non sono una persona che va a camminare nel bel
mezzo di una foresta di notte." Guardò verso la finestra, dove
al di fuori di essa stavano iniziando a formarsi nuvole grigie.
"Stavo per perdere la testa."
Non era una bugia ed
Erwin lo capì. "E' strano vederti aprire così," Gli
disse, passandosi il palmo della mano sulla bocca. "Sembri
spaventato."
Una parte di lui voleva prendersela con
l'amico per quello che gli aveva appena detto, difendere la sua
dignità, ma più ci pensava e più si rendeva conto di quanta
ragione avesse Erwin. Era proprio così: aveva paura.
Essendo
a conoscenza che tutto quello che gli avrebbe detto sarebbe rimasto
privato, Levi si lasciò andare. Chi aveva bisogno di uno psichiatra,
quando c'era Smith.
"Sembrava reale."
"Gli
incubi spesso lo sembrano." Ed eccolo nuovamente, quel tono di
voce. Non era di per sé accondiscendente, ma puzzava di sospetto.
Erwin stava cercando di unire i puntini con le poche informazioni che
aveva a disposizione e, nuovamente, Levi realizzò di essersi fatto
scappare qualche parola di troppo. Non aveva dormito quella notte,
eppure si era messo a parlare di incubi.
Decidendo che sarebbe
stato meglio tenere la bocca chiusa, così fece. Guardò Erwin
raddrizzare la schiena, una volta che realizzò di essere stato
scoperto. Quello però non lo fermò dal sorridere soddisfatto.
"Ho
del lavoro da fare," Gli disse, anche se dal suo tono capì che
non lo stava cacciando. "Sei il benvenuto, se vuoi rimanere
mentre lavori ai tuoi rapporti."
Levi si chiese se
avrebbe preferito lavorare nel suo ufficio in quello di Erwin, ma
alla fine decise di rimanere in compagnia. Non sarebbe riuscito a
sopportare il silenzio dopo aver passato la notte in bianco.
Oltretutto la chaise longue dell'uomo era molto più comoda della
sua, se fosse riuscito ad addormentarsi.
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