Seconda
parte
Il giorno
dopo la partenza del Ramingo, Mithrandir giunse al Reame
Boscoso.
Tauriel
non lo vide di persona, ma capì che era arrivato
quando vide Galion dirigersi verso la sala del trono con una
generosissima quantità di vino.
Come
previsto, Thranduil non doveva essere molto entusiasta del nuovo
ospite, ma ciononostante lo accolse nel proprio regno e lo fece
scortare sino alla cella di Gollum.
Tauriel
cercò di tenersi alla larga. Sebbene non avesse
nulla contro lo stregone, preferiva non ricordare l’occasione
in cui si erano incontrati per la prima volta.
Supervisionò
l’addestramento di alcune reclute,
invece, e più tardi fu convocata da Thranduil.
Pensava
che il re desiderasse un qualche aggiornamento, ma lui non la
aspettava nella sala del trono, bensì nella grotta
germogliante.
Nonostante
il nome, più che una grotta era un giardino.
Delimitato da siepi in fiore, aveva una piccola fontana al centro.
Quando
Tauriel era bambina, aveva trovato il modo di intasare la
fontana e bagnarsi da capo a piedi, ragion per cui quel luogo le era
stato interdetto. Di conseguenza, le pareva magico ed affascinante.
Cercava continuamente di sgattaiolarvi dentro, ed insisteva sempre
affinché Legolas gliene parlasse, per poi ascoltare ad occhi
spalancati mentre lui diceva di esserci stato, da piccolo, e di aver
giocato con le ninfee che galleggiavano nella vasca della fontana.
Al
proprio arrivo, quel giorno, trovò Thranduil in compagnia
del principe. Stavano parlando in tono serio e sommesso, ma al suo
arrivo tacquero e Legolas le sorrise.
«Io
vado» disse, e Thranduil annuì.
Il
principe si diresse verso l’uscita del giardino, e Tauriel
si fece da parte per lasciarlo passare.
«Pattuglia»
le disse lui, a mo’ di
spiegazione.
La
oltrepassò, e Tauriel gli diede una rapida occhiata prima
di avanzare verso il re.
«Cammina
con me» le disse soltanto Thranduil.
Prima
della Battaglia delle Cinque Armate, Tauriel l’avrebbe
trovata una richiesta strana, e avrebbe preferito che lui le dicesse
subito quali erano i suoi ordini. Da quando era tornata a Bosco Atro
dopo il proprio esilio, però, il loro rapporto si era fatto
più saldo.
Tra
una conversazione e l’altra, Thranduil aveva addirittura
accennato alla sua defunta moglie. Non con lunghi discorsi, ma con una
manciata di frasi quasi casuali. Poteva trattarsi di un commento verso
un cespuglio fiorito – «mia moglie detestava il
profumo dolciastro di quei boccioli» – o verso dei
vecchi tomi – «erano i suoi libri
prediletti» – ma Tauriel ora sapeva quanto potesse
essere difficile anche una sola frase, e ne faceva tesoro.
Tra
sé e sé, aveva iniziato a farsi
un’immagine della regina: una valida combattente, ma
interessata più alla lettura e alla scrittura che alle armi.
Era
scossa dal fatto che Thranduil avesse deciso di essere
così aperto con lei, di donarle di nuovo la propria fiducia.
Al
contempo si sentiva più sicura, come se avesse ritrovato
il proprio posto nella famiglia reale. Si era già sentita
così, in passato, prima che cominciassero i dubbi. Prima che
iniziasse a pensare di essere solo un capitano delle guardie, per
Thranduil e Legolas, e che cercasse di conseguenza di distanziarsi da
loro. Ora come ora, si sentiva quasi sciocca per quei pensieri.
Passeggiarono
in silenzio per qualche istante, per poi fermarsi accanto
alle pietre che probabilmente davano il nome al giardino. Erano grandi
a sufficienza da poter fungere da panchine, ed erano ricoperte di
boccioli variopinti.
«Qualcosa
ti preoccupa, mio signore?»
domandò Tauriel.
Un’ombra
passò sul volto accigliato di Thranduil.
«Molte cose mi preoccupano» rispose lui, e sembrava
piuttosto stanco. «Temo che la Battaglia di
sessant’anni fa non sia stata che un preludio a qualcosa di
più terribile».
Alla
menzione della Battaglia delle Cinque Armate, Tauriel
sentì la gola seccarsi. «Più
terribile?» ripeté, e all’improvviso le
sembrò che tutta la sua giovinezza ed inesperienza le
gravassero sulle spalle.
Per
lei, quello scontro era stato un orrore inimmaginabile. Thranduil,
però, parlava di orrori ben più grandi. Thranduil
aveva visto orrori ben più grandi.
«Temo
che…» iniziò il
sovrano, poi vide la sua espressione e si interruppe. Scosse la testa.
«Per ora, il tuo compito è aumentare la
sorveglianza ed occuparti di Sméagol».
Tauriel
aggrottò la fronte.
«Sméagol?»
«Gollum»
rispose Thranduil. «Pare fosse
questo il suo nome, un tempo».
Lei
pensò alla pallida creatura nelle loro segrete e
rabbrividì d’inquietudine e disgusto.
«Che cosa gli è accaduto, mio signore?»
Thranduil
si incupì. «Lo posso solo supporre. Ma
temo ciò che può averlo portato alla
pazzia». La guardò, e la sua espressione parve
ammorbidirsi. «Questo peso non è tuo da portare,
Tauriel».
Non preoccuparti prima del tempo.
Lei
abbassò lo sguardo sul masso ricoperto di fiori in
germoglio, tentando di riordinare le proprie idee. Poi
rialzò gli occhi sul proprio re e fece per riaprir bocca, ma
in quel momento arrivò una guardia dall’aria
trafelata.
«Mio
re Thranduil» disse, con un certo affanno,
«Mithrandir è pronto a partire».
Thranduil
gli rivolse un cenno secco del capo. «Voglio sapere
cosa mai ha scoperto» affermò, rivolgendosi anche
a Tauriel, per poi lasciare il giardino in un fruscio di vesti, seguito
dalla frastornata guardia.
Rimasta
sola, Tauriel si avvicinò alla fontana e tese una
mano a sfiorare una delle ninfee che galleggiavano
sull’acqua. Il pensiero di un Legolas bambino che faceva lo
stesso gesto, forse sorvegliato dallo sguardo amorevole di sua madre,
rasserenò appena la sua espressione turbata.
Qualunque
risposta Mithrandir avesse ottenuto, dopo la sua partenza
Thranduil si fece più teso e impensierito. Allo stesso
tempo, però, lo stregone aveva lasciato alle guardie una
speranza di guarigione per Gollum.
Tauriel
era intenta a proporre a Legolas alcuni cambiamenti nei turni
delle pattuglie, quando vennero raggiunti da Inhel, una guardia dai
lisci capelli scuri e le labbra carnose.
Inhel
aveva minuscoli fiorellini bianchi nelle trecce che le tenevano
libero il volto, un aspetto esile, ed era tendenzialmente taciturna.
Dopo
che Tauriel era riuscita a riottenere il proprio posto come
capitano delle guardie, Thranduil le aveva talvolta affidato incarichi
come esploratrice o messaggera, e durante le sue assenze era stata
proprio Inhel a sostituirla.
Così,
Tauriel aveva avuto modo di scoprire che non solo
Inhel aveva polso, ma che sapeva anche come far sentire le proprie
ragioni.
«Mio
principe, mio capitano» li salutò
la guardia, con un rispettoso inchino.
Tauriel
e Legolas si scambiarono un’occhiata, poi Tauriel
domandò: «Che succede?»
Inhel
incontrò i suoi occhi. «Si tratta di
Sméagol, capitano».
«Ha
causato dei problemi?» chiese Tauriel, mentre
Legolas si accigliava.
«No,
non si tratta di questo» rispose subito Inhel.
«Io ed altri che lo sorvegliamo abbiamo pensato alle parole
di Mithrandir su una sua possibile guarigione, e vorremmo tentare di
aiutarlo».
Legolas
la guardò con improvviso interesse. «In
che modo?»
Inhel
ebbe un momento di indugio, ma si riprese in fretta ed
alzò il mento. «Forse, se ogni tanto potessimo
farlo uscire dalla cella, camminare un po’, anche solo su e
giù per le scale delle segrete…»
Legolas
continuò a guardarla per un momento, assorto, dunque
si rivolse a Tauriel. «Potrebbe avere un effetto positivo su
di lui».
Lei
rifletté brevemente. Trovava difficile provare per
Gollum qualcosa di diverso dalla diffidenza, ma riconosceva che
lasciarlo marcire in cella per sempre non avrebbe portato nessun
miglioramento.
Così
annuì, e tornò a guardare Inhel.
«È un’idea valida».
La
guardia le rivolse un sorriso luminoso.
«Chiederò
il parere del re e vi
informerò della sua decisione» concluse Tauriel,
senza riuscire ad evitare di sorridere appena in risposta.
«Grazie,
mio capitano» disse Inhel, chinando la
testa, e i suoi capelli scuri scivolarono in avanti. Rivolse a Legolas
un rispettoso «mio principe» e se ne
andò.
«È
brava» commentò Legolas,
poi tacque un momento ed aggiunse in tono quasi casuale:
«Potremmo passare al centro di addestramento, dopo che avrai
parlato con mio padre di questa faccenda».
Tauriel
inarcò un sopracciglio. «Mi stai
proponendo una sfida?»
Legolas
guardò altrove. «Be’, se pensi
che perderai…»
Lei
sapeva che il principe la conosceva bene, e che probabilmente aveva
utilizzato quelle parole – e quel tono – proprio
per stuzzicarla, ma non poté fare a meno di scoccargli
un’occhiata risentita. «Io non
perderò» gli disse, adombrandosi.
Legolas
sorrise. «Può darsi, ma reagisci ancora
come quando eri una bambina».
«Ti
ricordo» disse Tauriel, fingendo di non aver
sentito, «che ho ricevuto grandi elogi sin dal primo Elfo che
si è occupato del mio addestramento».
«Il
buon Magoldir» annuì Legolas.
«E io ti ricordo che io e lui ci allenavamo insieme
già da secoli prima della tua nascita».
«Immagino
tutte le volte che ti avrà sconfitto
nell’uso della spada».
Legolas
scosse la testa. «Immagina piuttosto tutti i trucchi
che ha avuto tempo di insegnarmi» suggerì,
«e roditi il fegato».
«Preferisco
aspettare» rispose Tauriel.
«Prima o poi me li mostrerai tutti».
Il
principe sorrise appena. «Centro
d’addestramento?»
«D’accordo»
cedette Tauriel,
«ma ad una condizione. Scelgo io le armi».
Legolas
annuì. «Condizione accettata. Ora,
tornando ai cambiamenti che mi hai proposto…»
Quando
furono riusciti ad accordarsi su quali modifiche erano
necessarie e su quali erano superflue, Tauriel si recò da
Thranduil.
Il
sovrano teneva un calice di vino tra le dita, e la sua espressione
era distante.
Quando
notò Tauriel, tuttavia, si riscosse ed
ascoltò con attenzione la proposta di Inhel.
Considerò in silenzio la cosa per qualche istante, facendo
ondeggiare appena il bicchiere di vino tra le proprie dita, poi rivolse
a Tauriel un cenno affermativo.
«Forse»
le disse, «sarebbe addirittura il
caso di portarlo all’aria aperta. Fargli prendere un
po’ di sole».
Tauriel
si inchinò e fece per andarsene, ma poi si
fermò e domandò: «Mio re.
C’è qualcosa che posso fare?»
Thranduil
si voltò a guardarla ed accennò un
sorriso. «No» rispose, «ma ti
ringrazio».
Tauriel
annuì, quindi lasciò in silenzio la
stanza e portò la notizia ad Inhel e alle altre guardie.
Ebbene,
a quanto pareva si sarebbe dovuta occupare di organizzare degli
altri turni. Non subito, però, naturalmente. Prima, doveva
vincere una sfida contro un certo principe…
All’inizio,
Gollum non parve contento di essere portato alla
luce del sole. Se ne lamentò con voce stridula, gettandosi a
terra e contorcendosi.
Poco
a poco, però, iniziò a spostarsi nel bosco
con meno proteste. Prese l’abitudine di arrampicarsi su un
grande faggio che cresceva distante dagli altri alberi, e sembrava
piacergli.
Una
parte della corteccia, divorata dai funghi, era spugnosa e
biancastra, ed una volta Gollum le diede una leccata, per poi
sputacchiare sulle teste degli Elfi che l’avevano
accompagnato.
Alcune
guardie erano nervose all’idea di permettergli di
salire sino ai rami più alti, ma Tauriel cercò di
calmarle. «Lasciatelo fare» disse, «in
fondo lassù potrà godere del sole e del vento
fresco, due cose di cui ha certamente bisogno. Assicuratevi
però che ci sia sempre una sentinella ai piedi
dell’albero».
Lei
iniziò a condividere la pietà di Legolas e di
Inhel in un pomeriggio assolato, dopo aver visto Gollum che quasi
saltellava per l’impazienza di raggiungere il grande albero.
Lo
osservò mentre si arrampicava, tutto pelle biancastra e
ossa sporgenti, e per un momento le parve di vedere il guizzo di una
creatura diversa, innocua e pacifica.
“Cosa
mai può essergli successo, per ridurlo
così?” si domandò, con una stretta al
cuore che era a metà paura e a metà compassione.
Probabilmente,
le loro esperienze erano completamente diverse, ma non
riusciva più ad evitare di sentire una strana empatia. In
fondo, anche quanto era successo a lei l’aveva segnata,
anche se non certo in modo così evidente e mostruoso.
Pensò
alla propria infanzia, alle settimane dopo la morte
dei suoi genitori. Ricordò un periodo in cui vedeva pericoli
ovunque e qualsiasi suono improvviso le faceva credere che gli Orchi
fossero tornati per ucciderla.
Si
sentiva al sicuro solo accanto a Thranduil. E in uno di quei giorni
gli aveva chiesto, toccandogli le vesti suntuose, se anche lui aveva
degli incubi.
Thranduil
aveva abbassato lo sguardo su di lei, increspando la fronte.
Le aveva posato una mano dietro la nuca e l’aveva scrutata
per qualche istante. Poi aveva distolto gli occhi, e le aveva detto che
agli Elfi non era dato di dimenticare.
All’epoca
Tauriel non aveva capito cosa volesse dire. Non
appieno. Aveva solo pensato che non avrebbe mai perso i ricordi dei
suoi genitori.
Le
ci era voluta l’uccisione di Kíli per
comprendere – comprendere davvero, sin dentro le ossa
– le parole del re.
Non
era soltanto una consolazione. Era anche una condanna.
E
poi c’era stata Álof, una donna di
mezz’età che aveva conosciuto durante il proprio
esilio. Un giorno l’aveva trovata seduta fuori dalla sua
casa, immobile e con un’espressione serena come se si fosse
addormentata.
Tauriel
ricordava ancora il proprio shock. Fino ad allora, il concetto
di una morte non violenta le era stato estraneo e difficile da
afferrare. Vedendo il lieve sorriso che incurvava le labbra di
Álof, si era chiesta se fosse stato piacevole come cedere al
sonno. Si era chiesta, in un angolo più recondito della
propria mente, come sarebbe stato sdraiarsi sull’erba e
chiudere gli occhi e semplicemente cessare di esistere.
Quando
aveva saputo della morte di Bain e Sigrid, poi, si era sentita
come se tutta l’aria venisse strizzata fuori dai suoi
polmoni. Le era parso irreale. Le sembrava fosse trascorso
così poco tempo, dall’ultima volta che li aveva
visti… e se le loro vite avevano impiegato così
poco a finire, quanto poco ci sarebbe voluto perché
venissero dimenticati?
“Io
li ricorderò” si era ripetuta spesso
nel buio delle proprie stanze, mordendosi le labbra a sangue.
“Io li ricorderò”.
Ma
non riusciva ad evitare la consapevolezza che presto, tra gli
Uomini, si sarebbe persa ogni loro memoria, e temeva il momento in cui
anche Tilda avrebbe lasciato il mondo dei viventi.
Ora
era il figlio di Bain, Brand, a regnare su Dale. Talvolta, Tauriel
aveva pensato di recarsi a vederlo, ma alla fine aveva deciso che era
meglio di no. Ormai era un adulto anche lui, e non le serviva che
questo le ricordasse quanto erano brevi le vite degli Uomini.
Come
aveva detto ad Aragorn, sapeva che nonostante tutto non avrebbe
ceduto. Si sentiva ancora troppo viva e motivata, sebbene talvolta
avvertisse una stanca disillusione che minacciava di toglierle le
forze. Semplicemente, aveva troppe ragioni per andare avanti.
La
sola cosa che la preoccupava era di poter essere meno efficiente, e
per questo si allenava con più costanza di quanto avesse mai
fatto. Aveva notato che tendeva a stancarsi prima, anche se solo di
poco, e metteva costantemente alla prova la propria resistenza.
Quella
sera, si stava giusto asciugando la fronte dopo una serie di
esercizi, quando Inhel ed una guardia dai capelli ramati giunsero al
centro d’addestramento.
«Capitano»
la salutò Inhel, con un
sorriso brillante.
L’altra
guardia si limitò a rivolgerle un cenno
del capo, e Tauriel non poté fare a meno di ripensare alla
conversazione che avevano avuto anni prima, quando lei aveva riottenuto
il titolo di capitano.
Probabilmente,
era stata la conversazione più lunga che
avessero mai avuto.
Eseguirò i tuoi ordini,
le aveva detto l’altra,
con serietà. Ma
non ho dimenticato quello che hai fatto.
Non
aveva avuto bisogno di essere più specifica. Sapevano
entrambe che aveva combattuto nella Battaglia delle Cinque Armate, e
che aveva visto Tauriel puntare una freccia contro il loro sovrano.
Tauriel
era conscia della gravità del proprio gesto. A dirla
tutta, al proprio ritorno a Bosco Atro, si era aspettata una maggiore
ostilità.
Ma
se nei primi anni era stata seguita ovunque da occhiate truci e
bisbigli rancorosi, poco a poco quel risentimento si era quietato. E in
parte, il merito era del fatto che nessuno –
all’infuori degli Elfi che vi avevano assistito –
sapeva del suo scontro con Thranduil.
La
maggior parte della sua gente le rimproverava di aver disobbedito
agli ordini del sovrano, non di averne minacciato la vita.
Talvolta,
Tauriel si era chiesta perché la voce non si fosse
sparsa, se per caso Thranduil avesse ordinato di non diffonderla.
Più probabilmente, però, il suo gesto era stato
considerato troppo grave per essere trasformato in un pettegolezzo.
Così,
coloro che non sapevano nulla l’avevano
ormai perdonata per aver lasciato il regno, convinti che i dodici anni
d’esilio fossero stati una punizione sufficiente.
Tauriel
si era sforzata di parlare con gli spettatori del suo scontro
con Thranduil, e poco alla volta le cose erano decisamente migliorate.
Avviandosi
fuori dal centro di addestramento, la giovane
ripensò al resto delle parole della guardia dai capelli
ramati.
Re Thranduil ti ritiene idonea,
aveva osservato, e io
mi fido del suo
giudizio.
Si
erano guardate per un istante. Avevano tutte e due i capelli fulvi e
vestivano nei colori scuri delle guardie di Bosco Atro, ma Tauriel era
appena più bassa e molto più giovane, siccome
l’altra aveva pressappoco l’età di
Legolas.
Spero solo che non tradirai la
sua fiducia e quella del principe
Legolas.
I
passi di Tauriel si fermarono, e i suoi occhi si serrarono.
“Non lo farò”.
Note:
Innanzitutto, scusate per la posticipazione
dell’aggiornamento.
Avevo sottovalutato sia l’introspezione (spero che il
risultato non sia pesante ed orribile) che il mio talento a distrarmi.
(Seriamente. Tra una parola e l’altra ho ascoltato musica,
guardato video su YouTube e finito un film che avevo lasciato a
metà.)
Ah, la cronologia del movieverse mi confonde come poche altre cose, ma
spero di non aver fatto disastri.
Per quanto riguarda Álof, è un personaggio che
avevo inventato per il primo capitolo di un’altra fanfiction, Distanze, e farla morire
è stata una decisione molto sofferta. (Almeno si
sarà ricongiunta con la sua bell’amante
dell’Harad.) Chiedo perdono anche per Bain e Sigrid :(((
Concludendo, spero che questo capitolo non sia stato la delusione del
secolo e che non vi abbia fatto addormentare sulla tastiera.
La terza parte arriverà sabato 27 febbraio.
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