Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: 9Pepe4    20/02/2016    6 recensioni
«Per ora, il tuo compito è aumentare la sorveglianza ed occuparti di Sméagol».
Tauriel aggrottò la fronte. «Sméagol?»
«Gollum» rispose Thranduil. «Pare fosse questo il suo nome, un tempo».
Lei pensò alla pallida creatura nelle loro segrete e rabbrividì d’inquietudine e disgusto. «Che cosa gli è accaduto, mio signore?»
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Gollum/Smeagol, Legolas, Smeagol, Tauriel, Thranduil
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Non tutti gli erranti sono perduti'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Seconda parte

Il giorno dopo la partenza del Ramingo, Mithrandir giunse al Reame Boscoso.
Tauriel non lo vide di persona, ma capì che era arrivato quando vide Galion dirigersi verso la sala del trono con una generosissima quantità di vino.
Come previsto, Thranduil non doveva essere molto entusiasta del nuovo ospite, ma ciononostante lo accolse nel proprio regno e lo fece scortare sino alla cella di Gollum.
Tauriel cercò di tenersi alla larga. Sebbene non avesse nulla contro lo stregone, preferiva non ricordare l’occasione in cui si erano incontrati per la prima volta.
Supervisionò l’addestramento di alcune reclute, invece, e più tardi fu convocata da Thranduil.
Pensava che il re desiderasse un qualche aggiornamento, ma lui non la aspettava nella sala del trono, bensì nella grotta germogliante.
Nonostante il nome, più che una grotta era un giardino. Delimitato da siepi in fiore, aveva una piccola fontana al centro.
Quando Tauriel era bambina, aveva trovato il modo di intasare la fontana e bagnarsi da capo a piedi, ragion per cui quel luogo le era stato interdetto. Di conseguenza, le pareva magico ed affascinante. Cercava continuamente di sgattaiolarvi dentro, ed insisteva sempre affinché Legolas gliene parlasse, per poi ascoltare ad occhi spalancati mentre lui diceva di esserci stato, da piccolo, e di aver giocato con le ninfee che galleggiavano nella vasca della fontana.
Al proprio arrivo, quel giorno, trovò Thranduil in compagnia del principe. Stavano parlando in tono serio e sommesso, ma al suo arrivo tacquero e Legolas le sorrise.
«Io vado» disse, e Thranduil annuì.
Il principe si diresse verso l’uscita del giardino, e Tauriel si fece da parte per lasciarlo passare.
«Pattuglia» le disse lui, a mo’ di spiegazione.
La oltrepassò, e Tauriel gli diede una rapida occhiata prima di avanzare verso il re.
«Cammina con me» le disse soltanto Thranduil.
Prima della Battaglia delle Cinque Armate, Tauriel l’avrebbe trovata una richiesta strana, e avrebbe preferito che lui le dicesse subito quali erano i suoi ordini. Da quando era tornata a Bosco Atro dopo il proprio esilio, però, il loro rapporto si era fatto più saldo.
Tra una conversazione e l’altra, Thranduil aveva addirittura accennato alla sua defunta moglie. Non con lunghi discorsi, ma con una manciata di frasi quasi casuali. Poteva trattarsi di un commento verso un cespuglio fiorito – «mia moglie detestava il profumo dolciastro di quei boccioli» – o verso dei vecchi tomi – «erano i suoi libri prediletti» – ma Tauriel ora sapeva quanto potesse essere difficile anche una sola frase, e ne faceva tesoro.
Tra sé e sé, aveva iniziato a farsi un’immagine della regina: una valida combattente, ma interessata più alla lettura e alla scrittura che alle armi.
Era scossa dal fatto che Thranduil avesse deciso di essere così aperto con lei, di donarle di nuovo la propria fiducia.
Al contempo si sentiva più sicura, come se avesse ritrovato il proprio posto nella famiglia reale. Si era già sentita così, in passato, prima che cominciassero i dubbi. Prima che iniziasse a pensare di essere solo un capitano delle guardie, per Thranduil e Legolas, e che cercasse di conseguenza di distanziarsi da loro. Ora come ora, si sentiva quasi sciocca per quei pensieri.
Passeggiarono in silenzio per qualche istante, per poi fermarsi accanto alle pietre che probabilmente davano il nome al giardino. Erano grandi a sufficienza da poter fungere da panchine, ed erano ricoperte di boccioli variopinti.
«Qualcosa ti preoccupa, mio signore?» domandò Tauriel.
Un’ombra passò sul volto accigliato di Thranduil. «Molte cose mi preoccupano» rispose lui, e sembrava piuttosto stanco. «Temo che la Battaglia di sessant’anni fa non sia stata che un preludio a qualcosa di più terribile».
Alla menzione della Battaglia delle Cinque Armate, Tauriel sentì la gola seccarsi. «Più terribile?» ripeté, e all’improvviso le sembrò che tutta la sua giovinezza ed inesperienza le gravassero sulle spalle.
Per lei, quello scontro era stato un orrore inimmaginabile. Thranduil, però, parlava di orrori ben più grandi. Thranduil aveva visto orrori ben più grandi.
«Temo che…» iniziò il sovrano, poi vide la sua espressione e si interruppe. Scosse la testa. «Per ora, il tuo compito è aumentare la sorveglianza ed occuparti di Sméagol».
Tauriel aggrottò la fronte. «Sméagol?»
«Gollum» rispose Thranduil. «Pare fosse questo il suo nome, un tempo».
Lei pensò alla pallida creatura nelle loro segrete e rabbrividì d’inquietudine e disgusto. «Che cosa gli è accaduto, mio signore?»
Thranduil si incupì. «Lo posso solo supporre. Ma temo ciò che può averlo portato alla pazzia». La guardò, e la sua espressione parve ammorbidirsi. «Questo peso non è tuo da portare, Tauriel».
Non preoccuparti prima del tempo.
Lei abbassò lo sguardo sul masso ricoperto di fiori in germoglio, tentando di riordinare le proprie idee. Poi rialzò gli occhi sul proprio re e fece per riaprir bocca, ma in quel momento arrivò una guardia dall’aria trafelata.
«Mio re Thranduil» disse, con un certo affanno, «Mithrandir è pronto a partire».
Thranduil gli rivolse un cenno secco del capo. «Voglio sapere cosa mai ha scoperto» affermò, rivolgendosi anche a Tauriel, per poi lasciare il giardino in un fruscio di vesti, seguito dalla frastornata guardia.
Rimasta sola, Tauriel si avvicinò alla fontana e tese una mano a sfiorare una delle ninfee che galleggiavano sull’acqua. Il pensiero di un Legolas bambino che faceva lo stesso gesto, forse sorvegliato dallo sguardo amorevole di sua madre, rasserenò appena la sua espressione turbata.

Qualunque risposta Mithrandir avesse ottenuto, dopo la sua partenza Thranduil si fece più teso e impensierito. Allo stesso tempo, però, lo stregone aveva lasciato alle guardie una speranza di guarigione per Gollum.
Tauriel era intenta a proporre a Legolas alcuni cambiamenti nei turni delle pattuglie, quando vennero raggiunti da Inhel, una guardia dai lisci capelli scuri e le labbra carnose.
Inhel aveva minuscoli fiorellini bianchi nelle trecce che le tenevano libero il volto, un aspetto esile, ed era tendenzialmente taciturna.
Dopo che Tauriel era riuscita a riottenere il proprio posto come capitano delle guardie, Thranduil le aveva talvolta affidato incarichi come esploratrice o messaggera, e durante le sue assenze era stata proprio Inhel a sostituirla.
Così, Tauriel aveva avuto modo di scoprire che non solo Inhel aveva polso, ma che sapeva anche come far sentire le proprie ragioni.
«Mio principe, mio capitano» li salutò la guardia, con un rispettoso inchino.
Tauriel e Legolas si scambiarono un’occhiata, poi Tauriel domandò: «Che succede?»
Inhel incontrò i suoi occhi. «Si tratta di Sméagol, capitano».
«Ha causato dei problemi?» chiese Tauriel, mentre Legolas si accigliava.
«No, non si tratta di questo» rispose subito Inhel. «Io ed altri che lo sorvegliamo abbiamo pensato alle parole di Mithrandir su una sua possibile guarigione, e vorremmo tentare di aiutarlo».
Legolas la guardò con improvviso interesse. «In che modo?»
Inhel ebbe un momento di indugio, ma si riprese in fretta ed alzò il mento. «Forse, se ogni tanto potessimo farlo uscire dalla cella, camminare un po’, anche solo su e giù per le scale delle segrete…»
Legolas continuò a guardarla per un momento, assorto, dunque si rivolse a Tauriel. «Potrebbe avere un effetto positivo su di lui».
Lei rifletté brevemente. Trovava difficile provare per Gollum qualcosa di diverso dalla diffidenza, ma riconosceva che lasciarlo marcire in cella per sempre non avrebbe portato nessun miglioramento.
Così annuì, e tornò a guardare Inhel. «È un’idea valida».
La guardia le rivolse un sorriso luminoso.
«Chiederò il parere del re e vi informerò della sua decisione» concluse Tauriel, senza riuscire ad evitare di sorridere appena in risposta.
«Grazie, mio capitano» disse Inhel, chinando la testa, e i suoi capelli scuri scivolarono in avanti. Rivolse a Legolas un rispettoso «mio principe» e se ne andò.
«È brava» commentò Legolas, poi tacque un momento ed aggiunse in tono quasi casuale: «Potremmo passare al centro di addestramento, dopo che avrai parlato con mio padre di questa faccenda».
Tauriel inarcò un sopracciglio. «Mi stai proponendo una sfida?»
Legolas guardò altrove. «Be’, se pensi che perderai…»
Lei sapeva che il principe la conosceva bene, e che probabilmente aveva utilizzato quelle parole – e quel tono – proprio per stuzzicarla, ma non poté fare a meno di scoccargli un’occhiata risentita. «Io non perderò» gli disse, adombrandosi.
Legolas sorrise. «Può darsi, ma reagisci ancora come quando eri una bambina».
«Ti ricordo» disse Tauriel, fingendo di non aver sentito, «che ho ricevuto grandi elogi sin dal primo Elfo che si è occupato del mio addestramento».
«Il buon Magoldir» annuì Legolas. «E io ti ricordo che io e lui ci allenavamo insieme già da secoli prima della tua nascita».
«Immagino tutte le volte che ti avrà sconfitto nell’uso della spada».
Legolas scosse la testa. «Immagina piuttosto tutti i trucchi che ha avuto tempo di insegnarmi» suggerì, «e roditi il fegato».
«Preferisco aspettare» rispose Tauriel. «Prima o poi me li mostrerai tutti».
Il principe sorrise appena. «Centro d’addestramento?»
«D’accordo» cedette Tauriel, «ma ad una condizione. Scelgo io le armi».
Legolas annuì. «Condizione accettata. Ora, tornando ai cambiamenti che mi hai proposto…»
Quando furono riusciti ad accordarsi su quali modifiche erano necessarie e su quali erano superflue, Tauriel si recò da Thranduil.
Il sovrano teneva un calice di vino tra le dita, e la sua espressione era distante.
Quando notò Tauriel, tuttavia, si riscosse ed ascoltò con attenzione la proposta di Inhel. Considerò in silenzio la cosa per qualche istante, facendo ondeggiare appena il bicchiere di vino tra le proprie dita, poi rivolse a Tauriel un cenno affermativo.
«Forse» le disse, «sarebbe addirittura il caso di portarlo all’aria aperta. Fargli prendere un po’ di sole».
Tauriel si inchinò e fece per andarsene, ma poi si fermò e domandò: «Mio re. C’è qualcosa che posso fare?»
Thranduil si voltò a guardarla ed accennò un sorriso. «No» rispose, «ma ti ringrazio».
Tauriel annuì, quindi lasciò in silenzio la stanza e portò la notizia ad Inhel e alle altre guardie.
Ebbene, a quanto pareva si sarebbe dovuta occupare di organizzare degli altri turni. Non subito, però, naturalmente. Prima, doveva vincere una sfida contro un certo principe…

All’inizio, Gollum non parve contento di essere portato alla luce del sole. Se ne lamentò con voce stridula, gettandosi a terra e contorcendosi.
Poco a poco, però, iniziò a spostarsi nel bosco con meno proteste. Prese l’abitudine di arrampicarsi su un grande faggio che cresceva distante dagli altri alberi, e sembrava piacergli.
Una parte della corteccia, divorata dai funghi, era spugnosa e biancastra, ed una volta Gollum le diede una leccata, per poi sputacchiare sulle teste degli Elfi che l’avevano accompagnato.
Alcune guardie erano nervose all’idea di permettergli di salire sino ai rami più alti, ma Tauriel cercò di calmarle. «Lasciatelo fare» disse, «in fondo lassù potrà godere del sole e del vento fresco, due cose di cui ha certamente bisogno. Assicuratevi però che ci sia sempre una sentinella ai piedi dell’albero».
Lei iniziò a condividere la pietà di Legolas e di Inhel in un pomeriggio assolato, dopo aver visto Gollum che quasi saltellava per l’impazienza di raggiungere il grande albero.
Lo osservò mentre si arrampicava, tutto pelle biancastra e ossa sporgenti, e per un momento le parve di vedere il guizzo di una creatura diversa, innocua e pacifica.
“Cosa mai può essergli successo, per ridurlo così?” si domandò, con una stretta al cuore che era a metà paura e a metà compassione.
Probabilmente, le loro esperienze erano completamente diverse, ma non riusciva più ad evitare di sentire una strana empatia. In fondo, anche quanto era successo a lei l’aveva segnata, anche se non certo in modo così evidente e mostruoso.
Pensò alla propria infanzia, alle settimane dopo la morte dei suoi genitori. Ricordò un periodo in cui vedeva pericoli ovunque e qualsiasi suono improvviso le faceva credere che gli Orchi fossero tornati per ucciderla.
Si sentiva al sicuro solo accanto a Thranduil. E in uno di quei giorni gli aveva chiesto, toccandogli le vesti suntuose, se anche lui aveva degli incubi.
Thranduil aveva abbassato lo sguardo su di lei, increspando la fronte. Le aveva posato una mano dietro la nuca e l’aveva scrutata per qualche istante. Poi aveva distolto gli occhi, e le aveva detto che agli Elfi non era dato di dimenticare.
All’epoca Tauriel non aveva capito cosa volesse dire. Non appieno. Aveva solo pensato che non avrebbe mai perso i ricordi dei suoi genitori.
Le ci era voluta l’uccisione di Kíli per comprendere – comprendere davvero, sin dentro le ossa – le parole del re.
Non era soltanto una consolazione. Era anche una condanna.
E poi c’era stata Álof, una donna di mezz’età che aveva conosciuto durante il proprio esilio. Un giorno l’aveva trovata seduta fuori dalla sua casa, immobile e con un’espressione serena come se si fosse addormentata.
Tauriel ricordava ancora il proprio shock. Fino ad allora, il concetto di una morte non violenta le era stato estraneo e difficile da afferrare. Vedendo il lieve sorriso che incurvava le labbra di Álof, si era chiesta se fosse stato piacevole come cedere al sonno. Si era chiesta, in un angolo più recondito della propria mente, come sarebbe stato sdraiarsi sull’erba e chiudere gli occhi e semplicemente cessare di esistere.
Quando aveva saputo della morte di Bain e Sigrid, poi, si era sentita come se tutta l’aria venisse strizzata fuori dai suoi polmoni. Le era parso irreale. Le sembrava fosse trascorso così poco tempo, dall’ultima volta che li aveva visti… e se le loro vite avevano impiegato così poco a finire, quanto poco ci sarebbe voluto perché venissero dimenticati?
“Io li ricorderò” si era ripetuta spesso nel buio delle proprie stanze, mordendosi le labbra a sangue. “Io li ricorderò”.
Ma non riusciva ad evitare la consapevolezza che presto, tra gli Uomini, si sarebbe persa ogni loro memoria, e temeva il momento in cui anche Tilda avrebbe lasciato il mondo dei viventi.
Ora era il figlio di Bain, Brand, a regnare su Dale. Talvolta, Tauriel aveva pensato di recarsi a vederlo, ma alla fine aveva deciso che era meglio di no. Ormai era un adulto anche lui, e non le serviva che questo le ricordasse quanto erano brevi le vite degli Uomini.
Come aveva detto ad Aragorn, sapeva che nonostante tutto non avrebbe ceduto. Si sentiva ancora troppo viva e motivata, sebbene talvolta avvertisse una stanca disillusione che minacciava di toglierle le forze. Semplicemente, aveva troppe ragioni per andare avanti.
La sola cosa che la preoccupava era di poter essere meno efficiente, e per questo si allenava con più costanza di quanto avesse mai fatto. Aveva notato che tendeva a stancarsi prima, anche se solo di poco, e metteva costantemente alla prova la propria resistenza.
Quella sera, si stava giusto asciugando la fronte dopo una serie di esercizi, quando Inhel ed una guardia dai capelli ramati giunsero al centro d’addestramento.
«Capitano» la salutò Inhel, con un sorriso brillante.
L’altra guardia si limitò a rivolgerle un cenno del capo, e Tauriel non poté fare a meno di ripensare alla conversazione che avevano avuto anni prima, quando lei aveva riottenuto il titolo di capitano.
Probabilmente, era stata la conversazione più lunga che avessero mai avuto.
Eseguirò i tuoi ordini, le aveva detto l’altra, con serietà. Ma non ho dimenticato quello che hai fatto.
Non aveva avuto bisogno di essere più specifica. Sapevano entrambe che aveva combattuto nella Battaglia delle Cinque Armate, e che aveva visto Tauriel puntare una freccia contro il loro sovrano.
Tauriel era conscia della gravità del proprio gesto. A dirla tutta, al proprio ritorno a Bosco Atro, si era aspettata una maggiore ostilità.
Ma se nei primi anni era stata seguita ovunque da occhiate truci e bisbigli rancorosi, poco a poco quel risentimento si era quietato. E in parte, il merito era del fatto che nessuno – all’infuori degli Elfi che vi avevano assistito – sapeva del suo scontro con Thranduil.
La maggior parte della sua gente le rimproverava di aver disobbedito agli ordini del sovrano, non di averne minacciato la vita.
Talvolta, Tauriel si era chiesta perché la voce non si fosse sparsa, se per caso Thranduil avesse ordinato di non diffonderla. Più probabilmente, però, il suo gesto era stato considerato troppo grave per essere trasformato in un pettegolezzo.
Così, coloro che non sapevano nulla l’avevano ormai perdonata per aver lasciato il regno, convinti che i dodici anni d’esilio fossero stati una punizione sufficiente.
Tauriel si era sforzata di parlare con gli spettatori del suo scontro con Thranduil, e poco alla volta le cose erano decisamente migliorate.
Avviandosi fuori dal centro di addestramento, la giovane ripensò al resto delle parole della guardia dai capelli ramati.
Re Thranduil ti ritiene idonea, aveva osservato, e io mi fido del suo giudizio.
Si erano guardate per un istante. Avevano tutte e due i capelli fulvi e vestivano nei colori scuri delle guardie di Bosco Atro, ma Tauriel era appena più bassa e molto più giovane, siccome l’altra aveva pressappoco l’età di Legolas.
Spero solo che non tradirai la sua fiducia e quella del principe Legolas.
I passi di Tauriel si fermarono, e i suoi occhi si serrarono. “Non lo farò”.








Note:
Innanzitutto, scusate per la posticipazione dell’aggiornamento.
Avevo sottovalutato sia l’introspezione (spero che il risultato non sia pesante ed orribile) che il mio talento a distrarmi. (Seriamente. Tra una parola e l’altra ho ascoltato musica, guardato video su YouTube e finito un film che avevo lasciato a metà.)

Ah, la cronologia del movieverse mi confonde come poche altre cose, ma spero di non aver fatto disastri.

Per quanto riguarda Álof, è un personaggio che avevo inventato per il primo capitolo di un’altra fanfiction, Distanze, e farla morire è stata una decisione molto sofferta. (Almeno si sarà ricongiunta con la sua bell’amante dell’Harad.) Chiedo perdono anche per Bain e Sigrid :(((

Concludendo, spero che questo capitolo non sia stato la delusione del secolo e che non vi abbia fatto addormentare sulla tastiera.

La terza parte arriverà sabato 27 febbraio.
  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: 9Pepe4