Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Wassat    29/11/2015    2 recensioni
Sono passati due anni dall'assassinio e Levi è finalmente pronto a lasciarselo alle spalle. La casa in fondo alla via Ashbury è antiquata e isolata - un regalo da parte di un vecchio amico, che con essa vuole dargli la possibilità di un nuovo inizio. Tuttavia, quando le ombre prendono a muoversi nel mezzo della notte prendendo la forma di un tesoro ormai perso, Levi inizia a temere sia per la sua sanità mentale che per la sua vita. Improvvisamente, la strada verso la guarigione diventa un gioco in cui o uccide o viene ucciso.
Genere: Angst, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Eren, Jaeger, Irvin, Smith
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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HoE chap 3
Eccomi qui col terzo capitolo! Che secondo me è più bello del secondo u_u Buona lettura!

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3

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Levi non si mosse, incerto sul da farsi.

La linea tra il terrore e la malinconia era sottile e, nonostante si dicesse che la gente sarebbe più che felice di poter riabbracciare i propri cari ormai defunti, l'uomo non l'avrebbe fatto.

Fu la rabbia a vincere, nel suo caso.

Aveva detto i suoi addii due anni fa.

Aveva pianto davanti alla bara con i pugni serrati. Aveva fatto pace col sapere che non avrebbe mai più posato gli occhi su quel sorriso che gli ricordava un raggio di Sole. Aveva accettato che non avrebbe più potuto guardare i suoi occhi verdi-blu riflettere la luce lunare di notte. Levi aveva passato giorni, settimane, mesi ad agonizzare per la perdita della persona che era diventata il suo mondo.

Questa apparizione non era altro che ripugnante.

Non aveva alcun desiderio di abbracciare quella cosa. Si rifiutava di credere che fosse qualcosa di più che un fantasma, o l'inizio di un ben più serio problema mentale.

Con qualsiasi voglia di dormire ormai abbandonata, Levi uscì dalla stanza attento a non toccare Eren - l'entità, si corresse - nella via d'uscita.

"Hey, aspettami!"

L'uomo fece una smorfia, quando numerosi ricordi gli vennero alla mente nel sentire quelle parole. Solitamente le seguiva una risata.

Per prima cosa, una volta arrivato in cucina, accese la luce, poi frugò sotto il lavandino alla ricerca della bottiglia di vodka che Hanji gli aveva regalato. Ne avrebbe avuto bisogno di almeno cinque bicchierini in modo da togliersi il cattivo gusto che si sarebbe lasciato dietro questo incubo.

"Ascolta, lo so che è tutto un po'... Veloce, ma volevo davvero vederti."

"No," Disse Levi, girandosi verso Eren e agitando la bottiglia davanti a sé come se fosse un'arma. "No. Questo non è divertente, perché ho stretto a me il tuo corpo. Ti ho visto morire." Un nodo prese a formarglisi in gola, ma inghiottì qualsiasi emozione che cercava di soffocarlo. Avrebbe mantenuto un tono di voce neutrale. "Esci dalla mia casa."

Fissando l'apparizione, l'uomo si rese conto di qualcosa che non aveva notato prima. C'erano delle fasce attorno alla sua testa. Una a nascondergli gli occhi, un'altra sul naso e l'ultima gli copriva la bocca. Probabilmente una volta dovevano essere state bianche, ma ora erano sbrindellate ai lati, ingiallite dagli anni passati e dallo sporco.

Levi non capì come potesse saperlo, perché non poteva vederlo, ma riusciva a sentire il sorriso del ragazzo da dietro lo straccio sporco. "Sapevo che sarebbe stato troppo chiedere un po' di amore e affetto."

Sbattendo la bottiglia sul ripiano della cucina, Levi ridacchiò cupamente. "Sei fortunato che non ti abbia dato fuoco. Qualsiasi cosa tu sia." Chissà se veramente avrebbe potuto dargli fuoco.

Decidendo che stare nel mezzo della cucina a fissare la cosa non avrebbe portato a niente, l'uomo attraversò la stanza per prendersi un bicchiere.

Dall'angolo dell'occhio poté vedere Eren scrollare le spalle e infilare le mani in tasca.

L'azione era così normale, così sua, che decise di abbandonare il bicchiere e bere direttamente dalla bottiglia.

"Ti sei trovato un bel posticino," Gli disse Eren e il modo in cui si guardò attorno fu irritante, a causa delle fasce sopra gli occhi. "Ti erano sempre piaciuti posti più piccoli."

Levi fece un versetto, aprendo la bottiglia e prendendone un sorso.

"Non ci saremmo mai potuti permettere tutto questo." Continuò il ragazzo.

Quelle parole lo colpirono a fondo senza ragione; probabilmente perché sembravano troppo reali, troppo concrete per essere sussurrate cupamente da un fantasma. "Erwin mi ha aiutato." Rispose Levi.

"Oh."

Con gli occhi fissi sulla bottiglia, il più grande fece scorrere un dito sul bordo dell'apertura, prima di fermarsi. Ora avrebbe dovuto lavarlo in modo da eliminare qualsiasi germe. Qualcuno sarebbe rimasto sorpreso da quanti germi potevano esserci in un'unica impronta digitale. "Hai cinque minuti per dirmi quello che vuoi. Poi ti voglio fuori. Non voglio vederti mai più."

I fantasmi non potevano apparire sconsolati, non con la maggior parte del viso coperto.

"Avevo la possibilità di venire a vederti, quindi l'ho fatto." Gli rispose Eren, come se viaggiare tra i diversi piani della realtà fosse facile come attraversare una strada per andare a visitare un vicino.

"Come facevi a sapere che ero qui, piuttosto che al nostro appartamento?"

"Nostro?"

Levi si voltò verso di lui e corrugò le sopracciglia. "Abitudine."

"Ci sono andato, ma l'ho trovato vuoto. Non è poi così difficile muoversi dove mi trovo io." Gli disse, avvicinandosi al piano della cucina. Levi si irrigidì ma non si spostò. "Sono davvero io."

"Sei morto."

"Lo so," Rispose il fantasma, offrendogli probabilmente un sorriso triste. "Non è così male come si pensa, però."

Quando si prese uno sgabello e ci si sedette sopra, Levi si alzò e si allontanò dall'isola della cucina, lasciandolo indietro.

Non poteva sopportare questo. Se era un incubo aveva bisogno di svegliarsi subito, perché questo Eren era troppo perfetto da continuare ad ignorare.

Accendendo la luce del salotto, l'uomo si sedette sul divano. Non si preoccupò di accendere la televisione o altro: si limitò ad incrociare le braccia sul petto e fissare il vuoto. Faceva troppo freddo, avrebbe dovuto seriamente controllare il sistema di riscaldamento per vedere se funzionava.

Dopo un paio di minuti Eren lo raggiunse, sedendosi di fianco a lui, lasciando comunque dello spazio tra loro. Levi poteva sentire il gelo venire emanato dal suo corpo. Freddo come lo sono i morti.

Ripugnante, disgustoso, atroce.

Doloroso.

"Anche dopo la tua morte sei egoista," Gli disse, stringendosi le braccia al petto. "Tutte quelle volte che mi hai detto che saresti venuto a tormentarmi come fantasma quando ti chiedevo di portare fuori la spazzatura... Dicevi la verità."

Eren emise un suono che sembrava una risata. "Mi amavi ugualmente. Difetti e tutto."

"Moccioso."

Anche se non aveva pronunciato la parola con affetto, il sorriso del fantasma si allargò come se quel sentimento ci fosse stato. "Ti manco?"

Levi non degnò quella domanda di una risposta. Ovviamente. Gli mancava con la stessa forza di mille stelle esplose nello stesso istante. Gli mancava svegliarsi su di un letto ancora caldo e pancake mezzi bruciati ad aspettarlo. Gli mancava il riuscire a sorridere e ridere, a provare felicità.

"Penso di poter venire a visitarti di tanto in tanto," Gli disse Eren, portando i piedi sul divano, abbracciandosi le gambe. "Possiamo guardare un film o fare una passeggiata nella foresta."

"No." Rispose Levi, senza lasciar spazio ad ogni altra possibilità.

"Ma Levi-"

"Non mi piace ripetermi."

"Va bene," Sbottò il ragazzo. "Andrò a trovare Mikasa o Armin. Magari loro possono apprezzare il mio sforzo."

"Mikasa ti sparerebbe a vista e faresti venire un attacco di panico ad Armin." Non erano possibilità, ma dure verità.

Un silenzio pesante calò tra di loro.

Fu Eren ad interromperlo, quando Levi si portò nuovamente la bottiglia alla bocca.

"La morte porta una grande solitudine."

•••

"Eren non era fatto per la solitudine." Dice Levi a Petra in un mormorio soffocato. Ricorda, chiaramente, il senso di dolore che lo aveva attanagliato alla confessione di Eren.

Il ticchettio dell'orologio è nuovamente assordante, ma a nessuno dei due sembra importare particolarmente.

Petra lo sta ancora guardando con un'espressione che dovrebbe essere prima di emozioni, ma i suoi occhi da cerbiatta la tradiscono. "E' ovvio che tu ed Eren abbiate condiviso un profondo legame."

"E' mio marito." Le ricorda l'uomo.

Di fronte a lui, Eren scoppia improvvisamente a ridere. "Non doveva essere una chiacchierata da amici?" Chiede, camminando casualmente nella stanza con le mani in tasca. "Mi sembra che stia tentando di psicanalizzarti."

Petra porta lo sguardo alle sue gambe. "Era, perché non c'è più ora," Dice lentamente e clinicamente. "Mi diresti come l'hai conosciuto?"

Levi non pensava da tempo ai ricordi prima della morte di Eren, ma per una volta può fare un'eccezione. Tanto morirà tra qualche ora. Magari parlare di queste cose calmerà il rumore dentro la sua testa.

"Avevo diciassette anni, quando l'ho incontrato per la prima volta. Eren andava in seconda elementare." Dice.

"Aveva otto anni?"

"Abbiamo nove anni di differenza."

"Va bene." Risponde lei, sospirando.

"Ero uno studente delle superiori e avevo bisogno di soldi per poter uscire con la mia fiamma del momento nei fine settimana. Gli Jaeger mi presero come babysitter. Penso tuttora che furono stupidi a farlo, ma erano brave persone. Nessuno mi avrebbe dato una possibilità, a quei tempi. Era anche un lavoro semplice. Sua sorella, nonostante avesse un anno in meno di lui, era terribilmente protettiva verso Eren. Tutto quello che dovevo fare era sedermi sul divano con una lattina di birra e guardare la TV, mentre Eren e Mikasa giocavano nella loro cameretta."

Levi ruota la testa, nel tentativo di rilassare i muscoli della schiena.

"La seconda volta che gli ho fatto da babysitter, il moccioso è stato con me. L'ho aiutato a fare i compiti per casa."

"Facendo delle linee a puntini che formavano le lettere dell'alfabeto," Dice Eren, portando gli occhi al cielo. "Fortunatamente eri un genio."

Ignorandolo, Levi continua. "In breve, sono cresciuto, ho frequentato il college, sono riuscito a farmi assumere part time, ma comunque ogni tanto facevo un salto dagli Jaeger per salutarli, specialmente quando Grisha se n'è andato. Aiutavo Carla con i lavori di casa, quando ne aveva bisogno."

Aveva visto Eren crescere, diventare un ragazzino alto e tutto ossa con un terribile atteggiamento. Veniva trattenuto a scuola per aver risposto ai professori, sospeso per aver picchiato qualche compagno di classe... Aveva iniziato a comportarsi così quando aveva capito che suo padre non sarebbe tornato a casa, così Levi era intervenuto. Era diventato il suo mentore, una costante per quel ragazzino problematico.

"Rispetto, ammirazione, adorazione: chiamala come vuoi, ma davvero credevo fossero le uniche cose che Eren provava per me," L'uomo si inumidisce le labbra. "Fino ad un giorno, quando mi mise una mano sul ginocchio e lentamente la portò sul mio interno coscia. Successe il giorno dopo che noi due ci lasciammo," Dice a Petra, che mantiene uno sguardo impassibile. "Mi disse che era per conforto, che era solo giusto che ritornasse il favore."

Tu c'eri quando mio padre se n'è andato, ora è giunto il momento che ti ripaghi il favore.

Il desiderio che aveva bruciato dentro di lui gli aveva fatto provare vergogna. Aveva provato a dirsi che era causato dal dolore di essersi appena mollato con Petra, ma sapeva che non era così. Eren era giovane e bello, energico, entusiasta, ostinato... Ma aveva anche nove anni in meno di lui.

"Quanti anni aveva, quando questo è successo?"

"Sedici." Risponde. "Lavoravo in un fast food. Io ne avevo venticinque." Se gli chiedeva domande stupide, avrebbe ricevuto risposte altrettanto stupide. Petra sapeva di tutto questo e il suo tono di voce lo irritava.

"E siete andati avanti?"

"No," Risponde Eren. "Apparentemente ero troppo giovane per capire cos'era il sesso."

Non sei meglio di mio padre. Sarebbe bastato che tu mi dicessi di no.

"Me ne sono andato," Continua Levi. "Non l'ho più visto per due anni. In quel periodo di tempo io ed Erwin trovammo lavoro dove lavoriamo tuttora. Provammo a vedere se eravamo capaci di mantenere una relazione romantica, ma sai com'è andata a finire."

"Cosa successe dopo i tuoi due anni di assenza?"

"Litigammo. Eren mi disse che ero stato uno stronzo ed un codardo, per averlo abbandonato il quel modo." L'uomo si gratta il mento. "Più tardi scopammo sui sedili posteriori della sua auto. Dopo nel suo dormitorio, dopo ancora nel mio ufficio."

"Me lo ricordo," Dice Eren, spostandosi per andare a sedersi di fianco a Levi. Si accoccola contro di lui, appoggiando la testa sulla sua spalla. "E' stato bellissimo."

Avevano scopato, si erano baciati, erano usciti assieme. Alla fine si erano innamorati.

"Ti vedevi ancora con Erwin, quando successe tutto questo?"

Eren rise e Levi fulminò Petra con lo sguardo. "Sì." Dice, ma sa che la donna non avrebbe mai capito il delicato accordo che c'era tra loro tre. "Non gli importava. Alla fine ci lasciammo definitivamente, ma lui ed io eravamo - siamo - molto vicini."

"E questo non causò problemi fra voi tre?"

"No." E' l'unica cosa che Levi le offre come risposta.

Quando la donna capisce che il carcerato non avrebbe approfondito il discorso si schiarisce la gola, provando con un'altra domanda. "La relazione tra te ed Eren: com'è progressa?"

"Normalmente," Risponde Levi, abbassando lo sguardo verso i lunghi capelli castani che gli coprono la spalla. "Nessuno di noi due si ha proposto il matrimonio, ma è successo," Ricorda con affetto. "E' stato il Natale prima che finisse il college."

La festa di Natale era finita e tutti se ne erano tornati a casa, Erwin era in cucina e stava preparando della cioccolata calda per tutti e tre.

Riesci a pensare a noi, sempre assieme, anche quando saremo vecchi? Gli aveva chiesto Eren, strusciando il viso contro il suo. Dovremmo farlo.

"Ci siamo sposati tre anni dopo, il giorno dopo il suo compleanno. Abbiamo comprato un appartamento ed adottato un gatto."

"Lo stesso appartamento dove è avvenuto l'incidente," Dice Petra, annuendo. "Che è avvenuto due anni dopo."

Levi chiude gli occhi quando la mano fredda di Eren si poggia sul suo ginocchio, stringendolo piano con fare rassicurante.

"Dopo aver vissuto la stessa routine per così tanto, dove Eren andava a lavoro quando io tornavo, fu strano entrare in casa e non ricevere un abbraccio ed un bacio. Fu strano non vedere il gatto riposare sul tavolo e ancora più strano sentire l'odore di cibo bruciato."

L'uomo ha paura che quelle immagini non le dimenticherà mai. Ricorda, precisamente, il soffocante senso di paura che velocemente aveva lasciato spazio al torpore, l'unica cosa che gli aveva permesso di agire nel modo in cui aveva fatto.

Nessuno gli avrebbe portato via il ricordo di vedere Eren sul pavimento di camera loro con profondi squarci nel petto, dei buchi sul collo e dei segni viola sui fianchi, come se fosse stato legato con una corda. Levi non avrebbe mai dimenticato il rumore che Eren emise, mentre stava soffocando nel suo stesso sangue, i piccoli mugolii che emetteva perché era ancora vivo, nonostante ormai non ci fosse più, i suoi occhi vitrei e ormai ciechi.

Il caldo appiccicoso del suo sangue - può ancora sentirlo inzuppargli i pantaloni, sporcargli le dita mentre stringeva Eren contro di lui.

A quel punto Petra non cerca più di interromperlo con domande intrusive, quindi continua col raccontare la storia.

•••

Levi ricordava la sua morte. Com'era stata orribile.

"Stai piangendo," Gli sussurrò Eren e l'uomo non si preoccupò di correggerlo, anche se non stava piangendo. Le sue guance erano asciutte, la sua vista non era appannata. "Non sarei dovuto venire..."

Levi non gli rispose.

Si mise in piedi e camminò fino alla cucina, quindi appoggiò la bottiglia di vodka sul ripiano. Aprì il rubinetto, mise le mani sotto l'acqua corrente e prese a strofinarle. Continuò, spasmodicamente, perché non c'è sangue, ma poteva sentirlo, poteva sentirne il puzzo e lo faceva stare male.

E se ne aveva sporcato il divano? O il tappeto? Era sulla bottiglia, sul rubinetto, stava andando giù lungo le tubature? Avrebbe dovuto pulire anche quelli. Lavarli affinché anche loro fossero stati impeccabili.

Levi si scostò di scatto, quando la mano di Eren gli toccò un gomito. "Non farlo." Gli soffiò e il bisogno di picchiarlo fu soffocante.

La rabbia, la sua ira, era immensa. Lo accecava e l'unica cosa che voleva stringere era quel collo, stringerlo così forte e così a lungo da togliergli nuovamente la vita.

"Esci." Fu l'unica cosa che riuscì a dirgli, ritrovandosi sorpreso da come la sua voce rimase calma.

Eren aveva le braccia davanti al viso, come se si aspettasse di venir colpito da Levi, e il pensiero gli fece venire la nausea. Mai l'uomo avrebbe alzato le mani su chiunque, tanto meno su di Eren, invece eccolo lì. Il bisogno di colpirlo lo disturbò, ma lo disturbò ancor di più il fatto che non se ne sarebbe sentito in colpa. Eren era morto.

Eren è morto.

Quello non era lui, era una qualche allucinazione creata per tormentarlo, per distruggerlo ancor di più di quanto non lo era già. Questo era un incubo che si nutriva dei suoi ricordi e delle sue emozioni, che cercava di farlo impazzire. La sua mente aveva bisogno di sfogarsi, così come le sue mani. Il miscuglio di questi componenti erano pericolosi.

"Sei stato tu ad abbandonarmi." Disse Levi. Non c'era sofferenza, o rimorso, o rabbia: solo una inquietante accettazione.

Eren guardò verso la porta e strinse in pugni, nello stesso modo di quando non voleva litigare. "Ora siamo pari." Disse dopo un lungo momento. Scrollò le spalle.

I pugni di Levi tremarono involontariamente.

Eren scrollò nuovamente le spalle. "Smithers non è qui, vero?"

La domanda lo prese di sorpresa, ma scosse la testa. "Non c'era, quando ti ho trovato." Rispose, ricordando la gatta tigrata.

Sia la porta che le finestre erano chiuse e davvero non sapeva cosa le era successo. La gatta era stata una specie di sostituto di un bambino. Era stato troppo disperato dopo la morte di Eren, per cercarla.

Eren portò lo sguardo verso le scale. "Non so chi è stato." Disse.

Levi sbatté le ciglia, perché chiedere ad Eren del suo assassino non aveva neanche attraversato la sua testa. Era stato troppo concentrato a negare la possibilità che tutto fosse stato vero, per pensare seriamente alle possibilità che aveva in quel momento.

Non voleva chiedere altro, perché farlo avrebbe segnato il suo destino. Fare domande avrebbe garantito all'uomo il fatto di essere lucido, in quel momento, ma la curiosità infine vinse.

"Ricordi qualcosa?" Chiese, tornando al lavandino e portando nuovamente le mani sotto l'acqua. Era gelida, ma non gli importava. Un dolore fisico era sempre il benvenuto, in confronto ad uno psicologico.

Questa volta Eren mantenne le distanze. "Stavo preparando le lasagne. La ricetta di mia mamma," Disse, con un tocco di calore nellla sua voce. "Smithers per qualche motivo non voleva smettere di miagolare e ad un certo punto l'ho sentita soffiare in camera da letto." Il fantasma abbassò la testa, stringendo le braccia attorno a sé stesso. "Basta. Sono andato in camera da letto e basta. Mi sentii estremamente caldo, poi estremamente freddo. Ricordo di aver pensato che le lasagne si sarebbero bruciate."

Il nodo in gola tornò, ma per fortuna l'acqua gli offrì un po' di sollievo.

"Me ne vado, se ti procuro così tanto disagio." Disse Eren.

Levi mormorò qualche parolaccia, perché quel tono di voce così desolato era così sbagliato.

"Dimmi perché hai addosso quelle cose." Gli disse. Lo avrebbe mandato via subito, ma prima aveva bisogno di sapere. "Perché posso sentirti e perché tu riesci a vedermi con quella roba."

Guardando direttamente verso Levi, Eren prese tra le dita l'eccesso del tessuto che ciondolava sopra la sua spalla. Ci giocherellò, ma poi lasciò che la mano tornasse al suo fianco. "C'è un prezzo da pagare per ogni passaggio. Fortunatamente, dove mi trovo io, è dannatamente facile riprendersi ciò che si perde."

L'idea di sopportare il dolore di vedere Eren dopo averlo pensato perso per sempre, eppure non poter vedere i suoi occhi e il suo sorriso un'altra volta, era la tortura più crudele che poteva immaginare. Era come ricevere l'ultimo pasto, ma essere troppo malati per sentirne il sapore.

Era meglio così, si disse Levi. Sapeva che avrebbe abbandonato la sua decisione, se avesse potuto vedere le cose che facevano Eren chi era, il ragazzo che adorava. "Vattene." Disse e, questa volta, non lasciò spazio all'esitazione.

Levi odiò il non poter vedere, eppure poter sentire, il modo in cui il labbro inferiore di Eren tremò, il dolore nel suo petto, la tristezza sulle punte delle sue dita. Il mero pensiero di far del male ad Eren gli fece venire la nausea, ma non c'era altro modo. Aveva bisogno di allontanare quell'apparizione in nome della sua sanità mentale.

Eren sparì in un battito di ciglia e il gelo se ne andò con lui.

Solo, Levi afferrò il bordo del lavandino e calciò l'armadietto sotto di esso tanto forte da farsi male.

•••

Normalmente beccare Erwin di sorpresa migliorava l'umore di Levi. Non questa volta, considerando che non aveva chiuso occhio nelle ultime quarantotto ore.

"Ti ho visto sei ore fa." Disse Erwin abbastanza stupidamente, perché Levi sapeva contare le ore. Erwin e gli altri se ne erano andati a casa alle due del mattino, ora erano le otto. "L'idea di darti la promozione mi è venuta per farti lavorare a casa, sai."

"Fottiti tu e le tue idee di merda, Smith," Rispose Levi, fregandosene di chi si voltò verso di lui ad occhi sbarrati. "Fottile forte." Ormai la gente avrebbe dovuto essersi abituata al suo linguaggio.

Senza riuscire a dormire, o meglio ben deciso a non farlo, l'uomo aveva deciso di fare la cosa migliore.

Mentre aveva messo a bollire il caffè si era fatto una doccia fredda e si era lavato i capelli. Una volta uscito si era messo un completo elegante, aveva preparato la sua valigetta con tutto il lavoro incompleto, aveva riempito diversi thermos di caffè, lanciato il tutto in macchina, chiuso a chiave la casa ed era partito. Aveva guidato per un'ora nelle viottole della campagna e un'ora in autostrada, fino a raggiungere l'edificio che ormai da dieci anni chiamava luogo di lavoro.

"Voglio un appartamento in città," Continuò, mentre entrambi salirono in ascensore. "Starò lì durante la settimana, poi passerò il week end a casa. Meno gas esausti, salverò il pianeta."

Erwin lisciò la sua giacca prima di premere il pulsante per l'ultimo piano. "Cosa ti ha fatto prendere questa decisione?"

"Il fatto che devo guidare due dannate ore per arrivare qua."

La luce delle lampadine non faceva altro che irritarlo, fargli bruciare gli occhi. Un thermos di caffè e due tazze più tardi sembravano non fare nulla. Era sveglio, certo, ma si sentiva più morto che vivo.

Come ciliegina sulla torta, ulteriormente, non riusciva a ricordare se aveva spento o meno la caffettiera. Con un po' di fortuna, di cui era privo, sarebbe tornato e avrebbe trovato un mucchietto di cenere. Avrebbe potuto usare i soldi dell'assicurazione per comprarsi un posticino più carino in città.

"Hai dormito, almeno?" La domanda arrivò assieme ad una grande mano, una mano che strinse delicatamente il suo mento e gli fece voltare la testa da una parte all'altra. Qualcosa, nel sentire le dita di Erwin su di lui, lo aveva sempre fatto calmare. "Sei pallido. Stai male?"

Levi allontanò la mano dal suo viso, prima di passarsene una propria sugli occhi, "Non nel senso tradizionale, sembrerebbe." La mano di Erwin tornò, ma questa volta passò tra i suoi capelli.

Il tipo di relazione che avevano era strana a guardarla nel lato migliore, complicata nel lato peggiore. Amici d'infanzia che erano diventati ex e che erano diventati partner di lavoro, lui ed Erwin avevano una lunga storia di problemi e pochi momenti felici.

E per essere brutalmente onesti, c'erano dei rimasugli di lussuria sotterrati nel profondo dei loro esseri. Con centottanta centimetri d'altezza, occhi blu e capelli d'oro, sommato al fisico di Capitan America e un carisma da far paura, non c'era una persona che non avrebbe voluto portarsi a letto Erwin Smith. Anche Eren, ad un certo punto, aveva sviluppato una cotta per l'uomo, cosa che li aveva portati ad avere conversazioni imbarazzanti ed una manciata di notti da ricordare.

Erwin era formato da innumerevoli strati, dal capo carismatico al freddo e stronzo calcolatore, dalla persona terribilmente empatica al dio del sesso che ti faceva venire la bava alla bocca. Era complicato ed era naturale che anche le sue relazioni lo fossero. Mike, il suo compagno, era ben conscio del ruolo di Levi nella vita di Erwin, nello stesso modo in cui Eren era stato conscio del ruolo di Erwin nella vita di Levi. Il sesso magari non era più presente nella loro relazione, ma c'era un legame più profondo che li teneva assieme.

"Puoi stare nel mio ufficio, se vuoi la mia compagnia." Gli disse Erwin, accarezzandogli una tempia col pollice.

Era anche molto fisico.

Contrariamente alla sua apparenza, Levi era qualcuno che amava il contatto fisico, per quello la sua relazione con Eren era andata avanti così bene. Solo che Eren non aveva avuto idea di come frenare il suo bisogno di toccarlo costantemente in pubblico.

Levi non espresse vocalmente il suo assenso, ma seguì Erwin non appena l'ascensore si fermò e aprì le porte, stringendo spasmodicamente la valigetta tra le dita.

L'ultimo piano dell'edificio era il piano degli esecutori ed includeva unicamente uffici privati ed una sala da conferenze. Chic e minimalista, le decorazioni esprimevano calma ed erano piacevoli all'occhio umano. I muri bianchi e i toni neri, le finestre che dal pavimento arrivavano al soffitto che si affacciavano ai grattacieli vicini e l'indaffarata vita di città giù; era la classica sistemazione delle potenze commerciali.

L'ufficio di Erwin era più caldo, i suoi colori più omogenei. Muri grigio scuro e mobilio nero. Aveva un ché di professionale. Inoltre odorava di sgrassatore al limone e disinfettante spray, tutti odori che piacevano a Levi.

"Hai mangiato qualcosa?" Gli chiese Erwin, chiudendosi la porta dietro di sé. Raggiunse la sua scrivania e posò la valigetta per terra, poi frugò in un cassetto alla ricerca di salviette anti batteriche. Ne usò una per pulire la valigetta, prima di posarla sulla scrivania.

Erwin era sempre pulito ed organizzato, ma al contrario di Levi non ne era nevrotico. Non sarebbe impazzito per far sì che tutto fosse impeccabile. Il gesto che aveva appena compiuto era per far rilassare Levi e quest'ultimo non sapeva se esserne grato o sentirsene insultato. Decise di non parlarne, così si sedette sulla chaise longue con la valigetta sulle gambe.

"Vodka, caffè, una ciambella."

Con i contenuti della propria ventiquattrore improvvisamente dimenticati, Erwin lo guardò, attento a mantenere la propria espressione neutra. "Bene, anche io ho preso solo un caffè e una ciambella, prima di uscire." Manipolatore bastardo: le sue parole erano sempre la sua arma migliore. "Vorresti qualcosa di specifico per colazione?"

"Prenderò quello che prendi tu." Gli rispose. Non era convinto di poter tenere giù qualcosa anche se avesse voluto, ma ci avrebbe provato.

Proclamando di aver voglia di fast food, Erwin chiamò il negozio più vicino che faceva consegne. Venti minuti dopo entrambi gli uomini avevano due piatti davanti a loro e mangiarono in silenzio.

Quel poco appetito gli passò quando gli tornarono in mente i ricordi dei sabato mattina da uomo sposato. Lui ed Eren si prendevano sempre il loro tempo per uscire e fare colazione, raccontandosi a vicenda cos'era successo durante la settimana lavorativa. Poi sarebbero andati a fare la spesa, prima di tornare a casa e passare il pomeriggio a guardare orrendi film alla TV.

Levi sparse lo sciroppo sui suoi pancakes con la forchetta, ma si limitò a mangiare la pancetta ed un biscotto.

Erwin lo guardò tutto il tempo.

C'era una domanda sul suo viso, nonostante cercasse attentamente di nasconderla e lasciare l'amico continuare a far quello che stava facendo.

"Abituarsi ad un nuovo posto mi era più facile quando ero più giovane," Disse Levi, appoggiando la forchetta sul piatto e prendendo in mano il suo bicchiere di succo d'arancia. "E' più rumorosa di come dovrebbe essere."

Erwin sbuffò e trattenne una risata, annuendo. Tagliò un triangolo nel suo pancake, che inforcò e si portò alla bocca. Aveva usato il burro al posto dello sciroppo. "Se ti infastidisce così tanto, troveremo un posto più vicino alla città e che non sia fatto in legno."

Allontanando il piatto da davanti a sé, Levi si appoggiò contro lo schienale della sedia, tenendosi vicino al petto il bicchiere di succo. Lo ruotò, nella speranza che il ghiaccio si sciogliesse più velocemente e che quindi la spremuta si diluisse. "Lo apprezzerei molto."

"Contatterò il mio agente immobiliare questa sera, quando torno a casa. Sei più che benvenuto a stare con me e Mike, nel frattempo, se non vuoi tornare a casa tua."

Levi si chiese se un giorno Erwin si sarebbe stancato di lui. "Non voglio sentirvi fare sesso."

"Prometto che mi tratterrò," Gli rispose l'uomo con un sorriso brillante. "Casa o appartamento?"

"Più è piccola e meglio è." Disse Levi. Meno porte, meno finestre, meno casino senza una vera fonte. Avrebbe preferito mille volte il rumore di auto e treni, piuttosto che quelli del vento e del legno scricchiolante.

"Quindi un attico è fuori questione." All'espressione dell'amico, Erwin continuò. "Stavo scherzando."

Prendendosi l'ultimo sorso del suo succo, Levi appoggiò il bicchiere sulla scrivania di Erwin. "Che ti è preso, per aver deciso di trovarmi una casa in mezzo al nulla?" Non c'era nessuna ragione o logica. Erwin era un uomo che aveva sempre una spiegazione, riusciva sempre ad essere dieci passi più avanti di tutti e magari Levi non era proprio al suo livello, ma era dietro a lui di un passo o due al massimo. "Non riesco proprio a capirlo."

"Per rilassarti." Gli rispose l'uomo, rivolgendogli un sorriso triste. "Pensavo che allontanarti dalle cose che ti ricordavano lui ti avrebbe aiutato a superare l'accaduto."

"Lo avevo superato."

"Avevi?"

Dopo un attimo, Levi si rese conto che come aveva impostato la frase aveva commesso un errore. Quella singola parola era piena di significati.

"Smettila di mettere il naso in cose che non ti devono preoccupare."

"Questo mi preoccupa enormemente, Levi." Gli disse. Erwin chiuse il contenitore del cibo e ci mise la forchetta sopra, apparentemente soddisfatto con la sua colazione. "Ti fai vivo a lavoro con nient'altro nello stomaco se non alcool o caffeina e neanche un'ora di sonno. Non ti ho visto messo così dal giorno in cui mi hai chiamato dal tuo appartamento."

Impanicato, dopo aver trovato il corpo di Eren, Erwin era stata la prima persona che aveva chiamato. Non la polizia.

"Cos'è successo?" Spinse l'uomo.

"L'ho visto. Ho avuto un incubo," Gli rispose Levi, troppo velocemente per farsi credere dall'amico. "Qui sarei potuto andare a farmi una passeggiata. Non sono una persona che va a camminare nel bel mezzo di una foresta di notte." Guardò verso la finestra, dove al di fuori di essa stavano iniziando a formarsi nuvole grigie. "Stavo per perdere la testa."

Non era una bugia ed Erwin lo capì. "E' strano vederti aprire così," Gli disse, passandosi il palmo della mano sulla bocca. "Sembri spaventato."

Una parte di lui voleva prendersela con l'amico per quello che gli aveva appena detto, difendere la sua dignità, ma più ci pensava e più si rendeva conto di quanta ragione avesse Erwin. Era proprio così: aveva paura.

Essendo a conoscenza che tutto quello che gli avrebbe detto sarebbe rimasto privato, Levi si lasciò andare. Chi aveva bisogno di uno psichiatra, quando c'era Smith.

"Sembrava reale."

"Gli incubi spesso lo sembrano." Ed eccolo nuovamente, quel tono di voce. Non era di per sé accondiscendente, ma puzzava di sospetto. Erwin stava cercando di unire i puntini con le poche informazioni che aveva a disposizione e, nuovamente, Levi realizzò di essersi fatto scappare qualche parola di troppo. Non aveva dormito quella notte, eppure si era messo a parlare di incubi.

Decidendo che sarebbe stato meglio tenere la bocca chiusa, così fece. Guardò Erwin raddrizzare la schiena, una volta che realizzò di essere stato scoperto. Quello però non lo fermò dal sorridere soddisfatto.

"Ho del lavoro da fare," Gli disse, anche se dal suo tono capì che non lo stava cacciando. "Sei il benvenuto, se vuoi rimanere mentre lavori ai tuoi rapporti."

Levi si chiese se avrebbe preferito lavorare nel suo ufficio in quello di Erwin, ma alla fine decise di rimanere in compagnia. Non sarebbe riuscito a sopportare il silenzio dopo aver passato la notte in bianco. Oltretutto la chaise longue dell'uomo era molto più comoda della sua, se fosse riuscito ad addormentarsi.
   
 
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